INFORMAZIONE/ USCITO IL NUOVO NUMERO DE "LA VOCE ALTERNATIVA" - Agenzia Internazionale Stampa Estero

INFORMAZIONE/ USCITO IL NUOVO NUMERO DE "LA VOCE ALTERNATIVA" - Agenzia Internazionale Stampa Estero - 10 dic 2007 - Il giornale dà spazio anche ad una intervista di Salvatore Viglia alla senatrice Franca Rame, ad un articolo di Stefano Faraoni, scrittore e studioso di ...


Cara Franca, non ti disperare...

Cara Franca, non ti disperare...

Cara Franca,
con l'immensa stima che ho per te, vorrei rassicurarti, con il mio pensiero sulle votazioni di ieri.
Il Senatore Turigliatto, fa, come si una dire, il gay con le terga degli altri. E' comodo infatti, negare la fiducia al governo, una volta aver fatto i conti e aver verificato che il governo tiene, perchè c'è un gruppo di RESPONSABILI che sostiene la maggioranza. Che coraggio! Un soldato del Papa!
Sono arcistufa di questi eroi senza macchia che si possono permettere di fare i duri e puri sapendo che lo posso fare grazie al senso di responsabilità degli altri.
( e non lo farebbero altrimenti).
SONO CERTA CHE SI I NUMERI NON CI FOSSERO STATI PER LA MAGGIORANZA, ANCHE IL SEN. TURIGLIATTO AVREBBE INGOIATO IL ROSPETTO E VOTATO CON L'UNIONE.
NON DA' LA FIDUCIA A QUESTO GOVERNO? ALLORA CHE SI DIMETTA, E ASPETTI FIDUCIOSO CHE ARRIVI IL PROSSIMO, SARA' SENZ'ALTRO MOLTO MEGLIO! AUGURI SENATORE TURIGLIATTO!
Vorrei però sottolineare, che quando ha dialogato con la maggioranza, ad esempio per l'emendamento sul fondo per gli esposti all'amianto, ha ottenuto ciò che desiderava.
Insomma: ha minacciato il voto contrario, gli è stata offerta una mediazione, e lui ha accettato. Come si dice, ha portato a casa un risultato.
Niente di illegale. COSI' SI STA AL GOVERNO. Da una parte viene una proposta, dall'altra una diversa, e poi si media. Il risultato, democraticamente parlando, è una mediazione, approvata da una maggioranza.
Se invece si vuol stare all'opposizione, si spara alto, non si ottiene nulla, e poi ci si lamenta.
BASTA SCEGLIERE.
Vogliamo parlare della senatrice Binetti?
Forse che non è l'altra faccia della medaglia del presidente emerito Cossiga? Forse che non fossero daccordo prima?Lei vota no, lui vota si...Che bel balletto!
Non me la bevo, l'accordo c'era eccome... E la motivazione non è certo l'inumanità di trattamento per i Rom, sai cosa gli importa...
La vera ragione è che il giorno precedente in commissione giustizia sono (finalmente) passati i CUS, i DICO, i PACS, chiamateli come volete. Nulla a che fare dunque con le istanza xenofobe, più semplicemente una conferma di bigottismo e diktat vaticani.
Ubi maior...
CARA FRANCA, QUESTO SOLO PER PREGARTI DI NON ESSERE DELUSA E AMAREGGIATA. LA TUA COSCIENZA E' CANDIDA.
un abbraccio,
Luisa

By Luisa_81 at 2007-12-07 12:05 | accedi o registrati per inviare commenti


Uranio impoverito: i nuovi dati del ministero e le dichiarazioni del militare italiano: anche noi usavamo uranio impoverito

Uranio: 77 morti  e 312 soldati malati - Stefania Divertito, Metro
 I dati ufficiali della Difesa. Ma molti non sono censiti
 
roma. Faldoni di carte polverose che giaccciono nelle caserme da dieci anni. Fogli matricolari, informazioni imprecise e insufficienti. A tutto questo il ministero della Difesa ha dovuto lavorare per permettere la “centralizzazione” dei dati relativi ai soldati che hanno partecipato alle missioni all’estero. In parole semplici: tutti i distretti militari hanno mandato al ministero i dati, poi 300 persone si sono messe al lavoro per ricostruire dove possibile, storie e carriere. Così il team guidato a livello centrale dal generale dell’aeronautica Claudio De Bertolis ha tracciato il quadro dei “malati da uranio impoverito”. I dati li ha forniti in commissione d’inchiesta al Senato lo stesso ministro Parisi.
Sono 312 malati e 77 morti: sono soldati che hanno partecipato, dal 1996 al 2006, alle missioni nei Balcani, in Afghanistan, Iraq e Libano dove cioè «è stato usato uranio impoverito». Un numero importante, che però non soddisfa le associazioni di tutela. Ora bisgnerà individuare chi si è congedato ed è sfuggito alla casistica e fare una differenza tra le mansioni. Un mese fa il ministro parlò di 37 morti. L’aumento è dovuto alla scrematura dei dati.
 
  
All’Onu
Ieri notte l’assemblea generale dell’Onu ha votato una risoluzione contro l’uranio impoverito che chiede ai paesi membri di riferire sugli effetti dell’uranio. s.d.
 
Il retroscena
Il 6 novembre Metro scrisse che c’era una “guerra dei numeri” sul caso uranio. Al ministero ci hanno detto che da quel giorno lo stesso Ministro ha ordinato che una schiera di funzonari lavorasse a tempo pieno sul caso per poter fornire prima possibile i dati definitivi.
 
Alle famiglie dei soldati gli stessi soldi
stanziati per le vittime del terrorismo
roma. Circa 170 milioni di euro: è la cifra messa a disposizione dalla legge 222 del 29 novembre per “equiparare le vittime del dovere con quelle del terrorismo”. Si colma così una disparità di trattamento abnorme. Adesso con questa legge e questo stanziamento sarà possibile chiedere il «reintegro risarcitorio», anche se, come ci dicono dal ministero, le procedure non sono ancora del tutto operative.

Non si dovrebbe comunque superare gennaio anche per lo stanziamento di 10 milioni previsto in finanziaria per assistenza sanitaria. Il ministero ha messo a disposizione un numero di telefono (vedi www.difesa.it) e presto, al massimo entro un mese, sarà pronta una squadra di tecnici per far orientare soldati e famiglie nel mare magno della burocrazia.  
s.d.

 
Kosovo strapazzato e impoverito all'uranio
Tommaso Di Francesco il Manifesto

A mozzichi e bocconi la verità sui raid «umanitari» sull'ex Jugoslavia, Kosovo compreso, viene fuori. Ieri il ministro Parisi ha detto alla commissione d'inchiesta sull'Uranio impoverito che, tra quelli in missione nei Balcani (ma anche Iraq, Afghanistan e Libano) sono «312 i militari malati di tumore in 12 anni e 77 i morti». Che volete che siano, fanno intendere al ministero, «in missione in 12 anni sono andate 56.600 persone». Reticente, ma è un passo avanti. Pochi mesi fa le vittime erano ufficialmente meno della metà, sei anni fa nemmeno esistevano. E all'epoca dei 78 giorni di raid «umanitari»? Stasera «Controcorrente Reportage» su Sky Tg24 manderà in onda un'intervista «bomba». Un militare italiano ancora in servizio, ammalatosi di tumore di ritorno dal Kosovo, accusa: «Anche dai mezzi italiani sono avvenuti questi bombardamenti all'uranio impoverito, non solo dai mezzi americani delle basi Nato in italia. A Pristina e Djakovica dove sono gli aeroporti, i principali obiettivi, gli italiani hanno bombardato. Dall'alto lo sapevano, chi dà l'ordine chi dà le direttive è indubbio che lo sapeva...». E Il servizio mostra due foto del 1999: due soldati italiani ripuliscono a mani nude il sito dell'aeroporto di Djakovica, bombardato con proiettili a uranio impoverito.
Già, com'erano questi bombardamenti? Umanitari o no? C'è stato un disastro ambientale e si sono contate migliaia di vittime civili. Scomparse nella considerazione della Nato e dei governi occidentali. Allora e adesso. Visto che gli stessi protagonisti della guerra a tutti i costi, ora svelano a che servivano quei raid aerei: a precostituire la più pericolosa delle indipendenze etniche che si annuncia a giorni. «Ma chi dà l'ordine sapeva...». Amnesty international in un rapporto ha accusato i leader della Nato di «omicidi deliberati» dopo una meticolosa indagine sui cosiddetti «effetti collaterali» di Surdulica, del treno di Grdelica, del mercato di Nis e in Kosovo di Pristina, Korisa, Djakovica, ecc. ecc. I target di morte che non vogliamo dimenticare.


SENATRICE RAME, NON SI DIMETTA PER FAVORE! di Salvatore Viglia

Lunedì 10 dicembre 2007
Salvatore Viglia
www.politicamentecorretto.com

Intervista alla Senatrice Franca Rame

Sulla questione del voto sull'abolizione della società dello stretto di Messina, con l'Unione, in dissenso con l'Italia dei Valori, lasciando poi il gruppo. Molti dicono che lei non avrebbe capito la questione e cioè che non andava votata la soppressione perché si sarebbero risparmiati molti miliardi.

Il ponte di Messina non si può fare. In un articolo di Curzio Maltese dell'anno scorso, si spiegavano le ragioni del perché: il Giappone ha costruito un ponte come questo di 1960 metri per le sole automobili, ma non c'è materiale al mondo che possa reggere anche il peso dei treni. Questo significa che il ponte di Messina non si potrà mai realizzare. Ragion per cui qualcuno mi deve spiegare perché questa società  continui ad esistere da un ventennio. Ha mangiato miliardi e miliardi di lire, milioni e milioni di euro e continua a mangiarne.

Non c'è possibilità di un ritorno nell'IdV dopo un chiarimento?

No, mi dispiace, ma sono anche altre scelte politiche su cui mi trovo in disaccordo. Ad esempio  Di Pietro ha dichiarato di essere   contro i manifestanti del G8 (Genova) ed in difesa della polizia dimenticandosi dei provocatori al servizio delle forze dell'ordine. Io c'ero, non ho preso le botte perché stavo con Don Gallo, conosciuto e rispettato da tutti a Genova, compresi polizia e carabinieri . Ho visto con i miei occhi i black block. che venivano addirittura trasportati di qua e di là dalle camionette della polizia. Un mio amico, Sergio Cusani, è stato picchiato duramente ed ha avuto la macchina fracassata.

Perché nel gruppo misto e non con Rifondazione Comunista?

Io sono stata iscritta al PCI per tanti anni. Ero molto attiva, militante, ed ero felice di trovarmi fra tante compagne e compagni. C'era affetto, rispetto, amicizia, solidarietà. C'era il comunismo. Poi le cose sono cambiate. E' cambiata l'aria che si respirava. Me ne sono uscita con grande malinconia. No, non voglio più legarmi ad un partito. Sono indipendente e resto indipendente. Lo ero anche nell'IdV perché mai nessuno mi ha obbligato a fare qualcosa. Più di una volta, su emendamenti su cui non ero d'accordo, quando dicevo all'amico Senatore Formisano che non li avrei votati, ha sempre rispettato le mie scelte.

Sembra essere molto vicina alle posizioni di Rifondazione per la propensione ai meno abbienti, ai più deboli, contro la guerra …

Vado d'accordo con i colleghi di Rifondazione. Ho molta simpatia per loro come ho simpatia per i comunisti italiani ed anche per i verdi, ma quelli a cui mi sento più vicina sono i Senatori Rossi e Turigliatto. Purtroppo, essendo spesso il mio l'unico voto che ci permette di non far cadere la maggioranza, devo sempre mandare giù il boccone amaro e votare "sì", o "no" altrimenti il governo salta. Più di una volta, riflettendo, mi sono detta: "Loro possono dissentire, perché sanno che poi ci sono io, che voto come decide l'Unione".

Ha intenzione di dimettersi da senatrice, ma non crede che così facendo deluderà moltissimi suoi elettori che aspettano da lei non i miracoli ma almeno una presenza costante?

I miei elettori devono capire che la mia è una presenza che non serve a nulla, non posso fare altro che "ubbidire", come ho già detto. Sono mesi che pesa sulle mie scelte questa spada di Damocle. Comunque, io non ho nessuna intenzione di fare qualcosa di negativo contro questo governo; lo sosterrò fino all'ultima ora che siederò in quest'aula. Anche se non mi trova d'accordo. Non sono state mantenute le promesse fatte in campagna elettorale. Ogni tanto qualcuno per strada mi ferma e ironicamente mi dice: "Vada a palazzo Chigi, a controllare che non ci sia ancora Belusconi!". Non ce l'ho con Prodi, la realtà è che è accerchiato, come fosse in galera. Ha 15 partiti intorno al collo. 15 anime, 15 ideologie. Come si fa a mettere d'accordo l'Udeur e Rifondazione? Che può fare Prodi? Deve accettare di tutto, anche i ricatti. Penso che per il Professore questa sia una pessima stagione, perchè non può essere contento di come vanno le cose.Lo stimo e mi dispiace per lui.

Ma la gente che la segue molto da vicino, quelli del suo blog, non vogliono una Franca Rame vinta, battuta dai fatti. Non li deluda.

Quando la tua presenza in un posto non può dare niente, oltre al Sì - NO.  Che ci sto a fare? Non c'è dialogo. Vai in aula, trovi la "pappa" fatta: vota si, vota no. Stop. 

La passione che ha sempre accompagnato la mia vita si è lentamente spenta. Più passa il tempo e più sono indifferente. Mi dispiace un sacco. Mi dà grande malinconia e scontentezza. Chi prenderà il mio posto sarà sicuramente più a suo agio di me. L'unica volta che ho avuto la possibilità di non sputarmi in faccia è stato quando ho votato contro l'indulto. Ma erano  talmente  in  tanti a volerlo che è stata, una ben misera soddisfazione. La gente si aspetta da me chissà che cosa. Io sono solo un colore, rosso, verde o violetto, i colori delle lampadine che indicano come hai votato. Ho maturato la coscienza di non poter fare niente. Non sono nulla, non posso fare nulla, ho presentato DISEGNI DI LEGGE interessanti che se ne staranno saranno dimenticati in qualche cassetto, ho presentato emendamenti, ho fatto interrogazioni…? Non ti risponde nessuno.

Spendo tante di quelle energie che potrei veramente con le stesse forze, senza presunzioni, sollevare il mondo. Corro dalla mattina alla sera!. Ho quattro commissioni, ho ore e ore in aula, ho la posta da evadere, il blog, un sacco di istanze da parte della gente. Per fortuna che c'è la mia adorata Carlotta Nao, che non solo mi aiuta, ma mi tira anche su di morale. Le sono molto riconoscente!

Lei ha messo a disposizione 100.000€ in opere di beneficenza, soldi suoi è vero?

Dai denari dello "stipendio", sottraggo solo le spese vive, affitto di casa a Roma, stipendi, vitto ecc. Il resto, l'ho impegnato bene. C'è gente che ha problemi serissimi, ed  ho talmente tante richieste che non so proprio a che santo votarmi!. Ammalati con pensioni miserabili, vittime dell'uranio impoverito, disabili…. Diciamo:nessuna novità: il mio  lavoro di sempre.

Mi sono occupata di carceri, oltre 800 detenuti per reati politici e comuni (Soccorso Rosso, 1969-1985) licenziati, disoccupati, fabbriche occupate, sfrattati,  donne violentate, ammalati di AIDS, con Dario ci siamo impegnati molto. Questo lo dico con grande gioia.  perché quando vado a letto la sera,  a volte penso a quanti momenti di disperazione ho avuto la fortuna di condividere. A quanta gente ho dato amore, amicizia, concreta solidarietà… E in tanti (non tutti) hanno contraccambiato. Sono più di mille gli spettacoli che abbiamo fatto in sostegno a fabbriche in occupazione. Ci sono state anche vertenze vinte dagli operai , grazie agli incassi dei nostri spettacoli  che gli permettevano di "non mollare". Anche il nostro pubblico li sosteneva concretamente: arrivavano alla fabbrica con vino, pasta, riso ecc. Bello no? Mi addormento felice e mi faccio sogni bellissimi. Quella si che era vita!

C'è un esempio di cui le va di parlare?

Ricordo una donna straordinaria: Eva.
Questa signora brasiliana nel nostro Paese faceva la lavapiatti in una pizzeria. Aveva due figli, cinque e sei anni e un altro di sedici  In Brasile avevano una vita davvero misera,  vivevano in una favelas, andavano a raccogliendo tra le immondizie qualcosa da mangiare, stracci per vestirsi. In Italia speravano di trovare l'Eldorado.

La Vidi Eva in televisione da Santoro: bellissima, sui 35 anni con le fotografie in mano dei suoi  due bambini . Stava raccontando la sua storia terribile: era venuta in Italia con i suoi figli perché il suo datore di lavoro le  aveva assicurato, oltre al lavoro, ospitalità. Bella ospitalità! Madre e figli stavano in un solaio, senza acqua, su due brandine. Un corto circuito sviluppò un incendio nel solaio. Eva era sotto a lavare i piatti, mentre i suoi filgi morivano bruciati. Ho visto le loro foto nelle piccole bare: I bimbi erano..  come dire… affumicati. Morti asfissiati. E questa madre disperata, convinta dal figlio maggiore ebbe la forza di  donare gli organi dei due figli ad altri bimbi. Ascoltando questa tragica vicenda, ho avuto immediatamente il desiderio di conoscere Eva e il suo ragazzo Tramite Santoro l'ho contattata, ci siamo incontrate. Mentre mi raccontava la sua tremenda disperazione piangeva, senza un singhiozzo. Insopportabile. Non aveva dove stare con suo figlio. Li ho tenuti per due anni presso di me. Non volevo si sentissero "ospiti", quindi l'ho assunta come aiuto domestica, anche se non era in grado di lavorare, Era la disperazione vivente. Si stava insieme, si mangiava insieme, spesso mi stendevo a letto vicino a lei. La tenevo abbracciata sino a che non si addormentava. L'ho mandata anche da un compagno psicologo "fai attenzione,
è sull'orlo del suicidio", m'ha detto.

La sera quando si guardava la televisione, ad un certo punto, lei si alzava e se ne andava in camera sua. Io, preoccupata, la spiavo dal buco della serratura timorosa che si buttasse dalla finestra (siamo al V° piano). la vedevo lì, piangere in silenzio con le fotografie dei figli. Ad un certo punto ho pensato con Dario, che forse a Eva occorreva, per ritrovare il suo equilibrio, avere la responsabilità di una casa sua.

Una persona di cui avrò sempre grande rispetto è l'ex Ministro degli interni Sen. Mantovano; che oltre al permesso di soggiorno promesso e mantenuto nella trasmissione di Santoro, mi aiutò a trovare un appartamento nella periferia di Milano per la piccola famiglia, non solo, fece in modo il sindaco pagasse pure l'affitto al padrone di casa. Siamo andate a comprare i mobili e lì ci hanno anche regalato un televisore "grandino" che io, da sfacciata, ho chiesto al negoziante quale premio per aver comprato tanta roba.  La gente mi conosce… sa del mio impegno nel sociale, mi aiuta volentieri.

Poi con l'aiuto di un avvocato, siamo riusciti ad ottenere dall' assicurazione del pizzaiolo un risarcimento di 600 milioni. Sono tornati in Brasile, là, con tutti quei denari sono ricchissimi! Questa è una delle tante belle storie che ho avuto la fortuna di vivere.

Le difficoltà che lei prova da senatrice, in effetti, non sono le difficoltà di Franca Rame, sono le difficoltà, grosso modo, di tutti i senatori. Ciascuno di voi è una pedina

Questo lo so benissimo. Non è che mi aspetti niente. E' un grande disagio che sto vivendo,  anche per i numerosi viaggi tra Roma e Milano.  Volo quando posso con Air One, spesso più economica di Alialia. Utilizzo denari dello stato e bisogna, a mio modo di vedere, stare attenti con le spese.

Senatrice, non si dimetta. Abbiamo bisogno di persone come lei

Sono determinata. Non servo più a niente qua. E' una presenza inutile la mia. La prima volta che gli altri senatori mi hanno dimostrato "amicizia", con  pacche sulle spalle e sorrisi, è stato quando sono uscita dall'Italia dei Valori. Prima ero trasparente.

Non per tutti ovviamente. Un lunedì stavo a Milano e dal giovedì precedente ero in fibrillazione. Il medico scrive un certificato che diceva: "A letto", certificato inviato al Presidente Formisano. Il giorno dopo, martedì, ubbidisco al Prof. Pozza e non mi alzo. Arrivano numerose telefonate dal Senato a ritmo serrato: "Come stai?" - "Come va'?" - "Come ti senti?" - "Quando torni?" Mamma mia quanta preoccupazione. Mi stavo montando la testa. Nel pomeriggio vengo a sapere che Andreotti aveva votato con l'Unione, - altrimenti il governo sarebbe andato sotto, Decisi preoccupata di partire la sera alle 21.00,  Dario non ne voleva sapere: "non stai bene, parti domani", ma mi aveva preso una tale ansia di essere responsabile della caduta del governo che... sono arrivata a Roma alle 23. Mi sono fatta una dormita memorabile, mai stata tanto serena in vita mia. Domani ci sarò, tranquilli. Sto bene, sto bene.


Un palazzo di giustizia a peso d' oro

 (3 dicembre, 2007) - Corriere della Sera – di Gian Antonio Stella
 

La vicenda di un edificio fatiscente comprato e venduto. L' atto d' accusa in 81 pagine della Corte dei conti. Così l' Inail rifiutò di pagare 27 miliardi di lire per il tribunale di Bari e ne sborsò 45,5. Costruito a ridosso del cimitero e del mercato rionale, quell' edificio non avrebbe mai dovuto essere lì
 

Comprereste un edificio enorme senza averlo mai neppure visto? L' ha fatto l' Inail, pagando il «nuovo» palazzo di giustizia di Bari il doppio del suo valore. L' ha fatto l' Inail paganto il "nuovo" palazzo di giustizia di Bari il doppio del suo valore. E l' ha fatto coi soldi avuti dai lavoratori per le assicurazioni contro gli infortuni. Di più: topi, fogne e allagamenti a parte, il palazzo era abusivo. Tanto da finire provvisoriamente confiscato. Un affare indecente, che secondo la Corte dei conti qualcuno ha voluto portare in porto «a tutti i costi». Proprio così scrivono i magistrati contabili, nel durissimo Atto di citazione firmato dal vice procuratore generale Rita Loreto che accusa i vertici (di allora) dell' Istituto: «Si coglie la netta sensazione che l' operazione immobiliare dovesse essere portata a termine a tutti i costi, a prescindere da qualunque possibile elemento di perplessità». E di motivi, a leggere il clamoroso documento di 81 pagine, ce n' erano a decine. Prima di tutto, però, un riassunto. Costruito in via Nazariantz, a ridosso del cimitero e del mercato rionale (figuratevi com' è portare su e giù i detenuti in mezzo al casino), il «nuovo» palazzo di giustizia di Bari non avrebbe mai dovuto essere lì: secondo il piano regolatore generale, mai sottoposto a variante, quella zona è infatti «riservata ai servizi per la residenza». E così dice la licenza rilasciata nel ' 94 ai fratelli Antonio e Giuseppe Mininni, proprietari della Cmc: possono costruire un edificio «per uffici comunali». Chiaro? No. Perché, nel novembre 1998 il Comune decide di prenderlo in affitto per 9 anni a 3 miliardi di lire l' anno per metterci «provvisoriamente» (provvisorietà all' italiana) gli uffici giudiziari. Scelta che automaticamente fa diventare il complesso, come dicevano, abusivo. Non bastasse, emergeranno subito grane di ogni genere. Un terreno così marcio che un' aiuola sprofonda di 40 centimetri in pochi mesi. Un tombino nell' archivio da cui salgono i liquami della fogna. Via vai di topi nei controsoffitti del seminterrato dove stanno i carabinieri. Tetti così sgarrupati che i magistrati devono attrezzarsi coi secchi per raccogliere l' acqua se piove. Vetri di qualità così bassa che già a maggio in certe stanze ci boccheggia a 31 gradi. Soffitti qua e là anche di 30 centimetri più bassi dei limiti di legge. Una lista tale da spingere i giornali a urlare allo scandalo e obbligare la magistratura ad accusare i costruttori di frode nelle pubbliche forniture. Sarà perché sanno dei guai in arrivo, fatto sta che nell' autunno del 2000, con una carta oggi in mano ai pm Roberto Rossi e Renato Nitti, titolari dell' inchiesta penale, i Mininni offrono il complesso all' Inail per 27 miliardi. Un «affarone», dicono: sono soldi che in soli nove anni, grazie all' affitto «provvisorio» al Comune per metterci il tribunale, torneranno indietro. Risposta dell' Inail: no, grazie. Poche settimane dopo, però, un compratore spunta. È la società Gesfin, che ha sede in una palazzina in via delle Strelitzie 35 a Santa Palomba, nella più sperduta periferia romana, dalle parti di Pomezia. Di chi è? Di due società, i cui soci principali sono Gianfranco Curci e Michele Reinero. Due personaggi, stando alla banca dati del Sole 24 ore, pressoché ignoti. Ma capaci di scucire il 27 dicembre 2000 (cin cin, Babbo Natale) quei 27 miliardi più Iva richiesti per l' acquisto. E qui comincia il bello. Appena entrati in possesso dell' immobile, gli intraprendenti compratori fanno due mosse. 1) Chiedono al Comune di Bari, gestito dalla giunta di centrodestra guidata dal forzista Simeone di Cagno Abbrescia, un cambio di destinazione d' uso, che sarà subito concesso ma bocciato come illegale sia dalla Corte dei Conti sia dalla magistratura ordinaria al punto che il complesso sarà confiscato (la decisione definitiva arriverà la settimana prossima). 2) Offrono il complesso all' Inail per 65 miliardi di lire: il triplo di quanto avevano pagato sei settimane (sei settimane!) prima. E la dirigenza dell' istituto che aveva rifiutato l' offerta bassa cosa fa? Avvia le pratiche per l' acquisto. Il comitato tecnico incaricato di valutare l' affare dice sì. Certo, fissa un prezzo un po' più basso. Ma è comunque sbalorditivo: 45,5 miliardi più Iva. Quasi venti più di quelli pagati dalla Gesfin e di quelli che saranno stabiliti come «valore congruo» dai periti della magistratura contabile che accusa: una «maggiorazione abnorme». Decisa, spiegano i giudici, senza che la commissione Inail effettuasse «né sopralluoghi né particolari approfondimenti». Di più: «I calcoli delle superfici erano stati fatti sulla base delle planimetrie presentate dalla ditta offerente e "non era consuetudine" recarsi sul posto per verificare». Di più ancora: i soldi furono stornati dai fondi già destinati a «interventi nel campo della riabilitazione». Una schifezza. Decisa senza neppure passare per il CdA. E sulla quale, scoperta la faccenda, danno oggi battaglia tre dei cinque consiglieri, il democratico Luigi Agostini, il casiniano Beniamino Brocca e il leghista Bepi Covre. Furenti per il modo in cui «la vecchia amministrazione ha buttato via i soldi dei lavoratori» e decisi a sapere «cosa» è esattamente successo. Perché, ad esempio, l' ufficio legale dell' Inail ha cercato una transazione abbinando il caso del tribunale confiscato con un appalto alla Data Service di Gianluigi Martusciello, la cui sede operativa romana è allo stesso sperduto indirizzo di Santa Palomba? E chi è costui, che porta lo stesso cognome del deputato azzurro Antonio e del consigliere campano Fulvio? E perché l' avvocato incaricato dalla presidenza se la prende adesso col Comune e non con la Gesfin? Perché, infine, i responsabili dell' operazione ai quali la Corte dei Conti chiede la restituzione dei soldi buttati via sono rimasti quasi tutti al loro posto? * * * La vicenda LA COSTRUZIONE Nel ' 94 i fratelli Antonio e Giuseppe Minnini ottengono la licenza per costruire a Bari, in via Nazariantz, area che per il piano regolatore è «riservata ai servizi per la residenza», un edificio (foto sopra) «per uffici comunali» IL COMUNE Nel novembre ' 98 il Comune decide di affittare il palazzo per 9 anni a 3 miliardi di lire l' anno per metterci provvisoriamente gli uffici giudiziari. In questo modo il complesso diventa abusivo LA VENDITA Nell' autunno 2000 i Mininni offrono il complesso all' Inail per 27 miliardi. La risposta è no. A fine dicembre la società Gesfin, che ha sede nella periferia di Roma, paga i 27 miliardi più Iva e compra L' INAIL Poco dopo, la Gesfin offre di nuovo il complesso all' Inail per 65 miliardi di lire (poi il comitato tecnico incaricato di valutare l' affare porterà il prezzo a 45,5 miliardi più Iva). Questa volta l' Inail avvia le pratiche per l' acquisto


desideri e amarezze dopo il voto di ieri

Vorrei che il Senatore Franco Turigliatto diventasse Presidente del Consiglio.
Con lui al governo, ci sarebbero giustizia e lavoro per tutti, nessuno dovrebbe frugare nei rifiuti per mangiare, ecc… Sotto la minaccia del ritorno di Berlusconi sono costretta a votare contro coscienza. Spero di potermene andare immediatamente dopo le dimissioni che presenterò al termine della finanziaria. Vi saluto con grande avvilimento nel cuore.
Fate girare…
Franca Rame

LE BARRIERE INVISIBILI – di Mimmo Grasso

Nel luglio di quest’anno ho assistito a uno spettacolo sul lago di Monteverde, in Alta Irpinia, la cui protagonista era Simona Atzori. Stavo seduto in alto ed ero giunto ovviamente in ritardo. Una ragazza eseguiva sul palco (sistemato sull’acqua)  passi di danza particolarmente complicati, inseriti in un contesto scenografico suggestivo. A fine spettacolo con alcuni amici mi recai verso i camerini per fare i complimenti alla ballerina e chiederle alcune delucidazioni sulla scenografia che lei stessa aveva elaborato. Nel presentarmi porsi la mano che, però, mi rimase a mezz’aria perché Simona  non si decideva a stringerla. Ho pensato che fosse una presuntuosa e già stavo per incazzarmi  producendo un lacumoto. Avvertii un deciso dolore al braccio destro. Qualcuno mi stava pizzicando come per dirmi qualcosa o farmi notare una gaffe. Fu allora che, voltando la testa al pizzicottatore e continuando a guardare Simona, mi accorsi che lei  non aveva le braccia. Come mai non me ne ero accorto durante la sua esibizione? Simona, comunque,  mi sembrò allora ancora più dotata di arti, cioè artista. Ma, si sa, sono casi eccezionali dovuti a personalità eccezionali. E gli altri, i “disabili normali” (ma guarda che contraddizione in termini), quelli che non ce la fanno, che non hanno vocazioni o sostegni particolari e che devono comunque tirare a campare nella società dei normaloidi? Come fanno quelli che non ce la fanno? Ieri ho letto un comunicato della Presidenza della Repubblica sulla giornata del disabile e in particolare su come la nostra società può e deve offrire pari opportunità di lavoro ai propri cittadini. Nell’elenco dei presenti e invitati non c’era il nome che più di tutti mi sarei aspettato di leggere, vale a dire quello di Franca Rame. Ovviamente mi sono chiesto perché e altrettanto ovviamente non so darmi una risposta. C’erano un po’ tutti, di destra e sinistra,  anche il ministro Turco che, con Napolitano, firmò  la Turco-Napolitano (l’espressione non  riguarda l’omonimo film di Totò ma una legge utile per le questioni degli immigrati). A tale proposito, quando si parla di immigrati da mandare via perché bla-bla, a nessuno viene in mente che gli americani della Nato e delle basi militari sono pur sempre, in senso stretto,  immigrati. A Napoli, ad esempio, vengono per numero di presenze subito dopo gli ucraini, che sono i più numerosi. Mah. E “mah” anche alla domanda “perché non hanno invitato Franca Rame?”. Ma perché, poi,  avrebbero dovuto farlo?. Beh, diciamo che è presente sulla questione da quando è nata (e quindi ha sviluppato una competenza specifica), che è una senatrice (e dunque può dare un contributo operativo ai dispositivi di legge, proprio per la sua esperienza sul campo). Non è sufficiente? E allora aggiungiamo che ha adottato, erogando un solido contributo coi suoi soldi, venticinque disabili gravi in varie parti della penisola. Neanche è sufficiente? Ma insomma quali titoli servono perché  il curricolo non venga cestinato? Ah, dimenticavo: ha dato vita a una fondazione per i disabili acquistando pullmini, attrezzature, promuovendo attività di sensibilizzazione ecc. Da dove ha preso i soldi? Erano  della sua famiglia, quelli del Nobel dato al marito Dario, mica bruscolini. Neanche basta? Ha chiesto ai suoi lettori di darle indicazioni su come impiegare in attività di solidarietà 100.000 euro (la sua paga di senatore). Neanche basta? Volete i miracoli? Possiamo provarci, tanto basta osservare i politici attuali per capire come si fa a camminare sull’acqua. Franca ha fatto tutto questo  in epoche non sospette; attualmente  abbondano le velinette o le attrici fuori moda che, per tornare sotto i riflettori, non esitano a farsi fotografare con il “sì-buana” , il disabile, il paria, il fellah, il napolegno, il lazzariota, il zanni. Sciò,sciò. E’ gente che utilizza la povertà e il dolore degli altri per fare spettacolo. Cosa c’è di più scandaloso (Chi scandalizza…sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino…, Matteo, 18,2)? Ma il fatto misterioso è che gli ascoltatori e spettatori provano un oscuro piacere in queste esibizioni buoniste perché quei tizi che a volte ritornano  hanno surrogato un dovere, umano e cristiano (religioso, comunque) prima che civico. Non si può essere cristiani a cottimo. E’ vietato.  La delega che costoro assumono su di sé (per il tramite delle società di marketing e delle case di produzione) è virtuale . Dunque il nostro bisogno di dare e ricevere carità (com-passione) si trasforma in qualcosa di alineato, semprechè non si debba mettere mano alla tasca. Comunque, non ho ancora trovato una giustificazione plausibile al fatto di non aver visto Franca né tra i relatori né tra il pubblico. Non me ne dò pace. In una giornata così importante per i portatori di handicaps avremmo voluto ascoltarla volentieri. Forse avrà trovato barriere architettoniche all’ingresso? Ho capito: è una portatrice di handicappati.
 
                                                                           Mimmo Grasso


Somalia, fuga dall'inferno di Giampaolo Visetti, Repubblica

MOGADISCIO - Dopo 14 conferenze di pace, a quasi un anno dall'invasione etiope e dai bombardamenti Usa, giustificati con la necessità di fermare l'avanzata di Al Qaeda in Africa, la Somalia precipita sempre di più nel dramma. Una settimana fa, infatti, dall'Etiopia sono arrivati altri 20 mila uomini e 52 carri armati con un ordine semplice: fare una strage. Comincia da qui il viaggio nell'inferno della Somalia, paese senza pace, dove centinaia di conflitti sono stati coperti dal marchio globale di una guerra civile che dura da 17 anni. I militari del presidente provvisorio sono alla fame, i civili allo stremo (quattromila i morti nel 2007): donne, bambini e vecchi scappano a piedi. Un popolo in fuga dalla capitale e che si rifugia nelle tendopoli. Sperando nell'aiuto della Comunità internazionale. Adesso, con un lampo strano negli occhi, lo chiamano "la scimmia". Hawo Ali, da due settimane, vive sospeso tra gli spini del secondo ramo di una grande acacia. È il segreto degli sfollati nel campo di Elasha, a sud della capitale. L'eroe dell'ultima battaglia di Mogadiscio ha 11 anni. Per due ore ha trascinato per le vie del grande mercato di Bakara il cadavere di uno dei sette soldati etiopici ammazzati dai ribelli al governo di transizione. La notte prima era stato costretto ad assistere allo sterminio della sua famiglia. Assieme alle vedove del clan è stato scelto dalle milizie degli shabaab, i giovani delle corti islamiche in rotta, per offrire un macabro regalo agli invasori di Addis Abeba. Nel 1993 era successo con gli americani. Lo choc popolare aveva costretto Bill Clinton a ritirare le truppe. Oggi non è andata così. Gli etiopici hanno arrestato venti maschi somali, rastrellati a caso nel quartiere di Yagshid. Venti uomini vivi in cambio di un cadavere preso a calci dalla folla? Ai mercanti del porto è sembrato che il nemico cedesse. L'errore l'hanno capito l'altra notte. Nel quartier generale dell'esercito governativo è entrata la salma dell'occupante, avvolta in un lenzuolo bianco. Dal carcere sono usciti venti sacchetti di nylon blu, riempiti con i pezzi degli ostaggi, irriconoscibili, mescolati alla rinfusa. È scattata così l'ultima vendetta etiope contro il popolo somalo, scudo per la nuova resa dei conti tribale. Un ordine semplice: consumare una strage senza limiti, decimare la capitale, seminare il terrore e la disperazione in ogni zolla del Paese. Per questo Hawo Ali ora deve nascondersi da tutti. Il 4 novembre è stato il volto dell'insurrezione ispirata dai fondamentalisti, decisi a innescare una rivoluzione nazionalista. Ha fallito. Ora, per tutti, è solo il colpevole del più crudele massacro del Corno d'Africa dall'inizio della guerra civile in Somalia. È un bambino, ma ha capito. Rifiuta la razione di mais. La sua patria è un altoforno in fiamme, il destino ha spento la sua stella. Dieci chilometri a nord, poco sotto lo stadio di Mogadiscio, tocca a Fortun Abdullahi Ali Afrah assistere alla catastrofe. Un proiettile le è esploso negli occhi. Ha sedici anni, nessuno ha il coraggio di portarla in un ospedale. La madre al mattino la depone su una sedia, in mezzo alla strada. Se non può vedere, che almeno senta quello che succede a chi può camminare. La città è un misterioso, imprevedibile, deserto campo di battaglia. Tra le macerie, squarci e spazi aperti dai bombardamenti sono vuoti. Negozi, mercati, scuole, uffici, università e porto sono chiusi. Ciò che resta della popolazione passa il giorno barricato nelle buche scavate sotto il pavimento delle case. Sono quasi tutti maschi, rimasti a difendere le proprietà. Chi deve uscire in cerca di acqua e di cibo, corre ricurvo tra auto bruciate e muri crollati. Cadaveri e feriti vengono lasciati dove cadono. Un'aria spessa, bollente e polverosa, stende su tutto una nebbia affumicata. Negli ultimi giorni non si spara più solo di notte. Gli insorti combattono in campo aperto. Ore di battaglia intensa cedono a lunghe pause di silenzio. Il terrore dirada gli scontri. Soldati etiopici e squadre fedeli al governo rastrellano però senza sosta, edificio per edificio. Circondano un quartiere e chi è all'interno è perduto. Ufficialmente danno la caccia ai terroristi vicini alle Corti islamiche, in fuga da gennaio. I superstiti raccontano invece un'altra storia. I militari armati dal presidente provvisorio, Abdullahi Yusuf del clan darod, da mesi non vedono un soldo. Alla fame, come la gente, aggrediscono e rapinano chi non confessa di sostenere la jihad. Chi ammette è giustiziato sul posto, quindi mutilato. Chi resiste viene decapitato. Membra umane sono state appese in una macelleria, come lezione collettiva. Centinaia le donne stuprate davanti ai parenti. Il primo ministro, Ali Gedi del clan hawiya, è stato costretto a dimettersi e a rifugiarsi in Kenya. La capitale torna nelle mani dei "signori della guerra", dei darod che garantiscono a Yusuf il controllo di porto e aeroporto: mezzo milione di dollari al giorno, in contanti. Sindaco e capo della polizia impongono il loro dazio a chi scappa. Per i bambini sotto i 12 anni la tariffa è doppia. I ribelli, non solo fondamentalisti, si preparano ad una lunga resistenza. Nel quartiere "Mar Nero", attorno al grande mercato e a Wahara Adde, si scavano trincee e cunicoli sotto le macerie. Dopo 14 conferenze di pace, a quasi un anno dall'invasione etiope e dai bombardamenti Usa, giustificati con la necessità di fermare l'avanzata di Al Qaida in Africa, la Somalia precipita in un massacro dominato dall'anarchia. Centinaia di conflitti coperti dal marchio globale di una guerra civile che dura da 17 anni: vendette tra clan, tribù e famiglie; lotte di potere tra generali e criminali che hanno spodestato Siad Barre; contese tra le bande che alimentano il più fiorente mercato africano di armi, droga e scorie nucleari; guerra santa dei fondamentalisti islamici, finanziati dal mondo arabo attraverso l'Eritrea; invasione colonialista dell'Etiopia, appoggiata dagli Usa per assicurarsi il controllo di petrolio e uranio; infine Somaliland e Puntland che reclamano indipendenza, l'irredentismo che riesplode nell'Ogaden, la resistenza nazionalista che spinge il nord contro il centro e questo contro il sud. In mezzo al caos, i caschi verdi dell'Unione africana. Avrebbero dovuto essere 8 mila. Meno di duemila ugandesi invecchiano assediati nelle caserme. Sabato notte i ribelli islamisti hanno obbedito all'appello di uno dei loro capi, Abu Mansur. Il quartiere generale di Mogadiscio è stato bombardato. Una capitale devastata attende l'ultimo atto della propria tragedia: l'esplosione degli attentati contro i contingenti stranieri, qui come ad Addis Abeba, o nel resto del Corno d'Africa. Per questo una folla sterminata, che aveva fin qui sopportato povertà e dolore come nessun altro, ora scappa. Vede che la criminalità rapace, l'indifferenza e l'idiozia della comunità internazionale, hanno sostituito il fondamentalismo degli islamisti, rinvigorito dall'intervento degli Usa. Il popolo in fuga non tenta solo di sottrarsi alla morte: non accetta di essere testimone passivo dalla propria autodistruzione, come un cuore sul fondo dell'abisso. Un fiume di scheletri neri, apatici e muti, emerge da quartieri isolati dal mondo. Nella capitale il cibo sta finendo e manca l'acqua potabile. I mercati, con la scusa di tagliare il sostegno popolare alle milizie shabaab, sono stati devastati e chiusi dall'esercito. Donne, bambini e vecchi scappano a piedi. I carretti, trainati da asini, sono colmi di materassi, stracci, pentole. Il racket dei miserabili vende posti su stipati pullmini, schiacciati dalla folla che si arrampica sui tetti. La popolazione si perde tra cammelli, capre, mucche, galline e cani, pure in fuga dalle esplosioni. Lungo i bordi dell'unica pista allagata, che collega Mogadiscio con il Sud, si affittano alberi per ripararsi dalla pioggia torrenziale. Le donne si fermano nelle pozzanghere per riempire di un liquido fangoso taniche gialle barattate con ciotole di riso. Si cucina, ci si lava, con la melma. Per accendere il fuoco i pochi maschi abbattono piante di cinnamomi e cespugli. Nei canali si ammassano le carcasse degli animali morti. Per mangiare si spara a branchi di scimmie grigie che, al tramonto, raggiungono la strada adescate con banane verdi. Bande di ragazzi si appropriano delle buche più profonde, le spianano e vi si stendono davanti. Chiedono cibo ai veicoli che scelgono di passarci sopra. I malati, oltrepassata la piazza K7 (sigla che indica la distanza dal centro di Mogadiscio), si fermano appena possono. Verso Lafole, i pozzi di Elasha e fino ad Afgoy, una distesa compatta di ramaglie, coperte con vestiti consumati e letame, protegge i reduci dagli orrori. Cinquanta, forse centomila ripari pieni di fori. Non si muore solo per l'assenza di cibo, o avvelenati dall'acqua infetta. Fanno strage la malaria, il colera, la tubercolosi e la bilarziosi. Non esistono latrine. Centinaia i feriti da proiettili vaganti, schegge, mine. Makagedi Wasuge è stata centrata alla gola mentre fuggiva con il figlio in abbraccio. Era nato da sei giorni. Lo ha perduto e chiede agli amici di ucciderla. Poche, generiche, le medicine. Nei campi di rifugiati a Lafole, Alabaray e all'Università di Agricoltura, opera un solo medico. Abdulrahman Abdi Haline, ortopedico, distribuisce sedativi a quasi ottantamila persone. Ne ha poche scatole, manda i vecchi a raccogliere certe erbe tra le dune. Ribelli vicini alle Corti islamiche e giovani insorti vengono curati clandestinamente. La massa è corrosa dall'odio contro l'Etiopia e contro "un governo agli ordini di Bush" che non controlla più nemmeno Villa Somalia, la propria sede dopo l'originaria a Baidoa. Fadumo, un anno fa, avrebbe impiccato chi le aveva imposto il velo integrale e chiuso caffè, cinema, radio e discoteche. Da questa mattina è volontaria tra i giacigli degli insorti. Fascia le ferite di chi, nel nome di Allah, le ha sgozzato il padre e un fratello. Tra la capitale e Afgoy la tendopoli misura ormai cinquanta chilometri. Negli ultimi dieci giorni i fuggiti all'inferno di Mogadiscio sono stati oltre 250 mila. Mezzo milione da gennaio, un milione negli ultimi due anni. Un milione di esseri umani che hanno perso tutto, privi di un luogo dove vivere. Da fine ottobre i civili uccisi sono circa 500, duemila i feriti. Quattromila le vittime della guerra nel 2007, oltre 10 mila i feriti. Solo in novembre, ogni giorno, a Mogadiscio sono morti 25 abitanti. Quasi sempre madri con i figli. Si avvicinano ai mercati in cerca di cibo, vengono freddati dai cecchini. Ieri sera è capitato anche a Madina Elmi, famosa come "general". Ai tempi di Aidid era la donna dei "signori della guerra" che taglieggiavano gli innocenti. Pentita, ha dedicato la vita alla pace. È stata colpita alla schiena mentre distribuiva pomodori agli orfani, ammassati poco fuori città. "Se la comunità internazionale non si sbriga - dice Tahlil Mahamud - tra un mese non avremo più sabbia per seppellire i cadaveri". È il capo di 2200 rifugiati, nascosti tra i cespugli che la stagione delle piogge fa rifiorire di giallo in un deserto rosso. Nelle ultime due settimane le 422 famiglie del suo clan hanno ricevuto 5 chili di riso e 10 di mais. I convogli umanitari sono al centro di un fuoco incrociato. L'esercito governativo li blocca per impedire i rifornimenti di cibo agli insorti. I fuggitivi li assaltano per una manciata di farina. I ribelli li rapinano per barattare cibo con armi. Sospesa tra guerra santa, conflitto civile, battaglia tribale e insurrezione patriottica, la Somalia è sconvolta dal compimento della più temuta catastrofe umanitaria del mondo. Il futuro, la prevedibilità degli eventi, si estendono ad un paio di ore. "Non vogliamo il ritorno delle Corti islamiche - dice il vecchio Sheikh Osman Hamsow-Abd vicino alla moschea di Al Idayha, nella capitale - ma i responsabili di questa carneficina se ne devono andare". Nelle ultime ore gli sfollati sono sempre più deboli. Mogadiscio si svuota. Per accorciare la marcia i più vecchi passano dalla spiaggia affacciata sull'oceano indiano. Camminano fino a Merca, cento chilometri a sud. Questa notte tre anziani sono morti sulla riva. I corpi, secchi come conchiglie spezzate, giacciono accanto ad una scuola mobile, allestita sotto una tenda per i figli dei rifugiati. I bambini, accanto, continuano a giocare a pallone prendendo a calci una sfera di alghe. In una capanna, costruita con i carapaci delle testuggini giganti, è riunita la "polizia". Affitta scorte alle organizzazioni non governative che tentano di fronteggiare l'emergenza. Ora stanno concordando le tariffe, come fossero taxi. Ma la polizia, in Somalia, non esiste. Milizie claniche controllano porzioni di territorio. Se cambia la zona, cambia la scorta, composta da poveracci alla fame, in ciabatte, con il kalashnikov in mano. Tutto dipende da chi possiede più armi. Un terrorista delle Corti può finire a spalleggiare un "signore della guerra", passando dai ribelli all'esercito governativo, o viceversa. Si cambia casacca per una cesta di manghi, nessuno ci bada. Al riparo dei gusci di tartaruga i capi attendono l'annuncio del nome del nuovo primo ministro. Sarà un hawiya, Nur Hassan Hussein, della famiglia Abgal. Domani decideranno a chi passa la sicurezza e chi tocca fuggire. "Per parlare di riconciliazione - dice il sultano Moaim Adnan Osman - è necessario che un nuovo governo dialoghi con l'opposizione, coinvolgendo tutti i clan, aprendo ai moderati delle Corti islamiche ed emarginando i fondamentalisti. Gli invasori etiopici, i loro amici della Cia, se ne devono andare, consentendo l'invio delle forze di pace africane delle Nazioni Unite. Solo così, con il sostegno di Unione europea e Lega araba, potremo arrivare al disarmo, all'elezione di istituzioni autorevoli e alla ricostruzione del Paese". Sembra un sogno, tutti lo raccontano come automi, nessuno ci crede. Chiudere i mercati e il porto di Mogadiscio significa scegliere di annientare la propria gente. Sparare sulla folla in fuga vuol dire rendere insuperabile l'odio tra Somalia ed Etiopia, tra mondo islamico e Occidente. Hassan Mursal lo sa. Per questo ieri mattina è partito. Ha un bastone, un camicione bianco e rigido come fosse di calce. Ad Afgoy dice di cercare la famiglia di suo fratello, scomparsa da aprile. Perché è rimasto solo, perché va verso sud, dove pensa di arrivare digiuno e a piedi scalzi, cosa deve annunciare ai nipoti? Non risponde alle domande. Alza le spalle, come andasse di fretta ad un appuntamento. Tutti, qui, capiscono che saranno i loro corpi, la loro carne, a dare infine un senso fisico all'essenza del destino. Dietro ad Hassan inizia a muoversi un popolo. Non sa dove andare: ma forse, scappando in massa dall'orrore, protestando con il sacrificio estremo di se stesso, rifiutandosi di morire, sta trovando la sua strada.
 
www.repubblica.it – 23.11.07


LETTERA APERTA DAL PRESIDIO "NO DAL MOLIN": SE NON ORA, QUANDO?

 Non lo nascondiamo: siamo dei sognatori; vorremmo impedire alla più grande potenza militare mondiale di mettere casa nel nostro cortile. E’ vero, siamo anche un pò testardi; ce lo hanno detto in tutte le salse: «cari vicentini, mettetevela via, gli interessi della guerra saranno più forti dei vostri presidi». Pazzi? Può darsi: del resto, chi avrebbe montato un Festival-campeggio di 10 giorni?
 
Eppure, siamo ancora qui. In questi giorni raddoppiamo il nostro Presidio Permanente; tutto intorno, un silenzio assordante, fatto di quotidiani e telegiornali che, dopo aver assediato Vicenza in concomitanza con il grande corteo del 17 febbraio, ora non hanno più nulla da dire su un movimento che ha continuato a vivere di passione e determinazione. Un movimento che si esprime tra e con la gente di Vicenza, attraverso iniziative e manifestazioni continue: abbiamo tagliato i cavidotti funzionali alla nuova base Usa, occupato la Basilica Palladiana, piantato 150 alberi all’interno del Dal Molin; abbiamo bloccato, per tre giorni e tre notti, le bonifiche belliche – iniziate un mese fa – necessarie per iniziare la costruzione dell’installazione militare, e le donne del Presidio, sono andate a Firenze per boicottare l’ABC – azienda incaricata delle bonifiche – e proseguire la campagna dei blocchi.
 
Con i primi blocchi dei lavori abbiamo imparato, ancor di più, ad essere una comunità; e abbiamo sentito, da tante parti d’Italia, la solidarietà e la condivisione che tante donne e tanti uomini esprimono per la lotta vicentina.
Abbiamo chiesto, anche, che i 170 Parlamentari che si sono dichiarati contrari alla realizzazione della nuova base Usa mantengano la propria promessa: portare subito in Parlamento la moratoria sui lavori in attesa dello svolgimento della Seconda Conferenza sulle servitù militari e chiedere la desecretazione degli accordi militari bilaterali.
Questo, ad oggi, non è avvenuto: abbiamo già visto il Governo promettere di ascoltare la comunità vicentina e poi tradirla: c’è qualcuno che vuol seguire il solco tracciato da Prodi? Non portare subito in Parlamento la moratoria, infatti, significa comportarsi nello stesso modo del Presidente del Consiglio che, dopo aver promesso di voler considerare la vicenda alla luce della volontà della comunità locale, dichiarò dall’estero di non opporsi alle richieste statunitensi svendendo la nostra città.
 
Lo scorso 17 febbraio, insieme, abbiamo dimostrato quanto grande è il movimento che vuol battersi contro la guerra e la militarizzazione del territorio, per la difesa della terra e la costruzione di nuove pratiche di democrazia; ma Vicenza, da sola, è insufficiente a sostenere questa lotta che, pure, accomuna gran parte della popolazione locale: Vicenza è solo un villaggio nella grande comunità che crede in un altro mondo possibile. Abbiamo bisogno, ancora una volta, della vostra condivisione, della vostra partecipazione, della vostra solidarietà.
 
Abbiamo convocato, a dicembre, una tre giorni europea di confronto, contaminazione, approfondimento; vogliamo allargare i nostri orizzonti, conoscere nuove comunità, condividere altre lotte. Ma vogliamo, anche, dimostrare che la vicenda del Dal Molin è ancora aperta: per questo il 15 dicembre un grande corteo attraverserà le strade della nostra città. Abbiamo sempre detto che “se si sogna da soli è solo un sogno, se si sogna insieme è la realtà che comincia”: vi chiediamo di condividere il nostro sogno, ancora una volta, perché una terra senza basi di guerra possa diventare realtà.
 
Se non ora, quando? Vicenza chiama, ancora una volta: e noi siamo sicuri che risponderete in tanti. Perché Vicenza vive già al di fuori dei suoi confini.


Perchè Dario Fo sia un genio compreso (Grazia Gargantua, Lara e Francy!)

Dario Fo: una personalità che coniuga leggerezza e profondità con umanità e talento, rara intelligenza e sensibilità con una creatività geniale, arricchita da una formidabile forza artistica e comunicativa.
Duole costatare la scarsa attenzione che le Istituzioni del nostro Paese hanno sempre rivolto a una tale personalità di indiscussa e assoluta eccellenza.
Attenzioni e riconoscimenti alle straordinarie qualità umane, creative e artistiche di Dario Fo sono invece giunti abbondantemente dall’estero:
Premio Nobel per la letteratura 1997;
Settimo posto nella classifica pubblicata dal Daily Telegraph fra i cento geni viventi (unico Italiano), secondo i parametri di popolarità, cultura, potere intellettuale, realizzazione professionale e capacità di impatto e innovazione in un determinato settore;
Premio Sonning conferitogli dall'Università di Copenaghen;
Premio Obie- Oscar del teatro Off di Broadway;
Laurea ad honorem in lettere conferitagli dall`Università di Westminster (Regno Unito);
Diploma conferitogli da L`école Askeby di Rinkeby, Stoccolma (Svezia) per la sua creatività e la gioia di vivere che con il suo teatro trasmette;
Premio Molière- Oscar del teatro francese, per la sua opera di drammaturgo e attore di teatro;
Riconoscimento dalla città di Montpelleir;
Laurea Honoris Causa dall'Università di Bruxelles;
Titolo di Membro Onorario dell'Accademia di Arti e Scienze del Massachusetts;
Laurea Honoris Causa dalla Sorbonne Nouvelle Paris III.
Riconoscimenti al valore del suo lavoro sono arrivati parimenti dal pubblico di tutti i Paesi dove sono rappresentate le sue opere (solo per citarne alcuni: Argentina, Armenia, Australia, Brasile, Bielorussia, Colombia, Cile, Danimarca, Georgia, Sri Lanka, USA, Uruguay, Yemen): Dario Fo, insieme a Franca Rame, è l'autore vivente più rappresentato al mondo.
Questo sta ad indicare chiaramente l’universalità di un linguaggio comunicativo che sa raggiungere l’umanità più varia, toccando temi che coinvolgono l’essere ad ogni latitudine.
Non facciamo che questo Paese mostri di non accorgersi dell’inestimabile valore che una personalità come Dario Fo rappresenta per l’arte, per il teatro, per la cultura. E, non ultimo, per l’impegno umano e sociale dimostrato da tutta la vita: fondazione del Comitato Nobel per i disabili, "Miracolo a Milano", "Palazzina Liberty", "Soccorso Rosso", impegno sul problema della manipolazione genetica, promozione del referendum "Aria Pulita", difesa dei più deboli e dei diritti fondamentali dell'uomo.
Essere connazionali di uomini come Dario è una fortuna e dovrebbe essere fonte di orgoglio per tutti.
Per questo proponiamo che si faccia richiesta al Presidente Napolitano affinché non trascuri l'occasione per rendere merito a questo nostro genio, ed allo stesso tempo al Paese. Mostreremmo a noi stessi e al mondo che sappiamo riconoscere i nostri aspetti migliori.


URANIO o VACCINI

 
di Antonietta M. Gatti
 
 
Anche dopo la seconda guerra del Golfo alcuni soldati americani tornano a casa ammalati.  Dal 1991 non è cambiato niente e non hanno capito niente. O, forse, non hanno voluto capire niente. Ormai non si possono più nascondere questi strani sintomi che possono portare anche alla morte. Si è detto che i soldati hanno sviluppato una nuova  sindrome denominata del Golfo semplicemente perché quello è il luogo dove la patologia è iniziata. E’ certo che anche soldati di altre coalizioni abbiano sviluppato patologie, ma non ci sono statistiche: meglio non parlarne.
In Italia ormai è dato per assodato che anche i nostri soldati, in missione di pace, si sono ammalati di quella che è stata definita la Sindrome dei Balcani. Non si è potuto dare lo stesso nome di quella sviluppata in Iraq per ovvi motivi geografici, ma anche perché i sintomi sono talvolta diversi. Per esempio, i soldati italiani non hanno sviluppato sintomi neurologici, come alcuni dei soldati americani o inglesi.
La stampa, pur di trovare un colpevole, si è arrampicata sugli specchi trovando ragionevole puntare il dito sull’uranio impoverito. Si sa che quel metallo di scarto era stato buttato in grande quantità nei Balcani, quindi lui era, doveva essere, il maggior indiziato, vista la correlazione radiazione-cancro acquisita dopo Hiroshima. C’è un piccolo problema: l’esposizione radiogena di ogni soldato non è stata verificata. C’è poi un altro problema:  se si vuole applicare il principio di “causa-effetto” occorre  essere certi che il tempo intercorso fra lo stimolo e l’effetto sia adeguato, cioè non è possibile che l’effetto si manifesti dopo un tempo troppo lungo.  
Ciò significa che un agente causale in un certo sistema produce un effetto con certe modalità temporali. Ad esempio, un pugile che si prende un pugno sviluppa il dolore istantaneamente e, magari, casca pure immediatamente al tappeto, mentre una persona esposta al virus della varicella può sviluppare la malattia in un breve arco di tempo. D’altro canto, un’esposizione all’amianto può condurre al mesotelioma in tempi lunghissimi, fino a 40 anni dall’esposizione, ma, comunque, si tratta in ogni caso di tempi adeguati all’effetto provocato da quella determinata causa. Così, il tempo è un fattore importante nell’individuare una correlazione di causalità fra stimolo ed effetto.
Ora, nel caso dei Balcani i nostri soldati sono andati a guerra finita, o, meglio, erano finiti i bombardamenti, ed alcuni non sono mai stati in zone in cui era stata trovata traccia di radioattività.
Quindi, attribuire automaticamente la colpa all’uranio impoverito in quanto agente radioattivo per tutte le patologie dei nostri soldati (cancro ai testicoli, allo stomaco, leucemie, linfomi, ecc.) è una cosa non scientifica e fuori della logica comune. Non la si ritiene un’ipotesi impossibile, ma occorre una precisa dimostrazione caso per caso. Occorre anche verificare se i sintomi precoci dell’esposizione radiogena, per esempio sanguinamento delle mucose orali, sono stati espressi.
E poi, ancora, le patologie di cui si è detto sopra restano a tutt’oggi di origine ignota, cioè non si sa quale sia l’agente patogeno, sono ormai sovraespresse nella popolazione civile. A questo punto ci si chiede qual è il fattore che accomuna la leucemia di un soldato a quella di un bambino o a quella di un vecchio. La ricerca di quel fattore comune deve essere l’elemento portante per trovare il bandolo della matassa.
A mio avviso un possibile fattore comune è l’inquinamento ambientale da un parte, quella del bambino o del vecchio nostrani, cioè, e l’inquinamento bellico, quello dei militari, dall’altra. In entrambi i casi esiste indubitabile l’esposizione a polveri sottili, non di rado anche tossiche dal punto di vista chimico, che possono nuocere alla salute.
Questa ipotesi è facilmente verificabile andando a cercare all’interno dei tessuti patologici le polveri di cui ho detto, visto che essendo eterne, vale a dire non biodegradabili e non eliminabili dall’organismo, lì sono e lì rimangono.
Ultimamente è stata portata all’attenzione del pubblico anche un’altra ipotesi: i vaccini.
L’ ipotesi che vaccini possano avere effetti collaterali che inducono patologie è già stata avanzata a livello mondiale e, dal mio punto vista, ha una base scientifica.
In tutto il mondo ci sono organizzazioni, specialmente di genitori, che non vogliono far vaccinare i propri figli per paura di possibili effetti collaterali che questi prodotti possono dare. Da qualche giorno è stato rilevato, infatti, che, in un numero di casi non trascurabile, dopo le vaccinazioni alcuni bimbi sono diventati autistici. Questa singolarità è stata già notata a livello mondiale e sono sorte molte associazioni di genitori che non vogliono far vaccinare i loro bambini proprio per non incorrere in questo rischio. E’ stato varato da poco un decreto che toglie l’obbligatorietà delle vaccinazioni che restano, quindi, a discrezione dei genitori fare o no vaccinare i propri figli. Questo provvedimento fa riferimento anche al fatto che vi sono state delle segnalazioni di eventi avversi dopo l’inoculazione (http://www.epicentro.iss.it/temi/vaccinazioni/reaz-avv_ER06.asp).
Dunque, si accetta il fatto che si possano verificare delle complicanze dopo una vaccinazione e, per questo, non si può escludere che i soldati ne abbiano subite. Specialmente se si pensa che in molti casi sono state praticate vaccinazioni multiple senza seguire i protocolli che prevedono intervalli di tempo stabiliti tra una vaccinazione e l’altra. Ovviamente non esiste letteratura medica sufficiente sulla interazione reciproca di questi vaccini nel corpo umano.
C’è, poi, un fattore che non è stato considerato. Nei vaccini sono presenti anche piccolissime quantità di altre sostanze come antibiotici, alluminio, formaldeide, monossido di glutammato (MSG), sodio metabisolfito e Thimerosal.
Al giorno d’oggi il Thimerosal (un composto di mercurio) non viene più usato ma sicuramente l’alluminio sotto forma di sali è utilizzato nei vaccini come adiuvante per aumentare la stimolazione
 immunitaria e potenziare la risposta immunitaria. Questi adiuvanti potrebbero senz’altro essere chiamati in causa nel caso di eventi avversi.
Ora in alcuni casi di soldati che si sono ammalati si potrebbe vedere di verificare se vi sia un nesso di causalità con la malattia e se esiste anche una correlazione temporale. Ciò significa che il soldato dovrebbe avere iniziato ad avere dei problemi di salute immediatamente dopo l’inoculazione. Non sembra credibile, invece, che in un soldato i primi sintomi si siano sviluppati al ritorno dalla missione, cioè 3 o 6 mesi dopo l’inoculazione. 
Occorre, quindi, fare chiarezza. E’ possibile che alcuni soldati abbiano subito effetti collaterali da vaccinazioni multiple, ma si tratta di casi sporadici e facilmente controllabili tramite il fattore tempo fra l’inoculazione e i primi sintomi.
Nel nostro laboratorio io ho analizzato alcuni vaccini e ho trovato alcune contaminazioni da polveri metalliche che non dovrebbero esserci e che potrebbero realisticamente essere cause di effetti avversi.
Ma, sulla scorta di un’ormai corposa esperienza, ritengo che la maggior parte dei soldati ammalati sia stata esposta  a polveri belliche la cui inalazione e la cui ingestione hanno esercitato la loro tossicità all’interno del corpo.
A ben guardare, però, le due possibilità, cioè polveri da esplosione e vaccini, non sono affatto in contrasto tra loro. Se è vero che le polveri inalate o ingerite vengono in parte sequestrate dai vari tessuti dell’organismo senza possibilità di eliminazione, è altrettanto vero che le polveri iniettate con il farmaco entrano senza più possibilità d’uscita nell’organismo, un organismo temporaneamente indebolito dal dover reagire a più vaccinazioni. In questo caso, ecco che i tempi intercorsi tra inoculazione e sintomi tornerebbero.
 
 

Argomento: 

COSA ROSSA, LITIGI TECHNICOLOR

 
 
In grande stile americano, all’alba del matrimonio,con contratto prematrimoniale già siglato, scoppia la lite. Non è un’amante bionda la causa dell’alterco, ma i vessilli ed il protocollo welfare.
 
Il matrimonio tra Verdi, Pdci, Prc e Sd si dimostra sempre più complesso: tra le richieste di rottamazione della falce e martello, ed i richiami simbolici alla componente ambientalista, rimane sullo sfondo la vera lacerazione tra i nubendi: il voto alla Camera sul welfare. Non è piaciuto infatti il comportamento dei Comunisti Italiani, che al momento del voto definitivo ha visto 15 deputati su 17 votare contro il protocollo, che certo non è andato giù neppure agli altri, ma pur di garantire coesione all’interno della maggioranza , seppur con molte riserve, avevano espresso invece parere favorevole.
Al Senato il testo sarà discusso la prossima settimana in Commissione Lavoro (che vede Franca neo-membro, dopo aver lasciato la Commissione Lavori Pubblici), per poi arrivare in Aula la settimana successiva. Qui ci si aspetta uno scenario diverso essendo la maggioranza – inutile ricordarlo – molto risicata. Inoltre, mentre a Montecitorio il conflitto è spostato a sinistra, a Palazzo Madama, la “battaglia” si gioca al centro: con Dini e suoi, le incognite Manzione e Bordon, ci si aspetta momenti di alta tensione. Sempre in tema, si vocifera di un interesse da parte del Ministro di Pietro per la “cosa bianca”.
Le polemiche verso il governo invece, arrivano da tutti i fronti: un fuoco incrociato di critiche che arrivano dagli oltranzisti di sinistra “alla fine delle discussioni poi tutti chinano la testa e votano si!”; dalla sinistra di governo che reclama: “ il governo è tenuto in scacco da Dini”,  e pure dal centro “ci riserviamo mani libere”. Una rulette russa, dove prima o poi qualcuno lascerà le penne.
 
Rimangono tuttavia, dei punti imprescindibili: una riforma dello stato sociale deve essere fatta, anche per evitare l’entrata in vigore della riforma Maroni, ma soprattutto per venire incontro ad un Paese che ha sempre più pensioni da pagare e sempre meno contributi in ingresso, a causa del precariato (lavoro flessibile?). Il risultato scontenterà un po’ tutti: le contrattazioni tra le 15 anime della maggioranza saranno estenuanti, ma portando tutte a casa un piccolo risultato, garantiranno a sé stesse la possibilità (e la giustificazione) di continuare a mantenere in vita questo governo Prodi.
 
Con una buona dose di realismo, possiamo concludere: è necessario modificare l’esistente, possibilmente senza mettere a rischio il governo. Riusciranno i nostri prodi?
 
 
Un riassunto tratto dal sito del Sole 24 ore, delle misure previste dal protocollo:
Nel maxiemendamento che ha ottenuto la fiducia sono due le soppressioni principali rispetto al testo varato dalla commissione Lavoro: è stata soppressa la possibilità di conversione del rapporto di apprendistato, in corso d'opera, in rapporto a tempo indeterminato. È saltato anche il meccanismo di adeguamento sistematico e periodico degli indennizzi per danno biologico erogati dall'Inail, bocciato dalla commissione Bilancio della Camera per mancanza di copertura. Ecco, nel dettaglio, le principali novità.
Casalinghe. Per i destinatari del Fondo per le casalinghe possibilità di effettuare contribuzioni saltuarie e non fisse, anche se non iscritti al Fondo.
Congedi parentali. Prevista la revisione della normativa sui congedi parentali, con particolare attenzione all'estensione della durata dei congedi e all'incremento dell'indennità, con lo scopo di incentivarne l'utilizzo.
Contratti a termine. Superati i 36 mesi di contratti a termine, comprese proroghe e rinnovi, il contratto si considera a tempo indeterminato. In deroga è possibile una sola proroga, a condizione che la stipula avvenga presso la Direzione provinciale del lavoro competente per territorio e con l'assistenza di un rappresentante di una delle organizzazioni sindacali più rappresentative sul piano nazionale. Le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro stabiliscono con avvisi comuni la durata dell'ulteriore contratto. Soppresso il tetto di 8 mesi, dunque, all'unica proroga concessa, che era stato introdotto nel corso dell'iter parlamentare dalla commissione Lavoro.
Contratto di inserimento. Nell'esercizio della delega in materia di mercato del lavoro il Governo nel ridefinire la disciplina dei contratti di inserimento dovrà tener conto dei divieti di discriminazione per sesso ed età
Lavori usuranti. È stata introdotta nuovamente, dopo la cancellazione da parte della commissione Lavoro della Camera, per la definizione di lavoratore notturno, il riferimento al Dlgs 66/2003, che era presente nel testo varato dal Governo. Il Dlgs n. 66 prevede che sia considerato lavoratore notturno: a) qualsiasi lavoratore che durante la notte svolga almeno 3 ore del suo tempo di lavoro giornaliero impiegato in modo normale; b) qualsiasi lavoratore che svolga durante il periodo notturno almeno una parte del suo orario di lavoro secondo le norme definite dalla contrattazione collettiva. In difetto di disciplina da parte della contrattazione collettiva è considerato lavoratore notturno che svolge lavoro notturno per minimo 80 giorni lavorativi l'anno. Il limite è riproporzionato in caso di part time.
Maternità a rischio per le iscritte alla gestione separata. Ampliata l'estensione alle lavoratrici iscritte alla Gestione separata Inps, non iscritte ad altre forme pensionistiche obbligatorie, della tutela prevista per le lavoratrici dipendenti: si prevede, infatti, anche l'applicazione delle disposizioni dell'articolo 7 del Dlgs 151/2001, che dispone il divieto di adibire le lavoratrici al trasporto e al sollevamento pesi, ai lavori pericolosi, faticosi e insalubri, con spostamento della lavoratrice ad altre mansioni.
Occupazione femminile e telelavoro. Il Governo è delegato ad adottare entro 12 mesi dall'entrata in vigore della legge di conversione del decreto legge n. 159 un riordino della normativa in materia di occupazione femminile, con norme per favorire la conciliazione fra lavoro e vita familiare e a favorire l'aumento dell'occupazione femminile. Delega al Governo anche per la revisione dei congedi parentali, con particolare riferimento all'estensione della durata e all'incremento dell'indennità, per incentivarne l'utilizzo. Previsione di azioni per agevolare l'accesso e il rientro nel mercato del lavoro delle donne, anche tramite formazione professionale mirata. Definizione degli adempimenti dei datori di lavoro in materia di attenzione di genere. Rafforzamento del part time e del telelavoro.
Part time. Si allunga a 5 giorni lavorativi il preavviso in favore del lavoratore in caso di utilizzo da parte del datore delle clausole flessibili. Diritto alla trasformazione del rapporto a tempo pieno in part time per i lavoratori affetti da patologie oncologiche. Priorità nella trasformazione dei contratti da tempo pieno a part time nei casi di necessità di assistenza quotidiana al coniuge, ai figli o ai genitori affetti da patologia oncologica grave, con necessità di assistenza quotidiana o per i genitori lavoratori con figlio convivente di età non superiore a 13 anni o con figlio portatore di handicap. Diritto di precedenza per il lavoratore che abbia trasformato il rapporto di lavoro da tempo pieno a part time, nelle assunzioni con contratto a tempo pieno per l'espletamento delle stesse mansioni o equivalenti.
Pensioni contributive. I nuovi criteri di calcolo dei coefficienti di trasformazione per le pensioni contributive dovranno proporre meccanismi di solidarietà e garanzia per tutti i percorsi lavorativi.
Prestazioni discontinue nel settore del turismo e dello spettacolo. Per contrastare il lavoro irregolare o sommerso viene istituita una disciplina relativa alle prestazioni di carattere discontinuo nel settore del turismo e dello spettacolo. Si potranno, dunque, instaurare specifici rapporti di lavoro per lo svolgimento del lavoro nel fine settimana, nelle festività, nei periodi di vacanze scolastiche e ulteriori casi, come il lavoro extra e di surroga (speciali servizi di durata non superiore a 3 giorni).
Somministrazione di lavoro a tempo indeterminato. Viene abolito, con emendamento della commissione Lavoro entrato nel maximendamento, il contratto di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato.
Tasso di occupazione. Tra gli obiettivi del Governo nell'ambito della delega in materia di mercato del lavoro quello di migliorare il tasso di occupazione delle donne, dei giovani e degli over 50.