CARNEVALE DI VIAREGGIO: IN VENDITA PER BENEFICENZA LITOGRAFIE DI DARIO FO A FAVORE DELLE VITTIME DELL'URANIO IMPOVERITO
CARNEVALE DI VIAREGGIO: IN VENDITA PER BENEFICENZA LITOGRAFIE DI DARIO FO A FAVORE DELLE VITTIME DELL'URANIO IMPOVERITO .
Notizie e iniziative contro l'uso di Uranio Impoverito
CARNEVALE DI VIAREGGIO: IN VENDITA PER BENEFICENZA LITOGRAFIE DI DARIO FO A FAVORE DELLE VITTIME DELL'URANIO IMPOVERITO .
Di Antonietta M. Gatti
Ieri è morto Fabio Maniscalco, di professione archeologo.
Ma ieri non è morta solo una persona di 43 anni per una rara forma di adenocarcinoma del pancreas: è morto un eroe dei nostri tempi, ed io gli voglio rendere merito. Io voglio che la sua morte lasci un segno nella nostra esistenza.
Come tanti altri soldati, Fabio è stato in “missione di pace” nei Balcani (1995-97), ma al di là dei suoi compiti ha cercato di portare la sua cultura di archeologo in quei luoghi bombardati. Ha cercato di dare un contributo costruttivo, di salvaguardia della storia e del nostro passato in un territorio segnato dall’odio e dalla distruzione.
Il suo lavoro di censimento e di verifica su monumenti e reperti museali in una nazione che cercava faticosamente di uscire da una odiosa guerra etnica voleva essere un segno di ricostruzione, di speranza.
Questa voglia di dare speranza l’ha condotto poi in altri teatri bellici, sempre per recuperare pezzi di storia evitando che la cecità umana li spazzasse via.
Non vorrei scriverlo, ma forse questa speranza è morta con lui. All’interno di questa tragedia, c’è un aspetto inquietante, una beffa del destino, perché la sua morte è da ascrivere alle attività che ha svolto in quei territori.
Io non l’ho mai conosciuto di persona. Ho sempre parlato con lui per telefono perché quando mi ha cercato era già ammalato. Ammalato al di là di ogni possibilità di salvataggio. Con voce ferma, senza tradire la paura della morte, mi ha chiesto se potevo e se volevo analizzare una sezione del suo corpo: un pezzo di quel tessuto malato che gli era stato asportato ma che aveva già messo delle radici profonde in tutto il suo essere.
Di lui, così, conosco una realtà interna, nascosta, intrigante e incredibile.
Guardando questo tessuto con “occhi ultrafini” ho visto miriadi di particelle di metalli dislocate ovunque nei campioni di milza dove estrinsecavano la loro bellicosità. Sì, perché le guerre moderne stanno diventando veramente raffinate. Le bombe, esplodendo, inquinano irrimediabilmente l’aria e riescono ad agire anche dal di dentro dei corpi. Silenziose. Senza che nessuno veda. Senza che nessuno sappia. Senza che nessuno voglia sapere. L’azione di queste bombe può avere due effetti: uno immediato (il soldato o il civile viene colpito direttamente quindi è ferito o muore) ed uno è ritardato. È l’effetto più subdolo e forse più crudele. Gli effetti delle esplosioni, le polveri finissime generate, possono rimanere nel territorio e uccidere lentamente, senza fretta, per tantissimi anni, anche quando i trattati di pace sono stati firmati e la guerra è un ricordo da cancellare. E uccidono senza distinzione di specie, di grado di parentela, di appartenenza politica. Sono molto democratici.
All’interno del tessuto di Fabio, oltre ai metalli pesanti ho trovato anche polveri d’oro, non oro e basta: oro legato ad altri metalli. Le composizione identificate non esistono in nessun manuale di materiali e sono il frutto casuale di una combustione incontrollata. Restando nell’ambito di lavoro di Fabio Maniscalco, archeologo, poniamo che una bomba colpisca un museo che contiene reperti di ceramica, di tanti metalli e tra questi l’oro. La temperatura altissima che lo scoppio induce fonderà tutte queste sostanze e molte, addirittura, le sublimerà. Poi il tutto si ricomporrà in maniera che con il prima non avrà nulla a che fare, e saranno polveri di composizioni mai viste in altre circostanze.
Lui cercava di salvare reperti nei musei, ma non è riuscito a salvare se stesso dagli effetti che la guerra aveva creato. Un parte di quel mondo che aveva tanto amato gli è entrata nel profondo contaminandolo. Sembra un paradosso, ma è ciò che le analisi mostrano con chiarezza. Non ho trovato altra spiegazione dallo studio anamnestico che ho fatto con lui e ciò che ho trovato è profondamente logico. L’andare in cunicoli bombardati per ritrovare frammenti di storia senza alcuna protezione non è sano. All’interno di cunicoli o di camere sotterranee bombardate rimane un pulviscolo che, se inalato, è insidiosissimo. Ecco perché il professor Maniscalco è un eroe: perché ha pagato con la vita il suo amore per il passato, per la cultura, per le radici. Qualcuno gli riconoscerà questo merito? L’anno scorso era stato proposto per il Nobel per la pace del 2008. Ma non c’è più tempo.
La sua morte deve essere un messaggio, un monito per governanti e politici: mentre voi decidete a tavolino la morte, alcuni lavorano pensando al nostro futuro attraverso la salvaguardia del nostro passato. Purtroppo la vostra morte ha raggiunto anche lui.
Quante altre persone meno famose, sconosciute, sono morte o moriranno in questo modo? E non penso solo ai soldati, ma penso agli addetti delle varie associazioni non governative, ai volontari, ai giornalisti che hanno frequentato e frequentano quei luoghi, ignari di altri pericoli, che non quelli immediati creati dalle bombe. Chi si prenderà cura di questi eroi? Della loro memoria, almeno?
Vorrei esprimere il mio rammarico per non essere riuscita a salvare questa persona pur avendo visto la causa della sua morte. Quando il mondo si frammenta in “schegge” così piccole, così insinuanti ed insidiose, io non posso toglierle e i farmaci sono inefficaci. Nessuno puo’ fare niente. Però si può fare prevenzione. Si possono scrivere procedure, allestire attrezzature idonee.
Il problema è: c’è qualcuno che mi sta a sentire in questo silenzio di tomba? C’è qualcuno a cui interessa sapere che la guerra continua anche quando il libro ufficiale della storia ha chiuso la pagina?
Dario si è occupato di una giovane stilista, di grande creatività e gusto, nostra cara amica Gentucca Bini. Nella scorsa stagione, Dario ha allestito la scenografia della sfilata di Gentucca con grandi dipinti del Mantegna, e curato la regia, davvero insolita, che vedeva indossatrici e indossatori sfilare saltando, ballando, ridendo... Un gran successo! Rifacendosi agli abiti della sfilata, davvero inconsueti e pieni di festosità, ha disegnato 12 bozzetti che ha poi elaborato per tradurli in altrettante incisioni litografiche a colori. Le 12 tavole in esacromia impresse su carta a mano intonsa rosaspina di Fabriano, sono raccolte in una cartella e numerate da 1 a 100, dimensione 51x37. Dario ha pensato di metterle in vendita per raccogliere fondi in sostegno alle famiglie dei militari colpiti dall’uranio impoverito. L’importo che abbiamo deciso per ciascuna cartella, contenente le 12 tavole, è di 250 €, (Più 10 DI SPEDIZIONE) pur consci che il loro effettivo valore sia da ritenersi assai superiore. Chi è interessato a contribuire a questa iniziativa, può inviare una e mail al seguente indirizzo: [email protected]
UniCredit Banca MILANO PORTA ROMANA C
Corso di Porta Romana 132
Milano (MI)
Conto corrente n° 4968564 ABI CAB 1612 CIN E L’IBAN IT 35 E 0200801612000004968564 INTESTATO A COMITATO IL NOBEL DEI DISABILI
(URANIO E DISABILI HANNO UN UNICO CONTO)
Un bacio a tutti franca
di Antonietta M. Gatti
Anche dopo la seconda guerra del Golfo alcuni soldati americani tornano a casa ammalati. Dal 1991 non è cambiato niente e non hanno capito niente. O, forse, non hanno voluto capire niente. Ormai non si possono più nascondere questi strani sintomi che possono portare anche alla morte. Si è detto che i soldati hanno sviluppato una nuova sindrome denominata del Golfo semplicemente perché quello è il luogo dove la patologia è iniziata. E’ certo che anche soldati di altre coalizioni abbiano sviluppato patologie, ma non ci sono statistiche: meglio non parlarne.
In Italia ormai è dato per assodato che anche i nostri soldati, in missione di pace, si sono ammalati di quella che è stata definita la Sindrome dei Balcani. Non si è potuto dare lo stesso nome di quella sviluppata in Iraq per ovvi motivi geografici, ma anche perché i sintomi sono talvolta diversi. Per esempio, i soldati italiani non hanno sviluppato sintomi neurologici, come alcuni dei soldati americani o inglesi.
La stampa, pur di trovare un colpevole, si è arrampicata sugli specchi trovando ragionevole puntare il dito sull’uranio impoverito. Si sa che quel metallo di scarto era stato buttato in grande quantità nei Balcani, quindi lui era, doveva essere, il maggior indiziato, vista la correlazione radiazione-cancro acquisita dopo Hiroshima. C’è un piccolo problema: l’esposizione radiogena di ogni soldato non è stata verificata. C’è poi un altro problema: se si vuole applicare il principio di “causa-effetto” occorre essere certi che il tempo intercorso fra lo stimolo e l’effetto sia adeguato, cioè non è possibile che l’effetto si manifesti dopo un tempo troppo lungo.
Ciò significa che un agente causale in un certo sistema produce un effetto con certe modalità temporali. Ad esempio, un pugile che si prende un pugno sviluppa il dolore istantaneamente e, magari, casca pure immediatamente al tappeto, mentre una persona esposta al virus della varicella può sviluppare la malattia in un breve arco di tempo. D’altro canto, un’esposizione all’amianto può condurre al mesotelioma in tempi lunghissimi, fino a 40 anni dall’esposizione, ma, comunque, si tratta in ogni caso di tempi adeguati all’effetto provocato da quella determinata causa. Così, il tempo è un fattore importante nell’individuare una correlazione di causalità fra stimolo ed effetto.
Ora, nel caso dei Balcani i nostri soldati sono andati a guerra finita, o, meglio, erano finiti i bombardamenti, ed alcuni non sono mai stati in zone in cui era stata trovata traccia di radioattività.
Quindi, attribuire automaticamente la colpa all’uranio impoverito in quanto agente radioattivo per tutte le patologie dei nostri soldati (cancro ai testicoli, allo stomaco, leucemie, linfomi, ecc.) è una cosa non scientifica e fuori della logica comune. Non la si ritiene un’ipotesi impossibile, ma occorre una precisa dimostrazione caso per caso. Occorre anche verificare se i sintomi precoci dell’esposizione radiogena, per esempio sanguinamento delle mucose orali, sono stati espressi.
E poi, ancora, le patologie di cui si è detto sopra restano a tutt’oggi di origine ignota, cioè non si sa quale sia l’agente patogeno, sono ormai sovraespresse nella popolazione civile. A questo punto ci si chiede qual è il fattore che accomuna la leucemia di un soldato a quella di un bambino o a quella di un vecchio. La ricerca di quel fattore comune deve essere l’elemento portante per trovare il bandolo della matassa.
A mio avviso un possibile fattore comune è l’inquinamento ambientale da un parte, quella del bambino o del vecchio nostrani, cioè, e l’inquinamento bellico, quello dei militari, dall’altra. In entrambi i casi esiste indubitabile l’esposizione a polveri sottili, non di rado anche tossiche dal punto di vista chimico, che possono nuocere alla salute.
Questa ipotesi è facilmente verificabile andando a cercare all’interno dei tessuti patologici le polveri di cui ho detto, visto che essendo eterne, vale a dire non biodegradabili e non eliminabili dall’organismo, lì sono e lì rimangono.
Ultimamente è stata portata all’attenzione del pubblico anche un’altra ipotesi: i vaccini.
L’ ipotesi che vaccini possano avere effetti collaterali che inducono patologie è già stata avanzata a livello mondiale e, dal mio punto vista, ha una base scientifica.
In tutto il mondo ci sono organizzazioni, specialmente di genitori, che non vogliono far vaccinare i propri figli per paura di possibili effetti collaterali che questi prodotti possono dare. Da qualche giorno è stato rilevato, infatti, che, in un numero di casi non trascurabile, dopo le vaccinazioni alcuni bimbi sono diventati autistici. Questa singolarità è stata già notata a livello mondiale e sono sorte molte associazioni di genitori che non vogliono far vaccinare i loro bambini proprio per non incorrere in questo rischio. E’ stato varato da poco un decreto che toglie l’obbligatorietà delle vaccinazioni che restano, quindi, a discrezione dei genitori fare o no vaccinare i propri figli. Questo provvedimento fa riferimento anche al fatto che vi sono state delle segnalazioni di eventi avversi dopo l’inoculazione (http://www.epicentro.iss.it/temi/vaccinazioni/reaz-avv_ER06.asp).
Dunque, si accetta il fatto che si possano verificare delle complicanze dopo una vaccinazione e, per questo, non si può escludere che i soldati ne abbiano subite. Specialmente se si pensa che in molti casi sono state praticate vaccinazioni multiple senza seguire i protocolli che prevedono intervalli di tempo stabiliti tra una vaccinazione e l’altra. Ovviamente non esiste letteratura medica sufficiente sulla interazione reciproca di questi vaccini nel corpo umano.
C’è, poi, un fattore che non è stato considerato. Nei vaccini sono presenti anche piccolissime quantità di altre sostanze come antibiotici, alluminio, formaldeide, monossido di glutammato (MSG), sodio metabisolfito e Thimerosal.
Al giorno d’oggi il Thimerosal (un composto di mercurio) non viene più usato ma sicuramente l’alluminio sotto forma di sali è utilizzato nei vaccini come adiuvante per aumentare la stimolazione
immunitaria e potenziare la risposta immunitaria. Questi adiuvanti potrebbero senz’altro essere chiamati in causa nel caso di eventi avversi.
Ora in alcuni casi di soldati che si sono ammalati si potrebbe vedere di verificare se vi sia un nesso di causalità con la malattia e se esiste anche una correlazione temporale. Ciò significa che il soldato dovrebbe avere iniziato ad avere dei problemi di salute immediatamente dopo l’inoculazione. Non sembra credibile, invece, che in un soldato i primi sintomi si siano sviluppati al ritorno dalla missione, cioè 3 o 6 mesi dopo l’inoculazione.
Occorre, quindi, fare chiarezza. E’ possibile che alcuni soldati abbiano subito effetti collaterali da vaccinazioni multiple, ma si tratta di casi sporadici e facilmente controllabili tramite il fattore tempo fra l’inoculazione e i primi sintomi.
Nel nostro laboratorio io ho analizzato alcuni vaccini e ho trovato alcune contaminazioni da polveri metalliche che non dovrebbero esserci e che potrebbero realisticamente essere cause di effetti avversi.
Ma, sulla scorta di un’ormai corposa esperienza, ritengo che la maggior parte dei soldati ammalati sia stata esposta a polveri belliche la cui inalazione e la cui ingestione hanno esercitato la loro tossicità all’interno del corpo.
A ben guardare, però, le due possibilità, cioè polveri da esplosione e vaccini, non sono affatto in contrasto tra loro. Se è vero che le polveri inalate o ingerite vengono in parte sequestrate dai vari tessuti dell’organismo senza possibilità di eliminazione, è altrettanto vero che le polveri iniettate con il farmaco entrano senza più possibilità d’uscita nell’organismo, un organismo temporaneamente indebolito dal dover reagire a più vaccinazioni. In questo caso, ecco che i tempi intercorsi tra inoculazione e sintomi tornerebbero.
Roma, 28/11/2007
Egregio Ministro,
mi rivolgo a Lei, nella consapevolezza della Sua grande sensibilità verso le vittime dell’uranio impoverito e inquinamento bellico, dimostrata, non da ultimo, durante la Sua audizione in commissione d’inchiesta.
Da quando sono venuta a conoscenza del problema ad oggi ho cercato, assieme a molti altri, di percorrere ogni strada affinché questi militari ottenessero il giusto riconoscimento, ma soprattutto ho voluto essere al fianco delle persone, nella condivisione delle sofferenze e degli oneri. Ho conosciuto famiglie paralizzate dalla malattia, che per garantire cure mediche adeguate hanno venduto case, auto e proprietà, avventurandosi in viaggi di fortuna da una parte all’altra dell’Italia.
Molto spesso si tratta di famiglie non facoltose, che si accollano interamente le spese per terapie e farmaci nella speranza di alleviare le pene di una patologia il cui decorso è tragicamente fatale nella maggioranza dei pazienti. Numerosi i casi in cui oltre alla sofferenza per la scomparsa del marito o del figlio ci si trova di fronte alla condizione di non poter provvedere neppure alle spese per la lapide.
Una volta seppellito il proprio caro, il calvario non finisce. Ha inizio infatti una lunga trafila burocratica per vedersi riconosciuti diritti minimi: chi per la reversibilità della pensione, chi per la causa di servizio. Anni di attesa, che spesso finiscono in una risposta negativa. Ma i figli sono da allevare, la vita domestica deve procedere, i debiti contratti per le cure vanno onorati.
Come può uno Stato definirsi progredito se non è in grado di riconoscere i più deboli e garantire loro la giusta assistenza? Sono certa che questa domanda Le sia più volte affiorata alla mente, venendo a conoscenza di queste vicende.
Io con i pochi strumenti che ho a disposizione, ho aperto una sottoscrizione su internet, mettendo personalmente a disposizione una cifra iniziale, servita per l’appunto a venire incontro a necessità primarie (in allegato il dettaglio). Ciò che Le chiedo, caro Ministro, è di comprendere la gravità di quanto scrivo e di intervenire fattivamente, comprendendo che le urgenze primarie hanno bisogno di essere superate, per garantire a queste famiglie la possibilità di essere sollevati da alcune delle sofferenze che la vita gli ha inferto.
Sono certa che le mie parole non saranno inascoltate e che vorrà intervenire, anche economicamente, sia come cittadino che in veste di Ministro, per dare un sollievo a queste famiglie.
Sen. Franca Rame
Di seguito due articoli, del 1999 e del 2002 sul tema dell'uranio impoverito
CORRIERE DELLA SERA, lunedì 31 maggio 1999
«Nel Golfo causarono migliaia di vittime, aborti, bimbi deformi».«Spargere del materiale radioattivo è un crimine di guerra».
Caro direttore,
il 17 aprile il portavoce Nato, generale Giuseppe Marani, ha dichiarato che «proiettili anticarro con uranio impoverito sono stati usati dai piloti alleati contro le forze serbe in Kosovo» e ha aggiunto che questi proiettili «non comportano alcun rischio» perché hanno un livello di radioattività «non superiore a quello di un orologio» (da il manifesto 20 aprile '99).
Cari Amici,
abbiamo consegnato all’Osservatorio Militare tramite il dott. Domenico Leggiero che si è prodigato con passione e onestà per le necessità dei nostri soldati (Balcani, Iraq e Afghanistan) vittime dell’uranio impoverito.
Ecco un primo rendiconto, che troverete in allegato a questo post, proprio qui sotto.
Come vedete, molte persone hanno avuto bisogno di sostegno per instaurare la loro causa per il risarcimento dei danni davanti al tribunale: costa infatti 1.100 euro il contributo unificato, cioè la tassa per iscrivere il proprio processo all’esame del giudice (!!!).
Un’altra voce importante è quella che riguarda le perizie mediche: per sostenere la propria causa, è stato infatti necessario rivolgersi a medici specialisti, che preparassero una perizia per il giudice, a dimostrazione del nesso di causalità della loro malattia con l’ UI; i costi di questi lavori sono significativi.
Questa finanziaria stanzia 170 milioni di euro “per le vittime del dovere”, il Ministro Parisi ha assicurato che interverrà anche a favore delle vittime dell’uranio. Speriamo sia la volta buona!
Un abbraccio
franca
Cari amici,
prima dell'interpellanza che oggi ho presentato sul Ministro Mastella, chiedendo la sua rimozione, vorrei raccontarvi di un episodio della mia giornata.
Ho lavorato con Dario per tutto il giorno a testa china, pur non sentendomi particolarmente in forze, senza staccare gli occhi dal testo che sta preparando.
Verso sera sono stata in ospedale, a trovare un amico appena operato per un trapianto di midollo, e suo fratello, che nel tempo è diventato il suo angelo custode.
Angelo, così si chiama il mio amico, si è sottoposto oggi al terzo tentativo di trapianto di midollo. Ha 25 anni, soldato, è stato in missione in Afghanistan e al suo ritorno è stato colto da una grave forma di leucemia. Da un anno e 6 mesi si trova in ospedale a Milano assistito dal fratello Umberto, assieme lottano contro la malattia e l'indifferenza dello Stato. Per ora niente indennità di servizio, niente pensioni speciali, solidarietà, niente di niente! Solo silenzio.
Mi occuperò personalmente di portare questa storia all'orecchio del Ministro Parisi, per una volta voglio delle risposte chiare per queste vicende tragiche, legate a doppio filo all'uranio impoverito!
RAME. - Al Presidente del consiglio dei ministri
Premesso che:
l’inchiesta sul presunto illecito di finanziamenti pubblici, in cui il ministro Clemente Mastella risulterebbe indagato, è stata avocata dalla Procura generale di Catanzaro per presunta incompatibilità del pm Luigi De Magistris, per il quale lo stesso Guardasigilli ha chiesto il trasferimento al Consiglio superiore della Magistratura;
quello che è accaduto è un dato politico di estrema gravità che coinvolge non tanto ed oramai non più solo il ministro della Giustizia, ma l’intero Governo;
il presidente del consiglio Prodi è chiamato ora ad una delicata assunzione di responsabilità in merito all’opportunità che sia lo stesso ministro della Giustizia il titolare dell’azione disciplinare nei confronti del magistrato, per l’appunto De Magistris, che lo ha sottoposto ad indagini;
con l’avocazione dell’inchiesta da parte della Procura Generale, il procedimento penale continua il suo corso;
l’avocazione è però stata provocata proprio da chi era o poteva essere messo sotto indagine dal magistrato destituito;
l’interrogante chiede al Presidente del Consiglio
di valutare se sia opportuno che il leader dell’Udeur Clemente Mastella, coinvolto nell’inchiesta ‘Why not’ di Catanzaro conservi anche l’incarico di Ministro della Giustizia.
di Antonietta Gatti e Stefano Montanari
D’improvviso la tragedia dei soldati malati delle sindromi cosiddette del Golfo e dei Balcani è diventata interessante per l’opinione pubblica e, come sempre accade in circostanze simili, ognuno dice la sua in base non si sa bene a quali conoscenze e competenze. Va da sé che tra chi dice la propria ci sia anche qualcuno che ha interesse a che certe informazioni arrivino nella maniera che fa più comodo per raggiungere certi obiettivi. Noi non abbiamo alcun vantaggio a manipolare i dati, ci occupiamo del problema da anni e questo nostro interesse puramente scientifico ci ha portato ad esaminare i reperti bioptici (o autoptici quando il proprietario di quei tessuti non c’era più) di un’ottantina (ma il numero è in crescita costante) di militari prevalentemente italiani, ma qualcuno anche francese, canadese o statunitense. Ciò che abbiamo trovato in tutti questi tessuti malati, e non solo nei tessuti ma in qualche circostanza anche nello sperma, è stata della polvere inorganica di dimensioni variabili da qualche micron (millesimo di millimetro) giù fino a qualche decina di nanometri (un nanometro è un milionesimo di millimetro). La chimica di queste particelle, una chimica spesso insolita quando non del tutto nuova, è caratteristica di materiali non biodegradabili e non biocompatibili. Da che l’esistenza di queste malattie è cominciata a trapelare, l’uranio impoverito usato in una certa classe di bombe e proiettili è sempre stato indicato tra i maggiori imputati come agente d’innesco delle malattie dei soldati, eppure noi di questo uranio non abbiamo mai trovato traccia nei tessuti. Nella su forma impoverita dell’isotopo chiamato 235, l’uranio ha una radioattività piuttosto bassa, comunque, se presente nell’ambiente, non sufficiente per provocare malattie come quelle tipiche delle “sindromi”. Altra cosa potrebbe essere se l’uranio impoverito in forma di particella fosse presente in discreta quantità nell’organismo ma, come detto, noi questo uranio non lo abbiamo trovato. A questo punto qualcuno ha voluto credere che questo mancato ritrovamento assolvesse l’uranio, il che non corrisponde alla realtà. Nei fatti, le armi che si servono di questo metallo ne impiegano pochi chilogrammi e quei pochi chilogrammi sono sufficienti, una volta colpito il bersaglio, a far vaporizzare tonnellate di materiale, un materiale la cui composizione dipende ovviamente dal bersaglio. Questa specie di vapore ricondensa entro pochi secondi sotto forma di polveri finissime, queste polveri se ne stanno sospese in aria per tempi anche lunghissimi e chi è presente in zona non può evitare d’inalarle insieme con l’aria che respira. Sono proprio quelle le polveri che noi troviamo nei reperti patologici. Il perché non abbiamo mai trovato l’uranio è semplice: come dovrebbe risultare evidente facendo la proporzione tra i pochi chilogrammi di uranio e le molte tonnellate di polvere che questi pochi chilogrammi producono, si tratta di quantità davvero minime del famigerato uranio rispetto a tutti gli elementi chimici che sono coinvolti nell’esplosione e, dunque, trovarne traccia è ben più improbabile di quanto non sia trovare il classico ago nel pagliaio. Naturalmente non è detto che uranio non ce ne sia. Anzi, la sua presenza nell’organismo è assolutamente probabile, ma il problema è solo la quantità. A questo punto, se tutto quanto spiegato fin qui è stato compreso, risulterà chiaro che l’uranio non è l’agente patogeno, ma senza l’uranio un’esplosione di quella portata così devastante sia per massa di materia coinvolta sia per temperatura, una temperatura che supera la bellezza di 3.000 °C, non sarebbe potuta avvenire. E per quanto riguarda la temperatura, bisogna sapere che più questa è alta, più piccole e di gran lunga più aggressive per l’organismo sono le particelle prodotte. Dunque, per chiarire al di là di ogni dubbio, l’uranio è sicuramente colpevole della patologia, essendo l’elemento che provoca la formazione dell’agente patogeno che è la polvere finissima. Insomma, non l’assassino ma il mandante, per riciclare un’immagine che abbiamo già usato decine di volte in libri, articoli e interviste in ogni mezzo di comunicazione, sempre sperando di non essere più o meno volontariamente fraintesi. Può essere interessante, pur senza destare sorpresa, notare come le malattie non siano limitate ai militari dispiegati, ma colpiscano ugualmente anche ai civili che vivono nelle zone teatro di guerra, così pure come a chi risiede o lavora nell’intorno di certi poligoni di tiro dove si svolgono esercitazioni belliche. A parer nostro, è piuttosto improbabile imputare quelle malattie alle vaccinazioni multiple e alla somministrazione di certi farmaci sperimentali cui i militari possono essere stati sottoposti, e questo perché non tutti coloro che si sono ammalati le hanno subite, non tutti gli eserciti ne hanno usato gli stessi cocktail e con le stesse modalità, e, in genere, i civili coinvolti non sono stati sottoposti a vaccinazione né mai hanno assunto quei farmaci. Stessa cosa si può affermare per l’esposizione a certi preparati chimici con i quali alcune tende e teloni di camion sono stati irrorati. Certo, vaccini, farmaci e sostanze velenose possono aver ricoperto il ruolo di concausa in qualche modo facilitando il manifestarsi della malattia, ma non di più. Dunque, stando alle nostre indagini, l’uranio è colpevole, anche se non con i meccanismi, peraltro mai dimostrati, sostenuti da qualcuno. Da ultimo, non va dimenticato come le polveri fini e finissime, comunque prodotte, siano patogeniche, come ormai dimostra un’amplissima letteratura scientifica.
di Nadia Redoglia - Megachip
Sono più di 15 anni che uomini di buona volontà, giornalisti compresi, lavorano, difendendosi da attacchi più o meno pesanti, per non parlare di intimidazioni più o meno velate, per informare che l'uranio impoverito (D.U. -depleted uranium-, è la scoria, lo scarto, ottenuti dalla lavorazione dell'arricchimento dell'U235 per la produzione di energia nucleare) contenuto nei proiettili è cancerogeno
e, si badi bene, non perché sia potenzialmente radioattivo (gli scettici in buona e mala fede e i detrattori della cancerogenesi da D.U. spesso ribaltano gli studi in tal senso, parlando esclusivamente di radioattività), ma perché è un metallo pesante contenuto nel penetratore che al potente impatto contro l'obiettivo si polverizza e la maggior parte dell'uranio esplode in frammenti incandescenti essendo il D.U altamente piroforico.
Questo processo scatena tonnellate di nanopolveri, micidiale aerosol inalato e deglutito da civili e militari, che stanziano nel suo raggio d'azione (elevatissimo visto che l'aria le veicola velocemente), per non parlare dei proiettili inesplosi i cui “dardi”conficcati nel sottosuolo col tempo disperdono le sostanze venefiche che l'acqua trasporta in tutta la catena alimentare. Da anni il D.U. ha sostituito il piombo nelle munizioni e le guerre degli ultimi lustri hanno sparso ovunque migliaia di tonnellate di polveri maledette. L'informazione globale ha pressoché eluso, accantonato, sminuito, sottaciuto il gravissimo fenomeno, uniformandosi al comportamento delle Forze Armate planetarie che a loro volta dettavano (dettano) input ai governi. Tra questi governanti fece scalpore Alice Mahon parlamentare inglese laburista , che diede le dimissioni perché incapace di sostenere un governo che utilizzava D.U. e fosforo bianco…Grazie, appunto, agli uomini di buona volontà lo stato italiano non poté astenersi dall'indire commissioni d'inchiesta, da quella chiamata Mandelli con risultati assolutamente discutibili, alla penultima (2006) presieduta dall'on. Franco che finalmente stabiliva, quanto meno, disposizioni per conguagliare indennità di servizio fino ad allora risibili. 170 milioni di euro disposti nella successiva finanziaria, ma ancora oggi a bagnomaria, in attesa di quantificare metodi e criteri di suddivisione agli aventi diritto. E siamo all'attuale commissione, presieduta dall'on. Menapace, portata avanti con passione e particolare impegno anche dalla sen. Franca Rame che lamenta lentezza e si rammarica per non poter fare di più, sostenendo che si è fatto troppo poco.
Il ministro della difesa Parisi ha riferito che gli italiani ammalati di tumore dopo aver prestato servizio all'estero negli ultimi dieci anni sono 255 di cui 37 deceduti, aggiungendo che quelli ammalati senza andare all'estero sono 1427, ma non è chiaro se questi abbiano operato in poligoni di tiro nazionali, del resto il ministro sostiene che l'Italia non ha mai fatto uso di armamenti all'uranio impoverito, né risulta che nei nostri poligoni altri possano averlo utilizzato, a meno di dichiarazioni mendaci degli utilizzatori stranieri che, prosegue il ministro, non si vuole neppure ipotizzare…Queste dichiarazioni hanno scatenato levate di scudi da parte di coloro, parlamentari compresi, che non concordano con questi dati e per i numeri e per i luoghi ove si è sparato D.U. La Sardegna annovera più poligoni utilizzati anche da privati ed è qui che si provavano le armi: si può sostenere che non sia mai stato usato il D.U., metallo a costo zero e più pesante del piombo? E perché mai? E tutti i civili ammalati residenti nei pressi di quei poligoni o quei civili che venivano utilizzati per bonificare i siti?
Domenico Leggiero (già) consulente di questa inchiesta parlamentare dissente dai dati forniti dal ministro. Leggiero è responsabile dell'Osservatorio Militare e da anni assiste i familiari dei deceduti e i malati tornati dalle missioni. Già di suo ne ha contati ben più del ministro. Dai suoi studi e dai documenti ottenuti in qualità di consulente i numeri risulterebbero ben più alti, si parla di 2.536 ammalati e più di 158 morti e questi numeri li ha sottoposti alla presidente di commissione e, non pago delle spiegazioni ottenute, ha ufficializzato i suoi elaborati e la documentazione dichiarandoli pubblicamente alle reti televisive nazionali, anteponendo così la rappresentanza dell'Osservatorio alla riservatezza cui era tenuto quale consulente di commissione d'inchiesta (equiparabile a operato di magistratura) e dalla diffida si è passati ad allontanarlo.
Non ci compete entrare nel merito del fatto. Il prendere atto delle parole del ministro si. E' lecito domandarsi con quale criterio verranno distribuiti i 170milioni stanziati. La causa/effetto, dice il ministro, è ancora oggetto di verifica, ma allora siamo punto e a capo. Ci viene detto che ci sono (solo) 218 ammalati e 37 morti di cancro (la chiamiamo sindrome dei Balcani, giusto per capirci?) e 1427 ammalati non da balcanica sindrome perché sono stati qui, ma non si sa bene però dove: nei poligoni o no? Nei poligoni però non si è sparato uranio impoverito quindi rimane un punto interrogativo che noi, consentiteci, mettiamo dopo questa frase: a distanza di più di 15 anni siamo ancora a questo punto…Non è che per caso quei soldi finiranno a conguagliare tutte le cause di servizio elargite fino ad ora a tutti i militari aventi diritto (stress compresi)?
Speriamo di no perché ne rimarrebbero proprio pochi a meno che vengano considerati solo (ancora “solo”) i 255 contagiati da sindrome estera, mentre per gli altri “non meglio identificati” si prolungheranno evidentemente le inchieste così magari, se si riuscirà a capire finalmente quanti sono (effettivamente), ci aggiungiamo anche quelli che risultano a Leggiero come le fonti ufficiali, in qualità di consulente, gli hanno trasmesso…
di
Antonietta M. Gatti
Ti ho aspettato nove mesi con amore e con curiosità.
Nove mesi di attesa sono un tempo lunghissimo per una donna. Ogni giorno sono sensazioni fisiche e mentali nuove, mai sperimentate prima.
Il mio corpo aveva preso anima di una vita che era mia senza appartenermi, indipendente dalla mia mente e dalla mia volontà. E’ una situazione strana che ti mette a disagio. Ci si rende conto per la prima volta che corpo e mente non sono una cosa sola.
Ho ritrovato comunque subito il mio equilibrio nell’amore di coppia e nell’amore verso te: un’entità astratta, un sogno, un desiderio.
Solo quando ho sentito leggeri i primi movimenti, poi le prime capriole e insieme i primi calci mi sono resa davvero conto che un’altra vita, un altro essere che non ero io mi stava crescendo dentro lentamente. Velocemente, anche. E’ un qualcosa che si percepisce già indipendente, eppure confinato all’interno del proprio corpo. E’ su questo qualcosa che i sogni e le speranze di noi genitori-creatori si concentrano. S’inizia a pensare la propria vita in un modo diverso, inserendoci dentro anche questa ipotetica nuova entità con tutte le esigenze che si pensa possa avere.
La vita diventa un piacevole limbo in attesa che questo essere si riveli per ciò che è: corpo e mente.
Nella programmazione della futura vita a tre si dà sempre per scontato che il bimbo - perché quello che senti dentro è un bimbo e la parola ti fa saltare il cuore - sia sano, senza problemi di salute. In una madre, nei meandri della sua psiche alterata da questo suo nuovo stato, c’è sempre in agguato un pensiero nascosto, ansioso, che riguarda l’integrità di questo essere che non era mai esistito prima, ma lo si rimuove sempre perché si pensa, si vuole pensare, che le cose brutte sono rare, molto rare e, comunque, capitano sempre agli altri.
Poi arriva il grande giorno, io e “te” siamo ai pali di partenza. Tu sei impaziente di nascere, io e il mio corpo – vedi che non siamo la stessa cosa – cerchiamo insieme di seguire le tue esigenze. La mente è frenata dal dolore, dall’incapacità di reagire correttamente, dalla paura di non saperlo fare, di essere inadeguata. Dovremmo essere sincronizzati: io o, meglio, la mia mente, il mio corpo e te.
Poi, finalmente, all’improvviso sei fuori di me. Ho sentito chiaramente in mezzo al dolore che non mi appartenevi più così profondamente: ho sentito che una parte di me mi aveva abbandonato per diventare un’altra cosa, per diventare me ma in altra forma.
Ho sentito una voce, un pianto in mezzo al silenzio di quel luogo fatto d’acciaio e di luci. Fino ad allora avevo stretto occhi e pugni per sopportare il dolore, ma sapevo di non essere sola. Attorno a me i medici e le ostetriche che fino ad un momento prima mi avevano incitato ed incoraggiato hanno smesso d’improvviso di parlare. Si guardano. Mi pare che si guardino.
Apro gli occhi. Ti vedo.
Sei un bimbo a pois. Il tuo corpo è ricoperto da piccole macchie blu che ricoprono per intero la tua pelle bianca. Piangi, ma vedo che ti costa fatica. Respiri, ma l’aria che prendi non serve per la tua vita.
Il tuo corpo è completo, non mancano le braccia, le gambe, niente. Sembra che tu sia saltato fuori con un vestitino da clown per farmi uno scherzo.
Poi, nel silenzio che nessuno si decide a rompere, non si sente il tuo respiro. Io non lo sento.
Tutto il mio dolore fisico si è tramutato in un altro dolore: sordo, interno, che avviluppa mente e corpo senza risparmiarmi una fibra o un angolo di pensiero. Il mio io è di nuovo riunito: non nella gioia della tua nascita ma nel dolore tanto grande che io stesso non lo afferro del tutto della tua morte. Sì, perché tu sei morto.
Riprendo il controllo di me stessa e mi chiedo: come è possibile nascere e morire nello stesso tempo. Che cosa è successo? Perché ti sei vestito da clown e sei morto?
C’è voluto un pezzo prima che il silenzio si rompesse.
Mi spiegano, molto dopo, che il bimbo è nato con una forma di leucemia e che questa malattia è incompatibile con la vita.
Comincio a tempestare i medici di domande. Perché? Com’è possibile? Qual è la spiegazione? E poi arriva la domanda più difficile, quella che non voglio fare ma che non posso trattenere: E’ colpa mia?
Qualcuno dice che ci sono malattie genetiche… Rispondo che nella mia famiglia, mia e di mio marito, nessuno ha mai avuto questo genere di problemi. Malattie genetiche… Non mi rispondono in modo convincente. Non mi rispondono.
Non posso sopportare l’idea di aver messo al mondo, anche se solo per un attimo, un attimo brevissimo come sono gli attimi e lunghissimo come sono le torture che sai per sempre, un mostro, uno zombie con il suo vestitino da clown.
Devo trovare una spiegazione. Affido il tuo corpo - o il suo corpo? - al medico legale, all’anatomo-patologo, al genetista, al biologo molecolare per avere una risposta, per capire. Affido alcuni pezzetti di quel corpo anche a scienziati convinti che l’inquinamento ambientale sia la causa di alcune nostre malattie, ma soprattutto dell’incremento quasi epidemico di patologie come il cancro. E il tuo è un cancro. Era un cancro.
Non ho risposte da parte dei biologi e dei clinici: solo sigle difficilmente comprensibili, ma nessuno risponde alla domanda chiave: perché?. Il tuo corpo non parla una lingua comprensibile.
Gli altri scienziati, invece, quelli che lavorano sull’inquinamento ambientale mi fanno vedere fotografie sconvolgenti. Sono fotografie di ciò che hanno trovato all’interno dei pezzetti di te che ho dato loro. Mi spiegano: ci sono polveri molti sottili che non appartengono né a me né a te. Sono corpi estranei dalle forme bizzarre. Mi dicono che ci sono detriti d’acciaio, d’antimonio, di ferro-zolfo e mi dicono altri nomi che neanche capisco. Ciò che attrae la mia attenzione è una pallina molto strana. E’ tutta rotonda ed è attorniata da altre palline molto più piccole. Mi sembra una faccina con tanti capelli arrotolati. Mi dicono che una pallina metallica con questa forma così singolare e con dimensioni così piccole può provenire solo da processi di combustione ad alta temperatura. Una simile è stata trovata, anzi, tante ne sono state trovate, sul mio davanzale, quello che guarda i camini a righe bianche e rosse. Non lo sapevo, ma l’aria che ogni giorno entrava dalla mia finestra e che respiravo, ti stava piano piano uccidendo. Sì: te le ho passate io quelle palline, passate attraverso il sangue che credevo di regalarti quando vivevi dentro la mia pancia. Non erano giocattoli quelle palline come non era un vestito buffo quello da clown dentro cui ti sei vestito per morire.
Caro bambino mio, se posso chiamarti così, non eri ancora nato ed eri già pieno di tutte le schifezze che ogni giorno sono costretta a respirare. Io - ti giuro, non lo sapevo - con il mio sangue ti ho trasmesso anche una parte del mondo in cui vivo e con questo il suo inquinamento: tutte le cose che non ci devono essere, che non ci dovrebbero essere se il mondo fosse fatto per noi.
Come dovrei riuscire, adesso, a pensare di procreare ancora quando non posso essere sicura di non avvelenare anche quello che sarebbe il tuo fratellino? Come posso pensare di mettere al mondo una creatura quando non posso darle neanche l’aria necessaria per vivere. Un altro bambino con quel vestitino…
A chi posso chiedere che mi lascino almeno un’aria che contenga ossigeno e non polvere? Gli uomini politici stanno lì apposta. Sono loro che si devono occupare di queste cose. Ma…
D’ora in poi, ogni volta che guarderò le torri bianche e rosse e il fumo che sputano non riuscirò a non avere negli occhi il tuo corpo a pois, e nemmeno lo vorrei, perché quell’immagine è tutto quanto ho di te. E non potrò non vedere quanto è stupido l’uomo che pensa solo al suo portafoglio e non ha rispetto per chi mette al mondo perché continui, perché vada avanti e metta al mondo a sua volta altri bambini, altri uomini e ancora e ancora.
Un uomo così… Una società così è destinata a morire, qualcuno con le tasche piene di soldi, magari, ma a morire. I suoi figli si ammaleranno per quell’inquinamento che lui ha creato? Come si sentirà lui, l’uomo che ha inquinato il suo mondo per ignoranza e per avidità quando la sua stessa fertilità verrà compromessa per quelle polveri che lui ha voluto si liberassero nell’aria, così belle in fotografia e così micidiali nell’organismo? Come ci si sente con le mani sporche di queste stragi degl’innocenti?
di Salvatore Antonaci
PRELUDIO
Andrea Antonaci
Si era nel mese di agosto del 98, e Andrea era in attesa… una lunga attesa, visto che aveva programmato di andare in missione nel mese di aprile, e quindi non aveva programmato le ferie per essere pronto alla partenza. Così, arrivato ai primi di agosto e non avendo avuto ancora nessuna notizie per la partenza, è sceso giù, nei giorni di ferragosto, per salutarci. Ha fatto appena in tempo perché proprio il giorno 15 viene chiamato a rientrare perché si doveva preparare
alla partenza.
Infatti parte il 31/08/1998 per i Balcani.
Rientra in Ialia dopo sei lunghi mesi, gli avevano detto che sarebbe dovuto partire per 4 mesi.
A gennaio 1999 dalla sua voce e da come tossiva noi avvertivamo qualche difficoltà, e, siccome dove aveva operato era freddo, abbiamo pensato che fosse un po’ di bronchite: quindi niente di particolare.
Al rientro in Italia, noi sapevamo che ero obbligo fare degli accertamenti nell’ospedale militare: cosa che non era avvenuta. Tanto che il colonnello della caserma di Firenze ha richiesto ufficialmente una visita di controllo, cosa che nonostante la richiesta non gli era stata fatta.
È passato un po’ di tempo finché si è arrivati a giugno.
Era sabato 19 giugno del 1999; Andrea aveva un appuntamento all’ospedale Careggi di Firenze con il medico del Pronto soccorso (cugino della sua ragazza Laura) per un normale controllo per alcuni dolori alla spalla. Alla prima visita sembrava tutto normale, ma siccome c’era il dolore, il medico ha optato per una
radiografia per meglio verificare lo stato delle cose. Ed ecco che si scopre il corpo del reato: “una macchia” non meglio identificata, ma che agli occhi di un esperto ed attento medico non sfugge. Noi in famiglia si aspettava una telefonata di Andrea: sapevamo che aveva l’appuntamento in ospedale per un normale controllo.
Io (Salvatore) ero in ufficio (erano le 12) e tutto potevo aspettarmi dalla telefonata, meno che la notizia che era arrivata in casa. Mi chiama Simona mia figlia e mi dice che ha chiamato il papà della ragazza di Andrea e che era necessaria la presenza di noi genitori a Firenze per un incontro con il medico la domenica mattina.
Così la sera di sabato abbiamo preso il treno, io e mia mogie Grazia, e siamo partiti per Firenze, via Bologna con il cuore in subbuglio.
Il viaggio era un calvario… i “perché” si susseguivano uno dopo l’altro cercando di darci ragione. Ma quando un medico chiama c’è sempre un interrogativo tremendo. Sì, perché se fosse qualcosa di semplice si ha un tempo comodo. Ma essendo urgente la cosa era grave e non ti puoi crollare di dosso il peggio. Peggio ancora quando si vuole arrivare presto alla meta e il treno fa ritardo, allora il peggio è ancora peggio. Arriviamo a Firenze con due ore di ritardo. In stazione ci aspetta Franco (papà di Laura). Non ci conoscevamo e l’occasione non era di quelle ideali: ci eravamo solo scritti una lettera promettendoci di incontrarci, conoscersi: sarebbe stato più normale così ed invece in quel modo e con una giornata grigia, piovigginosa non prometteva nulla di buono.
Franco vedendo in quel momento uno spiraglio di sole fare capolino tra le nuvole, dice: “spero che sia di buon auspicio”. Fatta la conoscenza siamo in macchina e partiamo per Careggi. Voglia di parlare non c’era ma qualcosa si doveva pur dire.
Arrivati ci avviamo verso il pronto soccorso dove Andrea era stato sistemato provvisoriamente in una saletta a fianco alla corsia. Noi ci siamo fermati all’ingresso dove ci attendeva il medico per informarci di quello che lui sospettava. E così abbiamo appreso quella brutta notizia: il male tremendo che aveva colpito Andrea. Io e Grazia ci siamo guardati senza parole e con gli occhi che si erano riempiti di lagrime. Il mondo ci è crollato addosso, e il respiro ci è venuto a mancare. Il medico ha cercato subito di mettere le mani avanti dicendo che ancora non era tutto chiaro e che per essere sicuri di quanto affermava si dovevano fare altre analisi e altri accertamenti più sicuri, ma per lui era quasi certo quello che aveva diagnosticato. Cosi ci siamo presentati ad Andrea e non sapendo cosa dire ci siamo limitati a dire che il dottore aveva pensato di contattarci perché aveva visto una cosa strana e che poteva trattarsi di una forma di broncopolmonite acuta e che necessitava di un consulto e aveva voluto consultarci. Aveva creduto alla nostra teoria?
Ha cercato di sorridere un po’ ironicamente dicendo che non ci avrebbe fatto fare quel viaggio così in fretta. Ma noi l’abbiamo rassicurato un po’ dicendo che noi avevamo approfittato del fatto che c’era di mezzo la domenica e ci dava l’occasione di fare la conoscenza con i genitori di Laura che ancora non conoscevamo e che ci eravamo proposti di fare la conoscenza quanto prima.
Quando la sera ci siamo lasciati era piuttosto tranquillo, almeno così abbiamo pensato. Con la macchina ci siamo avviati a casa dove Andrea e Laura convivevano, con l’intenzione di sposarsi dopo qualche anno.
Così è cominciato il nostro calvario. Le speranze erano tante ma la certezza poca. Il giorno si passava in ospedale vicino ad Andrea; si cercava di evitare di parlare della malattia sperando che i nuovi accertamenti ci dessero qualche buona speranza e così è passata la settimana in attesa del risultato definitivo. Intanto i suoi superiori parlavano con i medici del reparto cercando anche in qualche modo, con toni un po’ accesi per accelerare gli esiti. Andrea cominciava a sospettare qualcosa e chiedeva a noi quale era la causa del suo male. Noi che non sapevamo come e cosa dire… ci stringevamo i muscoli della faccia, non sopendo cosa dire, e quando abbiamo saputo la verità non sapevamo come dirla. Così è arrivato il giorno che il primario glielo ha dovuto dire e, anche lui è rimasto così male esclamando: “Che ho fatto di male? Eppure sono stato fuori a fare del bene.” Ma come da suo carattere: quando giocava a tennis (aveva preso anche il tesserino di giudice di campo per arbitrare le partite), lui non si perdeva mai di coraggio e cercava sempre di giocare come se fosse un vincente anche se perdeva. Ci siamo rimboccati le maniche , noi a stargli vicino e continuare come di solito e lui con il coraggio di sempre, come se fosse ogni giorno una partita di tennis. Solo che questa volta non aveva di fronte un essere umano ma un mostro senza volto. È cominciato con l’aiuto del dottore, parlando sempre e prendendo coraggio si sottoponeva nei giorni stabiliti alle varie fasi di chemioterapia.
Il sorriso anche se un po’ sofferto lo dispensava sempre e con il suo solito carattere allegro era lui a darci fiducia e speranza.
Andrea 2
Accertato lo stato della materia del corpo estraneo trovato nei pressi degli organi vitali (cuore,polmone) dopo l’esame istologico, è un linfoma “NON HODGKIN” a grandi cellule, di circa 17 cm. Si era al 7 luglio, 99.
Si comincia a preparare psicologicamente, tramite il medico del Careggi per il ciclo di chemioterapia. Io scendo giù a Martano per continuare il lavoro e poi prendere le ferie nel mese di agosto e stare con mio figlio e mia moglie e stringerci nel dolore e sopportare cosi quella croce che nessuno si aspettava di poter ricevere. Le ferie invece di passarle al mare come da consuetudine ci siamo stretti intorno al nostro adorato figlio formando corpo unico, contro quella dura realtà che è la malattia del tumore. Anche la famiglia Balistreri si è unita al nostro timore, ma con il coraggio che succede alle tristi notizie cercavamo di spingere Andrea che, essendo giovane, il coraggio che era il suo distintivo migliore anche quando nello sport perdeva l’avrebbe superata. Per incoraggiarlo ancora di più, anche gli zii sono saliti a Firenze, a mostrargli il loro affetto. In quei giorni però qualcosa era successa in Italia: qualche giornale parlava di un militare che era deceduto, al ritorno dai Balcani, con una forma di tumore particolare.
E’ stato un campanello di allarme. E’ stato un campanello di allarme che ci ha scosso un po’ tutti. Anche Andrea ha saputo della notizia: manteneva i contatti con i suoi commilitoni in caserma dove era in servizio e quindi le cose si conoscevano anche tra loro. Così ha cominciato a prendere contatti anche con i suoi colleghi americani. Tra i colleghi c’era il M.llo LEGGERO e con lui si confidava; ha cominciato ad informarsi telematicamente mandando e-mail a medici e colleghi inglesi che aveva conosciuto nel la sua missione di pace chiedendo spiegazioni di quanto stava accadendo a lui e chiedendo spiegazioni della sua malattia.
ANDREA 3
Andrea comincia ad aggravarsi dopo il compleanno del 2000 cioè il 17 settembre.
Lo festeggiamo insieme e Grazia non si allontana più da Firenze cioè da Pontassieve. Io risalgo a fine ottobre e mi fermo una settimana. Andrea mi spinge più volte a firmare una sua petizione da spedire alla Procura della Repubblica Militare, ma il mio carattere bonario e remissivo sempre guardando con fiducia a una possibile guarigione e, per non mettere Andrea in situazioni di conflitto con i superiori, ero restio a fare ciò. Ma quando anche il suo colonnello approvava questo atto, mi convinsero a farlo. Così il 4 novembre 2000 mi decisi , firmai quello che Andrea e il Colonnello avevano preparato e lo spedii oltre che alla Procura della Repubblica, anche direttamente a Intelisano della stessa Procura.
Da allora ancora oggi aspetto risposta.
Dopo 2 giorni, cioè 6 novembre scendo a Martano da solo e aspetto notizie sperando sempre in quelle buone.
Ma così non era.
Il 9 mi telefona Grazia e mi dice che è scoppiata la bomba. Io ho capito tutto.
Sapevo che Andrea aveva parlato con Leggero e che stava cercando qualche soluzione al caso uranio. Ho chiesto in che modo e lei mi dice che il lunedì sarebbe passato a “Striscia la notizia” qualcosa di scottante. In quella trasmissione, era l’11 novembre del 2000, Andrea, ormai così affaticato e trasformato dalla malattia atroce ha parlato del caso uranio facendo così esplodere una bomba, forse ancora più grande, di quelle che gli americani avevano fatto esplodere nei territori dei Balcani. Così è iniziata la via del calvario. Un mese di grandi sofferenze per Andrea e per noi le pugnalate dai poteri politici e dello Stesso Ministero della Difesa che vuole ancora oggi, a tutti i costi, nascondere quella che è la verità. Infatti due giorni dopo l’allora Ministro della difesa Mattarella, alla trasmissione di “Striscia la Notizia”, 2 giorni dopo, replica ad Andrea dicendo: “Che non poteva essere stato l’uranio perché Andrea non era impegnato all’esterno ma svolgeva solo lavoro di ufficio”. Però noi sapevamo che Andrea, e c’è lo diceva lui stesso che era nei Balcani lì per la ricostruzione e avevamo anche le sue carte che aveva lavorato per la ricostruzione dell’Università e precisamente della facoltà di Matematica. Quella notizia ci è arrivata come una pugnalata e usata come diversivo per non dire la verità.
Mentre in famiglia si viveva il dramma di Andrea che lottava con la malattia, arriva una buona notizia per Simona la primogenita, anche Andrea era contento per la sorella: infatti il 1° di dicembre del 2000 si sarebbe dovuta presentare all’ufficio Regionale delle Entrate della Lombardia come vincitrice di concorso in attesa da 2 anni e prendere servizio. Così eravamo io a Martano, Simona a Milano e Grazia e Andrea a Firenze.
Alla gioia della figlia faceva da contro altare l’ansia e la tristezza: gioia e dolore tutto in una volta (casi della vita. Una vita tremenda) e così Andrea continuava la lotta contro quella maledetta malattia e l’appuntamento per verificare lo stato di salute era fissato per il 5 dicembre. Il 4 dicembre, Grazia mi telefona e mi dice di salire con urgenza a Firenze perché non se la sentiva di affrontare la giornata del 5 da sola. Io partii la sera del 4 e il 5 ero a Firenze. Alle 15 ci siamo ritrovati tutti nella sala di attesa del reparto TAC. L’umore era di speranza, ma Andrea era troppo teso e spossato perché la notte non aveva dormito. Ma chi avrebbe potuto dormire quando si vede al limite della sopportazione? Così entra per gli esami e quando esce la sua gioia si tramuta in pianto perché sembrava tutto superato e ci si preparava mentalmente al trapianto programmato prima di Natale. Ma come sempre accade, i programmi degli uomini, specie per quelli semplici e più propensi alla sopportazione e alle umiliazioni, non sono
quelli di chi ci governa: Dio.
Infatti la gioia dura poco. Il giorno dopo nostro figlio
comincia ad aggravarsi e i medici continuano ad avvicendarsi finche il 10 dicembre lo trasferiscono in terapia intensiva. Sono giorni di dolore per tutta la famiglia.
Chi crede più alla sua guarigione?
Grazia,mentre un medico ci passa vicino dimostra ampi gesti di resa dicendo che era troppo affaticato con poche speranze, vorrebbe aggredirlo per la disperazione.
Si sperava in un miracolo. Ma nessuno ci mostrava speranza.
Aveva, dicevano, un infezione di cui non riuscivano a trovare la causa. Il 12 a mezzo giorno entriamo io e la sua ragazza e gli siamo vicini; nello stimolo di Laura per vedere se reagiva, vediamo che cerca di risponderci, ma i tubi che aveva per la respirazione hanno smorzato la sua forza. Sembrava un risveglio. La sera alle 19,30 mentre stavano da lui i medici ci chiedono per la notte un numero di telefono per essere rintracciati. Nessuno pensa al peggio. Lasciamo il mio recapito e fermiamo a Firenze nella foresteria della caserma dove il colonnello ci aveva messo a disposizione un appartamentino per non andare a Pontassieve ed essere più vicini per emergenza. Si cercava di non pensare, ma il pensiero era sempre e comunque là: da Andrea.
Non eravamo ancora neanche assopiti che arriva la telefonata urgente dall’ospedale. Arrivati ci dicono che si era aggravato e poco dopo la notizia, che non c’è l’aveva fatta.
Tutto ci è crollato addosso. Ci siamo tutti abbracciati in un dolore immenso e indescrivibile.
Grazia più di tutti: era sua madre e come tutte le madri raffigurano la Pietà. Le lacrime non si potevano contare.
Gli amici e colleghi di Andrea non ci hanno abbandonato. Anzi il colonnello è rimasto tutta la notte in nostra compagnia.
Noi, dopo un’oretta che abbiamo potuto abbracciare il corpo senza vita di Andrea ancora caldo, lo abbiamo lasciato perché doveva essere portato nella camera mortuaria fino a mezzogiorno di mercoledì 13.
Il pomeriggio di mercoledì sono venuti tutti i militari a rendere omaggio alla salma di Andrea con quattro di loro che facevano il picchetto. Il nostro dolore non ci permetteva di allontanarci dal feretro, sarebbero state le ultime ore per vederlo ancora. Anche Simona ci ha raggiunto e si può immaginare con quale accoglienza, per fortuna aveva conosciuto un ragazzo che gli è stato sempre vicino che poi è divenuto suo marito. Andrea ha fatto solo in tempo a conoscerlo.
Al funerale di stato fatto quasi in privato nella chiesetta delle sale dell’ospedale sono arrivati anche Generali che avevano manifestato la possibilità di parlare con Andrea e sapere qualcosa di più della sua testimonianza. Ci porgevano le condoglianze e di essere a disposizione dei bisogni eventuali: quello non era il momento per noi. La cerimonia funebre è stata celebrata dal sacerdote del distretto.
L’omelia è risultata un disastro, tanto che i colleghi di Andrea gli si sono rivolti contro dicendogli che non sapeva quello che diceva, e questo si ripeteva ogni volta che si faceva vedere in caserma. Poi ha chiesto scusa manifestando anche il desiderio di venirci trovare e trovare anche Andrea.
Finito il funerale la salma doveva essere trasportata a Martano e noi siamo partiti tutti la sera stessa da Firenze e trovarci il 14 a Martano prima della salma.
Arrivati tutti i parenti ci si sono stretti vicino e il dolore si faceva sempre più profondo come una lancia che scendeva sempre più giù in quel cuore sanguinante di ogni parente. E’ difficile descrivere quel dolore: era come se nostro figlio dovesse arrivare da lontano morto tragicamente per la patria. Questi erano i nostri sentimenti. Gli amici di Andrea e Simona ci sono stati vicini con il loro dolore. Intanto anche i giornali avevano riportato la notizia della sua morte e avevano riempito tutte le prima pagine; anche quelli nazionali e locali hanno fatto eco evidenziando il caso uranio. In casa erano arrivati anche con le telecamere ma sono state tenute lontane volutamente perché il dolore era nostro. La notizia che era morto colui che aveva quasi sfidato il ministero della Difesa era molto importante. Volevano le foto per fare cronaca, e testimonianze dei parenti; io che avevo sempre criticato il modo con cui si proponevano per intervistare i parenti non ho voluto rilasciare interviste e tanto meno i parenti. Ho cercato perciò il silenzio almeno per quei giorni. Il 15 abbiamo celebrato il funerale nella sua Martano. Tutto il paese si è stretto al nostro dolore, un dolore pacato e religioso nello stesso tempo. Solo la presenza dei militari venuti per dare il loro ultimo saluto a chi aveva dato tutto se stesso per lo Stato portando alto il nome dell’Italia, solo per i Generali quello che aveva denunciato era un reato, per gli altri, era coraggio di aver dato una possibilità a chi dopo di lui avrebbe dovuto lottare con quel male invincibile per molti; e motivo di meditazione e prevenzione per quanti si apprestavano ad altre missioni in territori di guerre. Anche le televisioni ormai erano impegnate a cercare la verità sempre e più nascosta dagli Stati Maggiori dell’Esercito, spesso e fortemente contestati da autorevoli Fisici professori universitari. Cominciava così il dopo Andrea.
A gennaio del 2001 il governo si era impegnato con i nostri ragazzi perché i controlli fossero più regolari. Si era costituita una commissione da parte del Governo per studiare il caso , ma i componenti erano tutti gente fidata del Ministero e della Politica. Ma l’Osservatorio militare non ci stava e, per precauzione, ha costituito una contro-commissione composta dai genitori e parenti delle vittime.
Si era nell’aprile del 2001 e la commissione cominciava a parlare di dati non troppo allarmanti per il governo, ma per l’Osservatorio erano troppo falsi. Sono stati contestati e le contestazioni si sono dimostrate opportune tanto che Il Prof. Mandelli si è dovuto ricredere perché verificando i dati ha dovuto rettificare quanto aveva sbandierato in un primo momento.
Intanto i decessi di altri ragazzi ci portavano nei nostri giorni di dolore e i giornalisti volevano da noi notizie in merito. Io cercavo di motivarli a cercare che la verità venisse fuori dicendo che speravo solo che non fosse un’altra “USTICA”.
Nei miei viaggi per Roma o per Milano incontrando qualche ragazzo in treno che parlava della sua missione di pace, senza far capire niente, chiedevo se realmente il Prof. Mandelli rispettava quell’impegno preso dal Governo di consultare i ragazzi come prevenzione. Sono rimasto deluso dalle loro risposte e nello stesso tempo amareggiato. Era solo fumo negli occhi, perché i ragazzi venivano per passare dal suo studio. Intanto il numero dei decessi aumentava vistosamente.
I parenti dei ragazzi deceduti mi telefonavano per chiedermi consiglio. Anche altre persone mi chiedevano come comportarsi, ed io, visto i risultati dicevo di non essere tanto tranquilli dalle parole di chi li contattava e li controllava. Li invitavo di rivolgersi a gente fidata.
Non avevo più fiducia nello Stato.
URANIO
Provo solo vergogna per quello che leggo sui giornali per il caso uranio impoverito.
Chi dice che qualcuno specula sulla sofferenza dei ragazzi e dei familiari, penso che non ha provato niente che possa eguagliare tale mortificazione e soprattutto quando questo viene testimoniato da persone che dicono di essere vicine o che cercano di fare qualcosa e cercare la verità.
La mia verità è la mia conoscenza, la sofferenza di mio figlio e la nostra, dopo 8 lunghi anni dalla sua morte, penso abbia qualche valenza. Ebbene no, dopo la morte di Andrea, a Martano, paesino della provincia di Lecce, abbiamo attrezzato un ambulatorio della Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori, io sono divenuto un punto di riferimento per la cittadinanza, cercando di essere vicino a quanti come me, come mia moglie, hanno provato la nostra stessa sofferenza. La loro stima della mia persona mi induce a fare delle osservazioni non solo a quanti stanno combattendo noi, lottando contro l’Osservatorio militare e lo stesso avvocato Tartaglia i quali, a cominciare dal 4 novembre 2000, nel momento in cui, io, Salvatore Antonaci, sono stato spinto con forza e con coraggio da mio figlio Andrea per fare un esposto alla Procura della Repubblica Militare e del Procuratore Militare Dott. Intelisano, hanno cominciato a portare avanti quello che oggi è e continua ad essere un punto oscuro del ministero della difesa. Gli appelli cominciati con Andrea in quel non ancora lontano 9 novembre 2000 e poi le testimonianze di altri ragazzi militari che oggi non sono più con noi, hanno bisogno di una risposta chiara e non cercare di approfittare della situazione per i proprio tornaconti (non mi riferisco certamente a quanti ci sono vicini), ma quelli che dicono di fare ricerche e cercano con insistenza fondi è per i loro progetti, che non servono certo alla nostra causa.
Mi rivolgo anche ad esimi oncologi che hanno lottato con forza contro i vari inquinamenti (fumo, amianto e quanto di altro materiale inquinante, dichiarato prima non inquinante, viene scaricato nell’aria e respirato da tutti noi). E l’uranio? Non è forse quell’elemento bellico che fa parte delle armi di distruzione e che produce calore tale da bruciare e polverizzare quanto viene colpito? Ci è stato fatto vedere nelle varie guerre, come fossero dei film visti nei cinema, purtroppo erano veri, ed in contemporaneo come erano vere le vittime malcapitate. Non è stato forse usato per cercare di abbattere quel palazzo dove era ubicata l’Università di matematica a Sarajevo e poi da Andrea è stato, insieme ai suoi commilitoni, nella missione del 98/99, ricostruito? Ebbene, cari signori, quando uno fuma, dalla sua bocca esce fumo e oltre che mandare fuori fumo, incamera dentro lo stomaco di chi fuma altro, tanto fumo e fuliggine. Questo comporta un intasamento e congestione degli organi respiratori. Il risultato che provoca l’impatto di un proiettile all’uranio impoverito è quello di formare una colonna di fumo di varie dimensioni e che non si ferma dove esplode ma si disperde nell’aria o depositandosi nei dintorni. Forse che quelle esplosioni erano meno pericolose di una sigaretta? Non sono ingenuo. Ho i mie anni, e so ragionare. Non voglio continuare ancora per mettere in evidenza quanto più grandi erano quelle colonne di fumo che venivano procurate quando, per non lasciare le munizioni a possibili rapine dalla guerriglia avversaria: sembravano altre Hiroshima di brutta memoria che ancora oggi abbiamo brutti ricordi. Ebbene io in questi 7 anni di volontariato, come dicevo della LILT, ho partecipato a diversi convegni e quello che emergeva sempre e soprattutto dalle conferenze degli oncologi, era che la prima causa dei tumori è: l’AMBIENTE.
E allora se una delle cause primarie della peggiore malattia è l’ambiente, mi volete dire quale era l’ambiente in cui operavano i nostri ragazzi? Sono deluso anche delle altre affermazioni e cioè che i nostri ragazzi fumavano, che bevevano e che, ahimè! si drogavano.
Poveri i nostri figli, poveri noi che ci siamo fidati di quella gente che pubblicizzava, con i soldi che noi poveri ignoranti paghiamo il canone RAI, che nell’esercito sarebbero divenuti delle persone qualificate.
Sono in una tomba.
Lo Stato? Assente non una volta, assente in tutti i modi. Però era presente. Sì, era presente.
Sapete quando?
Era a Natale oppure Pasqua: I familiari dei ragazzi dovevano vedere che loro ci tenevano ai militari in missione in qualunque parte del mondo essi operano, sì perché ancora non è cambiato niente, ed allora ecco che mamma RAI, come diceva quel cantante, si mamma, ma di chi? si collegava subito per scambiare gli auguri. Che bella storia. E poi ancora che bella storia quando qualcuno dei civili veniva rapito, poi per liberarlo, si faceva di tutto per liberarlo, sì, era una vita umana e quindi bisognava anche pagare per salvare una vita umana.
E i nostri ragazzi non erano forse vite umane? Loro erano militari e dovevano ubbidire anche a costo della morte. Sì, , in una trasmissione in cui io personalmente ho partecipato, mentre veniva dichiarato che a quel giorno, (era il 9 gennaio 2003), avevano appena seppellito il povero MELIS a Cagliari, erano 27 i ragazzi deceduti tra i partecipanti alle missioni di pace nei Balcani, un Senatore con un sorriso ironico dice: “Che vuoi che siano 27 morti?”
Sono rimasto di pietra, non ho avuto la forza né di rispondere , né di reagire. Ma a lui ha pensato qualcun altro a cambiargli la vita oltre che il viso.
A questo punto voglio ricordare i miei anni di scuola, quando ci facevano studiare la storia antica. Prima della storia di Roma c’era quella Greca, le lotte tra Sparta e Atene: Sparta la guerriera e Atene filosofia della vita. Ebbene i figli di Sparta dovevano essere dei guerrieri e non si poteva tollerare degli uomini invalidi così venivano buttati da una montagna perché erano di peso per la comunità, ed ecco la teoria del Ministero della Difesa: quando ad un militare, anche di carriera, viene diagnosticata una malattia grave o una malformazione, viene abbandonato al suo destino, come uno che non ha più niente da dare, e anche se giovane non gli viene riconosciuto niente e viene “riformato”.
Brutta parola!
Quindi cacciato dall’esercito, proprio da quella casa dove aveva dato tutto perché sentiva il dovere di fare in modo che la sua Patria fosse rispettata dalle altre Nazioni.
Loro sì, i ragazzi ci tenevano e ci tengono a che l’onore della Patria fosse tenuto alto dagli altri, ma la “Patria” quale onore ha riservato per loro? L’onore di mandarli a casa senza nessuna riconoscenza, senza neanche un grazie. Peggio ancora chi per manifestare questo amore per la Patria viene contaminato da un territorio inquinato come i territori inquinati dalle armi dalle armi all’uranio che i più saggi, quelli non avvezzi alla mania di potere dicono la verità su questo argomento, come il compianto Prof. MALTONI ricercatore del CNR di Bologna, in una intervista di un giornalista RAI nel gennaio del 2001, ebbe a dire candidamente a una domanda sull’uranio: “Io mi meraviglio che altri si meraviglino che l’uranio faccia male.” Oggi il Prof. Maltoni non è più con noi, è deceduto proprio pochi giorni dopo questa affermazione. Ma non solo lui, altri prof. Universitari e gli stessi oncologi affermano che l’uranio e radioattivo quindi come si può affermare che i ragazzi non si possono essere ammalati per aver prestato servizio in quelle zone maledette?
Andrea 3
Cominciano le delusioni e il dolore ritorna
A febbraio del 2001 ho scritto una lettera al Presidente della Repubblica Ciampi perché lo vedevo molto legato ai nostri ragazzi militari e al valore della Patria per un eventuale riconoscimento anche se solo con qualche medaglia al valore civile. E’ stata una delusione. Mi ha risposto tramite la segreteria del presidente dalla Repubblica dicendomi che non era previsto nessun riconoscimento di legge, come se per fare una legge ci volessero i magistrati, quando sappiamo che per un riconoscimento basta solo un decreto.
Ad una ulteriore mia lettera, sempre con la solita persona, quasi come riconoscimento e non perché Andrea se lo era guadagnato sul campo mi ha fatto pervenire che la commissione gli aveva riconosciuto il grado di maresciallo, ma Andrea quel grado lo aveva veramente conquistato su campo solo che non avendo avuto la possibilità di rientrare al lavoro non l’aveva mai potuto ritirare ed essere onorato. Tanto che quando il Brigadiere della tenenza di Martano è venuto a casa per notificarmelo si è scusato dicendomi : “Se serve a qualcosa…”. Questa era ed è la riconoscenza dello Stato per un militare che ha portato alto il nome della Patria fuori dall’Italia. Quanta vergogna ho provato in questa vicenda. Ancora di più quando, per liberare gli ostaggi di persone rapite veniva fatto di tutto e di più, impegnando anche risorse finanziarie per liberarli e riportarli in Italia e si mettevano in primo piano i politici in rappresentanza dei propri ministeri affiancati da militari con le loro belle divise ornate dalle mostrine per far vedere i loro alti gradi ritenendosi eroi per aver riportato quelle persone in salvo. Solo per i nostri ragazzi hanno nascosto la verità e sarebbe bastato attenersi alle normali direttiva e avrebbero potuto salvare tanti giovani e a noi il pianto e quel dolore che chi sa se riuscirà mai a sedarsi.
Non è vero che le parole volano con il vento; a volte sono pietre e spesso veri massi che non te li toglie nessuno: sono vere e proprie pugnalate alle spalle, date a chi è già stato,non solo ferito, ma addirittura ucciso, e lo uccidono una seconda volta.
Le morti dei giovani si succedono con una media allarmante e ad ogni decesso, il ricordo di Andrea ritorna più vivo che mai. Io sono chiamato a testimoniare in diverse trasmissioni; con il dolore nell’anima parto con il treno: devo aiutare quei giovani che come Andrea soffrono e se possiamo aiutarli è come se aiutiamo lui. Andrea non ci ha abbandonato ci ha dato un mandato quello di dire a tutti che vale la pena aiutare qualcuno specie quando la tua vita può dare una speranza. Il dolore passerà così quando sono chiamato alla trasmissione di “LA 7” , era il 9/02/03 dopo la morte di un altro giovane: MELIS di Cagliari, il conduttore era Antonello PIROSO lo ringraziai per l’invito ma avevo paura perché ero stato invitato insieme ad altri più esperti di me in trasmissioni con dibattito: Lui mi rincuorò ed entrai in scena. In quella occasione c’era ,seduto al mio fianco un ex-generale,il senatore RAMPONI, ebbene quella mattina ho trovato tutto il disgusto della fiducia ai generali: mentre passava il filmato che enunciava che fino a quel giorno erano 27 i deceduti accertati di uranio impoverito,lui con una risata di scherni dice: “che vuoi che siano?” E’ stata una pugnalata avrei potuto aggredirlo, ma il mio carattere non ere come il suo di una persona assetata di sangue. L’ho solo guardato con uno sguardo di chi avrebbe voluto affogarlo. Dopo qualche giorno ho saputo che era stato colpito da un ictus: non ho inveito, ma qualcuno ha detto che se l’era voluta.
Quel giorno, durante il mio viaggio in treno per raggiungere Roma, nel treno avevo incontrato qualche ragazzo militare che era tornato dai Balcani e ho chiesto se gli impegni che erano stati presi dal governo erano stati mantenuti: di mantenerli in servizio e di essere seguiti da Mandelli per prevenzione mi rispondevano evasivamente ed io ho capito che nulla era cambiato nonostante i sacrifici e le testimonianze e dei nostri ragazzi e quelle nostre.
Il 19/03/2003, era il giorno dell’attacco americano in Iraq, ed ecco un’altra bella pugnalata, questa volta da un giornalista, nella trasmissione radio anch’io: trasmissione dove si può intervenire in diretta, (non so se per tutti),arriva una telefonata e pone questa domanda al giornalista che risponde alle domande: “Che cosa ne pensa del caso Uranio Impoverito?” Ed il giornalista da una risposta che sarebbe più consona ad una persona vile che uccide un’altra volta una persona che non c’è più per rispondergli: “ E’ una bufala inventata dai genitori dei ragazzi deceduti per avere risarcimenti.”
Non ti dico Grazia come si è sentita ; ha chiamato più volte in redazione e non le rispondevano, ma finalmente qualcuno ha risposto e con quella forza che le era rimasta ha cominciato a parlare a più non posso e dopo ho ripreso io il telefono e gliene ho detto di tutti i colori anche fuori delle regole, dicendogli che lui tutto poteva fare meno che il giornalista, come lo direi
a tutti quelli che offendono l’onore dei nostri ragazzi compresi i proff. Mandelli e Veronesi ; e oggi ne avrei degli argomenti per affrontarli faccia a faccia senza che loro mi potessero prendere più per i fondelli soprattutto quando si fanno riprendere per chiedere fondi per la ricerca, saprei io cosa rispondere. Sono sempre pronti a chiedere fondi per la ricerca, ma quale?
Nei loro convegni dove più volte partecipo come volontario della LILT, non sento altro che è meglio prevenire che curare, e che la prima causa dei mali peggiori e soprattutto per il cancro è l’inquinamento ambientale. Ebbene, forse che in quelle zone dove hanno operato i nostri ragazzi erano zone, dove invece delle bombe all’Uranio erano dolci candeline profumate? Da quanto dico si capisce che (e penso che gli altri genitori dei ragazzi deceduti condividano) nessuno ci potrà mai convincere che non ci siano colpevoli ,come nessuno ci convincerà mai che stanno facendo di tutto per
coprire le colpe di qualcuno.
Sembra che le lotte per le condizioni dei lavoratori, della vita degli esseri umani, non abbiano mai fine.
Sono passati trent’anni da quando Franca e Dario allestivano spettacoli per gli operai cassintegrati della cintura milanese, raccogliendo fondi per sostenere le battaglie sindacali, portando loro cibo e sostegno. Le loro battaglie dovrebbero ricominciare oggi.
Vengo a conoscenza della storia della Zastava, una fabbrica di auto un tempo partecipata FIAT al 45%, di Kragujevac, in Serbia, bombardata con munizionamenti all’uranio impoverito durante la guerra. I lavoratori hanno bonificato la loro azienda a mani nude, respirando veleno per giorni e giorni, pur di non rimanere disoccupati. Mi dicono anche che la CGIL della Lombardia si sta occupando di questi operai. Un venerdì mattina, con un po’ di calma, telefono. Parlo con Dora, che si è recata più volte laggiù.
Il primo attacco colpisce il settore verniciatura, facendolo esplodere ed immettendo nell’aria 360.000 tonnellate di PCB, oltre alle polveri di uranio. Così, terra, aria, e il fiume che scorre accanto alla fabbrica, saranno inquinati per millenni.
Non esistono dati sulle condizioni di salute, perché il Ministero non vuole occuparsi seriamente di questa ecatombe, che non coinvolge solo Kragujevac,ma tutti i teatri bellici: è sotto gli occhi di tutti la dimensione della tragedia. Gli ospedali sono in condizioni terribili, portano ancora i segni della distruzione, e nonostante la grande professionalità dei medici è quasi impossibile curare i molti ammalati serbi.
Dora mi racconta di aver visitato la fabbrica poco tempo fà, e di aver visto sui cancelli i manifesti funebri. “Li ho guardati sconcertata- mi dice- era una lenzuolata, e quando mi sono avvicinata per guardare i volti di queste giovani vittime, ho iniziato a contare: sono trenta o quaranta morti al mese”. Parole che pesano come macigni. La mortalità dopo il 1999 è aumentata del 250-300%. Ma la causa non è solo l’inquinamento, è la devastazione che la guerra ha portato con sé, la povertà, la disoccupazione, la disperazione. C’è un altissimo numero di suicidi, in particolare tra i ragazzi. “gli psichiatri dicono che è tutto sommato normale – dice Dora – ma a me sembra allucinante”.
Sin dalla fine della guerra, è stato possibile registrare un’impennata di leucemie fulminanti tra i giovani, gli uomini risultano colpiti in particolare da tumori al cervello, mentre le donne all’apparato riproduttivo. Tutto avviene con un andamento di routine. Oggi ci sei, domani la tua foto è sul cancello.
“Un giorno è venuto da me un papà in lacrime, chiedendo aiuto per la figlia sedicenne, a cui era stata da poco diagnosticata una leucemia. Il padre aveva scritto a diversi ospedali ed istituti in tutta Europa, senza alcun risultato”. Dora suggerisce di provare col Vaticano. Neppure un mese dopo la ragazza viene trasportata al Bambin Gesù, ma non c’è nulla da fare, è gravissima. Muore tre mesi più tardi, a marzo. I genitori sono morti entrambi, nei giro di pochi mesi: tumore al cervello lui, utero lei. Questa è la vita di chi ha la guerra nel sangue.
Anche a Panchevo non è andata meglio: qui c’era una grossa raffineria, bruciata per giorni a causa dei bombardamenti. Dei 150.000 abitanti di un tempo ne sono rimasti solo 50.000, ed è assolutamente improbabile che ci fossero 100.000 abitanti così pecuniosi da poter emigrare. Forse la metà. L’altra metà, 50.000 persone, sono decedute. La ricchezza qui è appannaggio del malaffare: “Se uno gira in Porsche – dice Dora – è chiaro con che soldi l’ha comprato”. Ma questa è un’altra storia di guerra.
cn
Cari Amici,
Tutti in aula, al Senato, a votare sulla Rai, e poi in volo a Lecce. La missione della commissione d’inchiesta sull’uranio impoverito è stata fissata su proposta del senatore Rosario Costa, Forza Italia, che nella città pugliese è - in senso letterale - di casa. Ecco il programma: arrivo nel pomeriggio, trasferimento in prefettura, incontro con le famiglie delle vittime, visita al poligono di Torre Veneri e oggi il rientro.
fonte: Osservatorio sui Balcani
A seguito dei bombardamenti della NATO nel 1999 numerosi lavoratori della Zastava furono impiegati nel risanamento della fabbrica di Kragujevac. A distanza di cinque anni, quei lavoratori stanno morendo silenziosamente. Da Kaziprst, 92
Durante la campagna di bombardamenti condotta dalla NATO nel 1999 sull'allora Federazione di Jugoslavia la Zastava, fabbrica di Kragujevac, fu colpita due volte in modo devastante. Il primo attacco missilistico fu lanciato il 9 aprile 1999 e distrusse buona parte della fabbrica, mentre il secondo, 14 missili che diedero il colpo di grazia al complesso industriale provocando 36 feriti, avvenne nella notte tra l'11 ed il 12 aprile.
Fondata nel 1853, già simbolo dell'industria jugoslava per aver prodotto nella sua storia diversi milioni di veicoli, la Zastava esce distrutta dai bombardamenti del '99 che provocarono oltre agli enormi danni una riduzione del 70% dei 36.000 lavoratori impiegati un tempo nella fabbrica. Tuttavia la tenacia, il senso di unione o più semplicemente la mancanza di alternativa e le pressioni dell'amministrazione hanno spinto molti operai ad impegnarsi nel risanamento della fabbrica di Kragujevac. Qualche mese dopo la fine dei bombardamenti, il governo serbo stilò un piano per il suo risanamento. Se da un lato lo sforzo e il senso del dovere che ha impegnato i lavoratori di Kragujevac ha fatto in modo che la produzione ripartisse, dall'altro li ha esposti a gravissimi problemi di salute. Rappresentanti dei lavoratori della Zastava affermano infatti che durante i lavori di ristrutturazione della fabbrica molti si sarebbero ammalati di carcinoma o di leucemia. Molti di loro sono in seguito morti. L'esatto numero di ammalati e deceduti non è confermato, ma non sono nemmeno state organizzate delle visite mediche sistematiche dei lavoratori che hanno partecipato alla pulizia delle strutture danneggiate dai bombardamenti.
Quella che segue è la trascrizione della trasmissione Kaziprst andata in onda sull'emittente B92 il 15 aprile scorso, durante la quale sono stati intervistati alcuni degli operai che hanno partecipato al risanamento della Zastava.
A cura di Tamara Sretenovic
Traduzione di Nicole Corritore
B92: Sono passati cinque anni da quando le prime bombe della NATO sono cadute sugli impianti della Zastava di Kragujevac. Gli operai che hanno partecipato alla pulizia delle strutture della fabbrica danneggiate si sono ammalati gravemente e collegano la loro condizione di salute al lavoro di risanamento di tali strutture. Reputano che questi lavori siano stati fatti senza alcuna misura precauzionale e che non erano stati informati dagli uffici competenti delle possibili gravi conseguenze. La partecipazione alla ricostruzione di quella che una volta era un gigante dell'industria dell'automobile, oggi, dicono i lavoratori, sta costando un tributo in vite. Le foto di malati di carcinoma e gli annunci funerari nella bacheca posta all'ingresso dell'azienda sono divenuti cosa di tutti i giorni. Dragan Stojanovic, responsabile di una delle equipe che hanno partecipato al risanamento strutturale dell'azienda, racconta di come il lavoro di rimozione delle macerie sia stato fatto senza alcuna precauzione e pensa che questo potrebbe rappresentare un pericolo per la salute.
Stojanovic: "Il risanamento è stato fatto senza guanti, senza alcun tipo di precauzione. Pensavamo che non ci fosse alcun pericolo. Solo alla fine si è constatato che il lavoro di risanamento era molto pericoloso, non sapevamo a che cosa eravamo esposti e sapevamo che i colleghi morivano a causa di varie malattie cancerogene, senza sapere di quali. Sappiamo solo che oggi non ci sono più. Scompaiono nel giro di sette giorni, o di leucemia galoppante…o prendono un raffreddore, si ammalano, e scompaiono. Ho visto gli annunci affissi in bacheca.
B92: Mi avete detto che un mese fa si sono tenuti sei funerali, e tutti colleghi della sua sezione.
Stojanovic: Sì. Sono colleghi che hanno partecipato al lavoro di pulizia dalla macerie. Alcuni lavoravano con noi, alcuni alla OUR di Kovacnica come elettricisti nella ristrutturazione dell'impianto elettrico. Uno è morto molto velocemente - in due mesi, di leucemia galoppante. Il secondo è morto dopo tre giorni, lavorava con noi. E' morto di leucemia galoppante alla Clinica dell'Accademia medico-militare (VMA) di Belgrado. Sono poi morti altri due colleghi, ma non si sa di che cosa, ma molto in fretta. Non sono più tra noi.
B92: A causa di un tumore gli è stato asportato un polmone; Dragan Paunovic, che ha partecipato per sei mesi alla ricostruzione della Zastava. Oggi con 4.500 dinari (1 euro circa 65 dinari) tenta di procurarsi medicine costose e di dare da mangiare alla famiglia di cinque persone.
Paunovic: Sono stato operato di cancro ai polmoni. Presso la VMA il 6 dicembre 2002. Ora sto un po' meglio. Non sono più sotto terapia e continuo con una cura farmacologica. I farmaci me li procura praticamente il sindacato. E' grazie a loro se sono sopravvissuto. Mi hanno anche pagato l'operazione presso la VMA. Tutto grazie a loro, il Sindacato indipendente. Gli amministratori della Zastava probabilmente non sanno nemmeno che sono vivo. Non me l'hanno mai nemmeno chiesto. Salvo solo una persona della gestione dell'azienda, Vladan Kostic, il mio direttore di impianto, che è l'unico con cui ancora parlo.
B92: Paunovic sottolinea che nessuno della gestione aziendale lo aveva informato che lavorare in tali condizioni poteva essere pericoloso e portare a conseguenze sulla salute.
Paunovic: Noi siamo stati allo stesso tempo spinti e vittime, almeno un certo numero di operai. Si doveva risollevare la fabbrica. Va bene. E poi che noi si muoia. Ma qual è la cosa più terribile di tutto ciò? Il fatto che gli amministratori dell'azienda non ci abbiano concesso un solo dinaro per le cure. Io so che dovevamo fare questo lavoro, ristrutturare la fabbrica. Ma almeno dateci la possibilità affinché i nostri figli non debbano penare o che noi non si debba soffrire per la mancanza di medicinali. Per un certo periodo non potevo permettermi di comprare le pillole per la pressione e mi curavo con l'aglio. Non ho i soldi per acquistarle. Non so come procurarmele.
B92: Un lungo periodo di lavoro in condizioni disumane, caratteristica dell'impianto di Lakirnica, ha indebolito le difese del nostro sistema immunitario. Infatti proprio questi sono gli operai che più spesso si ammalano di cancro, dice Paunovic.
Paunovic: La velocità con cui muoiono i colleghi di Lakirnica e quello che succede a noi sono convinto che dipendano dalle pesanti condizioni di lavoro protratte negli anni, più che le condizioni di lavoro specifiche di Lakirnica. Il nostro organismo era già debole, soprattutto organi come polmoni, fegato, cuore, a causa delle condizioni in cui abbiamo lavorato. Le radiazioni ci hanno solo dato il colpo di grazia. Ma si devono trovare i fondi per queste persone che si ammalano così in fretta… i responsabili d'azienda devono un giorno arrivare a occuparsi di questi lavoratori e permettergli almeno la possibilità di curarsi. Perché queste persone non muoiano come bestie. Non è possibile - un giorno uno era un uomo, poi è morto e nessuno fa nulla.
B92: E' vero che presso i diversi impianti della Zastava ogni giorno appaiono nuovi annunci mortuari?
Paunovic: io vado raramente alla Zastava. Solo quando devo presentare dei certificati, e allora vedo gli annunci sulle porte. E' lì che di solito si appendono. E triste solo a guardare. Non sono persone anziane, hanno tra i 30 e i 50 anni.
B92: Pensate di essere stati sacrificati?
Paunovic: Sì lo penso. Penso che ci abbiamo sacrificato coscienti di questo ed ora ci evitano. Ci guardano come fossimo dei lebbrosi.
B92: Sicuro di essere stato esposto a radiazioni sul posto di lavoro, alla Zastava, Paunovic ha chiesto ad alcuni degli amministratori della fabbrica un sostegno economico per le cure mediche, ma gli è stato risposto che le sue asserzioni non sono esatte.
Paunovic: Che si chiariscano sia il Governo che l'amministrazione della Zastava: se siamo stati colpiti da petardi - che siano petardi. Io mi scuserò. Se l'uranio si può bere come fosse limonata, mi scuserò di nuovo. Dirò che sono sano e che mi sono ammalato alle terme. Devono chiarirsi, sia gli uni che gli altri. Di modo che non sia sempre che quando serve allo Stato, si prende, quando invece è il lavoratore a dover prendere dallo Stato, niente. Noi non cerchiamo nulla. Non vogliamo un'auto nuova, un appartamento. Vogliamo i soldi per curarci come delle persone, e per non morire come bestie. Solo questo.
B92: Milovan Matic, anch'egli impiegato nel risanamento dell'azienda, a causa di un tumore gli è stata asportata la tiroide. Le sue condizioni di salute, anche dopo l'intervento chirurgico, peggiorano costantemente. Per questo motivo è obbligato ad andare dal medico tutti i giorni, dove ha l'occasione di incontrare altri colleghi malati.
Matic: Sì, colleghi, colleghi. Ci incontriamo solo in ospedale. Due donne, una ha un carcinoma polmonare, l'altra un carcinoma alla mandibola, con la tiroide già asportata in parte. Tutti dello stesso posto di lavoro.
B92: Eravate tutti nello stesso reparto?
Matic: Sì, sì. Nello stesso luogo di lavoro, nell'impianto.
B92: Con la paga che riceve mentre è in malattia, Matic non è in grado di assicurare il mantenimento della famiglia, e non riesce a comprarsi le medicine.
Matic: Tieni duro. Per metà tieni duro, per metà mi hanno aiutato i miei genitori. In questo momento nessuno. Un medicinale che devo prendere ora, "novotirol" è di produzione tedesca… si può comprare in Svizzera, in Italia o in Germania. Costa 25-30 Euro, dipende dove si acquista.
B92: E la vostra paga qual è, oggi che siete in malattia?
Matic: La mia paga è di 5.600 dinari.
B92: Matic e Paunovic ci hanno elencato i nomi di una ventina di colleghi dei quali sanno per certo essere malati di carcinoma. Ma dicono che senza il loro permesso non possono rendere pubblici i nomi. Dai rappresentanti della Zastava non si riesce ad ottenere alcun commento, e quando lo si ottiene dichiarano che la situazione non è allarmante. All'inizio del risanamento della Zastava, ai dipendenti era stato assicurato che ogni sei mesi sarebbero stati sottoposti a sistematici controlli sanitari, per seguire un eventuale peggioramento del loro stato di salute. Ma invece negli ultimi cinque anni questi operai non sono stati sottoposti ad alcun controllo. Siamo venuti a sapere che la Zastava non ha fondi per finanziare controlli sistematici degli oltre 600 operai che hanno tirato fuori la fabbrica dalla cenere.
11.05.2004