Uranio Impoverito

Notizie e iniziative contro l'uso di Uranio Impoverito

GETTIAMO LE BASI

Di Stefania Divertito

 

C’è una Sardegna che non si vede. Non va di moda d’estate. Non conquista i rotocalchi e neppure la grande stampa nazionale.

È la Sardegna che da anni, decenni, resiste e lotta per affermare il semplice diritto di poter continuare a vivere nella propria terra, senza ammalarsi di leucemia e cancro, o partorire figli malformati.
Salto di Quirra è un fazzoletto di terra che dal cagliaritano si estende lungo il mare a sud est. Terre brulle, costiera da brossure, gente semplice, che vive di agricoltura e pastorizia. Oltre che di turismo, ovviamente.
Escalaplano, Villaputzu, Muravera, Quirra. In tutto poche migliaia di abitanti che vivono all’ombra del poligono di tiro sperimentale interforze di Perdasdefogu.
Un nome dal suono inquietante. Come la sua presenza, che sovrasta colline e scogliere e dalla cima di un’altura sembra controllare questa fetta di mare.
Secondo i dati raccolti dai medici di base in 20 anni su una 150 residenti più una cinquantina di lavoratori, si contano almeno 32 decessi dovuti a tumori, 10 dei quali causati da patologie del sistema emolinfatico: gli attivisti l’hanno definita Sindrome di Quirra, un termine oggi adottato anche dal mondo scientifico.
La Sindrome ha colpito 17 militari; a Escalaplano, su 2.600 abitanti, 14 bambini sono nati con malformazioni genetiche; a Quirra, frazione di Villaputzu, 150 abitanti, venti persone colpite da tumori al sistema emolinfatico.
Mariella Cao è la donna coraggiosa che da anni anima il comitato Gettiamo le basi. Guida spericolatamente la sua 500 sui tornanti della zona raccontando la via crucis delle famiglie. Nel passato, molte di loro avevano denunciato l’abnorme numero di tumori. C’era stata qualche reazione, qualche interrogazione parlamentare, poco più. Poi il silenzio.
“Quando le istituzioni hanno guardato altrove– spiega Mariella – queste famiglie sono rimaste sole, e isolate dalla comunità”.
Qui si vive di agricoltura, soprattutto. Se la richiesta di beni prodotti cala, l’intera economia vacilla. E raccontare che agnellini e caprette nascono con malformazioni genetiche gravissime certo non aiuta. È per questo che alcune donne incontrate nel 2003, oggi non vogliono più parlare. Hanno lutti in famiglia, ma non riescono più a denunciare. Per paura.
Della sindrome di Quirra si parla dal 2001. Fu il medico di base e sindaco di Villaputzu, Antonio Pili, (oncologo, primario di pneumologia all’ospedale Binagli di Cagliari) a denunciare il tasso anomalo di leucemie tra i residenti di Quirra, frazione minuscola incuneata tra la zona interna e la zona a mare del poligono. Allora si contavano 8 casi sui 150 abitanti.
Ad essere additato come responsabile è stato l’uranio impoverito, anche per la coincidenza di attenzione, nel resto del Paese, con i militari che rientravano ammalati dopo le missioni di pace internazionale.
Non è però mai stato provato l’utilizzo di questo materiale nel poligono e lo Stato Maggiore della Difesa nega che sia mai stato impiegato in Italia.
Ma non è possibile sapere cosa accade nella zona militare.
Infatti gran parte del poligono viene affittata a industriali delle armi che sperimentano i loro “gioielli”. Non esiste registro di quanto accade. Solo un modulo di autocertificazione con il quale l’azienda rassicura che nulla di pericoloso accade.
“L’ovile è stato centrato appieno durante un’esercitazione – racconta Gavino, che da sempre pascola il suo gregge sui fianchi della montagna – sono arrivati con le camionette e hanno fatto piazza pulita. Io mi sono insospettito perché non è mai accaduto che i militari ripuliscano la terra. Chissà che c’era in quel missile”.
La sua domanda non avrà mai riposta. Neanche i consulenti della commissione d’inchiesta sull’uranio impoverito sono riusciti a far luce su quanto accade. Ogni tanto sui giornali militari si elogia l’efficienza di qualche testata missilistica provata in zona. Recentemente è stata Finmeccanica ad esultare per la riuscita della sperimentazione dei missili Aspide lanciati da tre fregate e un cacciatopediniere all’inizio di luglio, all’apice della stagione balneare.
Il comitato "Gettiamo le basi" in un incontro pubblico a Villaputzu ha rilanciato un’altra ipotesi che ha trovato nuove basi scientifiche e ha puntato l’indice contro il nuovo sistema missilistico antiaereo terrestre e navale a medio raggio (Samp-T e Samp-N) in uso al poligono.
Si tratta del sistema destinato a sostituire l’Hawk, di grande importanza strategica per le prossime guerre. “Ma i rischi di tale sperimentazione per chi suo malgrado deve vivere a poche centinaia di metri sono assolutamente inesplorati”, spiega Mariella Cao.
Proprio i precedenti dell'Hawk, messo sotto accusa da indagini dei ministeri della Difesa di Germania, Olanda e Belgio dopo inchieste condotte da enti di ricerca autonomi sulle irradiazioni cui venivano sottoposti i militari addetti al sistema, e dichiarato, invece, “innocuo” dal ministero della Difesa italiano, preoccupano gli attivisti del comitato. “E' compito primario di uno Stato, in tutte le sue articolazioni - ha detto ancora Cao - tutelare la salute. E' compito della popolazione - ha concluso - imporre allo Stato l'adempimento dei suoi doveri”. Il senatore di Insieme con l’Unione Mauro Bulgarelli – vicepresidente, tra l’altro, della commissione d’inchiesta sull’uranio impoverito – ha presentato a luglio un'interrogazione parlamentare in cui chiede che sia allestito al più presto un monitoraggio per il rilievo dell'intensità del campo elettromagnetico intorno al poligono di Quirra.
La vera novità, però, che fa ben sperare, è che la comunità sarda si è autotassata per finanziare uno studio ambientale sui campi elettromagnetici.

L’indagine è stata commissionata da A foras, Comitato per la difesa del Sarrabus-Gerrei, Cagliari social forum e Carovana della pace: il fisico Massimo Coraddu e l’ingegnere ambientale Basilio Litarru, che hanno condotto le rilevazioni, hanno presentato i risultati dello studio. Che ha rivelato la presenza di microonde. «Abbiamo effettuato diverse misurazioni – ha detto Coraddu - e riguardo all’intensità dei campi rilevati, visto che ignoriamo i parametri fondamentali che caratterizzano le sorgenti, abbiamo potuto solamente fissare un limite inferiore, ampiamente al di sotto della soglia di tolleranza. Questo però non significa che l’intensità non arrivi a superare i livelli consentiti, ma non è possibile stabilire se e dove questo avvenga».
Ecco un esempio per capire meglio: «Abbiamo effettuato una rilevazione a Baccu Buidu, a poche centinaia di metri dalla stazione radar “Osteria di Quirra” - ha detto Coraddu - e i livelli risultano a norma. Il problema però nasce quando si ipotizza che, in quel momento, il radar non fosse in funzione e, magari, il valore che abbiamo rilevato si riferisse alla stazione di Torre Murtas, posta a cinque chilometri di distanza. Se questo fosse vero, significherebbe che in prossimità di quel radar l’intensità del campo di emissione delle microonde supererebbe del doppio quella consentita dalla legge».
E se ciò fose vero, cosa accadrebbe alla salute della popolazione? «C’è un’interrelazione tra i campi di microonde e l’eccesso di tumori emolinfatici rilevati nella zona - si legge nelle conclusioni dello studio - Per ora sappiamo che alcuni esperimenti effettuati su colture cellulari, hanno evidenziato come un campo di microonde possa aumentare il proliferare delle cellule tumorali. Inoltre, non bisogna tralasciare uno degli aspetti più importanti, vale a dire la possibile interrelazione tra microonde, inquinanti chimici e nanoparticelle».
Gli studiosi con i pochi mezzi a disposizione hanno evidenziato l'effettiva presenza di campi elettromagnetici nella banda delle microonde, a frequenze superiori ai 3 GHz, generati dai 5 mega radar utilizzati dal poligono, sul quale tra l’altro pende un progetto di ampliamento: «ci preoccupa soprattutto – ha detto Consuelo Costa dell’associazione A foras – la sperimentazione sugli aerei senza pilota. La Sardegna diventerà un territorio asservito alle esigenze del Kombinat militare-industriale su scala internazionale, talmente importante dal punto di vista strategico che i sardi avranno come unica prospettiva quella di vivere militarizzati ».

 

Il poligono di Perdasdefogu

 

 
E’ il più vasto poligono terrestre, aereo e navale d’Italia e d’Europa. Si estende per 11.600 ettari
nell’entroterra (Perdasdfogu) e 1.100 ettari sulla costa per una lunghezza di circa 10 chilometri (Capo San Lorenzo). Le due aree del demanio militare sono “collegate” da una fascia di 3.500 ettari sottoposta a servitù militare che ingloba la frazione di Quirra, comune di Villaputzu. La servitù comporta anche l’evacuazione della popolazione in coincidenza di alcune manovre, qualora i vertici militari lo ritengano opportuno. Le zone interdette o pericolose per la navigazione annesse al poligono seguono quasi una linea retta che va da Siniscola a Castiadas, oltrepassano le acque territoriali e si estendono in acque internazionali. Solo una delle zone a mare sottoposta a schiavitù militare impegna 2.840.000 ettari (11.327 miglia quadrate), una superficie che supera quella dell’intera Sardegna (kmq 23.821). Alla militarizzazione dello sterminato tratto
di mare corrisponde la militarizzazione dello spazio aereo.
 

 

Argomento: 

RESOCONTO FONDI SOTTOSCRIZIONE URANIO IMPOVERITO

 Cari Amici, grazie per il vostro impegno nella raccolta dei fondi, per la vostra generosità e per aver combattuto questa battaglia, non ancora terminata, assieme a noi!
Ecco un primo resoconto dell'impiego dei fondi raccolti stilato dall'Osservatorio Militare, ripulito dai nomi e dai riferimenti personali. Se qualcuno  volesse maggiori dettagli, può contattare liberamente l'ufficio: [email protected]

 
  GRAZIE!!!
Ad oggi le risorse messe a disposizione dalla sottoscrizione aperta sul blog di Franca Rame sono: 
-20.000 € donati personalmente dalla Senatrice; 
-6.000 € provenienti dalla raccolta fondi attraverso conto corrente intestato Rame - Nao;
-3.500 € provenienti dal cc. Dell’Osservatorio Militari. 
- rimane sul conto corrente della sottoscrizione un fondo di € 868, 75   
totale fondi raccolti: 30.368,75 
Sono stati così distribuiti: 
 
1) SPESE PER FUNERALI E LAPIDI: TOTALE  3.700 €
 -n. 2 Lapidi 3.000 € 
-contributo per  funerale 700€;
 2) SPESE PER SUPPORTO ALLE CAUSE INSTAURATE:  TOTALE € 22.000 
-n. 8 contributi unificati da  1.100 €  cadauno,
 sono stati impegnati 8.800 per iscrivere al ruolo otto cause. Il contributo unificato è una sorta di bollo con costi variabili secondo il tipo di causa da instaurare e si paga perché la causa “inizi”. Nel caso di questi soldati ammalati o famiglie di defunti, si tratta di una causa risacitoria per ottenere il riconoscimento dei danni subiti nei confronti dello stato maggiore della Difesa . 
N.B. L’avvocato che segue queste cause, percepirà la parcella solo a conclusione del procedimento e solo se andrà a buon fine (eccetto il contributo unificato, che è una vera e propria tassa, come ad esempio il bollo dell’auto). 
-Sempre per questo processo, per alcuni militari è stato necessario far redigere una perizia da un consulente tecnico, detto di parte , per un totale di 12.200 € 

-In due casi sono stati individuati i requisiti per tentare di accedere ai fondi stanziati dalla finanziaria per le vittime dell’uranio, le spese legali per la notifica degli atti ammontano a 1000 € 
3) SPESE PER SOSTEGNO A FAMIGLIE IN DIFFICOLTA’ TOTALE €  1.000   
4) SPESE PER INIZIATIVE DI INFORMAZIONE: TOTALE € 1.500 
 - Cartoline informative e commemorative in distribuzione per le raccolte fondi 1.500€; 

Totale fondi conferiti all’osservatorio: 29.500 € 
Totale fondi assegnati:   28.200 € 
Totale fondi ancora disponibili (conferiti ad osservatorio 1.300+deposito conto corrente 868.75):2.168,75 €
 
 Roma 23 luglio ’07 

 
 
 Il Resp. del Comp. Difesa 
Domenico Leggiero 

Argomento: 

MORIRE DI URANIO IMPOVERITO - II° USCITA SU REPUBBLICA SABATO 30 GIUGNO

da spedire alla Presidenza del Consiglio

Presidenza del Consiglio dei ministri
Palazzo Chigi
Piazza Colonna 370
00187 Roma - Italy
tel. (+39) 0667791 

[email protected]  [email protected]

Scarica qui il pdf della manchette Vi preghiamo di stampare, diffondere, far girare!

 Ricordiamo il conto corrente per la sottoscrizione in favore delle vittime dell'Uranio Impoverito:
conto corrente postale n. 78931730 intestato a Franca Rame e Carlotta Nao
ABI 7601 - CAB 3200 Cin U

 

 

 Gentile Sig. Presidente

 

 

 Nella guerra del Golfo, sono state utilizzate munizioni non convenzionali, all’uranio impoverito, più di 940.000 pallottole e più di 14.000 proiettili di grande calibro. Una quantità variante tra 300 e 800 tonnellate di polveri di Uranio Impoverito è stata dispersa in Kuwait e Iraq. Nei Balcani 30.000 tonnellate.

 

 

 Quando esplode un proiettile all’uranio disperde nell’ambiente polveri ultrasottili che inquinano aria, acqua e suolo per migliaia di anni. Se inalate o ingerite possono innescare patologia come tiroiditi, tumori, leucemie, malformazioni fetali.

 

 

 Questo accade alle popolazioni che vivono nei territori bombardati e a molti militari e volontari di ritorno dalle missioni di pace, missioni in cui pace e guerra hanno lo stesso significato.

 

 

 I nostri soldati hanno operato in quelle zone  contaminate a mani nude, respirando polveri ultrasottili, là dove i militari Usa, inglesi e tedeschi agivano protetti da tute speciali, maschere e guanti.

 

 

 Si ha notizia di militari rientrati recentemente dall’ Afghanistan sottoposti a intervento alla tiroide per limitare i danni della contaminazione. Che futuro avranno? Si sta parlando anche del Libano…

 

 

 

  Certa di un Suo interessamento la  saluto cordialmente

 

 

 Franca Rame

 

 

 Si prega di ritagliare e inviare al Presidente del Consiglio – Palazzo Chigi – 00187 Roma

 

 

 

 

 Siamo costretti per limiti di spazio a sintetizzare. Per approfondire l’argomento: www.francarame.it

 Dati forniti dall’Osservatorio Militare: soldati italiani deceduti, ad oggi a causa della cosiddetta “sindrome dei Balcani” almeno 50. L'ultimo la scorsa settimana: luogotenente dei Carabinieri Michele Saldutto – 542 militari gravemente ammalati, alcuni terminali, abbandonati a sé stessi, senza cure né pensioni, famiglie rovinate, madri impazzite.

 

 

 

  Nel silenzio delle istituzioni si consuma una tragedia a cui Le chiediamo di porre fine. I nostri soldati meritano il giusto riconoscimento aiuto da parte dello Stato che hanno servito. E ai civili una promessa: decontaminazione  dei territori avvelenati e messa  al bando delle armi all’uranio impoverito, come ha fatto il Belgio. E ancora: FINE DI TUTTE LE GUERRE!

 Alcuni hanno beneficiato della causa di servizio; alla perdita del figlio, hanno ricevuto in rari casi una pensione insignificante rispetto al dolore che sopportano: 258 euro al mese (fonte Liberazione, Walter Falgio 8 maggio 2007)


48 soldati italiani deceduti. 524 gravemente ammalati. Quanti da uranio impoverito?

SECONDO MESSAGGIO AL PRESIDENTE PRODI
Vi preghiamo di inviare questa missiva al Presidente del Consiglio Romano Prodi, dobbiamo essere in tantissimi! Diffondete, diffondete, diffondete!
Gli indirizzi a cui spedire sono: 
[email protected]


[email protected]


[email protected]

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Signor Presidente Romano Prodi, le chiediamo di intervenire!

I nostri militari nei Balcani, in Iraq e in Afghanistan hanno operato in zone contaminate da proiettili all’uranio impoverito, là dove i militari Usa agivano protetti da tute speciali i nostri operavano senza protezione. Ma le autorità militari non riconoscono assistenza adeguata a questi reduci.

Questo ha portato a situazioni drammatiche anche dal punto di vista economico, le famiglie sono costrette a indebitarsi per far fronte alle spese mediche.

Abbandonare soldati che hanno dato tutto per servire il loro paese è indegno.

L’uranio impoverito si crea ogni volta che si  arricchisce l’uranio per scopi militari e/o civili;  andrebbe stoccato con estrema cura a causa delle pericolose caratteristiche chimiche e radiologiche. Ma conservarlo in sicurezza ha costi enormi e si è deciso di “smaltirlo” riciclandolo sempre per usi militari (corazze e proiettili) e civili (anche come contrappesi negli aerei, nella chiglia delle navi, nelle mazze da golf, ecc.).

Quando l’uranio impoverito si disperde nell’ambiente può diffondere nanopolveri che inquinano aria, acqua e suolo per miliardi di anni. Si ritiene che possano sorgere svariati tipi di patologie provocando tumori, malattie non tumorali e malformazioni fetali.

La Commissione Uranio del Senato dovrebbe tentare di far luce definitivamente su questi problemi, individuando le aree inquinate, e addentrandosi tra le molte implicazioni, tra cui l’impatto sui civili residenti e sui volontari che hanno lavorato nelle zone a rischio.

Questo è noto fin dalla prima guerra del Golfo, quando decine di migliaia di soldati Usa tornarono in patria contaminati e iniziarono a morire.

Molti studi hanno documentato gli effetti spaventosi di questi proiettili sulle popolazioni.

Signor Presidente, le chiediamo di intervenire al più presto, riconoscendo finalmente il diritto alla piena assistenza ai nostri soldati ammalati e di adoperarsi nelle sedi internazionali per la messa al bando dei proiettili all’uranio impoverito, seguendo l’esempio del Belgio.

L’uranio impoverito è di per sé inerte ma causa contaminazione se prende fuoco.

Quintali di questa sostanza dispersi sul territorio rappresentano un pericolo enorme e una ghiotta occasione per i terroristi.

Come testimonia un’inchiesta di Striscia la Notizia nei nostri aereoporti i vigili del fuoco non sono neppure attrezzati per l’evenienza di un incendio su un aereo che trasporti questa sostanza.

La preghiamo di intervenire anche su questa questione vietando l’uso civile dell’uranio impoverito.

Grazie.

www.francarame.itSignor Presidente Romano Prodi, le chiediamo di intervenire!I nostri militari nei Balcani, in Iraq e in Afghanistan hanno operato in zone contaminate da proiettili all’uranio impoverito, là dove i militari Usa agivano protetti da tute speciali i nostri operavano senza protezione. Ma le autorità militari non riconoscono assistenza adeguata a questi reduci.Questo ha portato a situazioni drammatiche anche dal punto di vista economico, le famiglie sono costrette a indebitarsi per far fronte alle spese mediche.Abbandonare soldati che hanno dato tutto per servire il loro paese è indegno.L’uranio impoverito si crea ogni volta che si  arricchisce l’uranio per scopi militari e/o civili;  andrebbe stoccato con estrema cura a causa delle pericolose caratteristiche chimiche e radiologiche. Ma conservarlo in sicurezza ha costi enormi e si è deciso di “smaltirlo” riciclandolo sempre per usi militari (corazze e proiettili) e civili (anche come contrappesi negli aerei, nella chiglia delle navi, nelle mazze da golf, ecc.).Quando l’uranio impoverito si disperde nell’ambiente può diffondere nanopolveri che inquinano aria, acqua e suolo per miliardi di anni. Si ritiene che possano sorgere svariati tipi di patologie provocando tumori, malattie non tumorali e malformazioni fetali.La Commissione Uranio del Senato dovrebbe tentare di far luce definitivamente su questi problemi, individuando le aree inquinate, e addentrandosi tra le molte implicazioni, tra cui l’impatto sui civili residenti e sui volontari che hanno lavorato nelle zone a rischio.Questo è noto fin dalla prima guerra del Golfo, quando decine di migliaia di soldati Usa tornarono in patria contaminati e iniziarono a morire.Molti studi hanno documentato gli effetti spaventosi di questi proiettili sulle popolazioni.Signor Presidente, le chiediamo di intervenire al più presto, riconoscendo finalmente il diritto alla piena assistenza ai nostri soldati ammalati e di adoperarsi nelle sedi internazionali per la messa al bando dei proiettili all’uranio impoverito, seguendo l’esempio del Belgio.L’uranio impoverito è di per sé inerte ma causa contaminazione se prende fuoco.Quintali di questa sostanza dispersi sul territorio rappresentano un pericolo enorme e una ghiotta occasione per i terroristi.Come testimonia un’inchiesta di Striscia la Notizia nei nostri aereoporti i vigili del fuoco non sono neppure attrezzati per l’evenienza di un incendio su un aereo che trasporti questa sostanza.La preghiamo di intervenire anche su questa questione vietando l’uso civile dell’uranio impoverito.Grazie.

Argomento: 

RENDICONTAZIONE SOTTOSCRIZIONE A FAVORE DELLE VITTIME DELL'URANIO IMPOVERITO

Troverete qui sotto in allegato gli estratti conto della cifra finora raccolta con la sottoscrizione a favore delle vittime dell'uranio impoverito. Si tratta di 5.966 euro in tutto.

Sono stati già consegnati all'osservatorio militare 3.000 euro pervenuti dalla sottoscrizione, oltre ai 20.000 devoluti da Franca Rame.

Per ogni chiarimento o delucidazione sulla rendicontazione, potete scrivere a [email protected].

La Redazione

Clicca qui per vedere gli estratti conto

 

Argomento: 

LE DUE GUERRE

l'autore della foto è Tano D'Amico.

 

Di Antonietta M. Gatti

 Laboratorio dei Biomateriali,

 Dipartimento Integrato di Neuroscienze, Testa e Collo e Riabilitazione

 Università di Modena e Reggio Emilia

  Se negli anni Sessanta la responsabilità di qualsiasi comportamento umano aberrante era allegramente scaricato sulla società, oggi il nostro approccio al problema è decisamente più scientifico: la colpa sta nel DNA. Nel 2003 un professore di Neuroscienze, tale Evan Deneris della Case Western Reserve University, scovò il gene dell’aggressività e dell’ansia e, dunque, a ben vedere, della guerra. Se è così, la guerra è inevitabile perché la portiamo scritta dentro di noi e, se la portiamo dentro di noi, cercare di eliminarla è fatica sprecata. Ma, al di là della genetica, giustificazioni per fare a botte ce n’è a iosa, da ideali politici a istanze religiose, da classifiche stilate in base all’etnia a pretese territoriali comunque giustificate, e chi più ne ha, più ne metta. In aggiunta, senza che ce lo vogliamo confessare perché questo svilirebbe la nobiltà degl’intenti bellicosi, sotto sotto ci potrebbe stare anche un disegno più grande di cui noi non siamo che protagonisti inconsci: il contenimento dei numeri. Quando animali della stessa specie e, dunque, con le stesse esigenze, si trovano a condividere aree troppo piccole, l’unica possibilità che hanno è di liberarsi del concorrente. La Natura è crudele? Fate voi. Comunque, la Natura sfugge ad ogni giudizio morale: la si deve accettare perché non c’è alternativa.

Però, se la guerra ce l’abbiamo scritta in ogni cellula e, dunque, è una caratteristica della nostra specie, forse sarebbe meglio non esagerare e dare un’occhiata ai rischi che un’attività del genere comporta al di là del puro, semplice e scontato ammazzare il nostro simile occasionalmente nemico. A mero titolo di riflessione, prendiamo

la prima Guerra del Golfo, quella del 1991. Finito il loro periodo di servizio, alcuni militari tornano dall’Iraq o dal Kuwait portandosi a casa strani sintomi, anzi, strane collezioni di sintomi non descritti nei libri o, comunque, apparentemente non in relazione tra loro. La cosa dà fastidio ai comandi militari, non per i malati in quanto tali: in fondo, si tratta solo di soldati e, se un soldato muore, il tutto rientra nell’ordine delle cose; ma per il possibile impatto che un fatto del genere potrebbe esercitare sulla popolazione che, con le proprie tasse, paga i costi della guerra e il cui consenso o, comunque, non dissenso, è indispensabile. Così, come è prassi consolidata da sempre, si decide di negare fatti pure evidentissimi, e questo anche con la complicità di media e di accademici accomodanti.

Passa un quindicina d’anni abbondante, sul Golfo Persico si combatte un’altra guerra, se ne combatte una anche in quella che fu la Jugoslavia e i malati di queste strambe malattie aumentano. E mica si tratta solo di soldati: c’è anche un sacco di civili e, cosa seccante e imbarazzante, ci sono anche tanti bambini, alcuni dei quali non ancora nati, ma che quando riescono a nascere hanno malformazioni più o meno orrende, alcune delle quali incompatibili con

la vita. Non ci sarà, per caso, un lato “oscuro” della guerra? E, visto che ad ammalarsi non sono solo i “cattivi”, ma anche i “buoni”, non ci sarà un lato della guerra che non guarda in faccia a nessuno?

Io, per mestiere, di militari ammalati ne incontro parecchi e, con l’aiuto di un microscopio elettronico un po’ particolare, vado a guardare che cosa c’è nei loro tessuti patologici. Uno di questi militari è Herbert Reed, americano, la cui storia si può leggere all’indirizzo (http://thirdestatesundayreview.blogspot.com/2006/08/herbert-reed-blood-in-his-urine-and.html)

Insieme con lui ho conosciuto due suoi commilitoni, anche loro ammalati, e le storie si accavallano e si ripetono con martellante ripetitività per loro, americani, per i francesi, per gl’inglesi e per gl’italiani che ho incontrato di persona o le cui peripezie mi sono state raccontate dai genitori o dalle mogli perché loro non c’erano più. Bene, prendiamo allora Herbie Reed. Già in Iraq sta male e si fa visitare: non è niente. Torna a casa e sta peggio, con tutta una serie di sintomi che vanno dalla stanchezza cronica a difficoltà ad urinare, dall’insonnia a dolori lancinanti in tutto il corpo a gravissime difficoltà respiratorie. Lo mandano in un ospedale militare da dove lo dimettono senza una diagnosi ma con una documentazione che nega che le malattie, vere o presunte che siano, abbiano a che fare con guerra. Eppure, i sintomi ci sono: io stessa l’ho visto prendere antidolorifici e viaggiare trascinando perennemente dietro di sé una valigia montata su ruote contenente un respiratore senza il quale non potrebbe vivere. E se c’è un effetto, ci sarà pure una causa ma, evidentemente, questo concetto così apparentemente banale è stato pensionato come pure, almeno stando alle apparenze, pare sia stato pensionato il cervello pensante. Sia come sia, Herbert viene trasferito ad altre attività con la speranza che, non potendo di fatto lavorare, si dimetta e si tolga dai piedi, magari andando a morire altrove, non più in carico all’Esercito e, dunque, fuori da ogni statistica.

Guardiamo le cose freddamente: dal loro punto di vista, i militari hanno perfettamente ragione. L’unico rischio che la guerra deve comportare è essere ferito o magari anche morire per una bomba, una pallottola (è consentita anche quella da fuoco amico), durante il servizio, e se la cosa è particolarmente vistosa per qualche motivo, allora c’è un’ottima occasione per organizzare dei bei funerali con le bare ricoperte dalla bandiera che poi viene ripiegata in modo preciso, forse anche un po’maniacale, e consegnata ai famigliari. Ma militari che tornano senza una ferita apparente e che poi muoiono in un letto d’ospedale, dopo un’imbarazzante, magari lunghissima, agonia, condita di diagnosi incerte, spesso emesse dopo lunghi indugi, e di cure inefficaci, non sono contemplati: questo non è morire da soldato. Morire in patria fra monitor, pillole, flebo e padelle di una malattia neanche ben chiara non fa parte del copione, e poi, se la voce si diffonde, tra pacifisti e richieste di risarcimenti, c’è da stare freschi. Bisogna negare, e questo a dispetto di ogni evidenza.

E’ sempre stato così? Non saprei, ma vediamo che cosa sono le guerre moderne. Il protocollo inizia bombardando scientificamente, chirurgicamente, se non viene troppo da ridere con questo avverbio, con gli ultimi ritrovati della tecnologia. Per prima cosa occorre distruggere tutto ciò che di “nevralgico” era stato costruito ed è solo dopo questa prima azione di distruzione che i soldati, in genere i fanti, vanno fisicamente su quella terra distrutta, a prenderne possesso. Dappertutto ci sono solo “brandelli di muro”, come avrebbe detto Ungaretti, ma attenzione: tutto il muro che non si vede più c’è ancora, eccome. Le bombe lo hanno sminuzzato a polveri sottilissime, del tutto invisibili all’occhio ma ben evidenti se si hanno gli strumenti adatti e, ahimé, ancor meglio rilevate dai tessuti umani e dalle cellule che reagiscono male a simili indebite presenze. E queste polveri, i fantasmi di quelle che furono delle costruzioni, aleggiano nell’aria per tempi impossibili da pronosticare ma, comunque, lunghissimi. Un inquinamento, insomma, indotto in un  attimo e destinato a durare forse per sempre. Per sempre perché la maggior parte di queste polveri non è degradabile né dalla Natura né da qualsiasi tecnologia di cui oggi possiamo disporre. E’ da lì che comincia l’altra guerra, quella combattuta a ben altri livelli, e questa ha regole ferree, con cui non si può discutere, per cui non ci sono azioni diplomatiche che tengano. Con le nostre bombe supertecnologiche abbiamo alterato l’equilibrio naturale inquinando aria, acqua, terreno, vegetali, animali e uomini. Va da sé che gli uomini sono uomini qualsiasi abito vestano e, perciò, non ha importanza se si tratta di militari o di civili o di quei volontari che vanno a prestare il loro soccorso. Ma se i militari qualche mezzo di protezione ce l’hanno: maschere antigas e contatori Geiger, per esempio, e i civili sono i nemici e, dunque, devono essere uccisi per la logica stessa della guerra, i volontari sono, in un certo senso, trasparenti. Non appartengono ad una nazionalità precisa, non sono schierati e, dunque, non sono catalogabili né come amici né come nemici, e, a ben guardare, a volte sono pure d’intralcio, se non altro perché vedono certe cose e non tengono la bocca chiusa. Questi vanno lì, mangiano ciò che mangia la gente, bevono la stessa acqua, respirano la stessa aria e quasi mai sono informati dei reali pericoli che corrono. Io ne ho incontrati: ti guardano stupefatti della loro malattia, come se il loro slancio di generosità dovesse obbligatoriamente renderli immuni da tutto. Invece non è così:

la Natura non ha regole morali o, almeno, non quelle che ci aspetteremmo o che vorremmo. Se noi ne alteriamo l’equilibrio, la Natura ne riprende subito un altro senza curarsi del fatto che questo nuovo equilibrio sia o no compatibile con le esigenze di una specie piuttosto che di un’altra. Ovviamente, l’uomo non gode di alcun privilegio e, da signore del creato come con presuntuosa ingenuità ama autodefinirsi, può tranquillamente trasformarsi nella più debole delle creature.

Nessuno strumento è buono o cattivo in sé, ma tutto dipende dall’uso che se ne fa e il cervello non è diverso da qualsiasi altro strumento. Chi è saggio lo usa per il meglio che, poi, di solito coincide con il bene di tutti. Se i politici, i militari e, perché no?, anche la gente comune, volessero soffermarsi un attimo su questa ovvietà, forse sarebbe la specie umana a ricavarne vantaggi, non ultimo, uno economico. Di fatto, tentare di ripulire le aree inquinate dalla guerra comporta spese elevatissime a fronte di risultati che non si possono altro che definire modesti quando non del tutto nulli. L’ho detto: le polveri inorganiche generate dai bombardamenti moderni sono in gran parte eterne e così piccole e sfuggenti da eludere ogni possibilità di cattura. Per di più, oggi sappiamo perfettamente che queste polveri causano un’infinità di malattie, moltissime delle quali inguaribili per la medicina odierna. E allora, che cosa si fa? Negli anni Cinquanta, in una cittadina americana, furono sotterrate scorie radioattive provenienti da un ospedale. Poi, su questa zona, fu costruito un bel parco in cui andavano a giocare i bambini. Malauguratamente, parecchio tempo dopo, insorsero nei frequentatori abituali di quel parco patologie tali da far capire che quella zona era contaminata e lo sarebbe stata ancora per tempi lunghissimi, anzi, in termini di generazioni umane, tempi infiniti. In maniera non dissimile, quando un poligono militare raggiunge un livello d’inquinamento troppo elevato, si regala il terreno alla comunità, senza, però, stare troppo a fare i pignoli sui rischi dell’operazione. Insomma, una patata bollente passata furbescamente ad altre mani tutte contente di tanta generosità.

Ormai è un dato di fatto inoppugnabile: negli ultimi, pochissimi anni abbiamo inquinato il nostro pianeta più di quanto abbiamo fatto nei due milioni di anni precedenti, così valicando ogni limite di sostenibilità e, in certe zone, le guerre moderne sono le responsabili maggiori di questo problema. Che cosa vogliamo fare? E se, non sapendo risolvere i problemi con l’ausilio della ragione, tornassimo a risolvere le guerre con il sistema degli Orazi e dei Curiazi?

 

 


“STRISCIA LA NOTIZIA”: GRAZIE, ANTONIO RICCI!

Ieri sera, mentre mi passavano davanti agli occhi le immagini di “Striscia la notizia” con quei ragazzi ammalati che parlavano delle loro gravissime condizioni di salute, non posso dirvi come mi sono sentita. Rabbia tremenda, mista alla riconoscenza per Antonio Ricci che ci regalava quel grande spazio nella sua trasmissione che vanta un pubblico di parecchi milioni. Siamo amici da tanti anni e dacché mi sto occupando dell’uranio impoverito ha fatto a tutti noi, con i passaggi su “Striscia” due grandi regali, con il cuore, la generosità e l’approfondimento che lo contraddistinguono.

Grazie Antonio, grazie di aver dato voce a questi ragazzi. E con te ringrazio Jimmy Ghione per l’impegno con cui ha trattato questo argomento così difficile e doloroso. Da quando mi occupo di questa tragedia ho un nodo in fondo al cuore causato dall’impotenza. Con impaccio e timidezza parlo con le mamme, i padri che hanno perso il figlio, con i fratelli… Mi vengono a trovare al Senato, ricevo lettere così dolorose da togliermi il sorriso per giorni.

 E nessuno chiede niente… solo giustizia e un minimo di attenzione, considerazione e assistenza da parte delle istituzioni. Penso all’inefficienza-indifferenza del nostro Stato, agli sprechi vergognosi che vengono perpetrati ogni giorno, agli agi in cui molti di noi eletti dai cittadini vivono beatamente, sforzandosi di far credere che tutto stia andando per il meglio, mentre sono in tanti a tirare tragicamente la vita nel nostro Paese. Ora finalmente pare che nella commissione che si occupa dei militari colpiti dall’uranio impoverito si stia muovendo qualcosa. È molto delicato e importante il lavoro che l’Osservatorio Militare e il dr. Leggiero in prima persona, stanno portando avanti, contro tutto e contro tutti, occupandosi con grande impegno dei 515 soldati colpiti da carcinomi, leucemie e altre terribili malattie, risalenti a causa di servizio militare. Chiediamo ai nostri amici e a tutte le persone che hanno coscienza e slancio umano di aiutarci. Grazie a tutti, un abbraccio, franca

Argomento: 

258 euro al mese: tanto vale un soldato ucciso in guerra dall’uranio impoverito

Liberazione 8 maggio 2007 – pag. 6

 

 di Walter Falgio

Quando hanno ricevuto la lettera dal ministero della Difesa i familiari di Fabio Porru e di Valery Melis sono stati attraversati da sentimenti di rabbia e delusione profondi. Il 3 aprile scorso la direzione generale delle pensioni militari di via XX settembre ha comunicato ad Antonello Porru e a Dante Melis che la morte dei loro figli vale 250 euro al mese.

I due ragazzi sono stati divorati dal Linfoma di Hodgkin: Fabio è morto il 19 luglio 2003. Caporal maggiore scelto, era responsabile di un parco automezzi della Brigata Sassari e conduttore di cingolati. Aveva respirato i veleni della guerra in Bosnia e in Kosovo. Valery è mancato il 4 febbraio 2004. Anche lui caporal maggiore, alpino, reduce dall’Albania e dal Kosovo. 

 

Ai ragazzi era stata riconosciuta la causa di servizio e per questo i familiari, in base al Decreto del presidente della Repubblica numero 243 del 2006 che equipara le vittime delle missioni militari a quelle del terrorismo, possono usufruire di una serie di benefici. «Siamo stati convocati dal Comando militare della Sardegna», racconta Antonello Porru, «ci hanno fatto sapere che avremmo potuto godere di una speciale elargizione». E sottolinea: «Ci hanno chiamato loro, noi non abbiamo chiesto niente». La risposta alla richiesta delle famiglie delle vittime inviata tramite il Comando è arrivata nel giro di sei mesi in perfetto e ostico burocratese: «Con decreto n. 184 in data 15 marzo 2007 è stato concesso il beneficio dell’assegno vitalizio nella misura originaria di £ 500.000 mensili (euro 258,23)».

L’inadeguatezza del provvedimento ministeriale è ancor più messa in risalto dall’anacronistico riferimento alle lire. Un’elemosina che probabilmente sarebbe stato meglio evitare. «Abbiamo come l’impressione che i nostri figli siano morti di serie B», dice con dignità la madre di Valery, Marie Claude, «ci dispiace che per ragioni burocratiche il ministero ci riservi questo trattamento».

Lo stanziamento previsto dalla Legge Finanziaria per le speciali elargizioni ammonta a 10 milioni ma pare che alla Difesa stiano privilegiando i casi di invalidità. La stessa lettera spedita alle famiglie Porru e Melis specifica che per ogni punto percentuale di invalidità sono previsti 774 euro di risarcimento. «Non capiamo perché a chi invece ha perduto la vita siano destinati 250 euro», continua Porru: «Abbiamo chiesto informazioni al ministero ma le risposte sono state sempre molto evasive». Riguardo alla disparità di trattamento fra invalidi e deceduti si profila anche una questione di legittimità costituzionale. Il ministero scrive che la speciale elargizione «è prevista al momento attuale soltanto per i soggetti infortunati».

 

La parola “soltanto” fa pensare ad una scelta, ad un preciso indirizzo politico che non avrebbe senso in un simile contesto e sarebbe di fatto illegittimo. «In ogni caso vogliamo fare chiarezza», aggiunge Marie Claude Melis, «vogliamo che il ministero almeno risponda motivando il contenuto della lettera».

Lo sconforto naturalmente si accompagna anche allo sdegno: «I nostri ragazzi sono morti svolgendo un servizio per la patria, come i militari di Nassirya, tanto per fare un esempio. Per questo pretendiamo giustizia», rincara la dose Porru.Sulla vicenda è intervenuto il senatore dei “Verdi - Insieme con l’Unione” Mauro Bulgarelli che oggi presenterà una interrogazione a risposta scritta ai ministri della Difesa e degli Interni. «È vergognoso che ancora oggi non si manifesti la precisa volontà di riconoscere un risarcimento a chi ha perso la vita durante le missioni internazionali o il servizio nei poligoni a causa dell’esposizione all’uranio impoverito o ad altre sostanze pericolose», dice Bulgarelli. «A questo punto è legittimo pensare che alla base di determinate scelte vi sia un problema di volontà politica dato che i vertici militari italiani erano al corrente della pericolosità

dell’uranio fin dalla guerra in Kosovo», continua Bulgarelli. I ministri dunque dovranno chiarire se «non esista una palese discriminazione nei confronti dei familiari delle vittime del dovere di cui sia avvenuto il decesso», e se «intendano adoperarsi, per quanto è di loro competenza,

per porre rimedio a tale evidente disparità di trattamento.

 

 

Argomento: 

LA GUERRA INVISIBILE

di Antonietta M. Gatti, Laboratorio dei Biomateriali-
Dipartimento di Neuroscienze Università di Modena e Reggio Emilia

ricordiamo il numero di conto corrente per la sottoscrizione in favore delle vittime dell'Uranio Impoverito:
conto corrente postale n. 78931730 intestato a Franca Rame e Carlotta Nao
ABI 7601 - CAB 3200 Cin U
La redazione

 

 Chi vuole avere un’idea di quanto siamo tecnologicamente avanzati dia un’occhiata alle nuove guerre. Dalle poltrone del salotto, abbiamo assistito in diretta TV a bombardamenti "chirurgici" di estrema precisione con proiettili noti e alcune volte ignoti. Ignoti perché di questi conosciamo solo gli effetti, effetti, specie sulle persone, mai visti prima.

Nella prima guerra del Golfo i giornalisti avevano notato carri armati di cui alcune parti erano letteralmente scomparse. Lo abbiamo saputo dopo: in quel caso il metallo si era volatilizzato per le temperature elevatissime che si erano generate al momento dell’impatto tra proiettile e bersaglio. Si trattava di proiettili all’Uranio impoverito, un metallo di scarto che non costa nulla e che, anzi, non si sa come smaltire. E allora, ecco trovata una soluzione: usiamolo perché scoppia a 3.000 e passa gradi e fa un bel botto, però, non diciamo niente a nessuno.
Nella seconda guerra del Golfo si sono visti morti con i corpi devastati ma con i vestiti intatti. Ci siamo incuriositi: quale tecnologia poteva produrre effetti del genere? Qualcuno ha parlato di una meraviglia della chimica che si chiama fosforo bianco.

Dopo che i primi soldati europei, italiani compresi, al ritorno da missioni di pace, hanno cominciato ad ammalarsi di tutta una collezione di malattie, gli Americani hanno dovuto ammettere che, sì, avevano utilizzato sia in Iraq sia nei Balcani bombe all'Uranio impoverito. Per il fosforo bianco, invece, forse dobbiamo ancora aspettare un altro po’, benché le prove siano schiaccianti.
La radioattività residua delle aree colpite dalle bombe all’Uranio, una radioattività impossibile da nascondere perché basta andare là con un contatore Geiger da quattro soldi e in molti ci sono andati, compresi i funzionari dell’UNEP, ha indotto i mass media e la popolazione a indicarla come il responsabile delle patologie dei soldati e di chi lì abitava. Anche i bambini malformati che sono nati dopo la guerra generati da militari e da civili sono, a parere di media e di un po’ di gente, da ascriversi alla radioattività. Ne è nata, allora, una discussione globale che ha coinvolto governi, organizzazioni di ogni genere, giornalisti, esperti veri o presunti tali, e scienziati. Tutto questo chiasso, però, ha partorito ben magri risultati.

I soldati continuano ad ammalarsi (ho notizia precisa, personale, di soldati americani ammalati gravemente) e a Baghdad alcuni medici che ho incontrato mi dicono che parecchie patologie, anche mortali, sono in aumento fra la popolazione civile. Nel frattempo, in Europa è stata firmata una dichiarazione della Comunità Europea che bandisce l'Uranio impoverito. Ottimo, ma sarà sufficiente a far sparire queste patologie? Il mio parere è che no, e per un motivo molto semplice: l'Uranio impoverito è solo il mandante, non è il killer primario.

In un rapporto del 1978 scritto da ricercatori della base militare di Eglin, Florida, rimasto a dormire per 37 anni chissà dove e finito per un po’ nei meandri di Internet, ho trovato dati relativi alle sperimentazioni con bombe all'Uranio impoverito eseguite nel deserto. I ricercatori segnalano la formazione di nuove polveri in seguito all'esplosione che sono caratterizzate, tra l’altro, da dimensioni ridotte e da composizioni chimiche non omogenee che originano da tutta la materia che era presente nel punto di esplosione: il bersaglio, la bomba, il terreno. Queste polveri derivano da combustioni violente avvenute su materiali disparati e, dunque, la composizione dei reagenti è casuale. Quindi, la chimica  dipende da ciò che c’era nel “crogiolo” in quel momento.
Ciò che notavano i ricercatori è che si formavano polveri con dimensione fra i 0,2 e 0,5, micron (un micron è un millesimo di millimetro) che erano composte da diversi elementi. Raramente vi si trovava anche Uranio, benché questo costituisse il cuore del proiettile, e questo perché tre o quattro chili di Uranio fanno saltare in aria parecchie tonnellate di roba in cui l’Uranio non c’è, e, in quelle tonnellate, tre o quattro chili di Uranio diventano una rarità. I ricercatori militari americani stessi concludono il rapporto con la richiesta di verifica dell’impatto di questi polveri sull’uomo, dato che la loro dimensione è nella gamma dell’inalabile, cioè può raggiungere le parti più profonde dei polmoni.

Oggi noi classifichiamo quelle polveri come nanoparticelle, e i nanotecnologi, vale a dire coloro che costruiscono nanoparticelle in laboratorio per sfruttarne industrialmente le proprietà, pongono sulla loro possibilità d’interagire con l’organismo una grandissima attenzione, stanti gli enormi pericoli che potrebbero conseguire da questa interazione, pericoli che in parte si conoscono e in parte si sospettano.
La paura viene, tra l’altro, dal fatto che un centro dell’Università di Leuven in Belgio ha verificato che polveri da 0,1 micron, se inalate, passano la barriera polmonare in 60 secondi e finiscono nel torrente circolatorio. Il sangue, poi, le porta in tutto il corpo ed in un’ora sono al fegato e poi ai reni.

Quando sono intrappolate in un tessuto, è difficile, se non impossibile, rimuoverle.
Quello che ha sorpreso nello studio belga sono i tempi d’ingresso:
veramente ridotti ed il fatto che le nostre barriere fisiologiche contro le nanoparticelle si comportano come dei colabrodo. E’ ovvio che, non avendo, purtroppo, il nostro organismo nessun filtro efficiente, possono entrare anche particelle tossiche che una volta all’interno del nostro corpo possono estrinsecare la loro tossicità. Ma, tossiche o no, tutte queste particelle che non si degradano sono comunque dei corpi estranei che l’organismo non gradisce affatto.
Il corpo umano, quindi, reagisce come può a questo insulto. Qualora le polveri siano disseminate in ogni organo ed in quantità significativa, esiste la possibilità che la reattività biologica sia inefficace, come pure i farmaci, e le cellule non possano far altro che lasciarsi morire.

In campo nanotecnologico si è già visto che queste nanoparticelle hanno un potere ossidativo all’interno della cellula e ne determinano comportamenti anomali. Le normali difese immunitarie si rivelano inefficaci. Uno studio recente dell’Università di Plymouth (Inghilterra) che ha verificato il comportamento di alcuni pesci quando sono in acque contaminate da nanopolveri mette in luce alcuni comportamenti aggressivi di quei pesci e anche un loro stato di “affaticamento”.
Questi studi eseguiti con nanoparticelle costruite in laboratorio è in perfetto accordo con ciò che avviene in teatri bellici ove grandi quantità di nanoparticelle vengono create involontariamente dalle esplosioni o, per esempio, dai pozzi petroliferi che bruciano o dalle numerose altre combustioni che sono tipiche della guerra. E’ ovvio che chi si trova immerso in quell’inquinamento ha la possibilità di inalarlo e di mangiarlo con cibo cresciuto sotto quelle polveri, ma anche, perché no?, di fumarlo con sigarette il cui tabacco è contaminato. E sono proprio quelle particelle che noi troviamo negli organi malati dei militari.

Questi sono i nuovi, subdoli, proiettili invisibili del XXI secolo che le nuove guerre creano e di cui qualcuno deve tenere conto. Nel secolo passato si spargevano i defoglianti, chi non ricorda il Napalm con la sua diossina?. Ora, in modo più raffinato, si crea anche un inquinamento che può perdurare nel tempo perché molte delle polveri sono eterne, non avendo né la Natura né l’uomo la capacità di degradarle. E questo può far ammalare anche dopo che la guerra è finita, e chi si ammala sono i vinti, ma anche i vincitori. Cosa che è esattamente ciò che sta accadendo. Occorre che i governi e i militari prendano atto di questa nuova situazione e meditino su questi proiettili invisibili che sono tutt’altro che chirurgici e che, con il loro perdurare nell’ambiente, non sono dissimili da armi di distruzione di massa.
Prima di tutto, i militari dovranno monitorare l’ambiente e poi “filtrarlo” per quanto possibile, in modo che non si respiri la contaminazione. Occorrono sensori, occorrono maschere che le nanotecnologie possono mettere a punto e costruire. Occorre, finita la guerra, che chi ha sporcato pulisca; ma questo credo sia un’impresa impossibile, e non è questione di denaro ma di vera e propria fattibilità.

Quello che non si deve assolutamente fare è negare queste evidenze. Le patologie ci sono sia fra i soldati che hanno partecipato alla guerra sia fra quelli che assolvevano missione di pace sia fra i chi fa volontariato nelle zone a rischio sia fra i civili.
I volontari di associazioni non governative e i civili che vanno nelle zone devastate dalla guerra vanno per motivi morali e non è onesto che non li si avverta del pericolo cui vanno incontro. La cosa, comunque, che ritengo più grave è che ad un soldato che si ammali al ritorno della missione non venga riconosciuto il nesso causale fra la malattia e la permanenza in zona inquinata. Questa è ipocrita viltà.
Un soldato che si ammala e muore per pallottole invisibili in un letto e non in un campo di battaglia è sempre un soldato che è morto per la patria, qualunque connotazione si voglia attribuire a tutto ciò, e la patria, ancora una volta qualunque cosa la parola significhi, ha il dovere di riconoscere il suo sacrificio.

 


UNITA': Uranio impoverito, la procura di Bari: si facciano nuove indagini

Davide Madeddu Nessuna archiviazione. L'inchiesta sulla "Sindrome dei Balcani" va avanti. La procura della Repubblica di Bari vuole vederci chiaro. Il giudice per le indagini preliminari ha deciso di non archiviare il procedimento che riguardava proprio l'inchiesta sui soldati malati che sono stati impegnati nelle missioni in Kosovo. Quelle che, successivamente, sono state definite le "vittime della sindrome dei Balcani". Per la precisione la procura di Bari dovrà accertare se all'epoca delle missioni in Bosnia e Kosovo «a far data dal 1993 e fino al dicembre 1999, (epoca cui risale la prima direttiva tecnico-operativa circa la pericolosità dell'uranio impoverito e le misure precauzionali da adottare ndr) vi fossero presso il ministero della Difesa documenti ufficiali provenienti dalle Forze armate alleate sull'uso e sulla pericolosità per la salute di munizioni all'uranio impoverito usate nelle aree delle missioni, e sulle precauzioni da adottare». Non solo, l'accertamento, disposto dopo che il gip Chiara Civitano ha respinto la richiesta di archiviazione e ordinato anuove indagini su casi di leucemine e tumori contratti dai militari italiani che hanno operato in Bosnia e Kosovo tra il 1993 e il 1999 dovrà accertare «se vi fossero documenti dai quali scaturivano ben precisi obblighi informativi e precauzionali in capo ai rappresentanti di tale ministero, in favore dei militari italiani in missione. L'accertamento istruttorio - che, quindi, riguarda la verifica del rispetto della normativa antinfortunistica del '91 da parte del ministero della Difesa italiano». Nel corso dell'inchiesta il pm Ciro Angelillis aveva chiesto l'archiviazione del fascicolo d'indagine, ritenendo mancante il nesso di causalità tra l'utilizzazione di munizioni all'uranio impoverito (da parte di Usa e Gran Bretagna) e l'insorgenza delle malattie. Alla richiesta di archiviazione si erano opposti la Uil e l'Ital Uil Puglia. Il gip, citando la richiesta di opposizione all'archiviazione, scrive che Stati Uniti e Gran Bretagna avevano «già dagli anni '80 la consapevolezza della pericolosità dell'uranio impoverito utilizzato in campo militare, e che i relativi eserciti hanno adottato già dal '91 una serie di precauzioni (diffusione di memorandum, decaloghi, dotazione di abbigliamento adeguato) per evitare che i propri soldati corressero rischi professionali inutili; non altrettanto può dirsi per le Forze armate italiane che hanno operato nei territori nei quali sono stati adoperati rilevanti munizioni all'Ud», come anche viene chiamato l'uranio impoverito (o depleto). «Il problema - afferma il gip - è di verificare se per i responsabili di tali Forze armate vi fossero obblighi scaturenti da documenti ufficiali in tal senso e gli stessi siano stati disattesi». Per questo motivo il giudice ha ordinato nuove indagini sull'ipotizzata violazione della normativa antinfortunistica. A manifestare soddisfazione per la decisione del giudice anche le associazioni che riuniscono i familiari dei militari. «È necessario intervenire al più presto - dice anche Falco Accame, presidente dell'Anav Faf, associazione che si occupa della tutela e difesa dei militari ammalati e dei loro familiari -, anche perché adesso siamo al paradosso». Ovvero? «Quando pure si riconosce la causa di servizio - spiega - e dopo un lungo e tormentato iter arrivano indennizzi miseri». Per cercare di dare assistenza e supporto ai militari che si sono ammalati dopo le missioni all'estero, intanto, è stata organizzata anche una sottoscrizione. A portarla avanti è la senatrice Franca Rame che cerca di sensibilizzare l'opinione pubblica anche sul suo sito internet. Non solo la senatrice eletta con la lista dell'Italia dei valori ha aperto un conto corrente postale su cui si possono fare le donazioni per le vittime dell'uranio impoverito (conto corrente postale n. 78931730 intestato a Franca Rame e Carlotta Nao ABI 7601 - CAB 3200 Cin U). E cronaca dei giorni scorsi poi la morte di Giorgio P, un militare di Lecce che prestava servizio a Udine. «E' necessario che si faccia chiarezza - sa sapere Domenico Leggiero dell'Osservatorio militare - e inoltre si deve garantire assistenza e supporto a questi ragazzi». Assistenza che, come precisano i volontari non è «solamente sanitaria ma anche economica» dato che molto spesso, le famiglie, «per aiutare i figli malati sono costrette a dare vita a tutte le loro risorse». Appello cui si unisce anche Salvatore Pilloni, il padre di Giovanni, il militare che combatte contro un tumore scoperto a termine di una serie di missioni all'estero. 24 aprile 2007

Argomento: 

Gen. Cecchi: «Causa di servizio per l'uranio»

www.lanuovaecologia.it/inquinamento/nucleare/

Caro gargantua, ho pensato bene di inserire l'articolo a cui ti riferivi, così tutti possono leggerlo e diffonderlo.
un gran bacio
franca
ATTENZIONE! LEGGETEVI, SE NON L'AVETE ANCORA FATTO, L'ARTICOLO DELLA DOTTORESSA GATTI PUBBLICATO SUL BLOG.

GRAZIE!

Nonostante non sia stato provato il nesso fra uranio impoverito e l'insorgere dei tumori nei militari all'estero, il capo di Stato dell'Esercito invoca assistenza ai malati. Il presidente della commissione parlamentare Menapace: «Sono lieta di questo riconoscimento ai soldati»

Non è stato provato il nesso certo tra l'uranio impoverito e l'insorgere di tumori nei militari italiani impegnati all'estero, che potrebbero essersi ammalati anche per altri fattori, come lo stress operativo e le condizioni ambientali; tuttavia bisogna cercare di garantire la causa di servizio a questi soldati, affinché possano permettersi l'assistenza necessaria. Lo ha detto il capo di Stato dell'Esercito, il generale Filiberto Cecchi. «È stato fatto molto lavoro, ci sono state commissioni d'inchiesta - ha detto Cecchi, nella conferenza stampa che ha seguito la presentazione del Rapporto Esercito 2006 - per cercare un nesso tra l'uranio impoverito e le patologie, ma questo nesso non è stato trovato. Di sicuro noi abbiamo fornito tutta la collaborazione che ci è stata chiesta, abbiamo consegnato tutti i dati e le informazioni, non c'é stata alcuna reticenza: siamo i primi a voler chiarire, perché vogliamo che i nostri militari siano tutelati al massimo».

«Piuttosto - ha aggiunto - allargherei il discorso a fattori diversi dall'uranio, che hanno un loro peso quando ci si trova in missione: la situazione ambientale, lo stress emotivo e operativo. E non solo. Sono fattori sempre presenti e che, anche per questo, potrebbero avere conseguenze sulla salute dei militari anche più dell'uranio». Secondo il generale, «dobbiamo tenerne conto prima di tutto con la prevenzione - e noi facciamo di tutto, sia per quanto riguarda le vaccinazioni, la bonifica delle aree, l'equipaggiamento e il vestiario - ma anche per quanto riguarda il sostegno, le cure, l'assistenza dei nostri soldati nel momento in cui vengono colpiti da patologie. Dobbiamo cercare di garantire a questi soldati il riconoscimento di una causa di servizio in modo da poter dare l'assistenza che spetta a tutti quelli che subiscono menomazioni durante l'attività lavorativa».

«Sono lieta che il generale Cecchi voglia riconoscere ai soldati malati per esposizione all'uranio impoverito la “causa di servizio” nonostante, secondo quanto ha detto, non ci sono prove di un collegamento diretto tra l'insorgere della malattia e l'esposizione». Il commento della senatrice Lidia Menapace (Prc), presidente della commissione d'inchiesta sull'uranio impoverito. «Comunque è proprio questo collegamento tra malattia e esposizione all'uranio che ci siamo impegnati a scoprire e rendere chiaro», ha aggiunto. «Confido che la commissione arrivi al più presto a un risultato e sono impegnata al suo raggiungimento con tutta l'urgenza che la situazione richiede».

20 aprile 2007

Argomento: 

URANIO, ANCORA UN DECESSO SIAMO ORA A 46 MILITARI MORTI!

 Questo comunicato, inviato a tutti i quotidiani, non è stato pubblicato. Vi pregiamo quindi di darne massima diffusione!

Grazie, la redazione

Giorgio Parlangeli faceva servizio a Udine, di origini pugliesi (Lecce), aveva scelto la vita militare perché il lavoro era “sicuro” e, se andava all’estero, poteva comprarsi anche la macchina.

Una storia dannatamente uguale a quella dei sui 45 colleghi che lo hanno preceduto nel calvario del cancro prima e nella morte poi, nel caso di Giorgio in ospedale a Milano. Sarebbe bello se, per questi ragazzi, ci fosse un riconoscimento almeno uguale a quello fatto dal Capo dello Stato ai tanti operai extracomunitari che muoiono nei nostri cantieri per mancanza di misure di sicurezza. Evidentemente i datori di lavoro dei militari italiani devono essere “trattati” in modo diverso e non possono essere messi sotto accusa. Non sappiamo se sono più deboli i costruttori che costringono le maestranze a lavori pericolosi oppure sono troppo forti i poteri della Difesa che possono permettersi il lusso di occultare direttive di tutela per i militari senza essere neanche indagati. Centinaia di ragazzi malati dimenticati da tutti.

Fino a qualche tempo fa i tanti ragazzi che avvertivano problemi alla tiroide venivano operati e tenuti in servizio, da quando l’Osservatorio ha denunciato questa situazione i militari vengono direttamente congedati senza scrupoli, in questo modo oltre a “scaricarli” con i loro problemi li lasciano anche senza lavoro.

Il tutto mentre la nuova commissione d’inchiesta stenta a decollare senza avere neanche le risorse economiche sufficienti. Il Direttivo dell’Osservatorio ha deliberato un appello tra i politici italiani e, nei prossimi giorni, sarà presentata una iniziativa che vedrà coinvolti tutti i politici di ogni schieramento che aderiranno, e che decideranno di stare dalla parte dei ragazzi, senza se e senza ma. Con la morte di Giorgio, i decessi sono saliti a 46 ed i malati sono 516, numerosi i casi di tiroide che, da qualche settimana, vengono congedati per evitare che i casi vengano conteggiati.

Una situazione divenuta insostenibile tra l’indifferenza di politici e militari.

Il Resp. Comparto Difesa

Domenico Leggiero

Argomento: 

LA GUERRA IN CASA

ricordiamo il numero di conto corrente per la sottoscrizione in favore delle vittime dell'Uranio Impoverito:
conto corrente postale n. 78931730 intestato a Franca Rame e Carlotta Nao
ABI 7601 - CAB 3200 Cin U
La redazione

articolo della Dott.ssa Antonietta Gatti, Laboratorio dei Biomateriali-
Dipartimento di Neuroscienze Università di Modena e Reggio Emilia
 
Nel 2002 la comunità europea finanziò un progetto chiamato Nanopathology, un neologismo che portava in sé la discussione di un problema non ancora avvertito, forse addirittura ignorato del tutto, vale a dire l’impatto che polveri di dimensioni piccolissime, fino a poche decine di milionesimi di millimetro, possono avere sulla salute umana. Nell’ambito di quel progetto si sviluppò una tecnica nuova di microscopia elettronica che consentiva d’individuare quelle polveri all’interno di tessuti malati prelevati dal paziente e di determinarne forma, dimensione e chimica elementare. Con questa metodica si sono analizzati moltissimi campioni prelevati da soggetti colpiti da patologie come varie forme di cancro, leucemie, linfomi: tutte malattie di origine ignota ma che, da queste nuove osservazioni, parevano avere spesso in comune la presenza di polveri inorganiche. Nel 2002 esplose vistosa anche in Italia, fra i nostri soldati impegnati in quella che era stata la Jugoslavia, la cosiddetta “sindrome dei Balcani”, un insieme di sintomi, spesso gravi, apparentemente assai difficili da correlare. A quel tempo i mass media indicavano nell'uranio impoverito, certamente tossico e blandamente radioattivo, usato per costruire bombe, il possibile responsabile. Nascevano quindi associazioni che chiedevano, e tuttora chiedono a gran voce, la sua eliminazione come mezzo di distruzione. 
 

 
 
A quel tempo diverse domande si potevano porre, domande che, però, nessuno pensò di proporre: se è  l'Uranio impoverito a causare queste patologie, come mai non si ammala anche chi passa la giornata a lavorare al tornio la punta d'uranio delle bombe? E poi, come fa un materiale debolmente radioattivo a causare patologie di organi non raggiungibili dalla debole radioattività? Ancora, come mai lo stesso materiale provoca alcune volte tiroiditi, altre leucemie, altre volte ancora diverse forme di cancro? E come mai si ammalano anche alcuni soldati nei poligoni di tiro dove, però, non si spara Uranio impoverito? E continuando, come mai esistono patologie simili fra persone (civili) che non sono mai andate in guerra? Perché scomodare inneschi diversi per patologie simili, ad esempio, cancro? 
 
Nel dibattere quei quesiti, pensai che se era l'Uranio impoverito, con la sua pur modesta radioattività, a causare i problemi di salute, questo doveva necessariamente trovarsi nei tessuti patologici. 
 
Cominciai allora ad analizzare alcuni tessuti di soldati ammalati o deceduti dopo la malattia che li aveva colpiti al ritorno dalle loro missioni. 
 
Nei 42 casi esaminati di campioni di soldati (alcuni deceduti, altri ammalati e poi guariti), non mi accadde mai di trovare l'Uranio impoverito, ma qualcosa, a mio avviso, di più pericoloso: l'inquinamento bellico. 
 
Che cosa significa? Quando bombe come quelle all'Uranio impoverito o al Tungsteno esplodono contro un bersaglio, sviluppano temperature molto elevate: più di 3000°C per l’Uranio, un dato che trovai in un rapporto redatto dalla base militare statunitense di Eglin, Florida, nel 1978, assai di più per il Tungsteno.  
 
A queste temperature, tutto quanto si trova nell'intorno del punto di scoppio, viene fuso e vaporizzato. Si forma così un aerosol che viene disperso finemente in atmosfera, in ogni direzione. 
 
Questa polvere finissima contiene tutti gli elementi che si trovavano all'interno dell'esplosione, però ricombinati in un modo che può essere anche completamente diverso da quello originale. Ad esempio, se si è colpito un carro armato, tutti gli elementi chimici che in questo erano presenti vengono fusi e ridotti a polvere finissima. I soldati si trovano in zone distrutte, devastate, dove, però, aleggia ancora questa polvere che non viene mai misurata e che può restare sospesa per tempi lunghissimi.
 
Una volta creato questo inquinamento, chimicamente e fisicamente impossibile da eliminare, non abbiamo strumenti per prevedere quando si depositerà al suolo e nemmeno dove lo farà, ma, una volta depositato sul terreno trasportato da pioggia e neve, basterà un minimo soffio di vento per risospenderlo di nuovo. In pratica, il comportamento di queste polveri è molto simile a quello di un gas e, dunque, come un gas vengono inalate ed entrano nei polmoni per uscirne entro poche decine di secondi e finire nel sangue.  
 
Al momento, per loro non sono stati individuati meccanismi di eliminazione. Le barriere fisiologiche, compresa quella ematoencefalica che protegge il cervello, non riescono a trattenerle e a sbarrarne il cammino. 

Dunque, trasportate dal sangue, queste particelle finiscono in ogni organo o tessuto, dove sono trattate come corpi estranei e dove, per questo, danno luogo a forme infiammatorie croniche che hanno la possibilità, senza che questa costituisca una matematica certezza ma resta confinato alla probabilità, di trasformarsi in tessuti tumorali. Dato, poi, che queste polveri contengono pure tanti elementi chimici diversi, è ovvio che alcuni di loro, l’Arsenico, il Mercurio, il Piombo, ad esempio, saranno tossici per loro stessa natura e questa tossicità sarà ovviamente espletata a carico dell’organismo. 
 
Corpi estranei di dimensioni così ridotte possono contaminare anche lo sperma, i cui campioni analizzati provenienti anche da alcuni soldati deceduti hanno mostrato queste presenze estranee che possono esercitare una tossicità locale sugli spermatozoi. 
 
Ma la cosa più sorprendente che si è dovuta constatare è che, donando il seme alla partner, questa ne resta contaminata e sviluppa a livello vaginale piaghe sanguinanti molto dolorose, ribelli ad ogni trattamento farmacologico o chirurgico, una patologia nuova denominata “malattia del seme urente”. 
 
Quindi, si deve constatare che l'inquinamento creato da bombe sofisticate, oltre ad essere inalato o ingerito mangiando, ad esempio, vegetali cresciuti nelle zone colpite, può essere "assimilato" e , ritornando a casa,  trasferito alla partner, contaminandola. La malattia brevemente descritta trova la sua spiegazione se si considera che detriti essenzialmente metallici (Cobalto, Antimonio-Cobalto, Acciai, Piombo, ecc.) di dimensioni al di sotto del micron, a contatto con la mucosa vaginale e uterina, per la loro non biocompatibilità, inducono bruciori, infiammazioni e, nei casi più gravi, anche necrosi cellulare. 
 
Occorre poi considerare che, mentre nel soldato la concentrazione di particelle nello sperma diminuisce ad ogni eiaculazione, la partner le accumula e si contamina sempre di più. La difesa americana consigliava ai propri soldati di non procreare per un anno (ora sembra che il consiglio sia esteso a 3 anni) dopo il ritorno dalla missione. Questa precauzione, tuttavia, non risolve il problema, poiché, se il seme contaminato rimane in situ, ha la possibilità di estrinsecare la sua tossicità sia sugli spermatozoi sia sui tessuti circostanti, mentre se viene donato, il paziente se ne libera ma contamina la partner. Un'eventuale fertilizzazione, poi, avverrebbe in un sito contaminato e non si può assicurare che l'embrione risulti sano.  
 
La cosa più sicura e consigliabile è, allora, evitare contatti con quello sperma usando un preservativo. 
 
Questa precauzione deve essere suggerita subito, perché non deve essere consentito di portare la guerra in casa senza che il padrone di quella casa ne sia consapevole e conceda la propria autorizzazione.
 

 
 

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URANIO IMPOVERITO - L'Osservatorio Militare risponde agli insulti nei miei confroti

Cara Franca,
permettici la confidenza, abbiamo letto la mail che è arrivata al tuo sito intitolata “vergogna”, ti chiediamo perdono.Non conosciamo chi, senza sapere, conoscere o capire, si nasconde dietro l’anonimato ed offende la dignità dei nostri ragazzi e chi la difende senza se e senza ma.Sei stata il primo politico che si ha assunto le proprie responsabilità in pubblico senza paura di essere parte della maggioranza che regge il Governo attuale, con l’orgoglio di madre ferita con la rabbia di donna di pace.L’individuo che ha scritto queste infamie, forse non sa che la forza della ragione e della giustizia non hanno colore, non hanno ideologie.Gli affamati di demagogia politica hanno portato il nostro Paese a dimenticare quei ragazzi che si sacrificano per un ideale, giusto o sbagliato che sia. Questi hanno la necessità di sapere che il loro sacrificio non sia stato vano e che non vengano dimenticati da nessuno, né di sinistra, né di destra.
Perdona questa persona, non sa quel che dice, non si rende conto di quel che hai saputo fare e di quel che hai dato ai tanti ragazzi morti o che soffrono per una malattia che poche volte lascia scampo.Forse colui o colei che ha scritto non sa che hai aiutato personalmente questi ragazzi senza chiedergli la loro idea politica o decidere se aiutarli solo in base al loro colore di pelle.Hai fatto una cosa magnifica: hai deciso di non dimenticare ed è per questo motivo, che ti ringraziamo ancora una volta ritenendoci orgogliosi di averti conosciuta.Se non ci fossero persone come quelle che ti hanno scritto queste cattiverie, non esisteremmo noi con i nostri problemi.Ti prego, non abbandonarci e non lasciare che queste persone possano procurarti una sofferenza maggiore della gioia che ti abbiamo visto provare nell’aiutare ragazzi e famiglie dimenticate.
Il Direttivo dell’Osservatorio Militare, le famiglie dei ragazzi deceduti e tanti militari che ancora oggi soffrono.
Cosimo Tartaglia, Domenico Leggiero, Sergio Zini, Freda Barsali, Luca, Corrado, Andrea, Givanni, Eddy, Antonio, ecc.

By Domenico Leggiero at Dom, 2007-04-01 11:30 | elimina | modifica | rispondi

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