15 16 marzo - 'Umore di donna', tratto da 'Grasso e bello' e altre ... - PUGLIALIVE.NET

15 16 marzo - 'Umore di donna', tratto da 'Grasso e bello' e altre ... - PUGLIALIVE.NET - 14 mar 2008 - Una scuola di teatro che ha reso ineguagliabile uno stile e una capacità di satira coinvolgente e fulminante come quella di Dario Fo e Franca Rame, ...


Candidatura per matrimonio con rampollo di casa Berlusconi

Cari Amici,
perchè non unirsi all'iniziativa? scrivete a  [email protected] inviando il vostro curriculum! redazione
Egregio Presidente Berlusconi,
proprio mentre meditavo sul mio futuro lavorativo e sulle incertezze della precarietà è arrivata la Sua magnifica proposta! Sono anni che mi interrogo sul mio avvenire, come riuscirò ad acquistare una casa e a fare una famiglia, senza sobbarcarmi un mutuo ventennale per acquistare un'auto, da accumulare a quello della topaia che potrò permettermi, arrivando alla quarta della settimana del mese cibandomi di pasta all'olio.
Finalmente, l'illuminazione.
 
Trovo davvero generoso da parte del terzo uomo più ricco d'Italia mettere a disposizione i propri figli per risolvere tutti questi affanni in un batter d'occhio!
 
Ho quindi deciso di non perdere tempo e candidarmi ad essere impalmata da uno dei Suoi discendenti.
 
Ho 27 anni, laureata, bella presenza, sorriso da film americano, carattere estroverso e gentile. Ottimo pedegree: la mia famiglia è da sempre collocata politicamente a destra, addirittura un nonno partito volontario per El-Alamein! Parlo fluentemente due lingue, lavo, stiro, cucino.
 
Le confesso, egregio Presidente, di aver avuto qualche titubanza inziale: con quale orgoglio e rispetto di sè una donna potrebbe mai rinunciare ai diritti faticosamente conquistati dalle lotte femministe, alla propria indipendenza e alla propria identità, per diventare concubina di un miliardario? 
 
Ma se questa è l'unica soluzione possibile per il precariato femminile è inutile stare a spaccare il capello in quattro: non c'è problema che l'American Express platinum di un rampollo miliardario non possa risolvere!
 
La ringrazio per avermi offerto la possibilità  di non  far parte di quel 20% di donne che dopo il primo figlio esce defibitivamente dal mercato del lavoro, o della grande quantità di manager capaci che rimangono al palo economicamente e nella propria carriera lavorativa, che quotidianamente combattono in trincea per essere trattate al pari dei colleghi uomini.
 
Mi auguro quindi che vorrà valutare positivamente il mio profilo.
 
In attesa di Suo cortese cenno di riscontro, porgo i più cordiali saluti
 
carlotta nao


Ritorno a Fallujah

Tre anni dopo il devastante attacco degli Stati Uniti il nostro corrispondente è entrato nella città irachena sotto assedio, trovandola senza acqua pulita, corrente elettrica e medicine.

8 febbraio 2008 - Patrick Cockburn
Fonte: Indipendent on-line - http://www.independent.co.uk - 28 gennaio 2008, e 
 Associazione PeaceLink. Tradotto da Annamaria Arlotto

E' più difficile entrare a Fallujah che in qualsiasi altra città del mondo. Per la strada proveniente da Bagdad ho contato 27 posti di blocco, tutti sorvegliati da soldati e poliziotti ben armati . "L'assedio è totale" dice, scuro in volto, il dott. Kamal all'ospedale di Fallujah, mentre stila la lista di ciò che gli occorrerebbe, che comprende di tutto, dalle medicine all'ossigeno e dall'elettricità all'acqua pulita.
L'ultima volta che tentai di entrare a Fallujah in macchina, diversi anni fa, rimasi coinvolto nell'imboscata ad un convoglio americano che trasportava carburante, e dovetti uscire dall'auto a carponi e sdraiarmi sul ciglio della strada insieme all'autista, mentre tra soldati americani e guerriglieri si era aperto il fuoco. La strada adesso è molto più sicura ma a nessuno è concesso di entrare a Fallujah fuorché ai residenti in grado di comprovare che vivono là mediante documenti d'identità dettagliati. La città è isolata dal novembre del 2004, quando i Marines americani vi irruppero con un attacco che l'ha lasciata per la maggior parte in rovina.
Le strade, con i muri butterati dai segni delle pallottole e con gli edifici ridotti ad un cumulo di lastre di cemento, appaiono ancora come se il combattimento fosse cessato da poche settimane.
Sono andato a vedere il vecchio ponte sull'Eufrate dalle cui travi d'acciaio i falluiani avevano impiccato i corpi bruciati di due guardie private americane addette alla sicurezza, uccise dai guerriglieri - l'incidente che fu la scintilla che provocò la prima battaglia di Fallujah. Il ponte, a corsia unica, c'è ancora ed è sovrastato dalle rovine di un edificio bombardato o colpito da granate, il cui tetto, in frantumi, si allunga sulla strada mentre una rete di ferro arrugginita tiene insieme lastroni di cemento.
Il capo della polizia di Fallujah, il colonnello Feisal Ismail Hassan al-Zubai, ha cercato di far vedere che la sua città sta facendo progressi.
Mentre guardavamo il ponte una piccola folla si è radunata . Un anziano col cappotto marrone ha strillato: "non abbiamo l'elettricità, non abbiamo l'acqua!"
Altri hanno confermato che a Fallujah la corrente elettrica c'è per un'ora al giorno. Il colonnello Feisal ha detto che non poteva far molto riguardo ad acqua ed elettricità, ma ha promesso ad un uomo di togliere lo sbarramento fatto col filo metallico davanti al suo ristorante.
Fallujah se la passa forse meglio di prima, ma di strada da fare ne rimane tanta. I medici dell'ospedale confermano che sono diminuiti gli arrivi di vittime di sparatorie o esplosioni di bombe da quando il Movimento Awakening ha espluso al-Qa'ida dalla città negli ultimi sei mesi, ma la gente cammina ancora con cautela per le strade, come se si aspettasse che da un momento all'altro una sparatoria abbia inizio.
Il colonnello Feisal, un ex ufficiale delle Forze Speciali di Saddam Hussein, ammette gioiosamente che prima di essere a capo della polizia "combatteva gli americani". Suo fratello Abu Marouf, un tempo al comando della guerriglia, controlla 13.000 combattenti del Movimento anti al-Qa'ida Awakening, dentro e attorno a Fallujah. Il colonnello ha precisato che le strade di Fallujah non sono proprio sicure, ma il suo convoglio marcia veloce ed è condotto da un poliziotto con il volto coperto da un passamontagna bianca, che da sopra il veicolo e con in mano il fucile intima ai veicoli in arrivo di togliersi di mezzo gesticolando in modo frenetico.
Il commissariato di polizia è un locale ampio e protetto da barriere fatte con cemento e terra. Appena raggiunto il cortile interno abbiamo visto dei cartelli che dicevano che se la battaglia contro al-Qa'ida era finita non li erano però gli arresti. Da un'altra parte del commissariato è apparsa una fila di venti prigionieri, ognuno con gli occhi coperti da una benda bianca e aggrappato ai vestiti del prigioniero davanti. Quei prigionieri mi hanno ricordato le fotografie degli uomini che furono accecati dal gas durante la Prima Guerra Mondiale e che arrancavano dietro un uomo che invece ci vedeva e che era, in quel caso, un secondino della prigione.
Ci sono edifici nuovi sulla via principale. A mangiare andavo in un locale che fa kebab che si chiamava HajiHussein ed era uno dei migliori in Iraq. Ma col perdurare dell'occupazione ho cominciato ad attirare sguardi ostili, e il proprietario mi ha consigliato di mangiare al piano di sopra, in una stanza vuota, per sicurezza; poco dopo il locale è stato distrutto da una bomba americana. Adesso è stato ricostruito e dipinto con colori sgargianti, e sembra che gli affari vadano bene.
Un tempo Fallujah contava 600.000 abitanti: nessuno degli ufficiali in città sembra essere a conoscenza del numero attuale. Il colonnello Feisal è speranzoso riguardo agli investimenti e ci ha portato a vedere un nuovo edificio bianco chiamato Fallujah Business Development Centre, finanziato in parte da una divisione dello US State Department . Alcuni soldati americani alti stavano presidiando una conferenza sullo sviluppo economico. "Ha attratto un investitore americano finora" mi ha detto un consulente americano in divisa, con tono di speranza. "Io sono Sarah e mi occupo di interventi psicologici" mi ha detto un'altra funzionaria statunitense, che ci ha mostrato tutta fiera la nuova Radio Fallujah che aveva appena preso il via.
Dall'altra parte della città abbiamo attraversato il ponte di ferro costruito intorno al 1930 , che rappresenta adesso l'unico collegamento con l'altra sponda dell'Eufrate. Esiste un ponte moderno mezzo miglio in giù sul fiume ma l'esercito americano se ne è impossessato e lo usa, a sentire la gente del posto, come parcheggio per i veicoli. Dall'altra parte del ponte, passate le file di alti giunchi dove coloro che scappavano dalla città durante gli assedi del 2004 provavano a nascondersi, c'è un edificio sventrato dalle bombe dal lato della strada. Dall'altro c'è l'ospedale i cui dirigenti sono stati accusati dai comandanti americani di gonfiare sistematicamente il numero delle vittime del bombardamento americano.
Quando ho domandato cosa manca all'ospedale il dott. Kamal mi ha risposto: "medicine, combustibile, elettricità, generatori di corrente, un sistema per il trattamento delle acque, ossigeno e attrezzatura medica." Difficile non pensare che l'aiuto americano sarebbe stato meglio diretto verso l'ospedale anziché il centro per lo sviluppo economico...
Il colonnello Feisal ha detto che le cose stavano andando meglio, ma intanto era accerchiato da donne vestite di nero che gridavano che i loro bambini non erano stati curati.
"Ogni giorno 20 bambini muoiono qua" , ha detto una di loro, "Sette proprio in questa stanza."
I medici hanno detto che si prendono cura dei loro pazienti meglio che possono. "Gli americani non ci procurano nulla" ha detto una madre che cullava un bambino, "portano solo distruzione".

Note:
Tradotto da Annamaria Arlotta per www.peacelink.it


Lettera a Franca Rame - di Delia Gambelli

Leggendo le lettere recenti pubblicate da Franca Rame, non si può non ripensare al complesso della sua avventura in Senato. E non si può non rimanere impressionati dalla passione politica che ha animato tutta la sua attività.
In un paese in cui ogni giorno i cittadini devono subire lo spettacolo ignominioso e devastante di molti parlamentari spudoratamente interessati solo alla conquista di un potere personale e alla gestione della cosa pubblica come investimento privato, la passione di Franca Rame è un esempio luminoso e confortante. Perché è ispirato inconfutabilmente da un interesse per gli altri e dal desiderio di impegnarsi per aiutare la gente, per cercare di migliorare la situazione di chi più soffre. Da sempre ho ammirato la capacità rarissima di Franca di intervenire nel quotidiano, nel concreto, nel vissuto. Credo che sia questa la differenza con tanti politici che hanno perso ogni contatto con il mondo reale, perché vivono blindati sotto campane di vetro, nei quartieri privilegiati, con macchine e autisti per gli spostamenti, senza mai aver provato le difficoltà di arrivare con lo stipendio alla fine del mese.Penso invece che coloro che intraprendono una carriera politica o amministrativa ad alti livelli dovrebbero firmare una carta che li impegni ad abitare nelle periferie, non al centro, a prendere i mezzi pubblici (magari insieme alle loro guardie private), e a dare in enti di beneficenza o, meglio, in organismi di ricerca, quella parte di stipendio che ecceda i 5000 euro al mese. Una somma che io, come tanti altri Italiani, in una vita di lavoro accanito e duro non vedrò mai!
Come potrebbero non perdere i contatti con il mondo reale persone che godono di tanti privilegi e di condizioni assolutamente diverse da quelle della maggior parte dei cittadini?
Franca Rame ha avuto una carriera straordinaria, ma ha cominciato dalla gavetta, ha pagato un duro prezzo, niente le è mai stato regalato; è stata sempre un modello di onestà; non ha goduto di nessun privilegio. E soprattutto è stata sempre pronta a tirarsi su le maniche, a scendere in piazza e , meglio ancora, ad affrontare direttamente concretamente le questioni. Forse è stato il suo talento teatrale a portarla spontaneamente a identificarsi con tante persone. Ma la caratteristica di Franca è che si identifica sempre e soltanto con i deboli, con chi non ha voce per difendersi o non ne ha i mezzi.
Spero che l’esperienza di Franca Rame in Parlamento possa ripetersi, anche perché Franca è una persona estremamente intelligente a cui non manca la prima caratteristica di ogni vera intelligenza: l’umiltà, la consapevolezza che non si finisce mai di imparare, e che proprio da eventuali errori si possono trarre le risorse per progredire. Abbiamo bisogno di persone splendide e umili come Franca; di persone che non si credono perfette, che prestano davvero attenzione e ascolto, che hanno il desiderio profondo di imparare a essere utili agli altri, perché hanno capito che lì è il senso ultimo della scelta di scendere in politica.
Delia Gambelli


A FUTURA MEMORIA, di Mimmo Grasso

In questo blog ho avuto alcune volte l’occasione di ripetere, quasi a rinforzare i miei stessi neuroni, l’ “assioma” di Dario Fo “Siamo fatti di memoria”. Questo concetto il filosofo Aldo Masullo lo esprime con “paticità”, che potremmo rendere in italiano corrente come “vissuto”, vale a dire qualcosa che, anche se cerchiamo di dimenticarlo, funziona come una spina sotto la pelle. La lingua napoletana, in merito, per quanto sia una lingua poco adatta a esprimere concetti di filosofia e di teoresi, ha una locuzione molto densa: ‘o ppassato, inteso sia come “il passato” (e magari potete vedere anche un signore che è passato poco fa con in mano un po’ di briciole per i passeri) sia come “ciò che è stato patuto”, sofferto, “trasportato sotto” (sub-ferre). “Siamo fatti di memoria” è una locuzione estensibile certamente anche al nostro sangue, al nostro sistema immunitario che “ricordano” come comportarsi se quel virus entra di nuovo in circuito. Qui, tuttavia, non stiamo indicando un meccanismo o un’operazione “stimolo-risposta” o, almeno, non solo: la memoria è la più grande, per intensità ed estensione, facoltà umana. In termini pratici, di funzione d ‘uso, serve spesso per prevedere comportamenti. Dunque la memoria è un fatto sia biologico che intellettivo e sociale, tant’ è che moltissimo tempo fa c’era l’usanza di “abolire la memoria” di qualcuno indesiderato (in sostanza si distruggevano tutti gli atti pubblici e i documenti che lo riguardavano). Ma come ci vengono in mente questi ghirigori? Ricordiamoci di aver pazienza. Molte volte parliamo di “memorie & memoria”, dedichiamo ad essa giornate ad hoc e cerchiamo, come Foscolo nel suo famosissimo poema, di trarre gli auspici dal passato per quanto la nostra sia un’aruspicina più adatta a leggere il fegato (che ci fa male ora come non mai) che il volo degli uccelli. Si fa ricorso alla memoria quando si cerca la  possibilità di rimodulare il nostro vissuto perché sentiamo la distanza “è/dovrebbe essere”, soprattutto tra la vita politica e quella di tutti i giorni; questo perché tra “è” e “dovrebbe essere” c’è un lungo ponte interrotto. Questo ponte sono i valori che ogni generazione, pietra su pietra, ha portato, soffrendo,” patendo”, sulle proprie spalle. Ed ecco allora una bella occasione di riflessione e di interiorizzazione (“paticità”) delle cose qui accennate. Tra i libri che mi sono giunti per questa rubrica aperiodica, segnalo ai lettori “Vento del Sud – Gli antifascisti meridionali nella guerra di Spagna (ed. Istituto Ugo Arcuri, Reggio Calabria), che costituisce la più ampia ricerca finora pubblicata sugli italiani del Sud che si schierarono al fianco dei repubblicani spagnoli durante la guerra civile del 1936-39. Gli autori sono due giovanissime: Ilaria Poerio, mediatrice di pace, che ha percorso i luoghi di guerra ed è attualmente in Vietnam, e Giovanna Sapere, giornalista ed esperta di protezione dell’ambiente. Chi erano  gli italiani andati in Spagna?  Giovanissimi, di varia estrazione sia sociale che culturale o politica, decisero di partire per il  fronte spagnolo sacrificando la propria gioventù. Dovevano, evidentemente, sentirsi molto male durante il fascismo.  Ecco: questo (è un valore che la nostra memoria non dimentica e che pone immediatamente un’altra domanda: fu utile? Si sarebbero aspettati, questi ragazzi, il saccheggio dell’Italia di oggi, dove lo Stato è un affare privato? Sarà il caso di promuovere un’ Etica dello Stato e della società sulla base dei valori di quei giovani? La linea di pietre che mettiamo noi è, almeno, diritta, in sequenza con la loro (ammesso che mettiamo pietre e non, invece, tendiamo a toglierle, ad abolire la memoria)? E’ una valutazione che lascio a chi legge. Nel libro , evidente sintesi di qualche quintale di documenti, si parla con estrema chiarezza di cosa ha rappresentato la guerra di Spagna: un tentativo, da parte delle “Brigate Internazionali” di arginare , in luoghi strategici, l’espansione della dittatura e, nel contempo, il luogo della battaglia per le libertà (quelle vere, non quelle da sigla e da marketing) che, in Italia, erano impossibili. Gli italiani che parteciparono alla guerra civile spagnola, censiti, furono oltre 4.000:: un dato interessante considerando sia il periodo che le difficoltà di “fuoriuscire” essendo ,come si sa, tutti schedati, sia che fossero a favore che contro il regime. Una curiosità: spesso diciamo “il noto critico”, “il noto tal dei tali” ; durante il fascismo se si diceva  o scriveva  “il noto tizio Caio”  si intendeva  “è noto perché schedato, lo conosciamo bene”. La gran parte degli italiani appartenenti alle “Brigate Internazionali” sono restati anonimi ai loro compatrioti e questo libro è un atto di giustizia storica oltre che di saper fare storia. Esso, infatti, si ispira, quanto al metodo, alla scuola di pensiero storiografico degli anni settanta che inizia a rivolgere il suo sguardo non più alle linee dominanti ma ai senza storia, individualmente, persona per persona, cellule per cellula, ricostruendone i relativi “mondi”, i vissuti. E’, appunto questa la storia non scritta ma è anche  quella che rimane nella nostra memoria sotto forma di “patimento”, di indicibile e dunque inscrivibile. Chi fossero questi giovani, quali idee coltivassero, quale fosse il loro ambiente umano, lo si rileva attraverso le lettere di polizia che, se da un lato, per la loro asetticità e lo stile di rapporto, eliminano le persone (ridotte appunto ad oggetti) dall’altro le elevano a uno spessore poematico. Si ha, talvolta, l’impressione di leggere storie di storie intrecciate che seguirono l’epopea di Macondo, dove un personaggio secondario o apparso una sola volta in “Cent’anni di solitudine” diventa il protagonista di un altro romanzo . A fronte di tanti pregiudizi sul Sud, questo lavoro dimostra -per chi ne avesse dubbi-  che l’antifascismo non fu un fenomeno o una faccenda privata del Nord (che peraltro lo creò). Prima che una storia di eventi di fatti o atti,  “Vento del Sud” è una storia di persone.Invito gli amici del blog,per condividere il senso di quanto detto, a guardare con attenzione e a lungo  i volti dei protagonisti sopravvissuti di molte battaglie sul campo ed ideali, sentire il loro “vissuto” di cicatrici, fino a giungere agli occhi, luminosissimi,  delle due autrici  del libro, in un ponte di sguardi taciuti perché la il futuro non sia postumo e la memoria a futura memoria.


Ma in Messico, che ci fa Bella Ciao con la Coca?

(di Fabrizio Lorusso)

 Cosa direste se, tanto per fare un esempio, l’inno nazionale italiano o la marsigliese venissero storpiati e poi utilizzati per pubblicizzare in televisione un prodotto di una nota multinazionale americana, non propriamente tra le più nobili e apprezzate nel mondo? Bene, forse ad alcuni l’iniziativa farebbe semplicemente sorridere mentre per altri risulterebbe un terribile insulto o uno scherzo di cattivo gusto.

Qualcosa di simile sta succedendo in Messico con il nuovo spot di una bibita energetica, venduta anche in Italia, che risponde al nome di Aquarius e che sta diffondendo candidamente in TV la musica e le parole della nostra “Bella Ciao!” in versione ska – punk. Su numerosi blog e forum on-line in lingua spagnola, gruppi di entusiasti adolescenti e video ammiratori, quelli che si dedicano a votare su Internet le “reclame più belle dell’anno”, si sfidano per indovinare il titolo della canzone e poterla possedere scaricandola, “alguien sabe el titulo de la cancion del espot? La quiero…”. Intanto altri tristemente rispondono con un pizzico di compiacimento che sì, sanno tutto di lei, “se llama Bela Chau!, la publicidad es genial”. Poco geniale e divertente sembrerà a chi ancora ricorda e conosce il significato della resistenza, delle sue lotte, i suoi caduti e i suoi simboli. Una proposta promozionale che sarebbe stata improbabile e scandalosa in Italia, in terra azteca sta aprendo mercati senza grandi opposizioni e senza una dovuta opera di controinformazione in proposito.
Il bombardamento mediatico dello spot sta trasformando la nota canzone partigiana, memoria di avvenimenti lontani ma vivi, in un anonimo balletto da spiaggia, successo dell’estate consumabile sotto il sole del tropico come fosse un soft drink amaro e banale. Il problema è che, sebbene non si tratti formalmente di un inno nazionale, la canzone ha assunto nel tempo un ruolo simbolico e affettivo fondamentale per la memoria storica italiana e non solo. In tutta l’America Latina da tempo si ascoltano e si ballano le sue note in italiano e anche nella versione tradotta all’inglese la quale riesce, in qualche modo, a servirsi della “lingua globale” per scavalcare ermetiche frontiere, guadare fiumi militarizzati e varcare muri artificiali e ideologici.
I valori di libertà e speranza che il testo e la musica di Bella Ciao! rappresentano sono, ancora oggi, un baluardo contro tutte le repressioni e le tirannie da cui questa fetta di mondo è stata costantemente minacciata. Già di per sé, l’appropriazione di una melodia popolare per finalità di lucro appare come una scelta discutibile visto che promuove lo sfruttamento di un patrimonio collettivo per un puro e semplice guadagno privato. Ma in questo caso, inoltre, non si possono trascurare i protagonisti di questa sgradevole storia pubblicitaria: da un lato abbiamo la sottomarca Aquarius della Coca-Cola Company la quale, dopo essere diventata fieramente il baluardo di un modello consumista spinto al massimo in tutti gli angoli del globo, sta cercando di ripulire la sua immagine sbandierando una presunta responsabilità sociale, tutta da costruire, nei paesi in cui opera, nonostante le sue condotte siano state, in passato, alquanto discutibili e tendenzialmente monopolistiche; dall’altro c’è la canzone della resistenza partigiana contro l’occupazione nazi – fascista degli ultimi tragici anni del Secondo Conflitto Mondiale in Italia.
L’uso commerciale delle tracce insostituibili della memoria collettiva mondiale è, in fondo, una pratica radicata, una tentazione facile per il marketing soprattutto ora che, con la globalizzazione dell’economia e la rivoluzione nelle telecomunicazioni, servono ed urgono dei modelli interculturali cui attingere e, perché no, dei nomi e dei simboli da trasformare in marche.
Alcune di queste forse, una volta, erano il patrimonio di qualche popolo o cultura locale, e racchiudevano una porzione di un mondo ormai dimenticato. Oppure sintetizzavano cosmovisioni che vengono oggi vituperate nell’ambito di una cultura a senso unico e diventano, quindi, molto più facili da sfruttare e omologare per altri fini, come se fossero degli asset gratuiti pronti per l’uso col minimo sforzo: l’economicità dell’operazione è servita.
La reazione della società civile in Messico è stata, per ora, irrilevante e l’incarico di diffondere l’informazione su Bella Ciao!, i suoi significati e l’uso indebito che se ne sta facendo, è stato rilevato da alcuni gruppi organizzati di italiani all’estero come il collettivo AlterIta che sta organizzando piccoli incontri e raccogliendo le firme affinché tutti possano manifestare il proprio dissenso attraverso il suo blog all’indirizzo http://alteritamessico.blogspot.com/. Si stanno anche raccogliendo tra intellettuali, sindacalisti, accademici e personalità di spicco le adesioni a un comunicato stampa che verrà presto diffuso nei media messicani e italiani con il fine di non dimenticare e semplicemente lasciar perdere come spesso accade quando l’apatia conquista i cuori e la memoria.

Da Franca per Luigi Fusi

Caro Luigi,
per cortesia ti diffido dall'usare il mio nome legato al blog per iniziative che sono soltanto tue, come quella contro il Ministro D'Alema al'indirizzo:
http://www.firmiamo.it/tuttiinsiemeloverbalizziamosecedalemanoinonvotiamo
Spero che ti sia chiara la mia presa di distanza e sufficiente a farti desistere dal ripetersi di simili spiacevoli inconvenienti e/o sorprese.
Ti saluto
Franca


Per Luigi Fusi da Redazione 2

Caro Luigi,
Mi dispiace, ma così proprio non ci siamo! Una settimana fa sei stato pregato di limitarti, contenerti nei post, rispettare anche gli altri. Nessun effetto. In ogni angolo post lunghi, ripetitivi, che impediscono la lettura dei commenti da parte degli utenti. Senza contare l’aggressione verso Gargantua.
Mi dispiace, sono davvero in molti a non riuscire a frequentare le discussioni del blog a causa della tua verbosità. Riflettici su.
Di nuovo ti prego di contenerti, la sintesi è un dono!
Diversamente, saremo costretti a porre rimedio.
redazione

Il diritto alla verità e il dovere alla giustizia

di Tana de Zulueta
La guerra al terrorismo internazionale ha sdoganato pratiche di violazione dei diritti umani senza precedenti come le “extraordinary renditions”, ossia i trasferimenti illegali da parte della CIA di persone sospettate di terrorismo verso paesi dove quest’ultime diventano vittime di detenzione segreta, sparizioni e torture. Queste pratiche sono state giustamente definite dal prestigioso ‘Center for Constitutional Rights’ americano come una sorta di ’outsourcing’ della tortura.
Centinaia di persone, mai formalmente accusate né processate sono rimaste vittime di quella che è stata soprannominata la “ragnatela” dei voli segreti della Cia. L’Italia, purtroppo,  non risulta affatto estranea a questo sistema.  Mi riferisco alla vicenda dell’imam egiziano Abu Omar sequestrato a Milano il 17 febbraio 2003. La complicità del nostro paese, come quella di altri paesi europei, è stata denunciata in documenti delle organizzazioni per i diritti umani, nel rapporto del relatore dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, Dick Marty e nel rapporto della commissione ad hoc del Parlamento europeo che ha indagato sui voli e sulle carceri Cia presieduta dall’ europarlamentare Claudio Fava. Nonostante i ripetuti appelli rivolti al governo italiano, affinché collaborasse con la magistratura milanese per fare piena luce sulla vicenda Abu Omar, il Consiglio dei Ministri nel febbraio 2007 ha sollevato un conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale che ha di fatto bloccato il processo che vede imputati 26 agenti della Cia e sette funzionari italiani. Claudio Fava con un nuovo appello chiede il nostro sostegno per ripristinare “il diritto alla verità e il dovere alla giustizia”.
Appello
 
Il 12 marzo si riaprirà a Milano il processo per il sequestro di Abu Omar che vede imputati ventisei agenti statunitensi della CIA e sette funzionari italiani del SISMI. Senza voler anticipare le decisioni che assumerà il Tribunale e senza entrare nel merito della vicenda processuale, i firmatari di questo documento chiedono che questo processo si celebri, che venga risolto il conflitto di poteri che lo ha de facto paralizzato, che si riaffermi il principio di eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge.
La gravità dei fatti oggetto delle imputazioni è tale da rendere necessaria una risposta rapida e la più seria valutazione da parte dell’autorità giudiziaria, alla quale spetta e deve spettare - in uno Stato di diritto - il compito di fare chiarezza sulle violazioni della legalità e di fondamentali diritti dell’uomo. In questo spirito chiediamo a tutti i cittadini e alle loro rappresentanze civili di non distogliere lo sguardo da ciò che accadrà a Milano, esercitando la stessa funzione di presidio democratico che questo paese seppe affermare in occasione del primo maxiprocesso contro la mafia nel febbraio 1986.
Crediamo che ricostruire la verità processuale sulla extraordinary rendition di Abu Omar contribuirà a fissare un principio insopprimibile stabilendo – ove ve ne fosse ancora bisogno – che la sfida alle organizzazione terroristiche si vince anche attraverso la convinta e rigorosa tutela dei diritti fondamentali di ogni individuo, senza eccezione alcuna.
Con questo spirito vi invitiamo ad essere presenti il 12 marzo nell'aula del Tribunale di Milano per testimoniare, con la nostra presenza, il diritto alla verità e il dovere alla giustizia al quale questo paese non intende rinunziare.
Invia la tua adesione a: [email protected]
Hanno aderito:
Tana De Zulueta, Giuseppe Giulietti, Moni Ovadia, Marco Travaglio, Giovanni Berlinguer, Luciana Castellina, Ascanio Celestini, Giulietto Chiesa, Paul Ginsborg, Nicola Tranfaglia, Vittorio Agnoletto,Vincenzo Aita, Andrea Alessandri, Gianni Barbacetto, Paolo Biondani, Arnold Cassola, Giusto Catania, Maria Cuffaro, Tommaso Fulfaro, Monica Frassoni, Umberto Guidoni, Sepp Kusstatscher, Flaviano Masella, Luisa Morgantini, Roberto Morrione, Roberto Musacchio, Pasqualina Napoletano, Natale Ripamonti, Walter Rizzo, Carla Ronga, Giorgio Ruggieri, Sandro Ruotolo, Giovanni Russo Spena, Guido Sacconi, Mario Sanna, Piero Sansonetti, Gianpaolo Silvestri, Maurizio Torrealta, Luana Zanella, Iacopo Venier, Circolo Sinistra Democratica di Piana dei Colli, Circolo PRC/SE "Enrico Berlinguer" Bruxelles, Rita Guma (Osservatorio sulla legalità e sui diritti onlus), Flavio Lotti (Coordinatore nazionale della Tavola della pace)
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 Paola Altrui,Enzo Apicella, Antonella Arena, Silvano Armandi, Sabrina Banchi, Chiara Bandinelli, Simone Barchiesi, Matteo Bega, Giacomo Bellucci, Marzio Bergonzini, Domenico Bevacqua, Alessio Bin, Massimo Blandini, Fabio Bovi,Carla Brini, Andrea Campus, Lucia Carbone, Luciano Carini, Lisa Clark, Sara M. Coccolini, Selenia Conigliaro, Elena Del Ministro, Piersabatino Deola, Valentina Di Simone, Raffaello Ferone, Simonetta Francia, Alessandra Galvano, Giacomo Galvano, Beniamino Ginatempo, Giuseppe Grimaldi, Nicolò Gueci, Davide Guercio, Gregorio Guzzetta, Iulia Iemma, Lia Iovenitti, Gianluca Iozzi, Serena Lai, Giulia Loffredi, Vanna Lora, Francesca Luciani, Luciano Luciani, Mara Luciani, Piero Macaluso, Silvio Maddalena, Toni Mancini, Paola Mangiarotti, Claudio Marchina, Roberta Marilli, Marilena Massano, Denis Massaro, Concetta Menna, Barbara Mensi, Marco Mina, Marta Mingolla, Susanna Pedone, Ciro Persiano, Sandro Petrongolo, Giulio Raffi, Mario Raiola, Carla Rostagno, Claudia Rotta, Antonio Ruggieri, Ciro Sabatino, Stefano Salmi, Alessandro Scibona, Ivo Serentha, guido Settingiano, Alberto Sipione, Pierangelo Spadaro, Uwe Staffler, Ignazio Stracquadanio, Carlo Tavano, Francesco Tanini, Teatro Zeta, Roberto Terragni, Michelangelo Todaro, Matteo Tondini, Massimiliano Trenta, Filippo Maria Trentalance, Sebastiano Tringali, Luciana Trombadore, Anna Vaian, Giusi Viglianisi, Marino Vigliotta, Gioli Vindigni, Andrea Vitale, Sergio Volpi, Francesco Volturo, Silverio Zanobetti, Riccardo Zava....


Aborto, il boom degli obiettori

 
di Giuseppe Del Bello, la Repubblica
 
 
Su 1370 donne solo 862 sono state sottosposte a ivg. Una ginecologa: "Di molte altre si perdono le tracce"
«Quando la lista è particolarmente lunga», osserva Nicola Scuteri, uno degli appena quattro specialisti non obiettori del Nuovo Policlinico, «sospendiamo le prenotazioni. Tanto, già lo sappiamo, molte delle donne prenotate non si presenteranno all´appuntamento. E d´altronde è ovvio che finisca così: se una arriva alla nona settimana di gravidanza e si sente rinviata per un mese e più, decide di rivolgersi altrove. Non escludendo una strada illegale».

Napoli e la Campania off limits. Mancano strutture sul territorio, quasi il 90 per cento degli specialisti è obiettore di coscienza e le liste d´attesa sono lunghissime. Per chi vuole (o deve) interrompere una gravidanza, rimangono due alternative: l´ovattata e costosissima clinica privata o il fiorente mercato dell´aborto clandestino. Nel 2007, sempre al Nuovo Policlinico, le sedute operatorie nella Clinica Ostetrica sono calate da 5 a 3, mentre su 1370 donne in lista solo 862 sono state sottoposte a interruzione di gravidanza. E le altre 508? «Alcune si prenotano in più ospedali», risponde il direttore del Dipartimento Materno infantile della Napoli 1 Rosetta Papa, «ma di tante altre si perde traccia». «Sono tante le donne che non avendo trovato disponibilità nelle strutture pubbliche», aggiunge Stefania Cantatore, responsabile dell´Udi campana, «vengono qui. Bene, se interveniamo, il posto esce. E allora mi chiedo: cosa succede a quelle che non si rivolgono a noi?».

A esasperare la drammatica situazione, rincara Scuteri, contribuisce il fatto che finora «non è stata attivata un´accettazione unica regionale per le prenotazioni. Ognuno si arrangia, rivolgendosi ad un presidio diverso». Il disservizio significa anche che diventa impossibile sia il monitoraggio dei tempi d´attesa che lo smistamento delle utenti verso strutture dove c´è più disponibilità. Ad esempio ci sono Asl che hanno un unico punto di riferimento per le Ivg. Come nella Napoli 2 (manager Raffaele Ateniese), in cui è disponibile solo il reparto dell´ospedale La Schiana di Pozzuoli diretto da Nicola Gasbarri. Negli altri comuni, zero. Al Rizzoli di Ischia (dove due anni fa il primario obbiettore Attilio Conte finì al centro di un´inchiesta della magistratura con il suo aiuto Giovanni Strudel per una storia di presunti aborti clandestini) il servizio Ivg non è mai stato istituito. Nell´ospedale di Giugliano (bacino di circa 300 mila residenti), il primario di Ginecologia Salvatore Iorio riconosce che «l´attivazione del servizio è stata sempre rinviata per motivi logistici». Che vuol dire? «Decidemmo di soprassedere in attesa del completamento del reparto (avvenuto tre anni fa, ndr) e nel frattempo di smistare le pazienti a Pozzuoli». «Ma adesso», aggiunge, «ci stiamo attivando e tra poco partiremo».

Da una parte lo scarso numero di medici non obiettori, dall´altra la carenza di presidi: di chi la responsabilità dello sfascio? «Sono anni che i manager avrebbero dovuto darsi da fare», osserva Gasbarro, «e istituire un numero congruo di Ivg nel settore pubblico per soddisfare le richieste. E invece, niente. La situazione è quasi quella di 20 anni fa. Io ho insistito per tre anni prima di ottenere il servizio». Anche per sopperire alle carenze di personale (ginecologi, anestesisti e infermieri), Gasbarri ha una ricetta: «Dando per scontato che la maggioranza sia rappresentata da obiettori, basterebbe far ruotare (pagandoli adeguatamente) quei pochi colleghi che non lo sono nei vari ospedali. O, anche, basterebbe assumere personale ad ore solo per le Ivg. In Piemonte si fa così da anni, come mai qui non è possibile?». Perché, come spiega la Papa, «accade spesso di ritrovarsi con medici che, assunti per le Ivg, dopo soli sei mesi diventano obiettori».
(20 febbraio 2008)