AUGURI DA FRANCA!

L'ululato

Neve, grandine e alluvioni
Crolla il clima e sta crollando
Pur l’economia mondiale
I banchieri bancarottano
È finito il capitale
Tutti iniziano a pensare
Che Berlusca porta male
Buon Natale

Più nessuno va a votare
Ma Veltroni è sempre lì
Sogna sempre un posto a tavola
E le briciole mangiare
Sogna Obama e perde Teramo
Tutti iniziano a pensare
che se ne dovrebbe andare
Buon Natale

Siam più poveri e bagnati
I paesi son franati
Gli acquedotti sono vecchi
Tutti gli argini sono rotti
Ma la cosa da far prima
Sarà il ponte di Messina
Taglierà Totò Riina
Il nastro inaugurale
Buon Natale

Il paese ormai è distrutto
Solo Gelli è soddisfatto
La tivù è una bancarella
Di mediocrità mediale
Sarà un libro del buon Vespa
O un film li mortacci vostri
Che aprirà il telegiornale?
Ed intanto invan si aspetta
Il premio Nobel a Brunetta
Ingiustizia culturale
Svezia sorda ed amorale
Buon Natale

Tra la neve e i cicloni
Dentro un clima tropicale
I residui panettoni
Va l’Italia a comperare
Orsù renne, regalateci
Con le corna vostre multiple
Lo scongiuro più augurale
Perché Walter non c’azzecca
Perché Silvio porta male
Buon Natale

(Stefano Benni)


RATZY HA DECISO: E' DIO CHE DECIDE CHI E' UOMO O DONNA

Un giorno sembra che il papa voglia rivalutare la figura di Galileo, facendo intendere che il lavoro del padre della scienza moderna fosse finalizzato ad esplorare i più insormontabili misteri che conducono a dio. Nulla di più falso.
Galileo era semplicemente un gran curioso e un gran metodico al quale fecero forzosamente dire che la scienza era in linea coi dettami del creatore. Dalle carte risulta che egli fu condannato dalla Santa Inquisizione: il 22 giugno 1633 Galileo fu riconosciuto colpevole di: “aver tenuto e creduto dottrina falsa e contraria alle Sacre e divine Scritture, ch’il Sole […] non si muova da oriente ad occidente, e che la Terra si muova e non sia centro del mondo”.  Ma dalle medesime carte ufficiali del processo risulta anche che egli fu sottoposto a “rigoroso esame”.
“ E parendo a noi che tu non avessi detto intieramente la verità circa la tua intenzione, giudicassimo esser necessario venir contro di te al rigoroso esame; nel quale, senza però pregiudizio alcuno delle cose da te confessate e contro di te dedotte come di sopra circa la detta tua intenzione, rispondesti cattolicamente.”
Il rigoroso esame, per chi non lo sapesse, era la tortura; ma questo nessuno lo ricorda, e i più tendono a dimenticare e a far dimenticare questo piccolo particolare. Una sorta di damnatio memoriae, o, se volete, una delle tante forme di quel negazionismo che oggi è tanto di moda per dare un calcio ad evidenze storiche di assoluto rilievo.
A ciò si aggiunga che sempre il buon Benedetto XVI, in una lectio magistralis all’università di Parma nel 1990, nella maniera più callidamente professorale possibile, riportò il proprio pensiero attraverso la famosa citazione di Feyerabend: “il processo a Galileo fu giusto e ragionevole”. Furbizie teologiche di ritorno.

Un altro giorno invece (per la precisione ieri) rientrando precipitosamente dalle liberali illuminazioni delle rivalutazioni storiche, entrando di nuovo nel campo che conosce meno di tutti, quello cioè della scienza, il Papa si riappropria nuovamente e a pieno titolo del ruolo che più gli compete, quello di fulgido detrattore sia della ragione che della ragionevolezza; proponendo un pensiero nel quale lo stesso creatore troverebbe qualche difficoltà a trovarsi coinvolto. Ratzinger dice, rivolgendosi alla Curia Romana nel tradizionale saluto di Natale: “Non è l’uomo che decide, è Dio che decide chi è uomo e chi è donna”.
L’interpretazione più benevola di questa, a sua volta, interpretazione della volontà del Creatore, è che si tratti di una riflessione metapuerile, ben al di là della soglia minima di distinzione fra il pensiero adulto e quello più genuinamente fanciullo nella ben nota ripartizione delle età dell’uomo. L’interpretazione più malevola è quella di un maschilismo teologicamente e culturalmente mai sopito in certo cattolicesimo dottrinario e integralista. Quello, per intenderci, che resiste con tutte le proprie forze al ruolo paritetico fra uomo e donna, per esempio all’interno della funzione mediatrice della messa nei rapporti con dio. Quello per cui è sempre e solo l’uomo che può far da tramite fra il fedele e dio stesso.

Ma noi che, anche in costanza del periodo natalizio, propenderemmo per l’interpretazione più genuinamente benevola, riconosciamo al signor Ratzinger la capacità di stupire (che non è virtù da tutti) per tanto forbita ingenuità creazionista. E’ dio che ha plasmato con la creta l’uomo e la donna, è dio che, al momento del concepimento, è intervenuto (non sappiamo se con le dovute maniere - non foss’altro che per un elementare senso del pudore- ) per decidere con irrevocabile piglio decisionista al momento giusto: “che tu sia uomo, che tu sia donna”.

Posto che la papale scarsissima conoscenza scientifica dei processi fisiologici e chimico-biologici che sono alla base della formazione dell’individuo (uomo o donna), pare incontrovertibilmente acclarata; considerando che alle soglie dell’anno del signore 2009, senza bisogno alcuno che la scienza diventi scientismo e che la religione diventi integralismo, c’è ancora la possibilità (ma non sappiamo per quanto) di un tranquillo ragionamento sul significato dell’intelligenza umana e sui suoi possibili sviluppi; ci chiediamo, e lo facciamo con tutto lo stupore e la sincera voglia di capire di cui disponiamo: esiste la differenza fra un pensiero adulto e un pensiero “da bambini”? Quali sono gli effetti che a tutt’oggi producono, sia sotto il profilo antropologico che sociale, le credenze popolari e l’illusorietà del mito? I comportamenti sociali, e le norme che li regolano, quanto vengono ancora influenzati, in termini negativi, da queste credenze?
A queste domande risponderemmo: considerevolmente influenzati, a tutt’oggi, così come all’epoca di Galilei e come mille anni prima. Ed è un fattore di freno non indifferente per uno sviluppo ragionato e razionale della società, di ogni società moderna o postmoderna che sia. Forse è realmente l’elemento dirimente che segna il confine fra antico, nell’accezione negativa del termine, e moderno, nell’accezione più evolutiva e positiva del termine.

D’altro canto non si può certo dire che le religioni (quantomeno alcune fra cui l’Islam ed il cristianesimo), abbiano titolo per essere portatrici di un’etica condivisa e diffusa. Sia ad una sommaria analisi di tipo storico (per le inenarrabili catastrofi di cui sono state portatrici), sia nella loro realtà effettuale moderna (vedi conflitti religiosi ed interreligiosi) vedono sempre più messo in discussione il loro ruolo di elemento in grado di incardinare all’interno della società valori e principi a valenza universale. Anzi, a questo punto, con questi presupposti e con gli sviluppi attuali, bisognerebbe guardarsene.

In definitiva, a noi sembra che questa tendenza alla regressione sia culturale che razionale sia il tratto saliente del pontificato di Benedetto XVI; regressione che tende a manifestarsi vieppiù sotto forma di un neodominio religioso nei confronti della scienza, così come quattro secoli fa. La tesi puerile del creazionismo è la dimostrazione più patente di quell’infantilismo culturale cui accennavamo sopra, produttivo di effetti di volta in volta più o meno dirompenti nel corso della storia, nelle società meno avanzate; ma anche attualmente in nazioni come la nostra, dove l’elemento laicità trova ancora grande difficoltà a collocarsi in maniera compiuta, oltre che nelle forme codificate ma eteree di alcune leggi,nella vita effettiva di tutti i giorni e nelle regole fattuali che presiedono alla civile convivenza di tutti i cittadini.

Resistenza Laica


COMMENTI DAL VIDEO DI YOUTUBE "LO STUPRO"

 

 Franca Rame è una donna davvero eccezionale, oltre ad essere una grande attrice, le và davvero tutto il mio rispetto e la mia ammirazione...

margheritacheck io sono stata molestata... è stato terribile...per mesi non ho avuto le parole per raccontare quello che provavo...per mesi la violenza mi ha accompagnato in silenzio.

NGcasavatore1991 non importa chi io sia ma sappi che ti voglio bene e che sei preziosa per tanti.

KatieArlen Ho letto la trascrizione di questo monologo, spero di riuscire a trovare la forza di guardare questo video.
Sono schifata da alcuni commenti...
Un abbraccio solidale a Franca e a tutte le donne vittime di stupro.

rpapalini Franca Rame e Dario Fò dovrebbero essere l'esempio di come nella vita dopo essere stati vittima si possa essere portavoce di un messaggio di forza e compassione
qualcuno disse che ai grandi dolori si può reagire in due modi : diventando carnefici e/o cinici oppure usando il dolore come una lente di ingrandimento e riuscire a vedere oltre ed urlare anche per chi non ha voglia di guardare.
Io sò che la seconda opzione è faticosa ma percorribile.

 xLAMUx88questo video mi ha messo i brividi....sono rimasta sconvolta....non ho parole....non so neanche descrivere quanto può essere disumano stuprare!mi sembrava che lo vivessi io....

 Toccare una donna contro la sua volonta e una cosa che fa ribrezzo non capisco come si possa provare piacere,secondo la mia opinione le donne devono poter decidere sensa limitazioni cosa indossare e non aver paura di qualche malato di mente ritengo inoltre che sia un dovere di tutti aiutare chi e in forte difficolta specialmente se in difficolta e il sesso debbole non siamo bestie

 


LA QUESTIONE MORALE

La passione è finita? Per noi comunisti la passione non è finita. Ma per gli altri? Non voglio dar giudizi e mettere il piede in casa altrui, ma i fatti ci sono e sono sotto gli occhi di tutti. I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l'iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un "boss" e dei "sotto-boss". La carta geopolitica dei partiti è fatta di nomi e di luoghi. Per la DC: Bisaglia in Veneto, Gava in Campania, Lattanzio in Puglia, Andreotti nel Lazio, De Mita ad Avellino, Gaspari in Abruzzo, Forlani nelle Marche e così via. Ma per i socialisti, più o meno, è lo stesso e per i socialdemocratici peggio ancora...

 Lei mi ha detto poco fa che la degenerazione dei partiti è il punto essenziale della crisi italiana.

È quello che io penso.

Per quale motivo?

I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai TV, alcuni grandi giornali. Per esempio, oggi c'è il pericolo che il maggior quotidiano italiano, il Corriere della Sera, cada in mano di questo o quel partito o di una sua corrente, ma noi impediremo che un grande organo di stampa come il Corriere faccia una così brutta fine. Insomma, tutto è già lottizzato e spartito o si vorrebbe lottizzare e spartire. E il risultato è drammatico. Tutte le "operazioni" che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione dell'interesse del partito o della corrente o del clan cui si deve la carica. Un credito bancario viene concesso se è utile a questo fine, se procura vantaggi e rapporti di clientela; un'autorizzazione amministrativa viene data, un appalto viene aggiudicato, una cattedra viene assegnata, un'attrezzatura di laboratorio viene finanziata, se i beneficiari fanno atto di fedeltà al partito che procura quei vantaggi, anche quando si tratta soltanto di riconoscimenti dovuti.
 
Lei fa un quadro della realtà italiana da far accapponare la pelle.
E secondo lei non corrisponde alla situazione?
 
Debbo riconoscere, signor Segretario, che in gran parte è un quadro realistico. Ma vorrei chiederle: se gli italiani sopportano questo stato di cose è segno che lo accettano o che non se ne accorgono. Altrimenti voi avreste conquistato la guida del paese da un pezzo.

La domanda è complessa. Mi consentirà di risponderle ordinatamente. Anzitutto: molti italiani, secondo me, si accorgono benissimo del mercimonio che si fa dello Stato, delle sopraffazioni, dei favoritismi, delle discriminazioni. Ma gran parte di loro è sotto ricatto. Hanno ricevuto vantaggi (magari dovuti, ma ottenuti solo attraverso i canali dei partiti e delle loro correnti) o sperano di riceverne, o temono di non riceverne più. Vuole una conferma di quanto dico? Confronti il voto che gli italiani hanno dato in occasione dei referendum e quello delle normali elezioni politiche e amministrative. Il voto ai referendum non comporta favori, non coinvolge rapporti clientelari, non mette in gioco e non mobilita candidati e interessi privati o di 

un gruppo o di parte. È un voto assolutamente libero da questo genere di condizionamenti. Ebbene, sia nel '74 per il divorzio, sia, ancor di più, nell'81 per l'aborto, gli italiani hanno fornito l'immagine di un paese liberissimo e moderno, hanno dato un voto di progresso. Al nord come al sud, nelle città come nelle campagne, nei quartieri borghesi come in quelli operai e proletari. Nelle elezioni politiche e amministrative il quadro cambia, anche a distanza di poche settimane.
 
Veniamo all'altra mia domanda, se permette, signor Segretario: dovreste aver vinto da un pezzo, se le cose stanno come lei descrive.
In un certo senso, al contrario, può apparire persino straordinario che un partito come il nostro, che va così decisamente contro l'andazzo corrente, conservi tanti consensi e persino li accresca. Ma io credo di sapere a che cosa lei pensa: poiché noi dichiariamo di essere un partito "diverso" dagli altri, lei pensa che gli italiani abbiano timore di questa diversità.
 
Sì, è così, penso proprio a questa vostra conclamata diversità. A volte ne parlate come se foste dei marziani, oppure dei missionari in terra d'infedeli: e la gente diffida. Vuole spiegarmi con chiarezza in che consiste la vostra diversità? C'è da averne paura?
Qualcuno, sì, ha ragione di temerne, e lei capisce subito chi intendo. Per una risposta chiara alla sua domanda, elencherò per punti molto semplici in che consiste il nostro essere diversi, così spero non ci sarà più margine all'equivoco. Dunque: primo, noi vogliamo che i partiti cessino di occupare lo Stato. I partiti debbono, come dice la nostra Costituzione, concorrere alla formazione della volontà politica della nazione; e ciò possono farlo non occupando pezzi sempre più larghi di Stato, sempre più numerosi centri di potere in ogni campo, ma interpretando le grandi correnti di opinione, organizzando le aspirazioni del popolo, controllando democraticamente l'operato delle istituzioni. Ecco la prima ragione della nostra diversità. Le sembra che debba incutere tanta paura agli italiani?
 
Veniamo alla seconda diversità.
Noi pensiamo che il privilegio vada combattuto e distrutto ovunque si annidi, che i poveri e gli emarginati, gli svantaggiati, vadano difesi, e gli vada data voce e possibilità concreta di contare nelle decisioni e di cambiare le proprie condizioni, che certi bisogni sociali e umani oggi ignorati vadano soddisfatti con priorità rispetto ad altri, che la professionalità e il merito vadano premiati, che la partecipazione di ogni cittadino e di ogni cittadina alla cosa pubblica debba essere assicurata.
 
Onorevole Berlinguer, queste cose le dicono tutti.
Già, ma nessuno dei partiti governativi le fa. Noi comunisti abbiamo sessant'anni di storia alle spalle e abbiamo dimostrato di perseguirle e di farle sul serio. In galera con gli operai ci siamo stati noi; sui monti con i partigiani ci siamo stati noi; nelle borgate con i disoccupati ci siamo stati noi; con le donne, con il proletariato emarginato, con i giovani ci siamo stati noi; alla direzione di certi comuni, di certe regioni, amministrate con onestà, ci siamo stati noi.
 
Non voi soltanto.
È vero, ma noi soprattutto. E passiamo al terzo punto di diversità. Noi pensiamo che il tipo di sviluppo economico e sociale capitalistico sia causa di gravi distorsioni, di immensi costi e disparità sociali, di enormi sprechi di ricchezza. Non vogliamo seguire i modelli di socialismo che si sono finora realizzati, rifiutiamo una rigida e centralizzata pianificazione dell'economia, pensiamo che il mercato possa mantenere una funzione essenziale, che l'iniziativa individuale sia insostituibile, che l'impresa privata abbia un suo spazio e conservi un suo ruolo importante. Ma siamo convinti che tutte queste realtà, dentro le forme capitalistiche -e soprattutto, oggi, sotto la cappa di piombo del sistema imperniato sulla DC- non funzionano più, e che quindi si possa e si debba discutere in qual modo superare il capitalismo inteso come meccanismo, come sistema, giacché esso, oggi, sta creando masse crescenti di disoccupati, di emarginati, di sfruttati. Sta qui, al fondo, la causa non solo dell'attuale crisi economica, ma di fenomeni di barbarie, del diffondersi della droga, del rifiuto del lavoro, della sfiducia, della noia, della disperazione. È un delitto avere queste idee?
 
Non trovo grandi differenze rispetto a quanto può pensare un convinto socialdemocratico europeo. Però a lei sembra un'offesa essere paragonato ad un socialdemocratico.

Bè, una differenza sostanziale esiste. La socialdemocrazia (parlo di quella seria, s'intende) si è sempre molto preoccupata degli operai, dei lavoratori sindacalmente organizzati e poco o nulla degli emarginati, dei sottoproletari, delle donne. Infatti, ora che si sono esauriti gli antichi margini di uno sviluppo capitalistico 

che consentivano una politica socialdemocratica, ora che i problemi che io prima ricordavo sono scoppiati in tutto l'occidente capitalistico, vi sono segni di crisi anche nella socialdemocrazia tedesca e nel laburismo inglese, proprio perché i partiti socialdemocratici si trovano di fronte a realtà per essi finora ignote o da essi ignorate.
 
Dunque, siete un partito socialista serio...
...nel senso che vogliamo costruire sul serio il socialismo...
 
Le dispiace, la preoccupa che il PSI lanci segnali verso strati borghesi della società?
No, non mi preoccupa. Ceti medi, borghesia produttiva sono strati importanti del paese e i loro interessi politici ed economici, quando sono legittimi, devono essere adeguatamente difesi e rappresentati. Anche noi lo facciamo. Se questi gruppi sociali trasferiscono una parte dei loro voti verso i partiti laici e verso il PSI, abbandonando la tradizionale tutela democristiana, non c'è che da esserne soddisfatti: ma a una condizione. La condizione è che, con questi nuovi voti, il PSI e i partiti laici dimostrino di saper fare una politica e di attuare un programma che davvero siano di effettivo e profondo mutamento rispetto al passato e rispetto al presente. Se invece si trattasse di un semplice trasferimento di clientele per consolidare, sotto nuove etichette, i vecchi e attuali rapporti tra partiti e Stato, partiti e governo, partiti e società, con i deleteri modi di governare e di amministrare che ne conseguono, allora non vedo di che cosa dovremmo dirci soddisfatti noi e il paese.
 
Secondo lei, quel mutamento di metodi e di politica c'è o no?
Francamente, no. Lei forse lo vede? La gente se ne accorge? Vada in giro per la Sicilia, ad esempio: vedrà che in gran parte c'è stato un trasferimento di clientele. Non voglio affermare che sempre e dovunque sia così. Ma affermo che socialisti e socialdemocratici non hanno finora dato alcun segno di voler iniziare quella riforma del rapporto tra partiti e istituzioni -che poi non è altro che un corretto ripristino del dettato costituzionale- senza la quale non può cominciare alcun rinnovamento e sanza la quale la questione morale resterà del tutto insoluta.
 
Lei ha detto varie volte che la questione morale oggi è al centro della questione italiana. Perché?
La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell'amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell'Italia d'oggi, fa tutt'uno con l'occupazione dello stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt'uno con la guerra per bande, fa tutt'uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semmplicemente abbandonati e superati. Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano. Ecco perché gli altri partiti possono profare d'essere forze di serio rinnovamento soltanto se aggrediscono in pieno la questione morale andando alle sue cause politiche. [...] Quel che deve interessare veramente è la sorte del paese. Se si continua in questo modo, in Italia la democrazia rischia di restringersi, non di allargarsi e svilupparsi; rischia di soffocare in una palude.
 
Signor Segretario, in tutto il mondo occidentale si è d'accordo sul fatto che il nemico principale da battere in questo momento sia l'inflazione, e difatti le politiche economiche di tutti i paesi industrializzati puntano a realizzare quell'obiettivo. È anche lei del medesimo parere?
Risponderò nello stesso modo di Mitterand: il principale malanno delle società occidentali è la disoccupazione. I due mali non vanno visti separatamente. L'inflazione è -se vogliamo- l'altro rovescio della medaglia. Bisogna impegnarsi a fondo contro l'una e contro l'altra. Guai a dissociare questa battaglia, guai a pensare, per esempio, che pur di domare l'inflazione si debba pagare il prezzo d'una recessione massiccia e d'una disoccupazione, come già in larga misura sta avvenendo. Ci ritroveremmo tutti in mezzo ad una catastrofe sociale di proporzioni impensabili.
 
Il PCI, agli inizi del 1977, lanciò la linea dell' "austerità". Non mi pare che il suo appello sia stato accolto con favore dalla classe operaia, dai lavoratori, dagli stessi militanti del partito...

Noi sostenemmo che il consumismo individuale esasperato produce non solo dissipazione di ricchezza e storture produttive, ma anche insoddisfazione, smarrimento, infelicità e che, comunque, la situazione economica dei paesi industializzati -di fronte all'aggravamento del divario, al loro interno, tra zone sviluppate e zone arretrate, e di fronte al risveglio e all'avanzata dei popoli dei paesi ex-coloniali e della loro indipendenza- non consentiva più di assicurare uno sviluppo economico e sociale conservando la "civiltà dei 

consumi", con tutti i guasti, anche morali, che sono intrinseci ad essa. La diffusione della droga, per esempio, tra i giovani è uno dei segni più gravi di tutto ciò e nessuno se ne dà realmente carico. Ma dicevamo dell'austerità. Fummo i soli a sottolineare la necessità di combattere gli sprechi, accrescere il risparmio, contenere i consumi privati superflui, rallentare la dinamica perversa della spesa pubblica, formare nuove risorse e nuove fonti di lavoro. Dicemmo che anche i lavoratori avrebbero dovuto contribuire per la loro parte a questo sforzo di raddrizzamento dell'economia, ma che l'insieme dei sacrifici doveva essere fatto applicando un principio di rigorosa equità e che avrebbe dovuto avere come obiettivo quello di dare l'avvio ad un diverso tipo di sviluppo e a diversi modi di vita (più parsimoniosi, ma anche più umani). Questo fu il nostro modo di porre il problema dell'austerità e della contemporanea lotta all'inflazione e alla recessione, cioè alla disoccupazione. Precisammo e sviluppammo queste posizioni al nostro XV Congresso del marzo 1979: non fummo ascoltati.
 
E il costo del lavoro? Le sembra un tema da dimenticare?

Il costo del lavoro va anch'esso affrontato e, nel complesso, contenuto, operando soprattutto sul fronte dell'aumento della produttività. Voglio dirle però con tutta franchezza che quando si chiedono sacrifici al paese e si comincia con il chiederli -come al solito- ai lavoratori, mentre si ha alle spalle una questione come la P2, è assai difficile ricevere ascolto ed essere credibili. Quando si chiedono sacrifici alla gente che lavora ci vuole un grande consenso, una grande credibilità politica e la capacità di colpire esosi e intollerabili privilegi. Se questi elementi non ci sono, l'operazione non può riuscire.

L'intervistato era Enrico Berlinguer, l'intervistatore era Eugenio Scalfari, era il 1981................................

«La Repubblica», 28 luglio 1981
 


DALLA BIOGRAFIA DI FRANCA RAME...

Nel cielo, alta, sta una luna esagerata.
È settembre.
Da fuori viene un’aria ancora tiepida.
Numerose stelle producono un chiarore opaco.
Il  giorno è lontano.
Mia madre sta morendo.
Sto seduta su una poltrona, la testa appoggiata ad un cuscino, ma non riesco a dormire. Gli occhi mi bruciano, ma non ho sonno. Sono rientrata da poco. Stasera al teatro Odeon ho recitato “Tutta casa, letto e chiesa”, senza seguire quello che andavo dicendo: come si dice, recitavo con il secondo cervello. L’altra parte era in questa camera.
Mi appoggio meglio alla poltrona.
Ho posato in grembo il latte detergente per lo strucco. Me lo passo sul viso con i cleenex, con sospiri lunghi. Di quelli che ti sconquassano l’anima.
Sto vivendo questo momento come non capitasse a me.
La guardo. Lei è lì che sta faticando a morire.
Un rantolo costante da giorni ci segue in ogni stanza.
La sua mano, che tengo più che posso nella mia, è tiepida… se non fosse per quel respiro strozzato che le esce e le labbra spaccate per l’arsura, potrebbe sembrare una bellissima anziana signora addormentata.
“Sì, mamma, ora te le inumidisco” … mi viene normale parlarle come mi sentisse. Da una tazza prendo la garza intinta nell’acqua, delicatamente gliela passo sulle labbra. Sulle gengive. Qualche goccia sulla lingua. Mi sembra che ne succhi un po’. Chissà.
“Sono qui, mamma. Sono qui, dammi la mano”.
La casa dorme. Anche l’infermiera della notte riposa.

In questi solitari silenziosi momenti, il pensiero fa salti qua e là nella nostra vita. Penso sia una cosa normale: come tirare le somme, mettere  in fila i ricordi. Il passato ti viene davanti a saltelloni, il bello e il brutto, sorridi e ti rattristi in un attimo… tutto corre veloce.
Sento mamma che mi racconta della sua infanzia: “Che ragazzina generosa la Sgarbina, figlia del nostro droghiere… quando andavamo da lei subito si  metteva una caramella in bocca, la succhiava un po’, poi ce la regalava.”
Mi vedo la scena con un sorriso. Che m’è venuto in mente?
La mia famiglia.
Non ho conosciuto nessun nonno e da piccola invidiavo le bambine che li avevano.
Cerco di immaginare mia madre tra i suoi. Il padre ingegnere del comune di Bobbio, la madre casalinga. Undici figli: sette femmine, quattro maschi. Poveri come l’acqua, dignitosi, di classe sociale intermedia, ma con troppe bocche da sfamare e da far studiare. Maschi e femmine non potevano mai uscire tutti insieme:   mancavano le scarpe.
EMILIA BALDINIL’Emilia, la mia mamma, a 17 anni diventa maestra. Per quei tempi era una conquista sociale. La mandano a insegnare in una scuola sperduta in montagna, ad una ventina di chilometri dal suo paese. Viene ospitata da un cugino prete, appena uscito dal seminario, grassottello e gentile. Il giovane prete si innamora perdutamente di lei. Don Celeste, così si chiamava, cerca aiuto nelle preghiere e nel digiuno. Ma il Signore è distratto e non gli tende la mano. Disperato, balbettando il giovane si rivolge a Emilia: “Devo farti una confessione. Ho deciso di lasciare la parrocchia e spretarmi”. “Hai perduto la fede?” - chiede sconvolta la ragazza. “Sì, ma in compenso ho guadagnato te. Ti voglio sposare!” E così dicendo, tenta di baciarla. Vola un ceffone sul facciotto pallido dell’impunito, e quasi soffocando per l’indignazione, l’angelica maestrina apostolica fervente praticate, se ne torna a casa dai genitori, a piedi, che era già scuro… e c’era pure la neve.
Quanto fervore nella tua voce quando torni a raccontare di quel momento… quanta indignazione, mamma. Dopo tanti anni nella tua testa, è sempre come fosse ieri: un ricordo indelebile.
Fotografia mai ingiallita.
Credo sia stato l’unico momento “vergognoso” come lei lo definisce, della sua vita.
“Ma mamma, quel povero prete, in quel paesino sperduto in montagna… potevi anche darglielo un bacino…” le dicevo ridendo.
“Mai! Si vergogni!”
“Ma mamma, chissà da quanto è morto!” “All’inferno! Sarà certamente all’inferno!”
A 85 anni, e non era la prima volta, a Cesenatico, mi chiede di confessarsi. Dario, in bicicletta va a chiamare il prete. Lo vedevamo tutte le estati, sempre a confessare mammà. Aperto, intelligente, un buon cristiano. Li lasciavamo soli, nel portico protetto da zanzariere. Parlottavano per una mezz’oretta. Lei, seduta, compunta, seria, con gli occhi bassi come bruciasse ancora di vergogna per tanta offesa. Lui, con la bocca piena di biscotti sorseggiando il the,  la rincuorava.
Li spiavo sciogliendomi di tenerezza.
Quando usciva gli chiedevo: “Ha visto che peccati tremendi ha fatto la mia mamma? E’ sempre quello, eh? Il povero pretino… e il ceffone…” Lui, intascando l’offerta per la chiesa, se ne andava ridendo.
In bicicletta.
 
In quel tempo arriva, in quel di Bobbio, un giovane sì e no di vent’anni, si chiama Domenico Rame, di professione "marionettista girovago" con il suo carro, il fratello Tommaso, la sorella Stella, il padre Pio, grande estimatore di Garibaldi tanto da portare una barba come la sua. Infatti, l'unico ritratto in nostro possesso lo raffigura vestito e somigliante all'eroe dei due mondi!
Nella cittadina di Bobbio l’arrivo delle marionette doveva essere certamente un evento. Emilia incontra il giovane marionettista Domenico Rame, il mio papà, a un gran ballo: quello di Carnevale.

 

Il fatidico incontro

 

Io me la vedo, mia madre signorina, che attraversa il gran salone con le colonne, delicata e sinuosa, di una bellezza sconvolgente.
 
Eccole… entrano tutte insieme le sette sorelle Baldini con costumi d’epoca cuciti da loro stesse: si fa un gran silenzio. Le ragazze camminano ridendo sotto lo sguardo attento di tutta la famiglia, i maschi presenti restano folgorati da tanta beltà.
Anche mio padre era bello. Indossava un costume azzurro…
“…E mi ha invitato a ballare sette volte. E mi stringeva anche!” assicura mia madre, illuminata dal ricordo e per nulla imbarazzata da tanto ardire.
Lui le dice subito: “Sono un marionettista.”
  Lei scoppia a ridere convinta sia una boutade. “Mi creda, sono veramente un marionettista… anzi, voglio fare una marionetta che assomigli perfettamente a lei… così non la potrò dimenticare!”.
Fatto sta che entrambi sono rimasti letteralmente fulminati uno dall’altra.
Domenico, finita la stagione in quel di Bobbio, smonta il teatrino con i suoi e se ne va. Lei rimane sospesa come una marionetta per i fili… e dondola senza vita.   
Dopo un anno di lettere d’amore mio padre torna. Si sposano con grande scandalo della famiglia e del paese. Eh sì, perché tutte le altre sorelle erano fidanzate con tipi ben piazzati, il professore, il giudice, il direttore di banca. Lei no: si va ad innamorare di un marionettista, col suo carro e senza fissa dimora. Altro che scandalo!

La mia mamma

Bella, giovane, innamorata, cerca con tutte le sue forze di adeguarsi alla nuova vita, tanto diversa da quella che aveva condotto sino a quel giorno. Aiuta la famiglia come può. Non sa manovrare le marionette, ma si ingegna a cucire vestiti, e rinnova tutto il guardaroba dei pupazzi di legno.
A pensarci pare una favola.
E’ molto orgogliosa di quello che fa. Più avanti, dirà qualche battuta doppiando le marionette. Era appena finita la guerra, c’era la crisi, un sacco di operai disoccupati, scioperi e disordini, cariche di polizia, arresti e processi. Mio zio era socialista militante, partecipava ai comizi e organizzava manifestazioni di protesta. Perfino il programma degli spettacoli era cambiato.
Era la prima volta che si assisteva a commedie di marionette dove si raccontavano storie di lotta di classe. Le Mondariso di Novara in sciopero, con Gianduia carabiniere che scopre un intrallazzo organizzato dai proprietari terrieri con l’intenzione di boicottare lo sciopero e far credere che dei delinquenti comuni siano gli organizzatori della protesta sociale.
Sempre con le marionette, i Rame riuscivano a mettere in scena la storia di Cola di Rienzo, che fonda la prima Repubblica libera Romana e Arnolfo da Brescia che lotta per l’autonomia dell’università e viene condannato come eretico al rogo. Succedeva spesso che alla fine delle rappresentazioni il pubblico si alzasse in piedi e cantasse addirittura l’Internazionale. Perciò, c’era da aspettarselo, ebbero grane con la polizia. Furono chiamati in questura dove il commissario capo diede loro l’avvisata: “Vi consigliamo di cambiare programma perché alla prossima di queste bravate vi arresto con tutti i vostri attori”. “Attori? Ma noi abbiamo solo marionette! “Appunto: arresteremo le marionette”.
Con l'avvento del cinema (1920) i fratelli Rame intuiscono che "il teatro delle marionette" sarà presto messo in crisi, schiacciato da questo nuovo straordinario e anche un po’ magico mezzo di spettacolo. Con grande dolore del nonno Pio, decidono un cambiamento radicale del loro programma e condizione: “Reciteremo noi i nostri spettacoli,  entreremo in scena noi al posto  delle marionette".
Così mio padre con l’Emilia, la zia Stella, lo zio Tommaso con la moglie Maria, nuova recluta della compagnia, si sostituiscono ai pupazzi di legno (vere e proprie sculture snodate, tre delle quali sono esposte al Museo della Scala di Milano). Hanno scelto i testi, li hanno provati e riprovati, si son procurati i costumi e i fondali dipinti per loro da un amico scenografo della Scala, Antonio Lualdi, e debuttano in un teatro: il teatro di persona, e lei, la mia mamma, diventa la prima attrice. Un'attrice che di giorno tirava su i figli, li aiutava a studiare, si occupava della casa come  una  più che provetta casalinga a tutti gli effetti, teneva l'amministrazione  della compagnia come fosse quella di un normale mènage familiare. E alla sera, salendo sul palcoscenico, eccola trasformarsi in Giulietta e Tosca, e la Suora Bianca dei “Figli di nessuno”, e la Fantina de “I Miserabili”, tutti ruoli che via via, anche noi figlie e cugine, abbiamo poi interpretato. Mi vedo a percorrere  l'apprendistato dei teatranti recitando tutti i ruoli che crescendo erano adatti alla mia età, maschili o femminili che fossero.
Il  vantaggio della compagnia di mio padre rispetto alle altre compagnie di giro, (così si chiamavano le piccole compagnie di provincia) era l'invenzione di impiegare tutti i trucchi scenici del teatro fantastico delle marionette, nel "teatro di persona": montagne che si spaccano in quattro a vista, palazzi che crollano, un treno che appare piccolissimo lassù, nella montagna e che  man mano che scende entrando e uscendo dalle gallerie, s'ingrandisce fino ad entrare in scena con il muso della locomotiva a grandezza quasi naturale. Mari  in tempesta, nubi che solcano minacciose il cielo tra lampi e tuoni, gente che vola, scene in tulle in proscenio, che illuminate a dovere ti facevano vedere come era fatto il paradiso.
Insomma tutti gli espedienti tecnici dell'antico teatro seicentesco dei Bibbiena, che viveva ancora, dentro la scenotecnica delle marionette.
Soltanto che in quel teatro tutto era stato miniaturizzato, si trattava adesso di eseguire una operazione da Gulliver alla rovescia: da minuto che era all’origine, ingrandire ogni oggetto, aggeggio, marchingegno fino a renderlo simile alla realtà.
In questa nuova veste, i miei realizzano un successo insperato. Senza quasi rendersene conto, i Rame avevano compiuto un vero e proprio salto mortale dentro l’antico teatro dell’Arte, riportando alla luce macchinerie, cambi di scena rapidi e a vista, effetti fantasmagorici dimenticati. La gente viene ad assistere ai nostri spettacoli con lo stesso spirito dell’andare in giostra, con grida, risate e spaventi.
 
La vita era bella. Si lavorava, 363 giorni l’anno. Si riposava solo il venerdì santo, e il 2 dei morti, a novembre, o se c'era il funerale di un defunto importante del paese: il prefetto, il podestà, il prete, il dottore, il farmacista. La domenica, la compagnia si divideva in due e si faceva  doppio spettacolo, pomeriggio e sera.
Mio padre, il capo, con il ruolo di primo attore, manager P.R.; lo zio Tommaso, drammaturgo-poeta di compagnia nel ruolo dell'antagonista o del comico-brillante a seconda delle commedie; le mogli, i figli, gli attori scritturati, i dilettanti, gli amici componevano la nostra compagnia. Giravamo cittadine, paesi e borghi del nord Italia su di una corrierina che chiamavamo "Balorda" a causa del comportamento bizzarro che mostrava: il suo era proprio un motore a scoppio, ogni tanto addirittura esplodeva, sparava acqua bollente, fumi con sussulti e gemiti. Insomma, un’auto da guitti magici. Quel comportamento, più che ad un carattere folle, era forse da attribuirsi agli anni. In alcuni paesi  a monte nei quali ad una certa ora del giorno si transitava, nei tourniché particolarmente ripidi, lei, la vecchia signora,  non ce la faceva proprio. C'erano sempre dei ragazzi che ci aspettavano. Ci spingevano fra tante risate, poi la sera ci raggiungevano ed entravano a godersi lo spettacolo gratis. "Siamo quelli che abbiamo spinto la Balorda". "Passate".
Mio padre, amava quel prototipo meccanico primitivo, e zingarone com'era, gioiva tutto nel vedersela rilucente di colori sgargianti. Mia madre, la maestrina-cattolica-di buona famiglia ogni volta che lui le cambiava colore: "Non sposeremo mai le nostre figlie!" lamentava col pianto in gola. "Hai ragione Milietta… domani rimedio. La tingerò di un colore più sobrio". E l'indomani quando "Milietta" si affacciava in cortile, ecco la Balorda ridipinta: d’argento!
Emilia lanciava un grido, poi bisbigliava: “Per sistemare le nostre figlie non ci resta che metterle all’asta con le svendite di fine stagione”.

Cos’è?… m’ha stretto la mano?… Trattengo il fiato. Giro appena la lampada del comodino. No, mi è solo parso… Ma forse… Che debbo mai aspettarmi, in che spero? Ha 88 anni, è in coma profondo da oltre 20 giorni.
Fuori è ancora buio. Guardo l’ora. E’ passato poco tempo e mi pare un’eternità.

Stava per finire la guerra. Nella nostra zona bombardamenti pesanti non ne avevamo subiti. Qualche bomba sulla fabbrica di aerei: la Macchi, alla periferia di Varese, a Masnago.
Proprio a Masnago ricordo una notte che si stava tornando a casa dopo lo spettacolo, veniamo fermati, sia noi che tutti quelli che  transitavano per quella strada dopo di noi, da un gruppo di fascisti e SS. Ci hanno fatto entrare in un cortile, (era quello dove abitava uno dei nostri dilettanti, chiamato "Luigino-Cassa-da morto”, perchè suo padre le fabbricava) là, siamo stati bloccati per ore. Solo intorno alle 7 ci hanno lasciati andare.
Non è stato per niente drammatico, per noi giovani. Dopo poco la serietà degli adulti l’abbiamo  cancellata. L'aria, era di festa. La mamma del Luigino-cassa-da-morto, ci aveva offerto qualcosa da mangiare. Si parlava, si rideva nonostante i tedeschi e i  fascisti con i loro mitra, giù nel cortile. “E’ arrivata altra gente… stanno fermando tutti.” Cominciamo ad avere sonno, si parla e si ride di meno, qualcuno s’è addormentato.
Sarebbe, questa strana notte, finita in tragedia se col mattino fosse arrivata  la notizia del fallimento di una missione tedesca. Ci avrebbero fucilati tutti. L'abbiamo saputo qualche giorno dopo, da Lunardi, un prestigiatore fantastico amico di mio padre, che bazzicava in ambienti fascisti.
L'abbiamo scampata!
Altre volte, capitava che ci fermassero dei partigiani. Non dicevano "siamo partigiani" ma erano in borghese con i mitra: "signor Rame, ci dà un passaggio?" Ci stringevamo e li facevamo salire e via che si riprendeva a cantare. Più avanti, a volte capitava di essere fermati da  una pattuglia di  fascisti, non chiedevano i documenti, ci conoscevano. Avevamo un permesso speciale per girare con il coprifuoco. "Buona sera signor Rame. Com'è andata?"
Il cuore si fermava per un attimo. "Benissimo! Grazie." "Buona notte” "Buona notte”. Ce ne andavamo riprendendo a cantare col fiato che si strozzava in gola. I partigiani cantavano più forte di tutti.

Risalgo dai miei pensieri quasi con un sussulto: è Dario che mi ha baciato sulla fronte
 “Come va?” “Bene, dorme…” Non mi veniva  di dire: non risponde più, è in coma.
Dario mi dà un altro bacio. “Va a dormire, ci sto io”. “Non ho sonno…” Come se ne va mi metto a piangere. Che momento orribile. Appoggio la testa allo schienale della poltrona, poi mi rimetto dritta. Non voglio addormentarmi.
 
Al funerale, durante la messa, ho continuato il tragitto nella mia vita, passata con la mia famiglia. E’ un bel modo per ammazzare le ore. Per non pensare...

"E' ora che Franca incominci a recitare, ormai è grande”. Avevo 3 anni. E’ mia madre che parla. Me la ricordo mentre mi insegnava la parte: "bocca a bocca", così si diceva a casa mia, parola per parola come in una litania. Aveva deciso (era sempre lei che prendeva le decisioni importanti in  famiglia) che avrei fatto un angiolino di supporto all'angelo vero, che veniva interpretato da  mia sorella Pia in "La passione del  Signore" atto quinto, Orto dei Getsemani.
"Pentiti Giuda traditore che per trenta monete d'argento hai venduto il tuo Signore! Pentiti! Pentiti!” iniziava Pia e io  dovevo ripetere gridando a più non posso la stessa battuta: “Pentiti! Pentiti! Giuda traditore che per trenta monete d'argento ha venduto il suo Signore!”
Non era una gran parte, non ci devo aver messo  molto  ad impararla. "Ripeti!" e ancora e ancora "ripeti" diceva la  mamma  paziente mentre pelava le patate per il minestrone. "Ripeti!"
Mia madre per i suoi figli era ambiziosissima.
Per l'occasione mi aveva cucito un bellissimo abito bianco da angelo, con due grandi ali bianche e oro appoggiate sulle spalle. Seppur credente non  andava  mai in chiesa ma lei, lo sapeva benissimo che gli angeli erano vestiti così! Mio padre, ormai entrato nel gioco, mi fabbricò una coroncina di lampadine, che grazie  a una pila infilata nelle mutandine, si accendevano. Come in un rito sollevò la coroncina e me la pose in testa.
Arriva l’ora d'andare in scena e tutti: "Ma che bell'angiolino! Ma che bel vestito!" La mia mamma faceva andare la coda e io, lì pronta con le mie ali e le lampadine in testa, a ripetere la battuta. Non mi avevano fatto fare nessuna prova. Sapevo solo che ad un certo punto avrei dovuto seguire mia sorella Pia nell'entrata in scena ed ad un segnale della mia mamma sistemata in quinta avrei dovuto gridare "pentiti-pentiti…".
Il guaio, l'imprevisto che più imprevisto di così non si poteva immaginare, fu che il personaggio di Giuda era interpretato da mio zio Tommaso, un uomo che avevo sempre visto calmo, sorridente, che a noi bimbi raccontava storie bellissime. Volevo molto bene a mio zio, e vedermelo lì, proprio vicino-vicino, con una parruccaccia nera in testa… gli occhi che  lanciavano saette tra un minaccioso tuonar e lampeggiar nel cielo… che disperato gridava: "Possano i corvi divorarmi le budella, le  aquile   strapparmi gli occhi!" e altri animali che non ricordo "mi divorino un pezzetto alla  volta ad incominciare dalla lingua", mi fece un terribile effetto. Mamma mia che spavento! Cosa stava capitando?! Ero stravolta, me lo ricordo benissimo. Ma quello che mi buttò completamente fuori, fu il vedere mia  sorella, solitamente rispettosa ed educata, che per nulla intimorita  gliene stava dicendo di tutti i colori! Una sfuriata in piena regola che trascinava il nostro povero zio in una disperazione sempre più  nera. "Ma cosa sta capitando? Perchè lo zio Tommaso fa così?" Il groppo  che mi sentivo in gola stava per scoppiare. Mia madre dalla quinta mi faceva gesti più che perentori, le sue labbra ripetevano “péntiti, péntiti”. Giuro che avrei  potuto dire la mia battuta, ma non me la sentivo proprio di rincarare la dose. No, io no, allo zio Tommaso non dico proprio un bel niente! Non so cosa gli sia capitato, poverino. Forse è impazzito.
A piccoli passi, camminando come pensavo camminassero gli angeli, seppur spaventatina, gli sono andata vicino, lui era in ginocchio e gridava più che mai… proprio fuori di testa. Dio che pena! Senza dire una parola mi sono arrampicata al suo collo e l'ho abbracciato, tempestandogli la faccia di baci. Insomma cercavo, con i mezzi che avevo a disposizione, di calmarlo e piangevo nel silenzio che era calato in palcoscenico.
Pia era ammutolita. In quinta mia madre faceva segnali che non prospettavano niente di buono.  Lo zio-Giuda si blocca per non più di sette secondi, giuro, poi con voce profonda (intanto con la mano solleticava la mia  e con gli occhi mi rideva per tranquillizzarmi) recita rivolgendosi al cielo: “Dio, sei grande! A questo orrendo peccatore mandi il conforto... un  piccolo angelo… mi tendi la mano… No, no, non me lo merito!” e , dal momento che lo spettacolo doveva pur terminare, taglia corto “M'impicco! Dov’è il grande fico, albero della vergogna? M’impicco!!” Deve usare un po' di forza per liberarsi da me  che proprio non ne voglio sapere di lasciarlo andare ad impiccarsi. Cosa vuol dire impiccarsi? Non lo sapevo ma ero certa fosse una cosa brutta. "L'albero   più alto… dov'è l'albero più alto… Lasciami andare angiolino… Lasciami.." e con un urlo agghiacciante esce di scena. Mia sorella (l'unica volta nella sua vita, credo) non sapendo più che fare, camminando sulle punte, immediatamente lo segue. Grande applauso.
Tutti mi chiamano dalla  quinta con grandi cenni. Non so se la paura d'essere sgridata o il senso del dovere che, maledizione, da che sono nata è lì, a infastidirmi la coscienza, fatto si è che dopo un attimo di silenzio, raddrizzandomi la coroncina di lampadine che nel trambusto stava per cadermi, con voce chiara e mesta, quel tanto che serve dico: “S'impicca! Non s'è pentito… Giuda traditore che per trenta monete d'argento ha venduto il suo Signore… Non s'è pentito!" e via che esco.
Ce l'avevo fatta: l'avevo detta tutta! Non so se mi abbiano detto qualcosa… so solo che da allora in poi, "La passione del Signore" ha sempre avuto due angiolini, con il più piccolo che abbraccia Giuda a mostrare la grandezza di Dio.
E tutti giù a piangere.

Sorrido, mentre il prete finisce la messa.
Hai vissuto 88 anni, mamma.
Ho cercato di darti il meglio che ho potuto. Dedizione.
Rispetto.
Tempo.
Amore.
Tanto!
Sono serena.
Ciao cara.
Buon riposo mamma.

E’ il 4 ottobre, 1981. San FRANCESCO. 


IL BERLUSCA HA SCOPERTO LA QUESTIONE MORALE

Il Cavaliere ha scoperto che la questione morale ha un gradimento molto alto presso i consumatori. Ha quindi deciso di investire del settore, ecco come: L'imprenditore Stefano Ricucci. Per poter seguire in prima persona le notizie sulla questione morale nel Partito democratico, il premier Berlusconi ha interrotto un baccanale con danzatrici del ventre, gladiatori e schiave vergini in corso a Palazzo Grazioli. Si è poi informato su quale dei 3.200 giornalisti dei suoi quotidiani, settimanali e telegiornali fosse finalmente riuscito a mettere in difficoltà l'opposizione. Quando ha saputo che si trattava de 'L'espresso', li ha licenziati tutti, confidando ai suoi collaboratori che è assurdo pagare tutta quella gente per qualcosa che si può avere gratis. Si è poi informato sul gradimento della questione morale presso i consumatori, e ha scoperto che si colloca in una posizionedi mercato piuttosto alta, subito sotto le vacanze di Natale nei paesi caldi e subito sopra i formaggi francesi. Ha dunque deciso di investire nel settore. Vediamo come.
Tivù In progetto due produzioni di grande impatto morale. Si tratta di 'Mangano', sceneggiato sulla vita dello stalliere siciliano esule al Nord per sfuggire alle persecuzioni della magistratura. Di grande effetto la confessione di un cavallo comunista che si pente e scagiona Mangano da ogni falsa accusa. E di una edizione speciale della maratona di beneficenza 'Telethon', per raccogliere fondi per le scuole private: anche gli italiani di basso reddito avranno finalmente modo di finanziare gli studi dei figli dei ricchi. Attesa anche una riforma della figura delle veline. Saranno sostituite dalle Sposine, una versione molto più castigata: vestite di tutto punto, capelli raccolti, qualche brufolo applicato dal truccatore, potranno avere relazioni sessuali con la produzione del programma e con il pubblico in studio, purché il rapporto sia coronato dal matrimonio.

Appalti.
Il governo ritiene obsoleto e troppo esposto a tentazioni di corruttela l'attuale sistema degli appalti. D'ora in poi i lavori pubblici verranno assegnati con un reality-show nel quale gli imprenditori concorrenti, rinchiusi per un mese in un cantiere sequestrato, cercheranno di eliminarsi a vicenda e di ottenere la nomination grazie al televoto. Molto richieste, come nei reality-show tradizionali, le vecchie glorie dimenticate, che potranno così riconquistare le simpatie del pubblico: tra i più gettonati Ricucci, Ciarrapico e Gaucci. In giuria Luciano Moggi.

Economia. Su suggerimento di Tremonti verranno lanciate sul mercato finanziario le moralities, speciali dividendi da ripartire tra gli investitori rovinati dal tracollo delle Borse. Le moralities non hanno alcun valore economico ma un forte significato di ricompensa morale. Raffigurano, su carta filigranata, un'immagine del portatore ritratto, con un fotomontaggio, nel giardino della villa di Berlusconi in Costa Smeralda. Daranno diritto di precedenza nelle code al dormitorio pubblico.

Informazione. Molto colpito dall'inchiesta de 'L'espresso', Berlusconi per non essere da meno ha commissionato a 'Panorama' diversi articoli sulla questione morale nel Pdl. La prima copertina sarà dedicata alla multa per divieto di sosta di un assessore di Viterbo. All'interno, sulla falsariga delle polemiche sulle scarpe costosissime di D'Alema, una coraggiosa rivelazione sulle scarpe di Gasparri, pietra dello scandalo tra gli elettori di destra: costano solo 40 euro, sono veramente orribili e la suola di para scricchiola come un ponteggio pericolante.

Rapporti con la magistratura.
Finalmente una svolta: se raggiunti da un avviso di garanzia, gli esponenti del centrodestra non dovranno accusare la magistratura e alimentare polemiche. Dovranno limitarsi a cambiare il nome del destinatario con il pennarello e infilare di soppiatto l'avviso di garanzia nella tasca di un collega di centrosinistra, e allontanarsi fischiettando.

Michele Serra


DI PIETRO: "DEL TURCO CON IL PDL, C'AZZECCA, C'AZZECCA..."

DI PIETRO: " Oggi Ottaviano Del Turco ha dichiarato che intende candidarsi con il Popolo della Libertà di Berlusconi alle prossime europee. E ha ribadito che non voterà Carlo Costantini. Giornali e agenzie on line lo hanno pubblicato in barba a qualsiasi silenzio stampa sulle elezioni. Ed allora, per pari opportunità, riprendano anche il mio pensiero.
Ritengo che le dichiarazioni di Del Turco siano un messaggio a tutti gli indagati sulla questione morale della sanità in Abruzzo, di centrodestra ovvio ma anche di centrosinistra. Assomiglia – fatte le debite proporzioni- al messaggio che mandò Marcello Dell’Utri, e che condivise Silvio Berlusconi alle precedenti elezioni politiche, in cui si inviava un celato messaggio di distensione alla malavita organizzata attraverso parole vergognose secondo cui Mangano, lo stalliere di villa Arcore, condannato all’ergastolo per omicidio e uomo di Cosa Nostra, fu “un eroe”.

Del Turco, con le sue dichiarazioni, ha voluto indicare una via di salvezza per l'impunità processuale, che può risiedere nel voto al Popolo delle Libertà.
Anche di questo l'Italia dei Valori ed il centrosinistra, quello pulito, sono orgogliosi.

Contestualmente ringrazio Beppe Grillo, che dal suo blog ha espresso il suo apprezzamento per Carlo Costantini.

A noi vanno le simpatie di persone come Travaglio e Grillo, a Berlusconi quelle di Gelli, Mangano e Del Turco."

 

Dal Blog di ADP


BRUNETTA - PENSIONI DONNE: SALVARE LO STATO SULLA PELLE DELLE DONNE

Fannulloni anche da “vecchi”. L’ossessione del ministro Brunetta per gli scansafatiche questa volta prende di mira chi avrebbe diritto ad andare in pensione. Soprattutto le donne. Quelle che magari è una vita che fanno tre lavori – i figli, la casa, i genitori anziani – e che andando in pensione qualche anno prima diventano un sostituto eccellente di quel welfare che non c’è. Ma per Brunetta chi non timbra il cartellino tutti i giorni, chi non ha la vita scandita dal ruotare di un tornello, va punito senza scrupoli. Il ministro è sconcertato «dallo spaventosamente basso tasso di occupazione italiano». Ma anziché pensare ai giovani, a quelli che un lavoro lo vorrebbero e non riescono a trovarlo, secondo lui «conviene» di più recuperare alla vita lavorativa attiva la cosiddetta terza età. Ha già calcolato che si recupererebbe un 10% di lavoratori, «significa 2-3 milioni di posti di lavoro in più, il che vuole dire incrementare il gettito fiscale e il Pil del Paese». L'invecchiamento attivo, sostiene ancora Brunetta, «è un bene pubblico e come tale occorre farne rilevare la convenienza e sostenerlo con gli opportuni incentivi, anche fiscali, e disincentivare le uscite precoci dal lavoro». Insomma è bene «non sprecare questo enorme serbatoio che sono gli anziani, la terza età, perché al di là di tutto conviene economicamente».

Brunetta pensa soprattutto alle donne e prova a buttarla addirittura sull’eguaglianza: «Le donne – spiega – sono due volte discriminate. Sono discriminate nella carriera per l'interruzione legata alla fase riproduttiva. Sono discriminate nelle pensioni più basse legate all'aver smesso di lavorare prima».

Esterrefatta la Cgil, secondo la quale il ministro, «dopo aver speculato sul pubblico impiego, vuole speculare anche sulle pensioni del pubblico impiego e questo non glielo permetteremo». La responsabile per le politiche della previdenza del sindacato, Morena Piccinini, non ha dubbi: altro che uguaglianza, «costringere le donne a lavorare fino a 65 anni significa punirle»: «Come del resto ha detto Sacconi – ricorda la Piccinini – l'età reale di pensionamento delle donne è più alta di quella degli uomini che grazie all'anzianità raggiungono la pensione prima delle donne. Solo l'8% delle donne arriva all'anzianità. Quindi i 60 anni sono l'unica prima uscita per le donne». La segretaria confederale ricorda poi la legge di parità tra uomini e donne del 1977 che permette alle donne «se vogliono di lavorare fino a 65 anni». «Mi pare - spiega - che Brunetta arrivi 31 anni dopo». «Il problema è un altro - conclude - ed è che le persone devono poter scegliere».

Perfino dall’interno del Pdl fioccano critiche contro la sparata di Brunetta. Barbara Saltamartini, deputata di An e componente della commissione Lavoro della Camera dice che «prima di proporre la riforma dell'età pensionabile è più opportuno lavorare per una vera inclusione delle donne nel mercato occupazionale dando impulso a politiche di sostegno dei nuclei familiari e valorizzando le misure di flessibilità in grado di incidere sulla riorganizzazione del lavoro». Condanne le «fughe in avanti» del ministro anche il segretario della Cisl Raffaele Bonanni, che ci tiene comunque a «non fare polemiche». «Le pensioni sono un tema delicato – dice – che non può essere utilizzato come uno spot pubblicitario, proprio per evitare allarmismi e fughe anticipate dei lavoratori».

Paradossalmente, a non storcere il naso è la neo Consigliera di Parità, Alessandra Servitori. Chiede «calma e obiettività» nell’affrontare l’argomento, ma sostiene che «il ministro Brunetta pone dei problemi seri e reali». Per questo, dice ai sindacati, «non sembra ne' utile ne' corretto contrapporsi a tali ragionamenti in una logica di conservazione dell'esistente». La Servitori, di ruolo, dovrebbe difenderle le donne. Ma questo è quello che succede nelle istituzioni di controllo all’epoca del governo Berlusconi. Quando a controllare la parità e i diritti delle donne, si mettono consigliere personali dei ministri in carica.

Unità


RICEVO UNA MAIL DA UN AMICO ANTIBERLUSCONIANO DI FERRO

Fra,
Se io avessi la mail di B.,
gli avrei già mandato un virus tale che gli avrebbe fatto rizzare quei 4 peli di bigatto
che si ritrova in quella cofana che lui si ostina a chiamare testa.
E' mia fortuna non averla perchè lo avrei coperto di epiteti che solo
un camionista di Portogruaro, che porta giù le lavatrici Merloni dalla Polonia,
sa fare durante un ingorgo nella bretella di Mestre.

Gliene avrei dette talmente tante che qualche ministro seduta vicino a lui
sarebbe rimasto a bocca aperta,
Gli avrei chiesto chi gli vende la roba che usa per poi sparare le cazzate più impensabili
Ma soprattutto gli avrei chiesto la mail di TotòBrunetta,
per dirgli di smettere di saltare in continuazione
solo perchè gli hanno detto che
sotto le feste i tappi saltano....
Ussignur...

Indago sulla mail di B. e domani se la trovo te la mando e la pubblichiamo.
Vado a nanna presto stasera...ho studiato con l'Edoardo fino a poco fa l'Ozonosfera e poi musica.
Gli venisse un sibemolle in testa al professore....
Mi sa che la Tshirt che mi dicevi è di Edo: mi dice che se c'era un numero è la sua. Boh...

bacio-a-domani
Le tue telefonate e sms sono sempre una parentesi piacevole
nel tran tran da delirio del mio lavoro,
fra una fanculizzazione ad un cliente antipatico
e una telefonata, con litigio e insulto dialettale incorporato, all'amministratore! ;-))
Ciao!

Mi sono ammazzata dalle risate nel leggere sua mail! franca


CLASS ACTION! RICEVO DAL SENATORE FELICE CASSON E PUBBLICO

Casson, Maritati, Latorre, Della Monica, Carofiglio, D’Ambrosio, Galperti, Chiurazzi, Li Gotti «Il Senato, in sede di esame del disegno di legge finanziaria per l’anno 2009, per le parti di competenza, premesso che: nella manovra finanziaria in esame sono del tutto assenti norme idonee a promuovere l’efficienza dell’amministrazione della giustizia, nonché a migliorare lo standard della tutela giurisdizionale dei diritti; non vi è, ad esempio, alcuna previsione di misure a tutela dei consumatori o comunque delle categorie di cittadini lesi da condotte illecite seriali diffuse quali la class action, azione collettiva a tutela di consumatori ed utenti, introdotta dalla legge finanziaria per il 2008; il suddetto istituto consiste in un’azione legale suscettibile di attivazione da parte di uno o piu` soggetti accomunati da un’identica condizione giuridica soggettiva ovvero dalla lesione di uno stesso diritto soggettivo, i quali rivolgono, sulla base della medesima causa petendi, la risoluzione giurisdizionale di una controversia, con effetti ultra partes per tutti i componenti presenti e futuri della categoria. Si tratta quindi di un meccanismo processuale che consente di estendere i rimedi concessi a chi abbia agito in giudizio ed abbia ottenuto riconoscimento delle proprie pretese a tutti gli appartenenti alla medesima categoria nei confronti di soggetti che non abbiano agito in giudizio. Negli Stati Uniti, ma anche in molti Paesi europei, un gruppo di cittadini può già ergersi a tutela di un interesse collettivo agendo in giudizio presso una Corte federale con una azione giudiziale collettiva; l’azione collettiva nasce dall’esigenza di consentire, per ragioni di equità, di economia processuale e di certezza del diritto, a chi si trovi in una determinata situazione di beneficiare dei rimedi che altri, avendo agito in giudizio con successo, possono esercitare nei confronti del convenuto, impegna il Governo: a valutare la possibilita` di rendere operative in tempi certi e il piu` rapidamente possibile, le norme sull’azione collettiva risarcitoria».


EZIO MAURO - ITALIA VERSO IL POTERE UNICO: E' FINITA LA DEMOCRAZIA

SIAMO dunque giunti al punto. Ieri Berlusconi ha annunciato l'intenzione di cambiare la Costituzione, a colpi di maggioranza, per "riformare" la giustizia. Poiché per la semplice separazione delle carriere non è necessario toccare la carta costituzionale, diventa chiaro che l'obiettivo del premier è più ambizioso.
O la modifica del principio previsto in Costituzione dell'obbligatorietà dell'azione penale, o la creazione di due Csm separati, uno per i magistrati giudicanti e uno per i pubblici ministeri, creando così un ordine autonomo che ha in mano la potestà della pubblica accusa, il comando della polizia giudiziaria e il potere di autocontrollo: e che sarà guidato nella sua iniziativa penale selettiva dai "consigli" e dagli indirizzi del governo o della maggioranza parlamentare, cioè sarà di fatto uno strumento della politica dominante.
Viene così a compiersi un disegno che non è solo di potere, ma è in qualche modo di sistema, e a cui fin dall'origine il berlusconismo trasformato in politica tendeva per sua stessa natura. Il passaggio, per dirlo in una formula chiara, da una meccanica istituzionale con poteri divisi ad un aggregato post-costituzionale che prefigura un potere sempre più unico. Un potere incarnato da un uomo che già ha sciolto se stesso dalla regola secondo cui la legge era uguale per tutti con il lodo Alfano, vero primo atto della riforma della giustizia, digerito passivamente dall'Italia con il plauso compiacente della stampa "liberale" ormai acquisita al pensiero unico e alla logica del più forte.

Oggi quel prologo vede il suo sviluppo logico e conseguente. Ovviamente la Costituzione si può cambiare, come la stessa carta fondamentale prevede. Ma cambiarla a maggioranza, annunciando questa intenzione come un trofeo anticipato di guerra, significa puntare sulla divisione del Paese, mentre il Capo dello Stato, il presidente della Camera e persino questo presidente del Senato ancora ieri invitavano al dialogo per riformare la giustizia. Con ogni evidenza, a Berlusconi non interessa riformare la giustizia. Gli preme invece riformare i giudici, come ha cercato di fare dall'inizio della sua avventura politica, e come può fare più agevolmente oggi che l'establishment vola compatto insieme con lui, due procure danno spettacolo indecoroso, il Pd si lascia incredibilmente affibbiare la titolarità di una "questione morale" da chi ha svillaneggiato la morale repubblicana e costituzionale, con la tessera della P2 ancora in tasca.

Tutto ciò consente oggi a Berlusconi qualcosa di più, che va oltre il regolamento personale dei conti con la magistratura. È l'attacco ad un potere di controllo - il controllo della legalità - che la Costituzione ha finora garantito alla magistratura, disegnandola nella sua architettura istituzionale come un ordine autonomo e indipendente, soggetto solo alla legge, dunque sottratto ad ogni rapporto di dipendenza da soggetti esterni, in particolare la politica. Il governo che lascia formalmente intatta l'obbligatorietà dell'azione penale, ma interviene sul suo "funzionamento" - come ha annunciato ieri il Guardasigilli Alfano - attraverso criteri suoi di "selezione" dei reati e "canoni di priorità" nell'esercizio dell'accusa, attacca proprio questa garanzia e questa autonomia, subordinando di fatto a sé i pubblici ministeri.

Siamo quindi davanti non a una riforma, ma a una modifica nell'equilibrio dei poteri, che va ancora una volta nella direzione di sovraordinare il potere politico supremo dell'eletto dal popolo, facendo infine prevalere la legittimità dell'investitura del moderno Sovrano alla legalità. Eppure, è il caso di ricordarlo, la funzione giurisdizionale è esercitata "in nome del popolo" perché nel nostro ordinamento è il popolo l'organo sovrano, non il capo del governo. Altrimenti, si torna allo Statuto, secondo cui "la giustizia emana dal Re, ed è amministrata in suo nome".

Questa e non altra è la posta in gioco. Vale la pena discuterla davanti al Paese, spiegando la strategia della destra di ridisegnare il potere repubblicano dopo averlo conquistato. Ma la sinistra sembra prigioniera di una di quelle palle di vetro natalizie con la finta neve che cade, cercando di aprire (invano) la porta della Rai, come se lì si giocasse la partita. Fuori invece c'è il Paese reale, con il problema concreto di una crisi che ridisegna il mondo. A questo Paese abbandonato, Berlusconi propone oggi di fatto di costituzionalizzare la sua anomalia, sanandola infine dopo un quindicennio: e restandone così deformato.


CAPEZZONE: QUELLI CHE CAMBIANO COALIZIONE OGNI 2 ANNI E CI INSEGNANO LA MORALE

Quello che vedete nel video qui sopra è Neri Marcoré che imita piuttosto bene il portavoce del coordinatore nazionale di Forza Italia, Daniele Capezzone. Invece le immagini che avete visto in questi giorni in tutte le edizioni dei Tg sono autentiche: era davvero Capezzone quello che, strabuzzando continuamente gli occhi per conferire maggiore gravità alle sue parole, intimava a Veltroni e agli uomini del Partito democratico di arrendersi all’evidenza che il loro partito è una sorta di associazione a delinquere e, di conseguenza, di chiedere scusa a Bettino Craxi, che sarebbe stato ingiustamente attaccato da persone che non avevano titolo per giudicarlo. Probabilmente Capezzone non si rende nemmeno conto di quanto siano paradossali le sue parole e di quanto, a volte, il silenzio sia d’oro: ammesso e non concesso che sia ancora possibile mettere in dubbio le condotte illegali e i reati commessi da Craxi (un motivo per il quale forse sarebbe dovuto essere lui a scusarsi quando poteva farlo), ci troviamo di fronte al portavoce di un partito che ha guidato e guida un’alleanza piena zeppa di pregiudicati, alcuni per reati di mafia, che ha portato in Parlamento ogni sorta di inquisiti, che ha elevato al rango di eroe uno stalliere condannato in via definitiva anche per omicidio.

Qualcuno dovrebbe forse spiegare al Capezzone che il suo ragionamento vale in primis proprio per lui: gli amministratori del Pd non saranno dei santi, ma non è certo dal suo pulpito, sorretto da Dell’Utri, Ciarrapico, Previti e soci, che possono venire lezioni di etica della politica.

Da Polisblog


Sale il consenso verso il governo. UOVAzioni per Gianni Letta.

Siena, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio accolto dai cori: "Buffone"
Oggi riceveva il premio Paolo Frajese. La replica: "Non conoscono la riforma"
SIENA - "Buffone, buffone". E' il coro che ha accolto il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta, in visita al Santa Maria della Scala di Siena per ricevere il premio intitolato a Paolo Frajese. Ad attenderlo oggi, però, c'era un gruppo di studenti e ricercatori dell'Università toscana, pronti a contestare duramente la riforma della scuola firmata dal governo Berlusconi.
"Voi la distruggete, noi la costruiamo", recitava uno striscione a favore della tutela dell'università. E poi urla, lancio di uova e pomodori all'indirizzo di Letta, a cui uno studente ha anche dato del "ciambellano".

Il ragazzo è stato allontanato dalla polizia. E non sono mancati i momenti di tensione tra i poliziotti e gli studenti e i precari che stavano manifestando all'esterno mentre la cerimonia era in corso. Alcuni giovani hanno denunciato di essere stati caricati dagli agenti con i manganelli. Tre ragazzi sono andati al pronto soccorso per essere visitati.

Ma prima la contestazione è entrata anche nell'aula della cerimonia. Poco prima della premiazione una ricercatrice dell'università di Siena ha fatto il suo ingresso in sala e ha letto un documento contro i tagli delle leggi 133 e 180, specificando di non voler contestare il premio Frajese ma Gianni Letta "in quanto rappresentante di spicco di un Governo che sta portando avanti una politica dissennata di privatizzazioni e tagli". "Si salvano le squadre di calcio, si salvano le banche, ma non le università, evidentemente perché non si vuole salvare l'università pubblica", ha attaccato la ricercatrice.

"Evidentemente - ha detto Letta - non conoscono la legge 133 e ne danno un'interpretazione che è quella che corre su tutti o certi giornali. Basterebbe approfondire un po' meglio per capire che le cose non stanno così perché noi per primi abbiamo a cuore l'università di Siena e quella italiana in genere". 
 

da repubblica


TAGLI GOVERNATIVI ALLA RICERCA: LO SCHIAFFO DI FRANCA RAME

di Giancarlo Iacchini

Da www.radicalsocialismo.it - Valentina, Francesco, Luca, Gaia, Daniele, Laura, Roberto, Martina... Sarebbe interminabile la lista dei giovani “cervelli” italiani costretti ad emigrare presso Centri, Istituti e Università straniere a causa dei continui tagli governativi alla ricerca scientifica, diventati con l’ultimo esecutivo delle destre un’autentica e definitiva mannaia su quella che dovrebbe essere riconosciuta, invece, come la risorsa più preziosa di un Paese che aspiri a definirsi civile e avanzato. E così può accadere che sia il privato cittadino a dare l’esempio contrario e virtuoso, rimediando clamorosamente alle mancanze dello Stato: Franca Rame, donna-simbolo dell’impegno sociale e della coscienza civile più autentica in questa Italia disastrata dalla cattiva politica, ha deciso di donare alla ricerca sull’Aids la bellezza di centomila euro, destinati a trattenere nel nostro Paese (e precisamente all’Istituto di Genetica Molecolare di Pavia) almeno uno dei giovani ricercatori, promettenti e preparatissimi, che in numero impressionante se ne vanno all’estero per costruire la loro carriera e contribuire al progresso della medicina e della scienza.

Lungi da Franca l’intenzione di ostentare la sua straordinaria generosità, ma il suo gesto doveva essere reso pubblico, perché risulti di esempio per tutti («spero di essere imitata», scrive nel suo blog www.francarame.it); e dovrebbe anche suonare come uno schiaffo morale alla vergognosa politica del governo Berlusconi-Tremonti, impegnato con un accanimento degno di miglior causa a “risparmiare risorse finanziarie” a danno della scuola pubblica, dell’Università e per l’appunto della ricerca.
Ma leggiamola insieme, la lettera che Franca Rame ha inviato al dottor Giuseppe Biamonti, direttore dell’Istituto di via Abbiategrasso a Pavia:
«Con la presente Le confermo la mia volontà di donare 35.000 euro all’anno per tre anni - per un totale di € 105.000 - finalizzati all’assunzione per un periodo di tre anni di un giovane e promettente ricercatore, da associare al gruppo di ricerca del Dott. Maga presso l’Istituto di Genetica Molecolare del CNR a Pavia. Lo scopo della mia donazione è quello di sostenere un giovane che si occupi delle ricerche tese a sviluppare nuovi approcci farmacologici al trattamento dell’infezione del virus HIV-1. La mia donazione dovrà essere considerata come una erogazione liberale e verrà effettuata secondo i termini da concordare con gli uffici preposti del CNR. Cordiali saluti, Franca Rame».

Che dire? Uno sconcertato “no comment” sarebbe forse la chiusa più opportuna di fronte a questa incredibile contraddizione tra l’assenza ed anzi la colpevole insipienza dello Stato e, dall’altro lato, la nobile coscienza civile che spinge un faro della cultura italiana come Franca Rame a riservare una somma di denaro così grande alla causa della battaglia medica volta a debellare la minaccia del virus Hiv.

Un esempio che certo merita di essere seguito, ovviamente in proporzione alle possibilità economiche di chiunque voglia contribuire con le proprie donazioni alla ricerca medica avanzata, ma che politicamente è destinato a mettere il dito su una delle piaghe più gravi (ancorché sottovalutate) del nostro Paese: la verticale diminuzione dei fondi pubblici alla ricerca; la trasformazione dell’Italia in una sorta di “parassita” scientifico capace soltanto di copiare le invenzioni altrui bell’e fatte; la crescente emigrazione dei giovani studiosi nostrani verso Stati Uniti, Inghilterra, Francia, Germania, Svizzera e perfino Polonia, Turchia ed altri Paesi che stanno rapidamente sopravanzando il nostro nel preparare un futuro basato su solide fondamenta.

Una vergogna che il mirabile gesto di Franca Rame non può certo cancellare, ma su cui può certamente puntare il dito accusatore affinché tutta l’opinione pubblica prenda coscienza di questa devastazione al momento forse “latente”, ma che non mancherà di produrre guasti colossali a quello stesso sviluppo da tutti invocato a parole, per essere invece disatteso nei fatti a cominciare dai suoi più necessari presupposti.


MARGHERITA HACK: A BREVE SARA' FASCISMO

Trieste, 8 denunciati per le contestazioni a Berlusconi

Hack: proibito il dissenso

Leggo sul Piccolo di oggi 4 dicembre 2008 che un ricercatore precario e sette studenti dell’Università di Trieste sono stati denunciati per avere gridato il loro dissenso contro questo governo e la sua politica disastrosa nei confronti della scuola, dell’università, della ricerca durante il vertice italo-tedesco fra Berlusconi e la cancelliera Merkel del 18 novembre scorso. Spesso ci chiediamo se questa è ancora una democrazia o siamo già a un regime che usa la televisione al posto del manganello.
Questo fatto ci da la risposta. Fra breve succederà come sotto il fascismo: durante le visite di illustri personaggi, i dissidenti, opportunamente schedati dalle questure, erano ospiti per qualche giorno delle patrie galere.
Margherita Hack

Contestavano Berlusconi: 8 denunce

di Piero Rauber, il Piccolo, 4 dicembre 2008

I fischi, i «buu», gli slogan di scherno anti-Gelmini e anti-Cavaliere, urlati a colpi di megafono e impianti acustici in piazza della Borsa, nel giorno del vertice italo-tedesco, lasciano in eredità otto denunce. «Titolari» loro malgrado della segnalazione inoltrata in Procura dalla Questura - per manifestazione non preavvisata e non autorizzata - un ricercatore precario e sette studenti dell’ateneo di Trieste. Ritenuti, evidentemente, lo zoccolo duro, l’ala più dura del Coordinamento 133, la mente di quel rumoroso sit-in a favore della scuola pubblica che aveva calamitato un centinaio di ragazzi, il pomeriggio del 18 novembre, davanti alla Camera di Commercio, dove erano prima entrati per la conferenza stampa congiunta, e poi erano usciti per un rapido rientro nelle rispettive capitali, Silvio Berlusconi e Angela Merkel. Alcuni dei denunciati l’hanno presa male. Altri, invece, l’hanno digerita. Perché sapevano che sarebbe stata solo questione di tempo. Perché c’era la Digos con le telecamere puntate. E perché ad augurarsi una punizione esemplare si era messo pure il primo cittadino, un Roberto Dipiazza inalberato come non mai. Per il sindaco infatti, che non aveva esitato a chiamare il questore per lamentarsi della riuscita del fuoriprogramma, era stata colpa proprio di quel «gruppetto sparuto di studenti o presunti tali» se i suoi piani - quelli di trascinare il premier fino alle nuove gallerie di Cattinara per un sopralluogo - non erano riusciti fino in fondo. La presenza del Cavaliere, tuttavia, è stata vissuta come occasione irripetibile, più forte della Digos e del Dipiazza furioso. Via dunque a quella manifestazione non autorizzata, sulla scia del test fatto al mattino in piazza Unità dai rappresentanti della scuola Interpreti. Ma con più decibel. «È vero - ammette Luca Tornatore, ricercatore del Dipartimento di astronomia, l’unico non studente che si è preso la denuncia - siamo stati autori di una piccola forzatura. Ma, ci chiediamo, non si deve disturbare proprio mai quest’ordine costituito, che sta distruggendo la formazione pubblica? Abbiamo agito in modo pacifico, mica usando violenza». «Comprendiamo, certo, di aver messo in imbarazzo qualcuno, qui a Trieste, ma al tempo stesso non abbiamo paura», chiude il ricercatore. Il quale annuncia che, nelle prossime ore, arriverà agli organi di stampa una nota congiunta dei denunciati. Poi partirà pure una serie di lettere «indirizzate agli uomini di cultura di questo territorio: Magris, Rumiz e Moni Ovadia - quelli citati in prima battuta da Tornatore - cui chiederemo una presa di posizione».