G8 CASERMA DIAZ : LA VERGOGNA DI UN PAESE CIVILE, ASSOLTI I VERTICI DELLA POLIZIA! VIDEO CON TESTIMONIANZE

Nessuna condanna per i dirigenti che firmarono il verbale di perquisizione
Gratteri, Luperi e Calderozzi. Riconosciuti colpevoli i componenti del Settimo nucleo mobile
Sentenza Diaz, assolti i vertici della polizia
Tredici condanne. L'aula grida: "Vergogna"

L'avvocato Biondi difensore di due imputati: "Sconfitto il teorema della procura"
 Sono stati assolti i vertici della polizia per le violenze del 21 luglio 2001, durante il G8 di Genova, all'interno della scuola Diaz. Nessuna condanna, dunque, per Giovanni Luperi, attuale capo del Dipartimento di analisi dell'Aisi (ex Sisde), nel 2001 vice direttore dell'Ucigos, e per Francesco Gratteri, attuale capo dell'Anticrimine, all'epoca dei fatti direttore dello Sco, e Gilberto Calderozzi, oggi capo dello Sco. Dei 29 imputati, 13 sono stati condannati e 16 assolti. Il tribunale di Genova ha inflitto pene per complessivi 35 anni e sette mesi, di cui 32 anni e sei mesi condonati. L'accusa aveva chiesto condanne per un totale di oltre 108 anni.

La difesa. "E' sconfitto il teorema della procura", ha commentato a caldo l'avvocato Alfredo Biondi, difensore del vicequestore Pietro Troiani e del funzionario di polizia Alfredo Fabbrocini. Il pm non ha voluto quando gli è stato chiesto se presenterà ricorso contro la sentenza.

Gli assolti. Il collegio presieduto da Gabrio Barone ha deciso di emettere 13 condanne, esclusivamente nei confronti dei responsabili delle violenze all'interno della scuola. Assolti, dunque, i funzionari di polizia che firmarono il verbale di perquisizione e cioè Gratteri, Luperi e Calderozzi. E insieme a loro Filippo Ferri, Massimiliano Di Bernardini, Fabio Ciccimarra, Nando Dominici, Spartaco Mortola e Carlo Di Sarro. Per ognuno di loro la pubblica accusa aveva chiesto quattro anni e mezzo ritenendoli colpevoli di calunnia, falso ideologico e arresto illegale.

Il tribunale ha assolto inoltre per non aver commesso il reato o perché il fatto non sussiste Massimo Mazzoni, Renzo Cerchi e Davide Di Novi. Per loro la pubblica accusa aveva chiesto quattro anni ritenendoli colpevoli di calunnia, falso ideologico e arresto illegale. Assolti da ogni responsabilità anche Massimo Nocera, Maurizio Panzieri e Salvatore Gava. Nocera era accusato di aver simulato un finto accoltellamento e il pm aveva chiesto per lui quattro anni di carcere.

I condannati. La totalità delle condanne riguarda i componenti del Settimo nucleo mobile di Roma. Quattro anni (di cui tre condonati) al suo capo dell'epoca Vincenzo Canterini, accusato di calunnia, falso ideologico e lesioni. Tre anni ai suoi sottoposti Fabrizio Basili, Ciro Tucci, Carlo Lucaroni, Emiliano Zaccaria, Angelo Cenni, Fabrizio Ledoti e Pietro Stranieri, accusati di lesioni aggravate in concorso. Il vice di Canterini, Angelo Forniè, è invece stato condannato a due anni di reclusione.

Per la vicenda delle molotov introdotte all'interno della scuola (LE IMMAGINI), invece, Pietro Troiani è stato condannato a tre anni e Michele Burgio a due anni e 6 mesi. Ambedue erano imputati di calunnia, falso ideologico e violazione della legge sulle armi. Infine Luigi Fazio è stato condannato a un mese di reclusione.

Pene accessorie. Il tribunale ha anche comminato la pena accessoria di sospensione nei pubblici uffici a tutti gli imputati condannati per l'ammontare della stessa pena e a un anno per Fazio. Al ministero dell'Interno è stata poi comminata una provvisionale a favore delle oltre 70 parti civili per le lesioni riportate dai ricorrenti da un minimo di 5.000 a un massimo di 50.000 euro.

"Vergogna". Alla lettura della sentenza, dopo 11 ore di camera di consiglio, si è levato il grido "Vergogna, vergogna!" dai settori del pubblico che affollava l'aula. Presenti anche gli altri magistrati della procura di Genova: tra loro i pm del processo per i fatti di Bolzaneto, Petruzziello e Ranieri Miniati, oltre ad altri quattro che si sono occupati della Diaz. In aula c'era solo un imputato: il capo della squadra mobile di Parma Alberto Fabbrocini per il quale i pm hanno chiesto l'assoluzione.

Tra il pubblico erano presenti anche Mark Covell, giornalista inglese di 40 anni presente nella scuola durante l'irruzione della polizia, e il sindaco di Genova Marta Vincenzi. "Spero che con questa sera si chiuda una ferita che è rimasta aperta per sette anni", aveva detto il primo cittadino del capoluogo ligure prima della lettura della sentenza.

Gli altri processi. Ora restano da discutere alcuni processi-satellite. Il primo è quello a carico di Canterini, imputato di lesioni personali aggravate e di violenza privata per aver spruzzato gas urticante contro alcune persone radunate in corso Buenos Aires.

Il secondo riguarda la carica avvenuta in quei tragici giorni in piazza Manin: in questo processo sono imputati quattro poliziotti del reparto mobile di Bologna. Un terzo processo riguarda l'ex capo della polizia Gianni De Gennaro, accusato di aver istigato l'ex questore di Genova a rendere false testimonianze nel corso della deposizione al processo sull'irruzione alla Diaz. Con lui sono indagati l'ex capo della Digos di Genova Spartaco Mortola e l'ex questore Francesco Colucci. In questo caso l'udienza preliminare è fissata per il 25 novembre.

I processi già celebrati. Il primo processo ad essere celebrato per i fatti del luglio 2001 è stato quello per le violenze di strada che si è concluso il 14 dicembre 2007 con la condanna a pene tra i cinque mesi e gli 11 anni per 24 no global. Il secondo è stato invece quello per le violenze e i soprusi avvenuti nella caserma di Bolzaneto. In questo caso, il 14 luglio 2008 il tribunale ha condannato 15 persone (tra poliziotti e civili) a pene variabili tra cinque mesi e cinque anni.

(13 novembre 2008)


"Kapò" Schulz colpisce ancora: chiesta a Facebook la rimozione dei gruppi italiani anti-rom

Bruciamoli tutti. Diamo un lavoro agli zingari: collaudatori di camere a gas. Rendiamo utili gli zingari: trasformiamoli in benzina verde. Sono tre dei gruppi spontanei formatisi su Facebook che il capogruppo del Pse al Parlamento europeo, Martin Schulz ha chiesto di rimuovere dalla rete, in questo appoggiato dal capodelegazione italiano al Pse Gianni Pittella. “Mi appello a Facebook affinché li rimuova immediatamente”, ha dichiarato il solerte socialista, noto per le sue campagne anti-italiane e per il celebre scontro con Silvio Berlusconi sfociato nella battuta di quest’ultimo “la proporrò per il ruolo di kapò”Anche all’epoca del censimento Rom di Maroni, Schulz fece approvare una mozione contraria al provvedimento, salvo poi battere in ritirata quando l’Unione europea chiarì che le norme varate dal Ministro degli interni erano in applicazione alla direttiva continentale. Ma diamo un’occhiata ai gruppi suddetti. Diamo un lavoro agli zingari: collaudatori di camere a gas conta al momento 669 membri, e ha per motto Affinché i gitani abbiano un posto di lavoro. La categoria è Svago-affermazioni bizzarre, e i commenti sin qui pubblicati (19) ondeggiano tra il goliardico e la ferocia da bar (”rega, nn semo noi che semo razzisti…sò loro che sò zingari…”) ne è un perfetto esempio.

Rendiamo utili gli Zingari…trasformiamoli in benzina verde! conta invece 292 iscritti. La descrizione del gruppo è Per un’energia pulita e rinnovabile nel tempo, usiamo gli zingari, trasformiamoli in carburante per le nostre auto, navi, aerei… mentre i commenti sono più improntati all’umorismo spiccio, sempre giocando sul caro carburante e l’ipotesi del titolo.

Il gruppo Bruciamoli tutti non esiste più ma forse ha cambiato nome o è sfociato nel più sibillino Gypsies burned, che conta solo 16 membri ma pur non avendo ancora commenti dalla descrizione appare il più radicale di tutti. Va detto comunque che è bastato digitare “zingari” nella ricerca gruppi per trovarne almeno una trentina su quersto tenore, a fronte di 4-5 timidamente schierati a favore dei rom.

Quel che risulta più incomprensibile, tuttavia, è l’accanimento del Pse su questi temi, specialmente quando riguardino l’Italia, come se gli europarlamentari non avessero nulla di più importante da fare (!!!). I siti di social networking come Facebook rappresentano un microcosmo del web, una sorta di rete nella rete e vi si applicano le medesime forme di libertà di pensiero. Possiamo anche essere d’accordo sull’abolizione dei gruppi violenti ma ci chiediamo come mai nessuno insorga contro gruppi come Uccidiamo Berlusconi (11.143 membri), Armiamoci contro i fascisti (25) o Lega Lombarda razza bastarda (1985).

http://www.polisblog.it/tag/martin+schulz

 

Ma davvero dicono cose del genere gli Italiani? Che vergogna....Mi domando come si possa avere una brutta figura al giorno in giro per il mondo. Povera Italia, come siamo ridotti!!!


Dario Fo e Franca Rame a Valle Giulia: "Viviamo in tempi bui"

Ma le proteste dell´Onda continuano anche sul fronte della cultura. Questa mattina, alle ore 11, il premio Nobel Dario Fo ha incontrato, con la moglie Franca Rame, gli studenti della facoltà di Architettura di Valle Giulia. Sono davvero emozionato perché 40 anni fa sono stato invitato qui dagli studenti poco dopo l´attacco dei fascisti alla facoltà. C´erano dei feriti. Ci siamo confrontati, ci siamo anche scontrati. Si trattava di difendersi da quelle aggressioni e noi allora lo facemmo». Il premio nobel Dario Fo parla nell´aula magna delle facoltà di Architettura della Sapienza a Valle Giulia a quelli che «potrebbero essere i figli degli studenti del 68».E dice subito quello che pensa dell´Onda: «Mi ha molto colpito perché è stato l´unico movimento che ha messo in difficoltà il governo. Siete usciti a fare lezione nelle strade grazie anche all´intelligenza dei vostri professori. Avete reagito con gioia e avete aiutato gli studenti in difficoltà». Un abbraccio caldo quello di Fo agli studenti, quasi un migliaio assiepato, oltre che in aula magna, anche in altre tre aule limitrofe attrezzate con teleschermi in modo da poterlo seguire in diretta, e lui non perde un colpo, sembra percepire la corrente di energia corre nelle loro vene e che aspetta di essere tradotta in parole.

E il drammaturgo si rivolge a tutti come se fossero suoi allievi, persone che hanno con lui un´intimità particolare: «Mi ha sorpreso soprattutto la serenità, il grande distacco con cui operate - dice - avete ironia, un senso felice, leggero della lotta. Un fatto importate che vi siete trovati nelle stessa battaglia con i professori, avete parlato con loro e vi siete messi in equilibrio con una concretezza straordinaria. La leggerezza del combattimento, per questo il movimento si chiama "onda"». Scattano gli applausi, tutta la platea in piedi, tutti aspettano che la sintonia continui e Fo li accontenta: «L´importante è capire cosa c´è dietro la lotta, io ci vedo la forza del coraggio e la voglia di dignità, la voglia di non soccombere davanti alla aggressioni del potere». E subito passa a parlare del governo e di «quello che ci farà con i soldi che risparmia sulla scuola e l´università, il denaro gli servirà per comprare armi da combattimento, armi da attacco come le bombe a grappoli, oggetti e mezzi che servono per aggredire» e passa alla crisi economica mondiale «non parliamo poi delle banche quelle che hanno rapinato migliaia di persone, il massacro dell´economia, il vantaggio per pochi. Berlusconi ce lo dice sempre "rivolgetevi alle banche che hanno delle strutture ben solide" e se lo dice lui... ».Fo si gira e guarda lo striscione alle sue spalle dove campeggia la frase "Didattica attiva protesta creativa" e ritorna a parlare del movimento e delle sue giuste cause: «Quando si taglia all´interno della scuola quando si cacciano, o non si sostituiscono, i professori l´università c´è un danno spaventoso alla struttura, con danni tremendi per la ricerca, tutto il male è fatto». E tira fuori quella che per lui è la verità che si tenda di contrabbandare per altro: «Il programma è di far crescere l´università privata a danno di quella pubblica, è un atto criminale».

L´aula magna esplode, gli applausi non si placano nemmeno quando Dario Fo fa cenno a tutti di sedersi e comincia a declamare "Rosa fresca aulentissima ch´ apari inver´ la state le donne ti disiano. .." tratta dal suo "Mistero buffo", poi si placano e ascoltano rapiti l´attore che si muove sul palco, che incanta e che fa trattenere a tutti il respiro. E lui continua, subito dopo, recitando a braccio la sua piece su Bonifacio VIII. L´atmosfera non si rompe, il legame tra lui e la platea resiste: l´adorazione è totale tanto che il dibattito previsto non c´è, tutti si rimettono seduti e bevono fino all´ultima sua parola. E quando va via fa una promessa: «Ritornerò con mia moglie Franca, quando mi chiamerete ritornerò».

(12 novembre 2008)

TREMONTI: RECESSIONE? TRANQUILLI, MO' VIENE NATALE

Domenica scorsa, a borse chiuse, la Cina ha tirato fuori 586 miliardi di dollari di risorse statali per i prossimi due anni, l'equivalente del 20% del Pil cinese. Secondo Federico Rampini di Repubblica il paragone non va fatto coi 700 miliardi del piano Paulson destinati a ricapitalizzare le banche, ma coi 200 miliardi di dollari di sostegno alla crescita varati quest'anno negli Usa. Secondo Pino Longo, corrispondente Rai da Pechino, la cifra stanziata dal governo cinese, paragonata al tenore di vita dei cittadini cinesi, equivarrebbe a 2000 miliardi di dollari.  "Negli ultimi due mesi - si legge nel comunicato diffuso ieri a Pechino - la crisi finanziaria globale ha avuto un'accelerazione giorno dopo giorno. Di fronte a questa minaccia dobbiamo aumentare gli investimenti pubblici in modo energico e rapido".

Si  preannuncia una "politica fiscale aggressiva" fatta di maggiore spesa pubblica e sgravi d'imposte, insieme con una "politica monetaria espansiva" (nuovi tagli dei tassi, dopo che la banca centrale ha già ridotto per ben tre volte il costo del denaro da metà settembre). La terapia shock sarà mirata anzitutto a "migliorare le condizioni di vita della popolazione, perché possa aumentare i consumi".

La terapia d'urto includerebbe nuovi investimenti pubblici nell'edilizia popolare, l'accelerazione della costruzione di ferrovie e aeroporti; investimenti nelle energie rinnovabili; spese sociali a favore delle fasce più indigenti; prestiti alle piccole e medie imprese; detassazione sugli acquisti di macchinari industriali. Insomma, un vero e proprio New Deal, in salsa cinese.

Mentre negli Usa si contano i giorni dell’insediamento di Barak Obama, e nel frattempo si cerca di capire se anche la sua nuova amministrazione vorrà e saprà prendere di petto la situazione economica, come il neo presidente ha già detto nella sua apparizione pubblica dopo la vittoria elettorale, il resto del mondo sembra intontito, come la lepre abbagliata dai fari di un’auto. L’ubriacatura neoliberista sembra dura da digerire.

E’ il corso il G20, ma finora l’unica notizia degna di nota è il richiamo in patria del ministro dell’economia cinese domenica scorsa, per varare appunto il piano cinese anti-recessione.

In Italia? A parte tagli alla spesa pubblica, che stanno facendo protestare il mondo della scuola e i dipendenti pubblici; a parte la vicenda Alitalia, che caricherà il contribuente di ulteriori enormi oneri, e che al contempo ha creato una situazione libanese tra i dipendenti; a parte i tagli alla sicurezza e alla giustizia; insomma, a parte i tagli che scopriremo quando la Finanziaria sarà varata,  il governo italiano sembra imbambolato.

Cala la produzione industriale, calano i consumi, si stanno perdendo migliaia di posti di lavoro, si stanno abbandonando al loro destino migliaia e migliaia di lavoratori precari, proprio mentre il Parlamento si accinge all’esame della legge Finanziaria discussa in nove minuti e mezzo al Consiglio dei ministri, nove settimane e mezzo fa, prima della crisi dei mutui, prima dell’arrivo della recessione, prima della misure straordinarie prese negli Usa e in Cina.

Il ministro Tremonti ha detto: “Da qui a Natale tutti i paesi europei prenderanno i loro provvedimenti". Ci fa piacere.

Nel frattempo, per ingannare la recessione, potremmo metterci  a cantare: “Mo’viene Natale, nun tengo denare, me leggo 'o giurnale e me vaco a curcà!.

di Marco Ferri - Megachip


COSSIGA: CI VORREBBE UN MORTO. CARO PRESIDENTE SI FACCIA UNA TAC

Ci riprova. Noi siamo convinti che questo uomo stia male, che sia malato. A questo punto è obbligatorio sapere se Cossiga è ancora in possesso delle sue facoltà mentale, in fondo è parlamentare e decide anche per noi. Si faccia una perizia, una TAC, qualcosa che ci dica che non lo abbiamo perso.

Il Senatore a vita Francesco Cossiga, ex Presidente Emerito della Repubblica Italiana, ha reso noto il testo di una sua lettera aperta al Capo della Polizia Manganelli che riportiamo integralmente nel seguito.

A prima vista sembrano le farneticazioni di un demente e le espressioni facciali, come quelle riportate nelle foto, sembrano convalidare la legittimità di questa ipotesi
Ma poi, considerando i trascorsi di quest'uomo che, insieme ad Andreotti, è una delle anime nere della nostra Repubblica, quando mi vengono in mente i nomi di Pier Francesco Lorusso, Giorgiana Masi, Roberto Crescenzio, Fulvio Croce, di tutte le vittime di quella strategia della tensione della quale in queste sue esternazioni, all'apparenza farneticanti, Cossiga non fa altro che ipotizzare, suggerire e sollecitare il ritorno, allora mi rendo conto che non abbiamo a che fare con le dichiarazioni di un demente ma con una vera e propria, lucida, determinata, istigazione a delinquere.
In ogni caso, a fronte delle due ipotesi, non ci sono che due soluzioni, o Cossiga deve essere interdetto e privato, per manifesta indegnità, della sua carica di senatore a vita, o per il reato reiterato di istigazione a delinquere deve essere processato e condannato.
Di seguito il testo integrale della sua indegna lettera aperta

"Caro Capo, per alcune dichiarazioni paradossali e provocatorie da me rese sul come gestire l'ordine pubblico in questa ripresa di massicce manifestazioni e come, spengendo tempestivamente i focarelli, si possa evitare che divampino poi gli incendi, mi sono beccato denunzie da molte persone, sacerdoti, frati e suore comprese, e sembra che me sia in arrivo una da parte di S.Em.za il Card. Tettamanzi, firmata anche dai alcuni suoi fedeli adepti dei Centri Sociali, dei No Global e dei Black Bloc.
Ma osando contro l'osabile, caro Capo, vorrei darLe un consiglio. Gli studenti piu' grandi, anche se in qualche caso facendosi scudo con i bambini, hanno cominciato a sfidare le forze di polizia, a lanciare bombe carta e bottiglie contro di esse e a tentare occupazioni di infrastrutture pubbliche, e ovviamente, ma non saggiamente, hanno reagito con cariche d'alleggerimento, usando anche gli sfollagente e ferendo qualche manifestante. E' stato, mi creda! un grande errore strategico.
Io ritengo che, data anche la posizione dell'opposizione (non abbiamo piu' il Partito Comunista e il ferreo servizio d'ordine della CGIL), queste manifestazioni aumenteranno nel numero, in gravita' e nel consenso dell'opposizione. Un'efficace politica dell'ordine pubblico deve basarsi su un vasto consenso popolare, e il consenso si forma sulla paura, non verso le forze di polizia, ma verso i manifestanti. A mio avviso, dato che un lancio di bottiglie contro le forze di polizia, insulti rivolti a poliziotti e carabinieri, a loro madri, figlie e sorelle, l'occupazione di stazioni ferroviarie, qualche automobile bruciata non e' cosa poi tanto grave, il mio consiglio e' che in attesa di tempi peggiori, che certamente verranno, Lei disponga che al minimo cenno di violenze di questo tipo, le forze di polizia si ritirino, in modo che qualche commerciante, qualche proprietario di automobili, e anche qualche passante, meglio se donna, vecchio o bambino, siano danneggiati, se fosse possibile la sede dell'arcivescovo di Milano, qualche sede della Caritas o di Pax Christi, da queste manifestazioni,e cresca nella gente comune la paura dei manifestanti e con la paura l'odio verso di essi e i loro mandanti o chi da qualche loft o da qualche redazione, ad esempio quella de L'Unita', li sorregge.

L'ideale sarebbe che di queste manifestazioni fosse vittima un passante, meglio come ho gia' detto un vecchio, una donna o un bambino , rimanendo ferito da qualche colpo di arma da fuoco sparato dai dimostranti: basterebbe una ferita lieve, ma meglio sarebbe se fosse grave, ma senza pericolo per la vita.
Io aspetterei ancora un po', adottando straordinarie misure di protezione nei confronti delle sedi di organizzazioni di sinistra. E solo dopo che la situazione si aggravasse e colonne di studenti con militanti dei centri sociali, al canto di ''Bella ciao'', devastassero strade, negozi, infrastrutture pubbliche e aggredissero forze di polizia in tenuta ordinaria e non antisommossa e ferissero qualcuno di loro, anche uccidendendolo, farei intervenire massicciamente e pesantemente le forze dell'ordine contro i manifestanti, ma senza arrestare nessuno.
E il comunicato del Viminale dovrebbe dire che si e' intervenuto contro manifestazioni violente del Blocco Studentesco,di Casa Pound e di altri manifestanti di estrema destra, compresi gruppi di naziskin che manifestavano al grido di ''Hitler! Hitler!''. Questo il mio consiglio."
http://www.antimafiaduemila.com/content/view/10700/78/


"PACATAMENTE, PIANO PIANO" RITORNANO I FASCISTI

Intimidazione ad un giornalista
Insulti e una celtica sull'auto. "Hanno lasciato la firma, sono quelli del gruppo fascista Trieste-Salario". Santo Della Volpe del Tg3: "Vado avanti, non ho paura"

Giornalisti ancora nel mirino. Dopo l'irruzione di un gruppo di militanti di estrema nella redazione, deserta, di Chi l'ha visto, e lo striscione contro il direttore di Repubblica Ezio Mauro, adesso è il momento delle scritte tracciate con lo spray sulla macchina di Santo Della Volpe, giornalista del Tg3. Tra un'ingiuria e un disegno osceno sulla carrozzeria è stata vergata anche una croce celtica con in alto a sinistra la lettera "T" e in basso a destra la lettera "S". In pratica la firma di un noto gruppo neofascista della zona Trieste-Salario.

"Succede che arrivi stanco da un viaggio in giro per il mondo ed il mattino cerchi l'automobile. E scopri una bella croce celtica con in alto a sinistra la lettera T e in basso a destra la lettera S. Si gela il sangue: hanno anche lasciato la firma, sono quelli del gruppo fascista Trieste-Salario - denuncia Della Volpe, dirigente dell'associazione Articolo21 e vicepresidente di Libera Informazione - Io non sfido nessuno, ma nessuno creda di far cambiare di una virgola il mio lavoro. Non è bello sentirsi nel mirino, anche se da parte di una banda di stupidi vigliacchi".

Molte le reazioni di condanna sia dal mondo politico che da quello giornalistico. "Si respira una aggressività crescente nei confronti dell'informazione, da parte di gruppi di violenti che evidentemente percepiscono di poter agire senza troppi rischi in modo sempre più scoperto" spiega la Federazione nazionale della stampa che chiede alle parti politiche di fare sentire "la loro più netta riprovazione verso questi atti, uscendo dal silenzio o dalla distrazione". E si fa sentire anche il cdr del Tg3: "Non possiamo tacere di fronte a tali manifestazioni di inciviltà che sono l' espressione di un clima inaccettabile per una informazione che è e vuole continuare ad essere libera".

Solidarietà a Della Volpe arriva dal presidente del Senato, Renato Schifani, dalla democratica Anna Finocchiaro che chiede di mettere fine "a questo clima che rischia di alimentare tensioni pericolose".

"Si tratta - dice il segretario di Rifondazione Paolo Ferrero - di espressioni di intolleranza e discriminazione tanto più allarmanti in un momento in cui la libertà e la dignità del lavoro giornalistico attendono da anni il rinnovo del contratto nazionale, coi diritti e delle tutele ad esso correlati, da parte degli editori". Mentre Giovanna Melandri del Pd ricorda che l'episodio si è verificato "a settanta anni esatti dalla terribile 'notte dei cristalli'.

E dal centrodestra arriva la condanna "di tutti gli atti di violenza, di qualunque orientamento, non senza esternare la nostra preoccupazione per il loro continuo ripetersi" commenta Fabrizio Cicchitto, presidente dei deputati Pdl.

 

Ci piace la precisazione di Cicchitto. Sembra fatta a denti stretti. Se fossero stati della parte opposta l'indignazione forse sarebbe stata più rimarchevole e rabbiosa. Usciremo mai in Italia dalla politica di Peppone e Don Camillo ? Ecco il video trasmesso da Chi l'ha visto dove si nota chiaramente come un gruppo di fascisti picchia a cinghiate e bastoni i ragazzini che contestavano il ministro Gelmini:



CARICHE DELLA POLIZIA CONTRO I RAGAZZI DELL'ONDA ALLA STAZIONE OSTIENSE

IL RACCONTO. Ferita anche una cronista di Repubblica:
"Urlavo fermatevi, sono una giornalista, ma continuavano a colpire".  
"Giornalisti, siamo giornalisti, stampa stampa" ho gridato d'istinto con le mani alzate cercando di evitare le prime manganellate assieme ad altri due cronisti che si trovavano accanto a me. Ma quando ho visto la violenza con cui gli agenti colpivano gli studenti, circa una trentina di ragazzi e ragazze tra i 20 e i 26 anni chiusi in uno spazio di neanche 20 metri quadrati, ho tentato di scappare.

Sono all'incirca le 15 quando gli studenti dell'Onda, dopo una giornata di cortei, arrivano alla stazione Ostiense, a Roma, per bloccare simbolicamente i binari. Stavo tentando di scavalcare i tornelli per raggiungere, assieme ai fotografi e agli altri cronisti, le banchine prima che arrivasse il resto del corteo. Ma è bastato attendere qualche frazione di secondo in più, giusto il tempo di aspettare che un cameraman oltrepassasse il tornello, per sentire le urla degli studenti dietro alle mie spalle e vedere più di una decina di agenti di polizia in tenuta antisommossa sferrare i manganelli contro di noi. Ho sentito un rumore sordo, un dolore improvviso alla testa. La prima manganellata.

Gli studenti si spintonavano per uscire dai cancelli sbarrati dalle forze dell'ordine. Urlavano agli agenti di smetterla di picchiare, tenevano le mani alzate. Ho trovato un piccolo passaggio nella ressa, mi sono coperta la testa con le mani e ho sentito il secondo colpo. Più forte, duro, secco. Sopra il gomito. Dietro di me una voce :"Di qua di qua, passate di qua" gridavano i pendolari della stazione.

E mentre la polizia continuava a manganellare, sono riuscita a scappare, insieme agli studenti, dalla gabbia della stazione. Qualche ragazzo è caduto e, mentre tentava di rialzarsi, è stato colpito nuovamente dalle forze dell'ordine. A quel punto, dal corteo degli studenti che si trovavano fuori dalla stazione Ostiense sono iniziati i cori contro gli agenti di polizia. Sono volate bottiglie di plastica e di vetro, non più di una decina.

 

 

Mi sono guardata attorno: c'erano studenti che piangevano. Una ragazza si teneva la testa, un'altra si toccava il braccio dolorante. Un ragazzo perdeva sangue dalla testa. E tutto questo per aver cercato di scavalcare i tornelli e tentare di bloccare, simbolicamente, i binari di dei treni. Una decisione che gli studenti dell'Onda avevano preso almeno un'ora prima di raggiungere la stazione Ostiense. Lo avevamo capito noi giornalisti quando abbiamo visto i leader della protesta che concordavano il percorso con i dirigenti delle forze dell'ordine e ci sembrava impossibile che non lo avessero capito anche loro.

Eppure, all'ingresso della stazione, gli agenti si sono schierati ai lati dell'edificio. Quasi ad attendere che gli studenti entrassero per poter poi intervenire.
Mentre mi accorgo che negli scontri mi si erano spaccati anche gli occhiali, sento una ragazza avvicinarsi e dirmi "vieni via, corri". Mi giro e mi rendo conto che gli scontri stanno ricominciando. Da fuori intravedo un fuggi fuggi davanti all'ingresso della stazione Ostiense. Poi torna la calma. E gli studenti dell'Onda tornano in corteo verso la Sapienza.

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8 novembre 2008

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AFRICA: LE TERRIBILI TESTIMONIANZE DEI BAMBINI SOLDATO...E L'OCCIDENTE GUARDA

Minacce, aggressioni, torture. Gli ex bambini soldato si raccontano. Testimonanze schock di una guerra contro tutti, combattuta spesso sotto l’effetto di alcol e droghe pesanti.

Storie di bambini e bambine che fino a qualche tempo fa giocavano con fucili mitragliatori.
Di bambini che hanno odiato, ucciso, torturato, devastato, se stessi e gli altri. Racconti frutto di un lungo lavoro di recupero che Paola Giroldini di Coopi ha raccolto in un toccante capitolo della pubblicazione ‘Disegni di Guerra’, edita da Emi.
Ne proponiamo alcuni testi. Il gioco della guerra . “Attento, attento che arriva Capitan 2 Mani”, era l'avvertimento che davamo quando catturavamo qualcuno per amputarlo. Di solito riunivamo i nostri nemici in piccoli gruppetti e iniziavamo a intimorirli raccontando quello che sarebbe accaduto. La gente gridava, ci supplicavano di lasciarli in pace, ma il gioco era farli impazzire di paura. Poi arrivava Capitan 2 Mani avevamo fatto una maglietta apposta con le sue iniziali. Si presentava con un machete e la condanna era evidente. Un colpo secco e via. Abbiamo tagliato mani, gambe, piedi, nasi, orecchie, dita.

 

C'era uno del gruppo che si aggirava con un sacco per il riso e raccoglieva gli arti tagliati. Avevano paura di noi. Molti sono morti dissanguati, a volte danzavamo intorno alle nostre vittime schernendole. Eravamo sempre sotto l'effetto della droga, eravamo imbattibili. Mi ricordo un attacco a un villaggio vicino a Kalabatown. Il giorno prima avevamo assalito un convoglio dell'ECOMOG e ci eravamo impossessati delle loro divise. Il piano sembrava molto divertente, il nostro capitano ci aveva ordinato di indossare le divise e fingere di essere soldati dell'ECOMOG che entravano per liberare il villaggio dai cattivi ribelli del Ruf. Alcuni fingevano anche di essere abitanti di altri villaggi liberati. Siamo arrivati nel villaggio, cantando, esultando, festeggiando la liberazione dai ribelli del Ruf. Invitavamo la gente a uscire dalle case e a unirsi ai festeggiamenti. Eravamo così bravi che ci hanno creduto. Quando gran parte del villaggio si era avvicinato abbiamo iniziato a sparare con una ferocia mai vista. Il nostro capitano gridava: “Eccoli qua i vostri cattivi ribelli, ora vi faremo vedere cosa vuol dire essere nemici del Ruf”. Quel giorno fu una strage. Li uccidevamo come fossero mosche, il mio capitano rideva. In quei momenti c'è la più totale confusione, pensi solo ad ammazzare e salvare la tua pelle. Il resto è un gioco. Più ammazzi, più sei degno di rispetto e sali di grado, questa è l'unica legge del bush. Una volta mi arrampicai su un mango e uccisi almeno 10 dell'Ecomog senza che capissero dove fossi. Da allora mi trattavano diversamente, facevo parte dei fidati. Uccidevo per essere accettato e per paura di essere la prossima vittima. Ho vissuto due anni nel bush, ormai il Ruf era diventato la mia famiglia. Per me era normale quello che facevo, ero in guerra, stavo difendendo i miei amici e il mio paese. Ero un ribelle ed ero fiero di esserlo, la gente ci rispettava, avevano paura di noi. Eravamo armati, eravamo imbattibili. Ora, dopo che ho consegnato le armi e che sembra che la guerra sia finita, mi chiamano ancora ribelle. Mi guardano con disprezzo e odio, per tutto quello che ho fatto. Io non li sopporto, divento pericoloso e non riesco più a controllarmi. Ho smesso di prendere droghe, sto cercando di ricostruirmi un futuro, ma non è facile. I miei familiari non mi vogliono, dicono che sono un ragazzo difficile, che il bush mi ha trasformato. Forse perché non riesco a controllarmi, forse si vergognano di me. Spesso ho paura di incontrare gente a cui ho ammazzato qualcuno, non mi sento mai tranquillo, è come se la guerra non fosse mai finita. Non voglio rimanere per sempre un ex ribelle. Non è facile convivere con questo passato, ancora meno facile è accettare che gli altri ogni giorno me lo sbattano in faccia. Vivo da alcuni mesi nel centro di St. Michael, dove ho trovato gente che cerca di aiutarmi. Sto imparando un lavoro come falegname, spero di riuscire a mantenermi.
Augustine, 16 anni

 

 

 

Nel bush ho perso la verginità

Era una mattina di fine gennaio. Mia madre mi aveva svegliata per andare a prendere l'acqua al fiume. Come al solito facevo finta di dormire, sperando che si stancasse di chiamarmi e mandasse qualcuna delle mie sorelle. Ma quella mattina toccava a me. “Fatmata, Fatmata, Fatmata”, sentivo la voce di mia madre alterarsi. Decisi, per evitare discussioni, di alzarmi. Presi un grosso secchio e mi recai al fiume. Faceva caldo, soffiava l'harmattan, era come se una leggera sabbia avesse ricoperto tutto. Camminavo per il sentiero, attraversando il mio piccolo villaggio, salutando come ogni mattina amiche, amici e parenti. Qui, da noi, le famiglie sono molto numerose. "Fatmata, Fatmata, dormito bene?". Sentii una voce alle spalle, era la mia migliore amica, Sowe, in un'impeccabile divisa bianca e blu, stava andando a scuola. La invidiavo, avrei voluto andare a scuola, ma in famiglia siamo in otto e i miei non guadagnano a sufficienza per mandarci tutti a scuola. Io sono la figlia maggiore, ho 14 anni, mi sono sempre occupata dei miei fratelli e ho sempre aiutato mia madre in casa e nell'orto, da sola sarebbe stato difficile per lei. Così Sowe, quando ritornava da scuola, mi veniva a trovare e mi raccontava quello che aveva fatto, a volte ripassavamo insieme la lezione. Quel giorno era particolarmente contenta, i suoi genitori le avevano appena regalato un libro di geografia, non avevo mai visto un libro così nuovo, era pieno di strane cartine, mi affascinava. Per andare a scuola dovevamo percorrere una grossa strada di terra rossa, c'era tanta gente che camminava. Ogni volta che passava qualche macchina o un grosso camion la gente si spostava ai lati della strada perché si alzava un grosso polverone e per un po' non si poteva vedere niente. Volevo prendere una strada alternativa, un sentiero per i villaggi, ma Sowe aveva fretta di andare a scuola. Non vedevo niente. Sentii delle grida e dei corpi venirmi incontro, era gente che scappava. Presi la mano di Sowe e iniziammo a correre, non capivo cosa stesse succedendo, non sapevo da cosa stessi scappando, ma scappavo. Ricordo la polvere, le auto che suonavano, la gente che gridava poi... gli spari, tanti. Stavamo correndo in direzione del nostro villaggio, volevo tornare a casa. Sowe piangeva, aveva perso i suoi bei libri, non potevamo tornare indietro. Lasciai la strada principale e presi un sentiero che portava al mio villaggio. Continuavo a sentire gli spari, ma almeno potevo vedere. Non sentivo più le mie gambe, correvo, correvo, senza lasciare un istante la mano di Sowe. In lontananza, in direzione del mio villaggio, vedevo alzarsi del fumo. Non capivo più niente, alle spalle gli spari e davanti il fuoco. Arrivai al villaggio e la mia casa stava bruciando, soldati bambini si divertivano a versare taniche di kerosene e a dargli fuoco, sparavano, rubavano, inseguivano la gente con il machete. Avrei voluto essere invisibile, non sapevo dove nascondermi. Sowe gridava. Non mi ricordo se sono svenuta o mi hanno colpita, so solo che, quando mi sono risvegliata, del mio villaggio era rimasto poco. Dovunque tanto fumo, fuoco, corpi senza arti, sangue... pozze di sangue. I ribelli ci hanno circondate. Erano tutti armati, non ci mettevano molto a sparare, sembrava che si divertissero. Si sentivano invincibili. Continuavano a gridare "Vi ammazzeremo tutti! Il Ruf sta combattendo per la sua gente, per il suo Paese, vi siete venduti agli stranieri, maledetti traditori". Io non capivo cosa volessero. Ci hanno catturate. Sowe non era più con me e non riuscivo a vederla.. Mi hanno costretta ad andare con loro. Abbiamo marciato per giorni, senza mangiare. Non so quante miglia abbiamo camminato, so solo che i miei piedi non ce la facevano più. Finalmente arrivammo in un villaggio in foresta. Qui, conobbi il comandante Rose, era una donna non oltre la ventina. Subito ordinò di separare i maschi dalle femmine, e scelse un gruppo di ragazze tra i 10 e 15 anni, tra cui c'ero anch'io. Ci mise in fila e ci ordinò di stare ferme mentre si piegava per infilare le sue dita dentro la nostra vagina per verificare se eravamo ancora vergini. Io cercavo di non piangere e di non muovermi, avevo tanta paura. Le mie compagne più piccole piangevano, i ribelli le schiaffeggiavano per farle smettere. Quando il comandante Rose finì di toccare ognuna di noi, separò le vergini da quelle non vergini. Nessuno mi aveva toccato prima di allora. Sapevo come si faceva, avevo visto mia madre e mio padre, le mie amiche mi avevano raccontato le loro prime esperienze. Ma non l'avevo mai fatto. Mi ricordo che il comandante Rose mi prese per un braccio e disse: "Questa è una dolce papaia. Proprio quello che il mio comandante cercava". Così ho perso la verginità. Avevo solo paura di morire.
Fatmata Bumbuya, 14 anni

Ripartire da Lakka non è facile

È difficile tornare. E poi dipende dove torni. Mio padre si è sposato tre volte, non so quanti fratelli ho, non tengo più il conto. Prima che mi prendessero i ribelli vivevo in un villaggio con mia nonna. La vita lì non era male, mio padre ci dava un po' di soldi, avevamo un orto e del pollame. Per noi era sufficiente. La mia casa è stata bruciata e mia nonna ora vive da una sua sorella in un quartiere di Freetown, dominato da baracche fatte di lamiera ricoperte di plastica e legno. Non so come potremo vivere, io mi devo occupare di lei. È difficile ricominciare da una casa di latta, non c'è spazio per respirare. La gente sopravvive di espedienti. Non voglio rispondere a nessuna domanda, non voglio che mi guardino con paura. So cosa pensa la gente di noi ex combattenti. Ci temono, pensano che siamo tutti drogati, ragazzi capaci di uccidere. Io non ho scelto questa vita, mi hanno costretto, mi hanno cambiato nome, identità, nel bush ogni giorno ho vissuto con la paura della morte in agguato. Sono stato fortunato: non mi hanno tagliato niente, altrimenti la mia povera nonna si sarebbe dovuta prendere cura di me! Nessuno si deve permettere di chiamarmi ribelle. Ho imparato a uccidere, è vero, ma mi drogavo per farlo. Ho rubato, bruciato case. Non voglio ricordare. Spero che mi lascino in pace. Voglio solo ricominciare.
Mohamed, 15 anni

Testimonianze tratte da:
Disegni di guerra
AA.VV. Emi -


BERLUSCONI: ERA UNA BATTUTA, IMBECILLI! ECCO GLI IMBECILLI CHE NON HANNO CAPITO:

 

 

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Abbronzato sarà lui: i cronisti anglosassoni da un bel pezzo chiamano Silvio Berlusconi «permatanned», permanentemente abbronzato. E com’era prevedibile il neologismo rispunta sui siti come di tabloid come il Daily Mail dopo la battuta del premier italiano, che ha definito Barack Obama «bello, giovane e abbronzato», parlando in margine al vertice italo-russo, a Mosca. La notizia gira su tutti i maggiori siti della stampa Usa ed è andata sulla pagina di apertura del Drudgereport, il sito di Matt Drudge e voce della destra americana: «Berlusconi acclama l’”abbronzato” Obama», con una grande foto di Berlusconi di profilo, sorridente e a mani giunte.

 

Il premier italiano se n’è uscito in passato con «impagabili strafalcioni», scrive il britannico Daily Mail, ricordando che aveva etichettato un parlamentare tedesco “kapò” (l’eurodeputato Martin Schultz, ndr ) e aveva definito “l’Occidente superiore all’Islam”. Condannato «da tutte le parti» per l’osservazione «apparentemente razzista», Berlusconi ha reagito: «Qual è il problema? Era un complimento». Il «permatanned» Berlusconi, continua il Mail, è stato aspramente criticato dal deputato dell’opposizione Dario Franceschini, secondo cui il premier deve scusarsi immediatamente. Il Times Online, nella corrispondenza di Richard Owen, fa notare che il leader italiano, dal canto suo, esibisce un’eterna abbronzatura («perma-tan») e si è anche sottoposto alla chirurgia estetica «nel tentativo di apparire più giovane». Il titolo tira in ballo la polemica scoppiata sul razzismo della battuta di Berlusconi. Tra le sue gaffe, il Times ricorda di quando invitò gli imprenditori Usa a investire in Italia perché «ci sono meno comunisti di una volta e bellissime segretarie», o di quando disse al premier danese Anders Fogh Rasmussen che era il più bel primo ministro d’Europa e che avrebbe dovuto flirtare con sua moglie, Veronica Lario. Delle gaffe del premier parlano il  Sun, il Daily Mirror e tutti gli altri.

 

«Si accettano candidature per il Premio Joe Biden per le affermazioni politiche mal scelte», scrive l’Independent. «In testa alla lista c’è già il primo ministro italiano Silvio Berlusconi, che ieri ha fatto i complementi a Barck Obama per la profondità della sua abbronzatura». Voleva essere una battuta, «o almeno così supponiamo», aggiunge l’Independent.

 

«Berlusconi l’ha fatto di nuovo» è l’incipit del servizio sul New York Times della corrispondente Rachel Donadio, intitolato «Berlusconi sotto tiro per lo scherzo su Obama». L’articolo cita la reazione di Walter Veltroni, chiamato «l’Obama italiano», secondo il quale tali battute non sono degne di un uomo di Stato. I siti dei media americani per lo più riportano le agenzie Ap e Reuters: l’Ap definisce Berlusconi «malaccorto», la Reuters ricorda che è famoso per le battute «inopportune», ma non c’è l’humour sarcastico sciorinato dai media inglesi. Coprono la notizia con le agenzie i siti di International Herald Tribune, New York Post, Washington Post, Abc, Cnn, Chicago Tribune, San Francisco Chronicle. Il Los Angeles Times titola il suo pastone «Berlusconi saluta la vittoria di Obama con “humour”» e continua con i consigli del presidente iraniano Ahmadinejad. I commenti del premier italiano, insomma, «non erano forse i soli sgraditi».

 

 Nell’elenco delle gaffe, l’agenzia di notizie finanziarie Bloomberg cita anche quella che scosse i mercati un mese fa, quando disse che i leader mondiali pensavano di chiudere i mercati finanziari.

 

Della battuta e del putiferio che ha scatenato parlano anche i siti spagnoli. El Mundo, El Pais, Abc hanno tutti titoli fattuali sulle parole del premier italiano su Obama: «Giovane, bello e abbronzato».

 

«Costernazione in Italia dopo lo scherzo di Berlusconi su Obama», titola con molta evidenza il quotidiano francese Le Monde sulla home page del suo sito. Il premier italiano, scrive il corrispondente Philippe Ridet, «ci ha messo parecchie ore per congratularsi con Barack Obama dopo la sua elezione, ma poco più di un giorno dopo gli rivolge il suo migliore scherzo». Berlusconi, che ha sempre mostrato «legami stretti con George Bush», ha aggiunto, «un po’ dubitativo», che Obama si è presentato quasi come un messia e che ci sono molte attese che non dovrà deludere. Il quotidiano francese cita la costernazione e la «collera» del Pd, gli elogi della destra al suo senso dell’umorismo. «Scherzo o no, la dichiarazione ambigua di Berlusconi si aggiunge a una lista già lunga». Agli stretti legami del premier con Bush accenna anche l’Afp messa on line dal quotidiano economico Les Echos. Grossi richiami anche sulla pagina di apertura del Nouvel Observateur - che titola: «L’opposizione italiana esige delle scuse da Berlusconi» - e di Libération, che punta tutto su

 

Sui siti esteri si leggono (è il bello di Internet) anche valanghe di commenti dei blogger. Decine e decine di italiani sparsi per il mondo esprimono «vergogna» e «imbarazzo». Qualcuno chiede scusa (Abc). «Voi italiani siete troppo suscettibili, era solo uno scherzo» scrive un inglese (Times Online). Un lettore di Libération scherza a sua volta sull’«invidia latente del Berlusca»: «Essendo il capo di Stato più abbronzato del pianeta, non sopporta l’idea che un altro capo sia più abbronzato di lui!».


BERLUSCONI AMA BARACK

Dunque Obama ha vinto. Mancava solo lui per formar il quartetto perfetto dell’impossibile; parliamo dei campioni neri che vincono le gare riservate da sempre ai soli bianchi: un nero  per la prima volta vince il campionato mondiale di tennis e un altro quello di golf; un terzo, un certo Hamilton, si porta a casa il trofeo della Formula 1; e adesso, per finire, Barack della tribù Keniota diventa addirittura il primo Presidente nero d’America. Non c’è più religione!
Forse, come succede sempre quando ci si ritrova appresso a un evento straordinario troppo grande, non ci riesce di inquadrarne il valore e la dimensione.
Se ci pensi, c’è proprio da non crederci: un uomo di colore eletto Presidente della più potente nazione del mondo che fino ad un secolo e mezzo fa teneva gli schiavi alle catene e applicava l’apartheid, e permetteva che una banda di criminali, il Ku Klux Klan, facesse stragi di negri e li mandasse al rogo su una croce di fuoco.  Ed ecco che in un batter di ciglio tutto si rovescia: agli ex schiavi si concede la cittadinanza e addirittura il diritto allo studio e al lavoro remunerato.
Certo, ogni tanto se ne lincia qualcuno: uno o due pastori protestanti vengono sparati, ma succede di scorgere neri che insegnano all’università, neri che dirigono e operano in cliniche e ospedali. Sindaci neri, per non parlare dei poliziotti e giocatori di baseball e basket. L’esercito USA è ormai composto in massima parte da ispanici e colorati, dove perfino  i comandanti sono neri. Forse i bianchi amano sempre meno la patria?
D’accordo, le regioni del Sud e le periferie delle metropoli pullulano ancora di poveracci di colore. New Orleans, una città famosa per le sue bande di jazz, abitata da una popolazione di soli schiavi redenti è stata spazzata via da Kathrina, un uragano previsto e annunciato, ma nessuno s’era preoccupato di intervenire per tentare di limitare il disastro: tutto il territorio sott’acqua, le uniche cose che galleggiavano erano barchette di fortuna e cadaveri di animali e uomini annegati.
Qualche anni fa, quando quel ragazzo di colore, certo Barack Hussein Obama, smilzo e dall’aria troppo mite si presentava alle elezioni dello Stato dell’Illinois, nessuno ci aveva fatto caso: parlava alla gente casa per casa, si prendeva cura dei senzatetto e degli emarginati. Era avvocato, plurilaureato ad Harvard, era perfino docente universitario, ma nessuno ci avrebbe scommesso tre centesimi. E invece riesce a farsi eleggere Senatore…Va beh, uno su più di 400 si può accettare.
Dopo qualche anno, altre votazioni e il negretto dal nome scomodo – Barack significa “benedetto da Dio” e ricorda quello di Osama Bin Laden, il re dei terroristi – riesce a farsi eleggere un’altra volta senatore… Va beh, si comincia a esagerare, ma lasciamo correre. Due anni fa ‘sto Obama si presenta addirittura alle primarie per le presidenzali… Ahahah... Guarda che ce ne sono dei pazzi in giro! Dove si procura i dollari a milioni che servono per pagarsi un minimo di propaganda?
E lui, il negretto, che fa? S’attacca ai computer… anzi, prima ancora cerca dappertutto volontari che lo aiutino, poi, alé, tutti collegati alla rete… chi ci avrebbe mai pensato? Riesce a raggiungere e coinvolgere migliaia, anzi milioni di sostenitori: “Datemi un dollaro, per favore”. Pronti, eccoli, anche due, fino a quattro, cinque a testa… è una valanga: supera addirittura il battage della Clinton e anche quello del sostituto di Bush. E’ un demonio!
Qui l’avvocato professore di Harvard comincia a preoccupare la concorrenza e allora si mette in atto la tecnica dello sputtanamento: si cerca di sparargli addosso calunnie, maldicenze, ma non funziona.
Il resto lo sapete tutti: riesce a farsi scegliere come unico rappresentante del partito democratico, riesce a far fuori anche la Clinton, e alla fine vince.  
È straordinario come da noi in Italia, appena s’è profilata la possibilità di una netta vittoria dell’africano, in massa i sostenitori si siano fatti avanti da tutte le parti, anche da destra! Perfino fasci di antica data… a parte qualche ritardato cronico tipo Gasparri che ha tranquillamente dichiarato: “Della elezione di Obama sarà contenta soprattutto… Al Qaeda”. Poi, scozzonato anche dai suoi camerati, ha cercato di rimediare in modo a dir poco pietoso.
Naturalmente anche Berlusconi è già pronto a saltare sul carro del vincitore: “Io mi sono trovato bene con Bush – assicura -  ma certamente mi troverò egualmente bene con Obama”… tant’è vero che il nostro ha già cominciato a stendersi sulla faccia un fondotinta molto più scuro… e forse si farà i capelli appena cresciuti tutti crespi… Insomma, per il nostro Silvio il mondo cambia ma lui non se ne accorge: un presidente vale l’altro, e ribadisce: “Con tutti  ci si può adattare: basta un sorriso, una manata sulla spalla, un regalino…. Un rolex tutto d’oro! I negri, si sa, da sempre vanno pazzi per le cose che luccicano... E l’affare è fatto”.
Ed è tanto convinto di poter conquistare l’amicizia e la simpatia del moretto che ha esclamato davanti alle telecamere: “Naturalmente, giacché sono più anziano di lui e ho molta più esperienza gli darò qualche buon consiglio!” Oddio, quale consiglio? Mi sembra di sentirlo…
BERLUSCONI: Caro Barack dammi retta, fai come ho fatto io col mio Governo in Italia: fatti subito un paio di leggi a tuo completo vantaggio.
OBAMA: Che leggi?
BERLUSCONI: Tanto per cominciare quella sul conflitto d’interessi.
OBAMA: Ma ne abbiamo già una nel nostro ordinamento molto valida, che dice: nessun cittadino americano può candidarsi ad una carica politica se si trova ad essere proprietario di mezzi di informazione, quali giornali o televisioni.
BERLUSCONI: Scusa - incalza il Berlusconi – mi sono  male espresso… a proposito del conflitto di interessi, dicevo che quella legga bisogna abolirla…
OBAMA: Non si può! È una legge fondamentale del nostro ordinamento politico!
BERLUSCONI: Ma chi se ne frega degli ordinamenti! Dammi retta: se mi consenti… quella è una legge che bisogna bloccare… distruggerla, sbatterla fuori da ogni ordinamento.
OBAMA: No, il conflitto di interessi è un perno inamovibile, tant’è vero che  ultimamente un candidato molto forte, che proprio qui a New York gestiva una rete televisiva di informazione è stato costretto a liberarsene vendendola a terzi.
BERLUSCONI: La conosco la tecnica! Si prende l’impresa in questione e la si ammolla  ad un fratello, come ho fatto io, o a parenti prossimi, e tutto è a posto.
OBAMA: No! Qui da noi se ti fai scoprire a condurre un gioco del genere, ti sbattono sotto processo e quindi in galera.
BERLUSCONI: Eh, ma come siete rimasti indietro! Siete ancora al tempo delle leggi per fregare Al Capone, perdìo!  Beh, lasciamo correre il conflitto di interessi. Imponi almeno una legge sull’immunità.
OBAMA: E che sarebbe?
BERLUSCONI: Si tratta di bloccare tutti i processi contro le quattro più alte cariche dello Stato.
OBAMA: E con che motivazione?
BERLUSCONI: Ma, dico, sei proprio all’oscuro di tutto! Si tratta del cosiddetto lodo Schifani, detto volgarmente Schifezza, col quale si possono sospendere tutti i processi legali contro, appunto, me, i due presidenti di Camera e Senato che stanno con me e il presidente della Repubblica di cui non posso far commenti.
OBAMA: Ma per carità, non se ne parli nemmeno! Da noi la Costituzione dice che tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge.
BERLUSCONI: Ma anche da noi, che discorsi! – sghignazza – Anche da noi la televisione… pardon, voglio dire la Costituzione, dice la stessa cosa, ma è questione di interpretarla! Noi italiani siamo bravissimi a interpretare tutto, siamo i più elastici politici del mondo! D’accordo, ma almeno sulla emigrazione, volete o no mettere una legge che vi salvi?
OBAMA: In che senso ci salvi?
BERLUSCONI: Andiamo, il mio amico Bush è stato costretto a metter su un muro al confine con il Messico per arginare l’invasione degli ispanici!
OBAMA: Sì, è vero, quello dell’immigrazione è un problema che dovrò affrontare, ma non costruendo altri muri.
BERLUSCONI: E fai come abbiamo fatto noi, con i rom!
OBAMA: E chi sono i rom?
BERLUSCONI: Sono zingari, senza mestiere, che rubacchiano, specie i ragazzini. E allora gli prendiamo le impronte digitali.
OBAMA: Prendete le impronte digitali ai ragazzini?
BERLUSCONI: Eh sì, vanno intorno dappertutto a chiedere l’elemosina, rubano le borse alle vecchiette, e quando li acchiappi li puoi trattenere al massimo per un paio d’ore e sono subito fuori.
OBAMA: Scusa, ma io ho sentito dire che questi zingari vivono in campi veramente disastrati, senza servizi, un po’ a livello di profughi, eppure sono cittadini europei!
BERLUSCONI: Eh, questo è un disastro! Se fossero neri dell’Africa non ci sarebbero problemi.
OBAMA: Ah, bene! Anch’io sono nero dell’Africa!
BERLUSCONI: Scusa, ma non intendevo… anzi, mi hai frainteso, io ho grande rispetto per la gente di colore… soprattutto per i capelli, dei neri: che belli! Fitti, solidi, non cadono mai! Mai visto un nero calvo!
Ma insomma, almeno un consiglio fattelo dare: c’è la legge che noi abbiamo imposto per bloccare i processi. Quella dei dieci anni…
OBAMA: Sì, la conosco.
BERLUSCONI: Come la conosci?
OBAMA: Non dimenticare che sono avvocato, e qualche informazione internazionale la devo pur prendere. Se mi permetti, è una schifezza come tutte le altre che avete fatto passare, per non parlare poi del gioco di mandare tutto in prescrizione. Sbaglio, o tu di 10 processi che dovevi sostenere, non ne hai portato a termine neanche uno… li hai fatti cadere tutti in prescrizione, appunto.
BERLUSCONI: Ma è legale!
OBAMA: Certo, voi siete così elastici, quindi in grado di allungare, stendere, rimandare… siete degli autentici tirasassi!
BERLUSCONI: Ehi, Obama, andiamo piano con le parole! Non dimenticare che sono un presidente, che faccio parte del G8, sono un possidente ricco sfondato, ho tre televisioni mie più tre di stato, ho giornali, pubblicità e ho pure un sacco di donne, anche ministre, e soprattutto…. sono bianco, ricordatelo, morettino!

Gasparri: con Obama Al Qaida sarà più contenta.

«Sul piano della lotta al terrorismo internazionale dovremo vedere Obama alla prova, perchè questo è il vero banco di prova. L'America è la democrazia di riferimento per quanti vogliano affermare i valori della libertà minacciati dal fondamentalismo, dal terrorismo islamico, su Obama gravano molti interrogativi. Con Obama alla Casa Bianca forse Al Qaida è molto più contenta».

Così Maurizio Gasparri, presidente dei senatori del Pdl commenta l'elezione di Barak Obama a presidente degli Stati Uniti. 

Ricordo un altro ragionamento profondo di Gasparri in Tv qualche anno fa: "Se Benigni ha vinto l'Oscar e Dario Fo il Nobel, allora l'Oscar e il Nobel possiamo vincerlo tutti."   

Può essere. Però lui non li ha ancora vinti, quindi è assolutamente sotto la media "di tutti."

Certo l'espressione del suo sguardo è emblematica.  Una volta un comico in Tv disse che ricorda quello di una mucca che guarda il treno passare. Che burlone! Premio Fox? Che dite, mettiamo il bollino verde?


WE CANNOT

 Bondi: "Ecco perché Obama è simile a Berlusconi"
di Luca Telese

Il ministro dei Beni culturali: "Molte le analogie: rompono gli schemi, non sono ideologici e fondano la loro leadership su un carisma personale unico. Non tifo per nessuno, anche se non ci sarebbe nulla di male. Pure il repubblicano McCain è un innovatore"

Roma Qualcuno griderà allo scippo, altri che si tratta di una operazione politica, molti resteranno stupiti. Di sicuro, quello di Sandro Bondi è un pronunciamento che - ad opera di un ministro di centrodestra, e a poche ore dal voto in America - spiazza: «Credo che ci siano molti punti di incontro fra il riformismo del centrodestra italiano e quello di Obama». Possibile? Lui, il ministro della Cultura argomenta così.
Ministro Bondi, lei tifa per Obama o per McCain?
«Non tifo. Osservo che i due candidati, pur diversi, rappresentano alla perfezione la politica americana nella quale tradizione e rinnovamento convivono stabilmente e l'avversario non è mai un nemico, semmai un competitor con idee diverse con il quale però si condividono i valori fondanti della Nazione e il medesimo sentimento d’amor patrio».
Lei non mi ha ancora risposto.
«Vuole che la stupisca? D’istinto vedo molte analogie fra Obama e Berlusconi. Rompono entrambi gli schemi precostituiti: non sono per nulla ideologici, fondano le loro leadership su un carisma comunicativo personale unico».
Ovvero?
«Sono accomunati da queste tre caratteristiche forti: carisma, innovazione, comunicazione. Per non dire dei contenuti».
In che senso?
«Il centrodestra italiano è forse il più attento, nel mondo, alle politiche di tutela sociale. Obama è forse il leader di sinistra più attento al mercato».
E McCain?
«Condivido la provocazione di Marcello Foa quando sostiene che Obama e Mcain “formerebbero la coppia ideale: il politico con i capelli bianchi, saggio, esperto, affidabile; il giovane di colore che abbatte i muri razziali e dà voce all’elettorato giovane e cosmopolita. I due volti perbene di un Paese che ha voglia di ripartire”. C’è anche un altro “però” che riguarda i partiti che li sostengono».
Quale?
«L’ispirazione cristiana. Per noi sarebbe inconcepibile avere un sistema, come quello americano, che lascia letteralmente senza nessuna assistenza ampie fasce di popolazione».
Deve stupire il fatto che un ministro di un governo di centrodestra esprima apprezzamenti per un candidato democratico?
«No, non ci sarebbe nulla di male a preferire Obama. Tra noi lo hanno fatto in molti, compreso il ministro Mariastella Gelmini, che in una bella intervista ha messo in evidenza la similitudine di programmi scolastici di Obama con i nostri».
Lei sta contendendo a Veltroni quello che ha di più caro, lo sa?
«Mi scusi, la sinistra italiana è provinciale e qualche volta perfino ridicola quando scimmiotta parentele politiche internazionali».
Ma i democratici americani hanno il loro stesso nome!
«Sì, ma soprattutto quello... Qualche anno fa, ad esempio, Veltroni e D’Alema vantavano non solo ottime relazioni con Tony Blair, ma accreditavano addirittura la primogenitura dell'Ulivo mondiale, che univa la triade D'Alema-Clinton e Blair».
L’hanno inventato loro, dicono.
«Già. Salvo poi rifiutare poco tempo dopo tutte le scelte di politica internazionale di Blair e revocare la fiducia a tutte le proposte di natura economica e sociale del suo governo! Fino al punto di ripudiare un’alleanza politica fino ad allora sbandierata come prova del riformismo della sinistra italiana».
Avranno anche il diritto di dissentire da Blair, no?
«Certo. Ma alla prova dei fatti, i leader della sinistra italiana si rivelano tutti senza distinzioni incapaci di scelte nette e coraggiose, preferendo baloccarsi con le parole e la propaganda, che hanno però vita breve».
Lei dava atto a Veltroni di essere diverso, prima del voto.
«Ne è passata di acqua sotto i ponti! Anche ora Veltroni cerca di accreditare un rapporto, una sintonia, un legame ideale e progettuale fra la sinistra italiana e il Partito democratico di Obama che purtroppo vive solo nelle sue illusioni cinematografiche e nella grancassa della propaganda politica».
Vuol dire che i consensi trasversali di Obama e la sua candidatura mettono in crisi le categorie classiche?
«Non c’è dubbio. Ormai le categorie classiche di destra e sinistra sono state travolte definitivamente dalle trasformazioni avvenute nel mondo in questi ultimi decenni».
Tutte le sinistre sono «riformatrici»? Tutte le destre sono necessariamente «conservatrici»?
«In parte le ho già risposto. Ma negli Usa le due grandi formazioni politiche, e i leader che di volta in volta le rappresentano, sono innanzitutto pragmatiche e realiste, soprattutto al governo. Oggi la vera differenza che passa tra schieramenti politici non riguarda l’economia, o la scelta fra innovazione e conservazione: ma l’etica, la vita, la concezione dell'uomo. La politica è divenuta una branca dell’antropologia».
Quale le sembra il discrimine?
«Da questo punto di vista, si può dire che i liberal americani, così come del resto la sinistra progressista europea alla Zapatero e alla Prodi-Veltroni, si definiscono principalmente per la loro concezione della libertà come soddisfacimento di ogni desiderio personale. Forse su questo potrei essere diverso da Obama. Ma siamo sicuri che la crisi economica che ha preso avvio negli States sia unicamente la conseguenza delle politiche liberiste?».
E di cos’altro per lei?
«Mi chiedo se non sia vera la tesi che questa crisi affondi le proprie origini più profonde in una politica keynesiana unitamente alla sofisticazione degli strumenti finanziari privi di ogni legame con la responsabilità morale...».
Voi vi sentite più riformatori del Pd, esattamente come Obama si dichiara più innovatore di McCain?
«In America le cose vanno meglio: sia Obama che McCain, sia pure diversissimi tra di loro, sono entrambi innovatori».
E da noi?
«In Italia c’è una sinistra conservatrice, di matrice comunista e di cultura radicale. Una miscela impressionante, che spiega la crisi in cui si trova».
Se vince Obama non teme una «onda lunga planetaria» che favorisca il centrosinistra?
«Ecco, Onda lunga è una classica espressione ideologica della sinistra italiana che si fonda su illusioni che sopravvivono lo spazio di un giorno».
Il fallimento della finanza americana, mette in discussione i vostri programmi, o il centrodestra italiano è diverso, anche sul piano economico?
«Le ho già detto che la crisi economica e finanziaria americana non è riconducibile alle cosiddette politiche neo-liberiste. Ma in ogni caso, i programmi che il Presidente Berlusconi sta realizzando, o quelli che sono stati realizzati durante gli anni dei precedenti governi, non hanno niente a che fare con le politiche liberiste».
E come le definirebbe lei?
«Politiche in cui si incontrano, nei singoli provvedimenti, esigenze della libertà e di iniziativa economica e di solidarietà verso i più deboli».
Non credo che Veltroni sarebbe d’accordo...
«È un fatto! Le elaborazioni teoriche e la concreta esperienza di governo del ministro Tremonti, non possono essere ridotte al cliché del neo liberismo. Solo dei pigri intellettualmente e politicamente possono non vedere le novità e l'originalità del programma del centrodestra in Italia».
Obama è passato in testa definitivamente con la crisi. In Italia si può produrre questo effetto?
«Qui semmai è il contrario. Guardi il caso di Gordon Brown. Le crisi economiche o i conflitti inevitabilmente spingono i cittadini a stringersi attorno a chi governa e a indurre politiche di solidarietà nazionale».
Quindi?
«In Italia l’abbiamo scampata bella! Pensiamo solo che cosa sarebbe accaduto in queste condizioni con un governo presieduto da Prodi o da Veltroni!».
Lei, come è noto, viene dal Pci. Altri quattro ministri, dal Psi. La componente “riformista” è la più forte dentro il Pdl?
«No: fin dall’inizio la forza e l'originalità di Forza Italia e ora del Pdl è derivata dall’alleanza tra la tradizione cattolico liberale e quella socialista liberale. Nella storia d’Italia il meglio è sempre stato il risultato dell'incontro tra cattolici e riformisti».
E lei, come si definirebbe, oggi?
«Nel mio caso la complessità è ancora maggiore. Perché molti laici socialisti o provenienti come me dalla tradizione migliorista del Pci sono anche credenti e cattolici. E quindi la nostra è anche la casa dei laici e dei credenti».

da : il Giornale n.44 del 2008-11-03 pagina 9


PREMIO FOX A GIANLUIGI PARAGONE (LIBERO)

Da oggi istituiamo il PREMIO FOX. Verrà assegnato di tanto in tanto alle frasi o pensieri più comici dei nostri politici o giornalisti. Vi invito a segnalare frasi demenziali, ragionamenti comici, prese di posizioni grottesche. Il problema sarà la quantità, con quel che si legge o ascolta ogni giorno in questo Paese...Iniziamo oggi con Paragone, di Libero, un giornale che da solo, ogni giorno, fornisce esempi di comicità sublime. Ecco la chicca di Paragone: "Sparliamo di internet in internet. Un sito ha pubblicato una telefonata farlocca tra Berlusconi e Confalonieri. Una di quelle hard. La querela è partita in automatico, com’è giusto che sia quando la diffamazione è evidentissima.
Domanda secca: fino a che punto è giusto che internet sfugga a un qualsivoglia controllo? Mi dicono: fermare la rete è impossibile. E’ talmente vero che infatti ci riescono solo i cinesi, spesso maestri di censura. Ci sarà una via di mezzo oppure siamo costretti ad assistere al declino di un mezzo potenzialmente stupendo e aperto in una sorta discarica? Internet copre sconcezze e barbarie (un solo esempio: la pedofilia) perché garantisce l’anonimato. Lo accettiamo così?
Ultima provocazione: non è che stiamo sopravvalutando internet? Voglio dire, dopo tante chiacchiere sul Vaffa-Day, sul popolo di Grillo e sull’antipolitica, le elezioni hanno dimostrato che la realtà è diversa dalla virtualità."

...E proprio lì voleva volare l'uselin de la comare......:-))

 

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