L'Espresso - Articolo di :Chiara Valentini. L'artista ha scritto la biografia di Franca Rame, illustrandola con i suoi disegni. 'L'espresso' l'ha letta in anteprima. Un viaggio nel loro amore e nell'Italia. Senza reticenze
E un regalo che lo mette in grande agitazione quello che Dario Fo sta preparando per gli 80 anni di Franca Rame. Anche se mancano più di cinque mesi (la scadenza è il 18 luglio), non si parla d'altro che della biografia della Rame in quel porto di mare che continua a essere la loro casa milanese, fra amici e collaboratori in attesa paziente mentre lui, il Nobel guastafeste, scompare e riappare come nelle sue famose farse. E infatti non è semplice, per un personaggio narcisista e occupato da se stesso come pochi, ricostruire la storia di qualcun altro, sia pure la compagna della vita, mettendosi per una volta in secondo piano. "Non volevo scrivere quel che penso io di Franca, ma darne un'immagine per gli altri, raccontare il suo modo di essere nella vita", dice Dario Fo, che si è però trovato alle prese anche con i dissensi dei loro quasi sessant'anni insieme, con i tradimenti e le liti e gli abbandoni, difficili da riferire con fredda obiettività. E allora, dopo aver molto rimaneggiato il testo, ha inserito anche brani scritti dalla stessa Rame, con il suo punto di vista e la sua parte di verità, "in un lavoro di taglia e cuci ben diverso da quel che faccio di solito". A biografia quasi ultimata (uscirà da Guanda a maggio a firma di tutti e due, titolo provvisorio: 'Sarò franca') ecco una nuova idea, accompagnare lo scritto con una storia per immagini. Da Franca ragazzina che veniva su "disarmonica come i puledri", al primo incontro amoroso in un fosso del parco Sempione dove rischiano tutti e due di affogare, alla nascita complicata del figlio Jacopo, sono decine i disegni che Fo ha prodotto nelle ultime settimane, con la furia che lo prende quando sente di avere infilato la strada giusta. E se è piuttosto difficile condensare in un solo libro una storia pubblica e privata così lunga e complessa, si può dire che le tappe più importanti ci sono tutte.
A chiedere a Dario Fo che cosa gli era piaciuto della Rame quando l'aveva conosciuta, la risposta è precisa. "Franca era diversa da tutte le altre giovani attrici, piccole dive piene di pose. Lei non sopportava il teatro tradizionale, era piena di ironia, sapeva prendersi in giro". La diversità della Rame veniva anche dalla sua insolita famiglia, un clan di attori-guitti che giravano i paesi della Lombardia con una corriera scassata, la Balorda, recitando a soggetto drammoni popolari, senza un copione fisso. Franca era praticamente cresciuta in scena, fra un padre stravagante e socialista accanito e una madre supercattolica che aveva abbandonato per amore la sua famiglia borghese. A un certo momento questa esperienza così speciale era diventata anche patrimonio di Fo. Ricorda Franca Rame: "Una sera, credo fosse il '60, mentre eravamo in scena con una delle nostre commedie, 'Aveva due pistole con gli occhi bianchi e neri', dovevo essermi distratta. La battuta non mi veniva proprio e allora mi ero messa a improvvisare una storia assurda, con Dario che diventava sempre più pallido e gocciolava di sudore. Ma il pubblico si era divertito più del solito. Così abbiamo cominciato a recitare spesso a soggetto".
Nella Milano degli anni del boom era quasi un mito la bellezza di questa soubrette finta svampita e con notevoli doti comiche, che contribuiva non poco al successo degli spettacoli di Fo. E invece dalla biografia viene fuori una Rame "collezionista di complessi" proprio per l'aspetto fisico, in particolare per un lieve strabismo che ai tempi della scuola le era costato il soprannome di 'Guercina'. E poi c'era stato il dramma del seno che non voleva crescere, con la madre che la spingeva a pregare Santa Rita da Cascia, "la santa degli impossibili": che a quanto pare aveva poi fatto il miracolo. "Franca era di una bellezza luminosa, era difficile non esserne attratti", dice Fo. Fra i tanti la Rame aveva fatto colpo anche su Picasso, conosciuto in Provenza nell'estate del '64, che l'aveva ritratta in vari disegni. "Ma non gliene aveva dato neanche uno, fedele alla sua abitudine di non fare mai regali", ricorda ironico Fo. Che anni dopo, vedendoli esposti in una mostra a Milano, aveva voluto fare un tiro al maestro, copiandoli fedelmente, firma compresa. Ancor oggi quei disegni sono appesi in fila nello studio del nostro Nobel.
Fin dagli esordi la coppia Fo-Rame si è trovata a fare i conti con la censura, particolarmente accanita nei loro confronti. Non si perdonava a questi 'irregolari' del teatro leggero di mettere in scena temi tabù come la speculazione edilizia o gli incidenti sul lavoro e oltretutto, quando l'argomento scottava, di sostituire il mimo al parlato, lasciando scornati i poliziotti che non sapevano più cosa controllare. "Giulio Andreotti, non ancora trentenne ma già ministro dello Spettacolo, aveva firmato un documento che a fine stagione e nonostante il gran successo ci bloccava definitivamente 'Gli arcangeli non giocano a flipper', con divieto di rimetterlo in scena", racconta la Rame. Ancora peggio era andata con la tv, quando i due comici, chiamati nel '62 a 'Canzonissima' nel clima di apertura che sembrava accompagnare il primo centro-sinistra, avevano visto massacrare i loro testi puntata dopo puntata. "Dopo aver accennato in uno sketch alla mafia, ci erano arrivate montagne di lettere minatorie. Ci minacciavano perfino di rapire nostro figlio Jacopo, che allora aveva sei anni, e di rimandarcelo a pezzi", prosegue Rame. Attaccati dai giornali conservatori e perseguitati dai tagli, i Fo avevano abbandonato clamorosamente 'Canzonissima' alla settima puntata. "Attenti che potreste pagare più di quel che credete. Sappiate che per anni e anni non vi capiterà più di calcare le scene della tv", si erano sentiti dire da un emissario del direttore della Rai, il fanfaniano Ettore Bernabei. Per 16 anni la promessa era stata mantenuta.
Sul terreno della politica Fo e Rame hanno avuto per molto tempo idee e ruoli diversi. Di una sinistra poco ortodossa lui ("Un malpensante", l'aveva definito 'Le Monde'), rigorosamente comunista con tessera del Pci lei. Quando in pieno '68 avevano abbandonato le platee della borghesia per buttarsi nel teatro politico, si erano legati all'Arci e al circuito delle Case del popolo, fiduciosi che fossero il canale migliore per raggiungere il mitico proletariato. Ma dopo un primo periodo frenetico di spettacoli di denuncia nei paesi dell'Italia profonda, avevano incontrato un'ostilità crescente nei capi e capetti locali del Pci, che li trovavano troppo estremisti e sessantottini. "Ogni sera veniva fuori una scusa nuova per non farci recitare, perfino che la sala era invasa dai topi", dice Fo. L'incarico di raccontare ai dirigenti romani quel che stava succedendo viene affidato alla Rame, la militante comunista, che già ne conosceva alcuni personalmente. Nella capitale Franca vede per primo Giorgio Napolitano, che le fa visita fra le operaie in lotta della Garbatella e le procura un appuntamento con Enrico Berlinguer. In quell'incontro, che si svolge in una nuvola di fumo, con i mozziconi di sigaretta che tutti e due schiacciano nervosamente nel portacenere, viene fuori un leader molto disponibile ad ascoltare le lamentele dei compagni attori."Non possiamo buttare a mare un'operazione culturale come questa, le contestazioni se sono giuste aiutano a crescere", dice Berlinguer, che poi interviene davvero sui dirigenti dell'Arci. Ma la rottura è solo rimandata.
"Nella nostra vita di coppia c'erano stati vari alti e bassi. Ma intorno ai cinquanta Dario, come succede a molti uomini a quell'età, comincia a innamorarsi. Da un momento all'altro mi sembrava di essere diventata un pezzo della tappezzeria della casa, un oggetto senza interesse. Stavo male come un cane, era durissimo", racconta Franca. Comincia un periodo di tensione. "La mia idea fissa era di ammazzarmi. E ho tentato pure di farlo, un sabato pomeriggio nel nostro ufficio. Ma evidentemente non era la mia ora. Mi avevano trovato e sono ancora qui a raccontarlo". Segue una rappacificazione fra lacrime e singhiozzi e l'inevitabile "proviamo a ricominciare", che però non risolve niente. La coppia si era in pratica separata. Ma improvvisamente ecco la via d'uscita, il teatro. Lui comincia a buttar giù un testo, che poi si chiamerà 'Coppia aperta quasi spalancata', dove c'è la loro storia, "una sequenza di dialoghi violenti e goffi, precisi come intercettazioni telefoniche". Mentre scrivono Franca inventa uno sviluppo nuovo. La moglie tradita si trova un altro, che è anche bello e interessante, e allora il marito diventa come pazzo e dopo vari tormentoni si fa saltare in aria con tutta la casa. Pare che anche nella vita reale sia successo qualcosa di simile. Quel che è certo è che da allora Franca reciterà sempre più spesso da sola, scrivendosi anche i testi e dando vita a un suo teatro al femminile.