Quella che inizialmente era stata descritta come una procedura «nel rispetto di tutti i crismi del regolamento» (ex questore Indolfi alla Stampa) per l’identificazione e il rilascio dalla Questura di "Ruby"-Karima, in realtà sembra non essere poi così chiara. Sia per l’intervento e le pressioni del premier per fare in modo che la minorenne, da lui segnalata come «nipote del presidente egiziano Mubarak», venisse rilasciata senza fotosegnalamento e affidata alla sua igenista dentale e consigliera regionale Nicole Minetti. Sia per i pasticci burocratici che la sera tra il 27 e il 28 maggio sarebbero stati commessi in Questura, fino a confondere le acque con la procura minorile, affinché il desiderio del Presidente venisse esaudito. E ciò nonostante, ancora ieri il procuratore Edmondo Bruti Liberati ha ribadito che nei confronti del Premier non esiste ne potrebbe esistere nessuna iscrizione sul registro degli indagati. Perché alla fine, mentire sull’identità di una persona o sui rapporti di conoscenza pregressi con la minorenne, anche se fatto nella veste istituzionale di presidente del Consiglio, non viene considerato, al momento, un reato.
Potrebbe invece dover rispiegare bene tutta la storia chi, tra i funzionari della Questura, quella sera permise che "Ruby", anziché finire in una comunità protetta, come aveva indicato inizialmente la Procura minorile, potesse essere consegnata senza troppi danni alla consigliere Minetti che, è il caso di ricordarlo, successivamente verrà indagata per favoreggiamento della prostituzione insieme a Lele Mora e Emilio Fede.
Il punto del rilascio di "Ruby" è controverso e ora ad indagare c’è anche il procuratore aggiunto Ilda Boccassini, sotto il cui dipartimento, la distrettuale antimafia, da qualche giorno è passato il pm Sangermano, titolare ufficiale dell’inchiesta (mentre il procuratore aggiunto Pietro Forno rimane titolare dell’inchiesta per la parte relativa alla tutela della minorenne). Sono i due magistrati infatti che sabato hanno interrogato come testimoni la funzionaria Giorgia Iafrate, che quella sera si occupò di seguire il caso della ragazza, rifiutandosi però alla fine di firmare la relazione di rilascio della giovane, nonché il capo della segreteria di Gabinetto Pietro Ostuni, che ricevette sul proprio cellulare prima la telefonata del caposcorta del premier e poi parlò direttamente con Berlusconi.
«Il Presidente Berlusconi - scrive nella sua relazione al Viminale il questore Indolfi - chiedeva infatti informazioni circa l’accompagnamento o meno, durante la serata, di una ragazza di origine nordafricana che gli era stata segnalata come parente o affine del Presidente Mubarak, soggiungendo che di questa ragazza si poteva "far carico" il consigliere regionale Minetti».
E’ ovvio che anche Indolfi, diventato ora Prefetto presso il Consiglio dei Ministri, dovrà essere sentito e non è escluso che, in quanto massimo responsabile della Questura all’epoca dei fatti, possa essere indagato. Al momento le versioni di Questura e Procura dei Minori, sembrano inconciliabili. La Questura di via Fatebenefratelli sostiene che le cose si sarebbero svolte "in accordo" con la Procura dei Minori. La quale, una volta ricevute rassicurazione sull’identificazione di Ruby, avrebbe acconsentito l’affidamento della minorenne marocchina, anziché ad una comunità, a Nicole Minetti.
La Procura dei Minori, che ieri ha inviato una corposa relazione ai pm, invece fa sapere come sia impossibile per un pm «accordarsi» con la polizia per il semplice fatto che un magistrato "dispone" e non si "accorda", come invece viene scritto nelle relazioni di servizio mandate al ministero degli Interni. E nel caso specifico la Procura minorile, nella figura del pm Annamaria Fiorillo, sostiene di aver ordinato l’affido della giovane a una comunità di accoglienza o «la temporanea custodia presso gli uffici della Procura».
Anche se poi, si evince dalla relazioni di servizio, il pm Fiorillo, che «non ricorda esattamente» il contenuto delle varie telefonate che si susseguirono dalle sette di sera alle 2 di notte tra il 27 e il 28 maggio, avrebbe alla fine disposto che Ruby-Karima venisse pure affidata alla consigliere regionale Minetti sulla base, come minimo, di informazioni giunte dalla Questura. Parziali? Non sembra, dato che nella relazione degli agenti è scritto: «Visto che al pm occorreva solo la copia del documento d’identità, si arrivava all’identificazione della ragazza col codice univoco ottenuto mediante fotosegnalamento e la copia del documento d’identità pervenuto dalla struttura di Messina». E non quindi solo la semplice promessa di un fax che la responsabile della casa di accoglienza di Letojanni, da cui Ruby era fuggita mesi prima, si sarebbe impegnata a spedire il giorno dopo in Questura.