[VIDEO] Tutta casa letto e chiesa - seconda parte

Ironica, geniale, comica, profonda: una delle più grandi interpreti del teatro italiano in un suo classico "Tutta casa, letto e chiesa"...
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Grazie Fabio !
La redazione

Massacro in Ossezia. Putin è una brava persona, come Jack lo squartatore

 

Il signor Putin
è una persona per bene.
Sì è vero, quando era piccolo comandava il Kgb,
il servizio segreto sovietico
gente che mangiava veramente i bambini
e poi scoreggiavano sui diritti umani.
Ma poi è diventato una persona per bene
si è disintossicato gradualmente
sterminando i ceceni.

Han fatto bene i nostri governanti a invitarlo ad andare in vacanza in Sardegna
e dobbiamo guardare con ottimismo alle poche migliaia di morti in Ossezia.
Che volete che siano?
E' una piccola ricaduta nel vizietto...
E poi l'ha fatto per una ragione nobile. Il petrolio.
Forse che Bush è stato da meno quando c'è stato da difendere il pieno del gippone dell'americano mangione?
Se non ammazzi nessuno oggi non sei qualcuno.

(Dal blog di Jacopo)

Argomento: 

“Ho visto un re, era nudo”, Intervista a Dario Fo

Chi non ricorda “Ho visto un re” di Dario fo? Il re, il vescovo, il ricco, piangono per la perdita di un frammento della loro ricchezza. Solo il povero contadino è costretto a ridacchiare per non turbare la serenità dei potenti.

“Bisogna nascondere quel che guasta l’umore dei potenti. E’ l’impasto di sempre, ipocrisia e arroganza del potere”

La logica è sempre quella: non facciamoci scoprire. E’ la massima forma di ipocrisia italica clericale, invece di preoccuparsi per chi non ha da mangiare vogliono cancellare chi è costretto a rovistare nella spazzatura per rimediare un frutto marcio….

Basta guardare la tv per capire la filosofia che regola la comunicazione al servizio del potere. L’Italia batte tutti i record per morti sul lavoro ma la gente non deve saperlo, deve invece associare la violenza e la sicurezza alla vecchietta scippata o alla donna violentata in periferia…

Vogliono dare al cittadino l’impressione che ci si stia occupando di lui, poi si scopre che l’impegno del governo sulla casa è un imbroglio in cui si toglie al poveraccio, allo sfrattato, per favorire i ricchi, i palazzinari……

http://www.francarame.it/files/il_manifesto_intervista.pdf


dal BLOG DI BEPPE GRILLO, lettera di Jacopo

"Stiamo vincendo
Ma questa volta facciamo un Vaffanculo Day da ridere?
Stiamo vincendo
Non fatevi travolgere dalle immagini del telegiornale!
Stiamo scardinando la melma immobile delle anime congelate.
Stiamo facendo più l'amore.
Stiamo suonando di più i tamburi dell'alba.
Stiamo pensando a scherzi colossali.
Le nuove leggi di Berlusconi, la tristezza di Veltroni
Non cascare nella trappola.
Stanno per cadere nella bocca spalancata del passato
Come gocce di pioggia
Durera' ancora un po' ma poi diremo: ti ricordi che paura?

E' finito il petrolio, si deve cambiare.
E' finito il monopolio delle informazioni
Sul Web non mi puoi vietare di raccontare
E' come quando inventarono i telefoni
Dopo un po' i piccioni viaggiatori non si usavano più.
Il mondo cambia.
Pensa che una volta non esisteva il sesso: solo organismi asessuati unicellulari
Si moltiplicavano per partenogenesi, cioe' si spaccavano a meta'.
E non era un'esperienza piacevole.

Noi adesso siamo organismi pluricellulari estremamente sessuati, possiamo far l'amore e cantare.
Ma deve essere chiaro che c'e' bisogno anche di un po' di spinta per far girare la ruota inesorabile della Storia.
Dobbiamo lanciare un'offensiva totale, e' il nostro compito storico, in quanto progressisti.
Noi non si fa altro: lanciamo mobilitazioni generali una dopo l'altra, ogni volta che abbiamo il fiato per farlo. Ci piace cosi'. Si conosce un sacco di gente interessante e a volte hai anche delle soddisfazioni.
E oggi l'offensiva totale all'ordine del giorno e' fare più l'amore. Un piccolo sforzo, possiamo ancora migliorare.
Scrivi una poesia per la persona che ami.
Dì a un amico che gli vuoi bene.
Disegna un fiore sul muro di fronte alla sua casa cosi' ogni volta che esce si ricordera' che la ami.
Fai qualche cosa di straordinario, di temerario.
Baciala sulla bocca come se fosse la prima volta.
E' sufficiente mettere indietro la linea del passato.
E trovarsi a un attimo prima della prima volta che ci siamo baciati. E ricordarsi che per un istante, mentre le bocche si avvicinavano hai annusato il profumo che saliva dal collo.
Dischiudi le labbra, la tua lingua e' in attesa di un sapore che non hai sentito mai.
Un sapore che contiene il suono delle foglie del riso che sbocciano nell'umido dell'acqua.
Senti quella sensazione di onnipotenza che hai nelle spalle per via che tu ora desideri una sola cosa al mondo. Una sola cosa esiste e ha qualche valore, una sola cosa in tutto l'universo riesce ad essere più grande di tutto quello che esiste. E quella cosa tu la stai vivendo tutta, non c'e' niente altro che ti rubi l'attenzione. Vivi interamente il sublime.
E vivere, con tutti i suoi costi, ti appare il più immenso affare che potevi fare.
E benedici la fortuna di essere nato.
Ecco cosa ci serve ora.

E qualcuno, che c'e' sempre, dira': ma checcazzo c'entra questo con Berlusconi.
E questo e' il disastro che il Movimento ribelle non ha capito.
Quando tu sei li', che vi baciate come fosse la prima volta, Berlusconi non esiste più.
E' gia' sparito.
Tu pensi che io stia dicendo esagerazioni travolto dal gusto per l'iperbole?
No. Moretti diceva: con questa sinistra non vinceremo mai. Aveva ragione.
Ma altrettanto giusto sarebbe dire:con questa idea retorica, altisonante, seriosa, noiosa del far politica siamo destinati allo sgampazzo perdente.
Il prodotto del sistema, la linfa del male e' la paura e l'ignoranza nutrite dalla noia e dal conformismo, dall'incapacita' di mettere in discussione, manca la vivacita' della mente.
Non e' il solito brodetto della contestazione che ci cambia la vita.
Ovunque questa politica sta scivolando nel riflusso.
La novità viene fuori altrove. Nella voglia di prendere per il culo.

La Sinistra Arcobaleno e' vaporizzata. Ma i maestri del pensiero non l'hanno ancora capito.
Il Manifesto non ha mai ancora spiegato ai suoi lettori l'esistenza del piacere anale maschile eterosessuale.
Liberazione ha sempre taciuto sull'orgasmo maschile multiplo e sul punto G. Bertinotti non ha detto una parola sull'eiaculazione femminile e il fatto che il 20% delle donne non ha l'imene o ha un imene inconsistente.
E Pecoraro Scanio non ha mai parlato dell'amore, dei sobbalzi cardiaci legati alla cotta amorosa, dello straripante esplodere delle emozioni durante un amplesso sentimentalmente coinvolgente.

E' ora di cambiare. Sono favorevole al V/Day 3. Tutti in piazza a protestare e a firmare contro le leggi della vergogna. Però propongo che si protesti producendoci in un lunghissimo bacio, collettivo.Un milione di persone che si baciano contemporaneamente in 100 piazze d'Italia.
E sono ammessi anche un pò di toccamenti per quelli che sono più incazzati.
E poi vorrei che si distribuissero dei volantini che dicono: "Migliora il mondo adesso! Abbraccia una persona che ti vuole bene."Berlusconi e' come l'eroina, e' un segnale indicatore del livello di tristezza della gente.
Più tristezza, più paura, più psicofarmaci, più Berlusconi, più suicidi, più crimini.
Scendiamo in piazza per far divertire la gente!
Facciamo gli stupidi contro le leggi vergogna.

Stupiamo questa Italia narcotizzata, facciamo qualcosa di imprevedibile.Incendiamo le nostre scoregge per protestare contro la non diffusione della produzione di gas combustibile dai liquami e le immondizie organiche.
Serve far correre la fantasia. Attaccarli dove si sentono sicuri. Cambiare gli stili di vita, i pensieri.
Inventarci nuovi consumi.
Perche' nel giorno del Vaffanculo Day 3 non firmiamo anche, tutti insieme, una convenzione per creare una compagnia cellulare autogestita che telefoni solo via internet, risparmi il 95% e hai un cellulare modello Tupamaros che ha la pila, le pinzette, il cacciavite, il cannocchiale, la lente di ingrandimento, il coltellino, le forbicine e una dose di marijuana se ti senti triste?
Cambiare il mondo e' possibile.
Ma solo se hai voglia di giocare.
Il mondo migliora cosi' lentamente perche' i progressisti hanno arie cosi' tristi che la gente inizia a pensare che sia meglio restare nel passato.
Vinceremo soltanto se sara' gradevole!" Jacopo Fo


"MORTI BIANCHE" DI SAMANTA DI PERSIO... ecco un bellissimo e importante libro, per voi! franca

“Un essere umano esce di casa per andare a lavoro: per sostentare se stesso e la propria famiglia. La sera dovrebbe farvi ritorno sano e salvo. Questo dovrebbe essere la norma, ma spesso non è così, ecco perché “Morti bianche”, è una sorta di testamento senza beneficiari, anzi con i familiari che restano troppe volte senza assistenza ed in completa solitudine.” Incomincia così il “viaggio” nelle fabbriche, nei cantieri e per strada del libro di Samanta Di Persio, edito da Casaleggio Associati, con prefazione di Beppe Grillo.

Un percorso che offre la possibilità di avere davanti agli occhi le condizioni di lavoro nella nostra Italia. Si incontrano lavoratori, parenti di chi non c’è più e si parla con loro. Così si raccolgono testimonianze, il contatto è diretto. In pochi minuti si viene travolti in un ambiente completamente diverso da quello descritto dai grandi capi e da Confindustria: un ambiente sicuro. Se l’ambiente di lavoro fosse sicuro non si verificherebbero un milione di incidenti l’anno. Il lavoro di ogni uomo è indispensabile per il progresso economico, però sembra che gli uomini non sono altrettanto indispensabili, perché sono pezzi sostituibili. Ma i lavoratori che perdono la vita, non sono numeri da aggiungere ad altri numeri per le statistiche. Sono persone in carne ed ossa, persone che hanno sentimenti, ideali, valori, sogni e dignità. Questa dignità viene calpestata. Famiglie abbandonate, le quali chiedono solo di non essere dimenticate, di poter parlare, di poter avere un minimo di tutela. Il Governo Prodi aveva previsto con la Legge 296 del 2006 un fondo da destinare alle vittime del lavoro. Che fine ha fatto? Perché ad esempio la Chiesa non rinuncia ad una parte dell’8 per mille per aiutare queste famiglie? Un’azione più che sociale. Quando si parla di morti sul lavoro sono molti gli aspetti che vengono tralasciati. Lo zoccolo duro riguarda la giustizia. I padroni possono permettersi avvocati senza scrupoli che sanno tutti i trucchi del mestiere per rinviare le udienze fino a prescrizione. Se si prescrive un processo di un’alta carica istituzionale, può chiedere anche sottoforma di semplice battuta (sperando che lo sia): “Chi mi rimborsa per tutti i danni, il tempo sottratto al riposo”, a chi può chiedere i danni una madre che perde un giovane figlio sul luogo di lavoro dove risultano omesse misure di sicurezza? Non può chiedere a nessuno, di fronte si ritrova il muro dei sindacati, delle associazioni e della politica. La donna deve tirare avanti, fra un giorno peggio ed uno meno peggio. Una vedova che tirava avanti la famiglia con l’unica fonte di entrata del marito, in un contesto difficile per trovare lavoro, specie se si passano gli anta, deve contare solo sulla propria forza. Queste persone trovano difficilmente spazio per poter avere la possibilità di raccontare la propria delusione, l’amarezza, il dolore. Comprensibile, avrebbero troppe denunce da fare. Si pensa che gli unici responsabili sono i padroni, ma non è così. I legislatori hanno il compito di rappresentare i propri elettori, considerando che i cittadini italiani non sono tutti imprenditori e considerando che dall’inchiesta di Riccardo Iacona nella trasmissione “Pane e politica” i grandi imprenditori finanziano indistintamente le campagne elettorali di centrodestra e di centrosinistra, allora è tutto chiaro!


LA MAMMA FRICCHETTONA DA "TUTTA CASA, LETTO E CHIESA"

All’alzarsi della luce vediamo al centro del palcoscenico, quasi in proscenio, spalle al pubblico, un confessionale: unico elemento ad indicare che il brano si svolge in una chiesa. Entra in scena una donna acconciata in un costume che la fa assomigliare a una zingara. Porta una grande borsa. Cammina circospetta. Ha l’aria di essere inseguita.

DONNA Porcaccia d’una miseriaccia, ’sti caramba dell’ostrega... fin dentro la chiesa mi vengono a tampinare! Adesso dove mi nascondo?... In sacrestia. Dove sarà la sacrestia? Di qua del coro o di là? (Sempre cercando di nascondersi) Rieccone altri due, porco boia, m’hanno incastrata... Il confessionale... mi nascondo dentro il confessionale. (Fa per entrare nel confessionale ma si blocca) È occupato! C’è dentro un prete! Te li ritrovi dappertutto ’sti preti dell’ostrega! Beh, mi confesso... voglio vedere se i carabinieri hanno il coraggio d’interrompere il sacro sacramento... (Si inginocchia a destra del confessionale. Sottovoce) Pronto... ehhum volevo dire... padre, padre! Cazzarola, si è addormentato! (Batte con le nocche delle dita sulla grata) Padre, padre, si svegli!... Oh, finalmente! Vorrei confessarmi, e se è possibile anche in fretta!... Come non è possibile?... E ancora addormentato? Beh, parliamo, così si sveglia, no?... Questa non l’avevo mai sentita, un prete che prima di confessarmi vuole andare al bar per prendersi un caffè! Eh, no, lei di qui non si muove, o io faccio una scenata! È un mio sacrosanto diritto di essere confessata. Pago le tasse!... Le tasse, c’entrano eccome! Se non sbaglio la nostra è una religione di Stato, e se non sbaglio lo stipendio ve lo dà lo Stato, cioè noi contribuenti... quindi, io pretendo che la mia ragione di Stato mi confessi. (Cambia tono: implorante) Su, padre, mi confessi... Ho una ondata di fede che sto affogando! Forza padre, che poi quando abbiamo finito il caffè glielo offro io al bar... Sì, cominciamo? Cominciamo!... Come?... L’ultima volta che mi sono confessata? Mi ci faccia pensare un attimo... Certo che sono credente, se no sarei qui a confessarmi, scusi! Sono credente, osservante, praticante... tutto! Vent’anni fa... l’ultima volta che mi sono confessata è stato giusto vent’anni fa, il giorno del mio matrimonio... Sì, in chiesa. Una cerimonia bellissima! A dire la verità io non mi volevo sposare in chiesa, ma l’ho fatto per accontentare la madre di lui, molto credente... No, no, anch’io sono credente, ma sono anche comunista: comunista credente! Non teista, non ateista, non antiteista: sono marxista, lineetta e leninista, tolemaica, apostolica, berlinguista!... Sì, d’accordo, non si può dire che sia stata molto osservante: vent’anni senza confessarmi, lo confesso, è grave. Però io ho sempre fatto la mia brava autocritica, almeno una volta al mese nella sezione del mio Partito... Non è la stessa cosa? Ma io credevo che dopo il compromesso teologico... Dice? Beh, non insisto. Incominciamo?... Sì, sono pronta. (Si alza in piedi solenne) Giuro di dire la verità, tutta la verità, niente altro che... (S’interrompe di colpo) Che ho fatto?! Ah sì, scusi, ho sbagliato... Mi scusi padre, ma sa, è la grande abitudine ai processi... (Si siede comoda sul gradino del confessionale) Oeuhh, ci sono stata un sacco di volte sotto processo... (Tira fuori il lavoro a maglia e comincia a sferruzzare) Beh... resistenza aggravata a pubblico ufficiale, furto con destrezza, che poi non era neanche con ’sta gran destrezza, se mi son fatta beccare! Semmai era furto con impaccio! Le pare?... No, non sono una ladra abituale. Così, ogni tanto... qualche sciocchezza, tanto per fare la spiritosa. Le autoriduzioni invece le faccio tutte... Mi entusiasmano... Bello! Che bello: in trenta quaranta cinquanta donne di un quartiere, entrare in un supermarket, fare la spesa: “Quanto pago?” “Centomila”. “No, noi paghiamo 50ooo! Autoriduzione del 50 per cento perché tanto voi sul 50 per cento che vi rimane guadagnate ancora...” (Meravigliata) È peccato padre?... Peccato mortale? E l’inflazione allora che peccato è? Beh, ormai l’ho fatto. Lei prenda nota di tutti i miei peccati e poi mi darà la penitenza... Certo che ci ho famiglia: un marito e un figlio... No, loro non rubano... Sì, vivo fuori casa... Beh, dove capita: un po’ qua, un po’ là... Lo so, lo so, come moglie e madre non sono questo gran modello di virtù, ma se sono diventata quella sciamannata che sono è proprio perché ero fin troppo esagerata come “modello di virtù”. Io a mio figlio ci davo anche il sangue. Io per starci vicino a mio figlio, per poterlo tirar su, io, di persona, ho piantato persino il lavoro... un impiego che mi piaceva... ero caporeparto e anche nel sindacato. Me lo sono tirato su come fosse il Gesù Bambino... e io... mi sentivo come fossi la Madonna... e mio marito... San Giuseppe il bue e l’asino tutto insieme! Poi è cresciuto, è andato a scuola e si è messa di mezzo ’sta maledetta politica... quando è arrivato al liceo, sa, le occupazioni, gli scontri con la polizia... Una volta mi è arrivato a casa massacrato, tutto sporco di sangue... sono svenuta dallo spavento, padre, sono svenuta! E da quel giorno, tutte le volte che tardava un po’ o sentivo la sirena dell’autoambulanza: “È mio figlio, è mio figlio!” gridavo. Padre, padre, lei non sa cosa voglia dire essere madre, padre! Madre di un estremista di sinistra!
E poi in casa ’sto ragazzino, ci contestava tutto a me e a mio marito... sa, noi siamo tutti e due militanti osservanti del Pci. Le parole più gentili che ci diceva erano: “Revisionisti, socialdemocratici, opportunisti, sacrestani di sinistra!”
Però quello che ci faceva andare in bestia era quando tirava fuori le tiritere cretine da indiano metropolitano, tipo questa:

“Ma dove vai ZANGHERO,
con la PAJETTA da NAPOLITANO
sulla testa COSSUTA, ripiena di CERVETTI
la cravatta AMENDOLATA, lo sguardo
BERLINGUERO,
mi sembri il comico TATÒ,
oh figlio INGRAO!
Qui NATTA ci cova!”

Oh, che rabbia mi faceva! Cosa c’entrano i dirigenti del mio partito... Mi provocava, capito? (Alza la voce) “E adesso dove vai?”... No, padre, non ce l’ho con lei, mica le do del tu, andiamo... ci conosciamo appena... A mio figlio lo dicevo:
“E adesso dove vai?”
“Esco con i miei compagni”.
“Perché noi, io e tuo padre non siamo dei compagni?”
“No, voi siete LA FAMIGLIA!”
E mi tirava ’sta “FAMIGLIA” come se mi buttasse addosso un sacco di merd... (s’interrompe di colpo e si corregge) d’insaccato Molteni.
“No, voi, voi non siete dei compagni, – gli rispondevo, – voi siete una banda, come quelli della via Paal. Siete dei teppisti... untorelli, siete!”
“No, untorelli siete voi che ungete il sedere alla Dc!”
A me e mio marito, capisce padre? (Questa battuta sarà gridata come uno slogan). “Il Pci non è qui, untorella la Dc!... il Pci non è qui untorella...” e via che se ne andava. Ma lo sa, padre, che io sono arrivata al punto di andare dietro alle manifestazioni degli estremisti!... Eh, non ce la facevo a restare a casa ad aspettare che me lo portassero lì, bello che morto. Andavo in corteo anch’io, dieci passi dietro a mio figlio e lo controllavo senza farmi vedere... La cosa più tremenda era che per non dare nell’occhio dovevo gridare anch’io gli slogan che gridavano loro. E fin quando si trattava di gridare delle robe contro i fascisti, andava bene... ma quando mi toccava, a me del Pci, gridare a squarciagola delle cose contro la Dc, dio, dio... mi sentivo male! E poi, marciare, correre... (Si alza in piedi e, camminando come fosse in manifestazione, passa alla sinistra del confessionale) E tutte le volte che... (Si accorge che il confessore la crede ancora dell’altra parte del confessionale, quindi batte le nocche sulla grata) Padre, sono qua, padre... (Si siede) Ma no, non sono irrequieta, è che ho fatto la manifestazione! E tutte le volte che stavo gridando ’sti slogan, trach, non ti incrociavo gli occhi con gli occhi di qualcuno della mia sezione, magari il segretario, che era lì sul marciapiede e che a vedermi e a sentirmi gridare quelle cose lì, si faceva subito il segno della falce e martello. (Esegue) E così, mi hanno sbattuta fuori dal Partito, e tutto per amore di mio figlio! Come m’ha fregato a me l’amore, padre, come mi ha fregato! Non s’innamori, mi dia retta, padre... Lo sa che una volta a una manifestazione, che mi ero precedentemente informata: “Com’è la manifestazione domani, compagni?” “Pacifica!” Ed io mi sono vestita da manifestazione pacifica: un paio di scarpe con un tacco alto così (mima con la mano l’altezza dei tacchi), una sottanina stretta stretta... Una carica della polizia come quella, non si era mai vista negli ultimi cento anni! Ce li avevamo dietro tutti: poliziotti, carabinieri... per me, c’era anche la finanza a cavallo e le guardie pontificie! E io, via, a correre con ’sti tacchi alti che se cadevo mi rompevo tutti i femori che ho... Per correre meglio mi sono tirata la sottana fino a qui... e tutti i poliziotti dietro a me! E io che gli gridavo: “Cosa volete? Andate via!” Mamma che corsa: da piazzale Loreto alla Bovisa... mi sarò fatta un 54 chilometri, tutti di corsa! Mi sentivo male, tutta sudata, il cuore che mi usciva... Come mi sentivo male! Avevo le ovaie alla cock!... (Il prete la sta evidentemente rimproverando) Eh sì, “Non si dice, non si dice”, vorrei vedere lei padre... ha mai provato a correre con i tacchi alti? (Riprende il racconto) Un fumo! Candelotti, spari, gas lacrimogeni, bombe a mano, bottiglie molotov... e io avevo anche perso mio figlio e lo chiamavo: “Figlio, figlio mio...” Mi rispondevano tutti i figli delle altre mamme... A un certo punto, non ti vedo mio figlio, dall’altra parte della strada, in mano a un carabiniere che con la bandoliera, “patascich, pataschach” sulla sua faccina bianca! Non ci ho visto più: ho fatto l’urlo del coyote! Ho attraversato la strada incurante dei candelotti fumogeni che passavano ad altezza d’uomo... e anche di donna... ho brancato il caramba per l’elmetto e col dente mi sono attaccata all’orecchio, che se non arrivavano dei suoi colleghi a tirarmelo fuori dal dente, io non mi formalizzavo: lo mangiavo tutto!... Non si deve fare? Ma dico padre, è mio figlio sa! L’ho fatto io... ci ho messo nove mesi a confezionarlo... gli ho fatto tutto: due occhi, venti dita, tutti i denti... e quel carabiniere lì me lo rompeva su tutto in cinque minuti! Così mio figlio è riuscito a scappare... lui! Io no. Mi hanno riempito di botte e mi hanno portata in prigione. Mi hanno fatto un processo che non finiva più! Come l’hanno fatta lunga con quell’orecchio, padre!... Che non era poi neanche ’sto gran orecchio. Il presidente del tribunale con una voce terribile mi diceva: “Lei ha colpito l’orecchio dello Stato!” Cosa ho passato! E tutto per amore di mio figlio. Come mi ha fregata a me l’amore, padre... Il mio matrimonio per esempio è stato un matrimonio d’amore. (Tutta ispirata) Come amavo mio marito padre, come amavo mio marito padre... (cambia tono) prima di sposarlo... No, no, anche dopo. Ma è che dopo, abbiamo messo su casa e così sono cominciate le prime incazz... (si ferma di botto e cerca una parola diversa in sostituzione della parola “incazzatura”) incomprensioni ideologiche... Eh sì, non ero d’accordo con il comportamento ideologico socialemorale politico casalingo del marito. Lavoravo anch’io otto ore come lui, con una differenza sostanziale: che quando si tornava a casa io continuavo a lavorare per altre ottanta: lavare, stirare, fare i letti, il mangiare: lui no! Si metteva in poltrona e trach... (Accenna ad accendere il televisore col telecomando) 18,45: Tv per ragazzi, “HEIDI”!!! “E no, non ci sto: anch’io sto fuori tutto il giorno a lavorare, – gli dicevo, – sono stanca anch’io come te. Ma chi ha detto che la liberazione della donna comincia quando si conquista il diritto a un lavoro salariato? Io me lo sono conquistato un lavoro salariato, ma quest’altro lavoro della casa chi se lo becca? Me lo becco ancora io! E chi me lo salaria? Nessuno! Bella liberazione della donna: col matrimonio mi sono conquistata due lavori!” Oltre tutto mio marito ci aveva l’asma, l’asma nervosa. Quando a me scoppiavano i santissimi, sì, insomma... lei mi capisce padre... e non ne potevo più... “Pianto qua tutto”, urlavo, lui... plaff: si faceva venire la crisi, (Imita il rantolare di un asmatico) Ahaha, ahaa, secco come un baccalà, non respirava più. Ahaaa... certi spaventi mi prendevo! “No caro, non ti lascio, non ti lascio! Sto sempre con te!” Man mano che lo tranquillizzavo, a lui gli passava la crisi e io ero incastrata un’altra volta! Poi sono rimasta pure incinta!... Ma no padre, non l’ho mica presa come una disgrazia, anzi, l’ho voluto io ’sto figlio... preventivato: piano quinquennale! Ero così contenta di essere incinta... Come ero contenta! Nove mesi di vomito! Sempre a letto per il terrore di perderlo! E mi parlavo tra me e me, con una voce sublimata, tra un vomito e l’altro: “’Sto figlio cambierà tutta la mia vita! – mi dicevo. – Cos’è una donna se non è madre? Manco è donna, soltanto femmina è!” Che cogliona che ero!... Oh, scusi padre, volevo dire che stronz... insomma, faccia lei padre!... Sì, adesso arrivo ai miei peccati... ma sa, se non le faccio il preambolo, magari poi lei equivoca... Va bene, d’accordo, salto tutto e arrivo a due anni fa. Due anni fa, scopro che mio figlio si droga!... E che ne sapevo io se fosse leggera o pesante... per me, m’è bastato sentire la parola “droga” che m’è venuto un colpo! “È un depravato, un asociale, un mostro! – gridavo disperata: – Dove ho sbagliato io?” Mi chiedevo... e a mio marito: “Dove hai sbagliato tu?” e lui ahhha... ahhaa... (Ripete l’ansimare dell’asmatico) E lui e i suoi amici e le sue amichette: “Ma piantala, un conto è l’eroina, che uccide, e un conto farsi una spinellata ogni tanto!” E io, col dito della madre proteso: “Non sono d’accordo! Drogarsi è una scelta ideologica, se non la pianti ti sbatto fuori di casa, tu, i tuoi compagni della banda... e le tue puttanelle!” Sì, ho detto puttanelle... m’è scappato. E lui: “Cosa hai detto? Hai offeso le mie amiche! Me ne vado!” “Dove, – faccio io, – dalla nonna?” “No, me ne vado!!” Io, ferma... non ho fatto una piega. “Vai bello, cosa credi che me ne importi... – e il cuore: patapam patapam, – voglio vedere quanti giorni stai via... tre massimo, poi sei qui, dalla tua mamma!” Passa una settimana, non si vede. Non dormivo più, non mangiavo più e mio marito (ripete l’ansimare dell’asmatico): ahaaa,ahaaa... Andavo a cercarlo dappertutto: nelle scuole occupate, nelle case occupate. Nessuno che mi dicesse niente! Capirai, io ero una mamma! Simbolo della repressione: omertà assoluta! “Questi non parlano perché sono una mamma? E io li frego... mi travesto!...” Da cosa? Da fricchettona. Sì, fricchettona, padre... Cosa sono i fricchettoni? Sono quei ragazzi che sfurnicchiano... rubacchiano, non lavorano... che stanno bene, insomma! Certo che come fricchettona ero un po’ cresciuta. “Farò la zingara, la zingara non ha età!” mi sono detta. Sono andata in uno di quei mercatini della roba usata, scompagnata, originale-orientale fabbricata a Monza e mi sono fatta tutto il corredo: sandali siriani, un gonnellone del Marocco, una giacca dell’Afghanistan, un foulard greco dell’UPAIM, detto anche UPIM, le palpebre viola, un coriandolo di stagnola rosso appiccicato sulla fronte, una capsula d’un dente d’oro di mia sorella che l’aveva perduto per uno starnuto tre anni fa, infilato su un incisivo qua davanti, anelli, collane di vetro, ciafferi alle orecchie. Sono andata in una comune di fricchettoni assortiti maschi e femmine... più qualche barbone di contorno. Entro (si porta, con passo maestoso, dall’altra parte del confessionale), sembravo l’albero di natale! Suonavo tutta! (Ribussa alla grata) Sono qua padre... Ma stia più attento! Dunque, entro... un cane che è un cane che si fosse voltato a guardarmi! Mì vado a sedere per mio conto, metto giù la mia roba e faccio come che dormo. Al momento giusto tiro fuori un bottiglino con un intruglio che avevo fatto io: essenza di trementina, olio di fegato di merluzzo, sterco di cavallo, trinciato forte, alcool puro, tintura di iodio, un po’ di dentifricio per dargli colore... creosoto per i cessi, qualche goccia di limone che non guasta mai e mi metto ad annusare con l’occhio sperduto nell’estasi della droga. Dopo tre secondi tutti i fricchettoni e le fricchettone mi si sono seduti intorno: “Cosa fai?” “Mi drogo...” “Che roba è?” “Pesante!” “La fai assaggiare anche a noi?” “Attenti eh... Non voglio morti...” E via, che s’infilavano il mio bottiglino nel naso, fin quasi al cervello e facevano: “Mamma, che droga!!” Per via del dentifricio... che dà alla testa!! Poveri ragazzi... come si fa presto a farli su... “Chi sei? Da dove vieni?” Ero diventata di colpo interessante. Le balle che ho raccontato, padre! “Sono di madre indiana... padre zingaro calabrese... vivo facendo le fatture e leggendo le carte e le stelle... Mi nutro esclusivamente col sangue delle galline e dei gatti appena sgozzati, perché sono una strega!” No, non mi hanno creduta, ma gli sono stata simpatica e mi hanno tenuta con loro... Mio figlio? Mai visto! Una volta sola da lontano al Palalido che c’era un concerto. “Porco cane, adesso lo branco”, mi son detta... faccio per avvicinarmi, non ti parte in quel momento la contestazione! Sfondano! Corrono dentro come matti, ti incendiano gli amplificatori, il palcoscenico... il cantante. La polizia carica... Indovini chi hanno preso per primo?... Bravo! Tanto che, quando mi hanno messo le manette, ci ho detto: “Buonasera... stavo in pensiero!” Mi portano in prigione, ma mi hanno fatto uscire subito... dopo tre giorni, perché io non c’entravo con l’incendio. Vengo fuori e ti vedo un sacco di gente: compagne, fricchettoni, indiani metropolitani, femministe, che mi vengono incontro... Aspettavano proprio me! Gridavano, cantavano... mi abbracciavano... avevano fatto perfino uno striscione con su scritto: “Mamma strega libera!” E una festa che non le dico, padre, una commozione! Non mi ero accorta di avere così tanti amici... non avevo fatto niente per loro... mi volevano bene, così, per me. Davanti a tutti viene una ragazzina, con in mano una gallina viva: “Beviti ’sto cappuccino caldo” mi fa. E così ho cominciato a starci insieme a ’ste ragazze e ragazzi, ascoltavo quello che dicevano... In principio non capivo niente, poi ho capito. Dicevano: “Il personale è politico! Bisogna gestirsi la propria sessualità!”... Sì, sessualità padre. “Prendersi la vita, il godimento, l’immaginazione al potere! Rifiutare l’ideologia del lavoro. (Canta in gregoriano):

Il lavoro fa l’uomo libero
c’era scritto sul muro di un lager
di un lager tedesco”.

... No? Non piace il gregoriano?... Sì, padre, sono composta... (Si mette in ginocchio) Sì, ascolto... (Ripete quanto le dice il confessore) Sono caduta in un baratro... baratro infernale... Disordine morale... E invece ci vuole l’ordine, vero padre? L’ORDINE! LA PAROLA D’ORDINE! LA REGOLA! IL REGOLAMENTO! “LA RAGAZZA HA AVUTO LE SUE REGOLE!” È tutta la vita, da quando sono nata che mi sento ripetere ’ste tiritere:

(Si alza, faccia al pubblico. Autoritaria)

Ohpp, opp, in ordine, ninna nanna.
Fissi! Attenti! Composti! Zitti!
Ohpp, opp. In piedi! Seduti! Puliti!
In ordine per due!
Mangia la pappa, prendi la poppa,
la cacca, la ciccia, a cuccia!
Ninna nanna. La mamma è bella! Il babbo è buono!
Ordine! Maschietti da una parte,
femminucce dall’altra.
I maschietti fanno la pipì in piedi.
Le femminucce la fanno seduta!
Sul vasino per la pupù: tutti seduti!
La pupù è uguale per tuttì!!
La pupù non si tocca.
Non si gioca con la pupù!
La pupù è cacca! Via le manine dalla cacca!

(Parla con un immaginario bambino alla sua sinistra)

Via le manine dal pipì! Il pipì non si tocca!
Non si gioca col pipì.

(Con voce languida, flautata)

Pisellino...

(Si rivolge ad una immaginaria bambina alla sua destra, improvvisamente severa)

Passerina!!

I maschietti non si toccano il pipì
perché il pipì è cacca!
I maschietti non toccano le femminucce,
perché le femminucce sono cacca e pupù!

E allora sa cosa le dico, padre? Mi ascolti bene perché non voglio essere fraintesa, io una cosa l’ho capita: l’amore è disordine! La vita, la libertà, la fantasia, sono disordine, rispetto all’ordine che ci volete dare voi, padre! Fare l’amore per l’amore senza tante sovrastrutture, fidanzamento in casa, dote: “Permetti: i miei genitori...” Fare l’amore per l’amore, è bellissimo!... Le dico che è bellissimo... Ma provi, prima! Io padre ho fatto l’amore con un ragazzo di cui non ricordo neanche più il nome... ma mi ricordo i suoi occhi, il naso, la bocca, mi ricordo le sue mani e le cose che mi diceva mentre facevamo l’amore: “Dio! Madonna! Cristo! Come sto bene! Mi sembra di essere in paradiso!” ed era ateo!... Mi sono perduta? E se le dicessi che mi sono ritrovata? Liberata invece, che sto benissimo! E non ho proprio nessuna voglia di tornarmene indietro, in famiglia. L’ho detto anche a mio figlio... Sì, m’è venuto a cercare. Lui m’ha trovata subito... Era ben vestito, ordinato, i capelli tagliati, la cravatta. “Sono tornato a casa, mamma! Mi sono stufato di ’sta vita da sbandato. Ho messo la testa a posto. Non fumo più. Ho trovato un lavoro... Di andare in piazza non me ne frega più niente... Anche il papà ha messo la testa a posto: gioca a tennis, non ha più gli attacchi d’asma, si è fatto una ragazza, ma se torni tu la pianta subito. TORNA A CASA, MAMMA!” (Accenna a conati di vomito) Mi sono sentita male!... Sì, perché ho avuto come un flash. Mi sono rivista lì, in casa mia, con tutte le grane, la spesa, le camicie da stirare, senza mai un minuto per me... Ma lo sa padre che se volevo leggere il giornale... al gabinetto!! Che se un giorno non funzionavo d’intestino, perdevo le ultime notizie! “No, figlio mio, non mi sento... non sono ancora pronta... devi capire...” “Ma non ti vergogni? Vai in giro come una barbona!!” “Sì, hai ragione, non farò più la barbona. Mi troverò un lavoro, piccolo, a mezzo tempo, che mi dia da mangiare e da dormire. Il resto del mio tempo lo voglio passare tra la gente, tra le donne... Regalare quello che ho dentro, che sono piena di cose bellissime... prendere quello che la gente ha da darmi... le esperienze... Voglio parlare, ridere, cantare... Voglio stare a guardare il cielo... Lo sai figlio mio che il cielo è azzurro, ed io non lo sapevo più? No, caro, a casa non ci torno, neanche se mi mandate a prendere con i carabinieri”. E mi hanno mandata a prendere proprio con i carabinieri!... Sicuro, mio figlio e mio marito mi hanno fatto la denuncia per abbandono del tetto coniugale. Pensi, padre, i carabinieri hanno avuto il coraggio di seguirmi fino in chiesa... Come, dove sono? Là, vicino alla sacrestia, non li vede?... Padre, ma che fa? Padre, non li chiami... È impazzito?... C’è il segreto del confessionale... (Corre a prendere la sua borsa) Non può farmi una cosa così... Zitto!!... (Si dirige correndo verso l’uscita) No, non voglio andare a casa coi carabinieri... (Mima di essere afferrata dai carabinieri e ammanettata) E va bene, andiamo, tanto sono maggiorenne... decido io della mia vita. (Si ferma di botto e rivolta al confessionale, grida) Prete spia, prete spia... non sei figlio di Maria! Spia, spia non sei figlio di Maria!

Buio. Stacco musicale.

 

 


Ottantacinque morti e duecento feriti, la strage più grave del secondo dopoguerra

La strage di Bologna è il più grave atto terroristico avvenuto in Italia nel secondo dopoguerra, verificatosi sabato 2 agosto 1980.
Alle 10.25, nella sala d'aspetto di 2° Classe della Stazione di Bologna Centrale, un ordigno a tempo,contenuto in una valigia abbandonata, esplode uccidendo ottantacinque persone e ferendone oltre duecento. Dopo i primi tentennamenti le stesse forze di polizie attribuirono la responsabilità della strage al terrorismo nero. Già il 26 agosto dello stesso anno la Procura della Repubblica di Bologna emise ventotto ordini di cattura nei confronti di militanti di estrema destra dei Nuclei Armati Rivoluzionari. Tutti saranno scarcerati nel 1981. Lentamente e con fatica, attraverso una complicata e discussa vicenda politica e giudiziaria, e grazie alla spinta civile dell'Associazione tra i familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980 si giunse ad una sentenza definitiva di Cassazione il 23 novembre 1995: vennero condannati all'ergastolo, quali esecutori dell'attentato, i neofascisti dei Nar Giuseppe Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, che si sono sempre dichiarati innocenti, mentre l'ex capo della P2 Licio Gelli, l'ex agente del Sismi Francesco Pazienza e gli ufficiali del servizio segreto militare Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte vennero condannati per il depistaggio delle indagini.
Il 9 giugno 2000 la Corte d'Assise di Bologna emise nuove condanne per depistaggio: nove anni di reclusione per Massimo Carminati, estremista di destra, e quattro anni e mezzo per Federigo Mannucci Benincasa, ex direttore del Sismi di Firenze, e Ivano Bongiovanni, legato alla destra extraparlamentare. Ultimo imputato per la strage è Luigi Ciavardini, con condanna a 30 anni confermata nel 2007. Anche lui continua a dichiararsi innocente.
Eventuali mandanti della strage non sono mai stati scoperti.

Liberazione  02/08/2008


da MARCO BAZZONI ([email protected])?

CARO MARCO, SONO STATA 6 GIORNI SENZA CONNESSIONE. ECCO LA TUA LETTERA...
OK?

Purtroppo non l'hai pubblicata la mia lettera sul tuo blog.
Perchè?
Ciao.
Marco.

Strage Umbria Olii: Verità e Giustizia, ma con la G maiuscola.

Sabato 19 Luglio, ero alla fiaccolata di Campello sul Clitunno, in ricordo dei quattro operai morti carbonizzati nella strage sul lavoro alla Umbria Olii.
Ho voluto esserci in tutti i modi ( insieme a tante altre persone), perchè ora più che mai dobbiamo stare vicini ai familiari.
E questo invito vorrei rivolgerlo anche a tutti i mezzi d'informazione: non lasciateli soli!!!

In questo ultimo anno e mezzo c'è stato un silenzio assordante da parte dei mezzi d'informazione, e solo nell'ultimo mese i riflettori si sono riaccesi, con la vergognosa richiesta di risarcimento danni di 35 milioni di euro ai familiari delle vittime, da parte dell'amministratore delegato della Umbria Olii, Giorgio Del Papa.
Sabato, Il sindaco di campello Paolo Pacifici, nel corso del suo intervento davanti alla Umbria Olii, ha ripetuto diverse volte queste frase: Verità e giustizia".
Che ci sia davvero giustizia per le vittime di Campello, ma con la G maiuscola.
Sapere che Martedì 22 luglio è stato approvato il Lodo Alfano (che il Presidente della Repubblica ha firmato a tempo di record), che sospende i processi per le "Alte Cariche dello Stato", e che sancisce che quattro cittadini non saranno più uguali dinanzi alla legge per tutta la durata del loro mandato, è una cosa che mi demoralizza moltissimo.
Il segretario del Pd Walter Veltroni, ha detto che: "il comportamento di Napolitano è stato equilibrato e corretto".
Inoltre Veltroni prosegue: " Cosi' come penso che, dopo l'approvazione delle Camere, la firma del provvedimento sia stata un atto dovuto. Al Presidente nella nostra costituzione viene riservato in casi come questo una sola valutazione di 'manifesta incostituzionalita'' del provvedimento.
E in questo caso il testo approvato teneva conto di molti dei rilievi di costituzionalita' sollevati dalla Corte in occasione della precedente bocciatura di quello che allora si chiamava lodo Schifani''.
Io mio domando, e vorrei che qualcuno me lo spiegasse, come può questa legge essere costituzionale, quando va contro l'articolo 3 della Costituzione Italiana, che dice :

" Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese"

Sappiamo benissimo a che scopo è stata fatta questa legge, per garantire l'impunità di una sola persona, cioè il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, perchè le altre 3 cariche dello Stato (Presidente della Repubblica, Presidente della Camera e Presidente del Senato) non ne hanno assolutamente bisogno, e sono quasi certo rinuncieranno ad utilizzarla.
Ci vuole il referendum, che spazi via quanto prima, questa legge incostituzionale e immorale.
Ci sono un sacco di cittadini che non arrivano in fondo al mese, perchè gli stipendi sono troppo bassi per vivere dignitosamente, però il Governo Berlusconi ha altro a cui pensare, e abbiamo visto benissimo a cosa.
Marco Bazzoni-Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.
Email: [email protected]

 

 


MESSAGGIO DOLOROSO.

L'altra settimana, Franca Mulas, che ha perso sul
lavoro suo figlio Luciano e suo marito
Gianfranco, mi ha inviato per posta prioritaria
una lettera di ben 8 pagine (scritta tutta a penna).
Oggi, approfittando di una settimana di ferie, mi
sono messo a ricopiarla con calma al pc, e adesso te la giro.
Non ho la pretesa che la pubblichi, anche se ci
spero (capisco che sia molto lunga).
Ti chiedo solo un favore: leggila attentamente.
Se dopo averla letta, riterrai opportuno chiamare
Franca per aiutarla, fammelo sapere, così ti giro il suo numero di cell.
Saluti.
Marco Bazzoni-Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.

 

Parole, parole, tipo questa : Giustizia.
Dov'è?
O forse sono io che non riesco a comprenderla?!
Quante umiliazioni, quante beffe, quanti calci nel sedere, quanta sofferenza.
Per che cosa?
Non sono una pazza, sono una mamma, una moglie.
Parlo delle famose "morti bianche".
Io nel giro di quindici mesi, ho perso due persone a me molto care.

Per l'esattezza, il 28 aprile del 2000, verso le
otto meno dieci, mi squillò il telefono, era mio marito.
Mi disse che stavano venendo a prendermi, si era
fatto male Luciano (questo è il nome di mio figlio).
Arrivò un geometra, gli chiesi cosa era successo,
ma lui mi disse che non sapeva niente.
Non si arrivava più, la strada era lunga.
Dentro di me le pensavo tutte : si è rotto una
mano?Con i mezzi che ci sono oggi guarirà.
Arrivai al pronto soccorso, questo geometra mi
disse di aspettarlo fuori, che chiedeva se era li.
Ero rimasta un bel pò fuori ad aspettare, poi uscì e disse: non è qua.
Ma nel frattempo arrivò un'altra macchina e li c'era mio marito.
Ricordo ogni singolo particolare: arrivò un
ambulanza, quello dell'ambulanza si arrabbiò,
perchè c'era la macchina che aveva portato me li.
Non so cosa si dissero, ma vidi quest'uomo
allargare le braccia come chiedere scusa.
Ma io non sapevo che proprio in quella lettiga
coperta da un qualcosa di verde c'era il mio Luciano.
Quella maledetta mattina mio figlio e mio marito
andarono a lavoro, perchè lavoravano insieme.
Dovevano ricostruire un centro per anziani a Briosco (MI).
Dovevano portare sul tetto delle travi, ma a
20/30 metri queste maledette travi si sono inclinate e sono scivolate giù.
Sotto, nel cortile, c'era mio figlio e un altro
suo collega, e mio marito che guidava la grù.
Incominciò a urlare di spostarsi, il suo collega
si salvò, invece mio figlio venne preso in pieno dalle travi, e morì sul colpo.
Nel processo mi sono costituita sia parte civile, che penale.
Condannarono il principale, e lui fece ricorso in appello a Milano.
La condanna fu confermata, ma il carcere non l'ha
mai fatto, anzi il giorno dopo era nel cantiere
che continuava tranquillamente a lavorare, e io
non ho ricevuto nessun risarcimento.
Ancora oggi, 7 luglio 2008, di mio figlio non ho
preso un centesimo di risarcimento.
Cambiarono cantiere dopo un pò di mesi, andarono a lavorare a Varese.
Mio marito che aveva sempre fatto il
capocantiere, dalla morte di nostro figlio
Luciano, non ne volle più sapere di farlo.
Un giorno era a Varese a lavorare, e mi chiamò, e
mi disse: chiama l'Asl di Varese e chiedi cosa
devi fare per un ponteggio che non è a norma, ma non dirgli chi sei.
Io chiamai subito, ma invece gli dissi chi ero, e
che non volevo che succedesse qualcosa a mio
marito, visto che 15 mesi prima aveso perso mio figlio.
Tre/quattro giorni dopo, io non ero in casa (ero
andata a prendere un quadretto).
Quando tornai a casa c'erano un pò di chiamate in segreteria.
Feci il primo numero, mi rispose l'ospedale, ma
siccome ero io che chiamavo continuavano a dirmi
cosa volevo, e io che gli dicevo: ma non mi avete
chiamato voi?Ma la risposta fu: quando sa cosa vuole richiami.
Feci l'altro numero, era lo zio, io gli dissi:
come mai mi chiami la mattina se sai che
Gianfranco (è il nome di mio marito) è a lavoro?
Lui cominciò a chiamarmi per nome : Franca, Franca!!
Li capii che c'era qualcosa che non andava, e gli
dissi, fammi il nome, perchè io ho altri 5 figli.
Mi fece il nome di Gianfranco: misi giù il telefono e richiamai l'ospedale.
Mi rispose la stessa persona, quasi scocciata, e
mi disse: se non sa neanche lei cosa vuole, cosa
ci posso fare io?E io gli risposi: adesso lo so, hanno portato li mio marito.
Lui mi rispose: aspetti un attimo, e mi misse una musichetta di attesa.
Dopo un bel pò mi rispose un medico, dicendomi di
andare subito li perchè mio marito era grave.
Chiamai invano l'ufficio dove lavorava mio marito, ma non ebbi risposta.
Verso mezzo giorno rispose il geometra.
Io ero molto arrabbiata, e gli dissi: non vi
siete neanche presi la briga di chiamarmi, ma nel
frattempo arrivò anche un cugino di mio marito, gli dissi di venire con me.
Mi portò al cantiere, li c'erano già quelli del
sindacato, e gli dissi: vi prego, non lasciatemi sola, devo fargliela pagare.
E questo geometra continuava a dirmi che non sapeva dov'era l'ospedale.
Ma quelli del sindacato mi dissero: la portiamo li noi.
Vidi il cartello rianimazione, e entrai.
Mi chiesero cosa volevo, e gli dissi: hanno portato qua mio marito.
Mi risposero: qua oggi non è arrivato nessuno.
Subito dopo qualcuno mi disse: vieni qua.
Ancora pronto soccorso, entrai in una stanza,
c'era una barella e una sedia a rotelle.
Il medico mi girò verso la sedia e allargò le braccia: non c'è l'ha fatta.
Destino crudele, stessa ora, stessa telefonata,
quel dannato ponteggio aveva portato via anche mio marito.
Quando me l'hanno fatto vedere era già dentro una cella frigorifera.
A dieci giorni dalla morte di mio marito, mi
diedero i 5 milioni di lire che mi spettavano di liquidazione di mio figlio.
Quando è morto mio figlio (il 28 aprile del
2000), abbiamo scoperto che era in nero.
Il suo datore di lavoro è andato ad assicurarlo il 2 o il 3 maggio del 2000.
L'assicurazione risponde, io non le do niente,
perchè il giorno che è morto non era assicurato.
A 4 mesi dalla morte di mio marito il datore di lavoro dichiara fallimento.
Un giorno al processo gli ho chiesto se lui di
notte riusciva a dormire tranquillamente, e con
la sua aria di strafottente mi ha detto: certo
signora, perchè non dovrei dormire.
Due anni e mezzo fa il processo di mio marito era quasi finito.
Sentenza finale: troppi colpevoli, tutto fa rifare.
Il 23 luglio fa 7 anni che mio marito è morto, ma
il processo è tutto da rifare.
C'è la prescrizione, e i miei avvocati dicono,
che a sette anni e mezzo, sti signori, per non
dargli un termine diverso, non verranno mai giudicati, ne puniti.
L'Asl di Varese mi fece una lettera, scusandosi
perchè non avevano personale, e non avevano
potuto mandare nessuno a controllare il
cantiere.E' questa la nostra bella Italia, uno va
sul posto di lavoro per portare a casa il pane
quotidiano, e invece ti portavano via in una
cassa, anzi in due, nel giro di 15 mesi: stessa impresa.
Io mi chiedo: anni di processo per cosa???
Io ho pagato sulla mia pelle le mie disgrazie (anche a livello economico).
Lo so che non potrò più riavere mio figlio e mio marito, ma pretendo giustizia.
Vorrei rivolgere delle domande a quelli molto in alto:

Perchè devono succedere queste cose?
Perchè oltre la disgrazia devi pagare anche per
poter avere giustizia?E molto salato, per non arrivare mai ad una conclusione?
Perchè durante i processi stai li tutta una
giornata per sentirti dire: rinviato a dopo 3/4 mesi?
I morti sul lavoro sono degli eroi.
Sono stanca, perchè non sono mai arrivata a dire:
si, la giustizia funziona, si, la giustizia c'è:
mio figlio Luciano aveva solo 22 anni, e mio marito Gianfranco solo 41.
Certe cose ti cambiano la vita, e la mia si è
proprio ribaltata, ma devi andare avanti per i
tuoi figli, perchè queste cose non accadano più,
invece accadono tutti i giorni.
Se ci fossero più controlli e meno agevolazioni,
secondo me ci sarebbero meno morti e infortuni sul lavoro.
Se ci fosse una punizione giusta, forse ci
penserebbero due volte prima di rifare l'errore.
Il mio appello: controlli, controlli, controlli, severità.
Non dire mai la prossima volta, ma punirli
severamente da subito, perchè quella delle morti
sul lavoro è un bollettino di guerra.
Vi giuro che fino a quando avrò fiato, mi batterò
con tutte le mie forze per avere giustizia.
Ringrazio tanto quelli che avranno la pazienza di leggere la mia lettera.
Non voglio pietà, ma una vera giustizia, allora
si che potranno riposare in pace anche i miei cari.
Franca Mulas.

 

 

PUBBLICO QUESTA LETTERA... SENZA COMMENTI!



IL RISVEGLIO DA "TUTTA CASA, LETTO E CHIESA"

Il risveglio Nello spazio scenico, un monolocale, sono posti un letto matrimoniale, un comodino con sveglia e abat jour, un attaccapanni, un armadio, una credenza sulla quale sono posati vari barattoli, un tavolo, una cucina a gas, un frigorifero, una lavatrice, un lavello. Appeso bene in evidenza un calendario.

C’è anche un lettino con dentro un bambino (bambolotto), ecc. Sul letto dormono un uomo e una donna. L’uomo, dal momento che non ha battute, può essere sostituito con un pupazzo. Nella luce bassa la donna sogna come in un incubo. Questo brano viene attualmente recitato da Franca Rame con un unico elemento di scena, una sedia o una panca, a indicare il letto. L’arredamento scenico è stato soppresso, per motivi pratici, lungo il corso delle recite tenute durante gli scioperi e le occupazioni delle fabbriche. Ne è nata una versione, quella attuale, completamente mimata, in cui gli oggetti sono sostituiti dai gesti che li indicano.

DONNA Tre pezzi, una saldatura, un colpo di trapano... due bulloni, una saldatura, un colpo di trancia... (Urlo). Oddio! Mi sono tranciata le dita! Le mie dita... fammele tirare su... il padrone non vuole... fanno disordine! (Si sveglia di soprassalto: è ancora sotto l’incubo del sogno) Le mie dita... non potrò più metterle nel naso... (Si guarda la mano) Ce le ho!!... Ho sognato!... Porca miseria, adesso mi sogno di lavorare anche quando dormo, non basta in fabbrica? Che ore sono? (Guarda la sveglia) Le sei e mezza?! (Si alza dal letto infilandosi velocemente pantofole e vestaglia) Non ha suonato ’sta bastarda! Oh mamma, come è tardi! (Corre al lettino e prende tra le braccia il bambino) Forza bambino, forza! Che comincia la nostra giornata. (Si dirige verso il tavolo che sta vicino al lavello) Sveglia! Sveglia, bel topolino della tua mamma, andiamo! La pipì, ti sei fatto la pipì addosso... saranno tre ore che ti ho cambiato! Pisone di un pisone... con la premura che ho! Dobbiamo correre all’asilo nido, che se arriviamo dopo le sette la suorina ci rimanda a casina! (Spoglia il bambolotto) Adesso la tua mamma ti lava il culascino... (Apre il rubinetto dell’acqua) L’acqua calda... macché, non c’è acqua calda... Vuoi vedere che quel rintronato del Luigi ieri sera ha spento il boiler? No, non è rintronato, ecco l’acqua calda... (Prende il bimbo in braccio e va al lavello) Laviamoci il faccettino, zitto, non piangere che se no svegli il papà... lasciamolo dormire per una mezz’oretta ancora, beato lui! Che poi deve scattare alla Sandokan: aaaaaaaaahhaahh! (Si rende conto di aver urlato, ripete l’urlo sottovoce) Aaahhh... correre a prendere il tram, il treno, e poi in fabbrica, (depone il bimbo sul tavolo e con un asciugamano lo asciuga) e via a far ginnastica come una scimmia ammaestrata, alla catena di montaggio (esegue i movimenti della catena di montaggio): un due tre... (Ride) Ah, ah come ride il mio bambino... ti piace la tua mamma che fa la scimmia ammaestrata. Ora ti asciugo bene... (Prende un barattolo di borotalco e ne versa abbondantemente sul culetto del bambino) Una bella spolveratina di... (si blocca allibita) formaggio grattugiato!! Chi mi ha messo il formaggio grattugiato al posto del borotalco?! Mamma mia che disordine! Aspetta che lo tiro su... con quello che costa!! (Mima di raccogliere dal sedere del bambolotto il formaggio versato) Tanto il sedere del mio bambino è bello pulito! (Veste velocemente il bambino) Presto, presto, pisottone mio! Eccolo pronto! Che ore sono? Oddio com’è tardi! Stai tranquillo un attimo che anche la tua mamma si dà una lavatina. (Va al lavello e apre il rubinetto; mimando d’insaponarsi mani e viso, canta) Camaj, sapone delle stelle. Camaj, sapone... (S’interrompe) L’acqua, non c’è più acqua! Maledizione! Una famiglia come questa, che sta in una casa come questa, con trecento famiglie come questa... con tutti che hanno la mania di lavarsi alla stessa ora!! Con che cosa mi sciacquo adesso!? Accidentaccio... come brucia il Camaj, nell’occhio... questo la pubblicità non lo dice. (Afferra un asciugamano e si libera del sapone) Beh, mi laverò un’altra volta, tanto a me chi mi guarda... (Si dà una pettinata veloce) Non mi guardano ma mi annusano... Mi darò un po’ di spray... (Prende un barattolo di spray) Che bella invenzione lo spray! Mettiamoci un po’ di spray. (Esegue) Come brucia!! Che ho messo? (Legge sul barattolo) Vernice per termosifoni!! Ho l’ascella d’argento?! Come me la tolgo? Me la toglierò in fabbrica col solvente. (Indossa velocemente gli abiti. Raccoglie il figlio, lo avvolge in una coperta e si avvia alla porta) Presto, via in fretta, correre! Le sei e quaranta... ce l’abbiamo fatta. Prendiamo la borsetta della mamma... la giacchetta della mamma... (Si dirige verso la porta. Si blocca) La chiave? La chiave? Dove ho messo la chiave? Tutte le mattine il dramma della chiave! Devo passare il tempo a cercar la chiave... coi minuti contati che ho... (Rovista freneticamente nelle tasche, si guarda intorno) Calma, stiamo calme, cerchiamo di ricostruire tutto quello che ho fatto ieri sera. Dunque, sono arrivata a casa, il Luigi non c’era. Ho aperto io la porta. Il bambino era nel braccio destro della mamma, la borsetta e la chiave nella sinistra della mamma. La borsetta e la giacchetta le metto qui (indica l’attaccapanni), il bambino lo metto nella culla. Torno fuori. Prendo le borse della spesa, la chiave sempre in mano... il pacchetto del latte sotto l’ascella... entro in casa... la borsa la metto qua... il latte lo metto nel frigorifero... Vuoi vedere che nel frigorifero ci ho messo pure la chiave? (Va al frigorifero e lo apre) No, non c’è... neanche nel portauovo, nel portaburro... ma non c’è nemmeno il latte... in compenso ci ho messo il detersivo al limone per la lavastoviglie... È giusto: il limone si mette sempre nel frigorifero, altrimenti “va a male”! Sono pazza! Sono pazza!! Se ho messo il detersivo nel frigorifero, il latte l’avrò messo nella lavastoviglie... (Guarda nella lavastoviglie) Non c’è... meno male... Dove ho messo il latte? Sul gas... sì, per la pappa del bambino... tant’è vero che per avere libere le mani, per poter aprire il cartone, mi sono messa la chiave tra i denti e mai saprò perché ho messo la chiave tra i denti e non sul tavolo. Prendo il pentolino... verso il latte nel pentolino per la pappa del bambino... accendo il pentolino... accendo il bambino, voglio dire, accendo il latte... accendo il gas! Lascio il latte lì a bollire e, sempre con la chiave tra i denti, vado a sfasciare il banbino... nel senso che gli tolgo le fasce. (Va verso la culla, mima quanto dice) Prendo il bambino, lo metto sul tavolo... anzi no, col bambino in braccio vado all’armadio e prendo la vaschetta per fare il bagno, la chiave sempre tra i denti... metto la vaschetta qui, cerco il bambino... non c’è più il bambino! Ho perso il bambino! Dove ho messo il bambino? (Corre verso i vari mobili che nomina, apre e chiude velocemente gli sportelli) Nel frigorifero... nella lavastoviglie... nell’armadio! Avevo messo il bambino nell’armadio!! Per fortuna si è messo a piangere, altrimenti chissà quando l’avrei trovato! Povero il mio bambino! Ho preso uno spavento tale, che mi sono precipitata a bere un bicchier d’acqua... (Si blocca di colpo, deglutisce spaventata) Ho ingoiato la chiave! E già... se ce l’avevo tra i denti... No, non posso averla inghiottita... la mia chiave ha il buco, avrei fischiato tutta la notte e il Luigi chissà che scenata mi avrebbe fatto... Dove ho messo la chiave... Calma, stiamo calme. (C.s.) Prendo la bacinella, vado a riempirla d’acqua calda, prendo il bicarbonato (prende un barattolo), che io ci metto sempre due cucchiai di bicarbonato per il bagno del mio bambino... Fosse caduta qua dentro? (Guarda il contenuto del barattolo con attenzione) Zucchero!! Chi ha messo lo zucchero nel barattolo del bicarbonato... (controlla in un altro barattolo) e il bicarbonato in quello dello zucchero? Quanti giorni sono che faccio il bagno al bambino con lo zucchero? Ecco perché la suora all’asilo mi ha detto: “Devo tenere il suo bambino sempre chiuso, come lo metto all’aperto api, calabroni e mosche gli volano adosso...” Povero bambino... E il Luigi, la scenata che mi ha fatto per il caffè... ci aveva messo il bicarbonato! Certi rutti! E la chiave, dove ho messo la chiave? Ma che scema... no, sbagliato, tutto sbagliato. Non ho mai tirato la chiave fuori dalla toppa... eh sììì, perché quando stavo facendo il bagno al bambino ho sentito il Luigi ravanare nella serratura, perché io quando sono entrata avevo richiuso la porta, lasciando la chiave nella toppa... così lui non poteva aprire... ravanava ravanava e cominciava a tirare santi. Ho tolto la chiave dalla porta... lui è entrato... gridava come un pazzo, io la chiave l’avevo in mano, sono sicura... gli sono andata sotto il naso e gliela ho messa tra gli occhi... che quasi volevo levargliene uno... e ho detto: “Ho dimenticato la chiave nella serratura... e allora? Uccidimi moglicida!!!” “Lasciami stare, – mi fa lui, – non è per la chiave che sono arrabbiato... è che ’sto maledetto treno dei pendolari m’ha fatto un ritardo di un’ora... un’ora e mezza per fare 20 chilometri! Tutto tempo che il padrone mica mi paga... né mi paga il viaggio d’andata, né quello di ritorno, né mi paga il tram. Tutti viaggi che io faccio per lui, mica per villeggiatura!” “E te la vieni a prendere con me? – gli faccio io, sempre con la chiave in mano. – A parte che il padrone non si chiama più “padrone”, si chiama “multinazionale!” Oggi il padrone ce l’hanno soltanto i cani! Noi siamo esseri liberi, oggi! Il padrone multinazionale ti frega le ore che viaggi e te la prendi... ma non te la prendi per le ore che frega a me... a me, che oltre a lavorare per otto ore come una bestia per lui, ti faccio anche la serva gratis! Per lui, per il multinazionale!” E intanto ho dato il latte al bambino. (Va alla culla) L’ho preso in braccio... (Prende il bambino in braccio e cerca nella culla) Mi fosse caduta qui... No, non c’è... (Nel riporre il bimbo nella culla gli tasta il sedere) Oh mamma, l’ha fatta! L’ha fatta, l’ha fatta un’altra volta! Cagone di un cagone... (Tenendo il bimbo tra le braccia va al tavolo vicino al lavello) Quante volte ti devo dire che tu la cacca devi farla all’asilo! Alle sette e due minuti devi farla, così ti cambia la suorina! (Così dicendo spoglia velocemente il bambino e lo lava) Che ore sono?... Oddio com’è tardi... non ce la faccio, non ce la faccio... perdo la giornata... Cagone di un cagone... io poi non capisco come si faccia con un sedere così piccolo a fare una cacca così grossa!! (Riprende, mentre lava il bambino, la sua tirata polemica col marito) “La famiglia, la sacra famiglia... l’hanno inventata apposta perché tutti quelli come te, sballati dalla nevrosi dei ritmi bestiali di lavoro, ritrovino in noi mogli tuttofare, il materasso su cui sfogarsi! (Ha finito di lavare il bambolotto, l’asciuga e lo riveste) Noi, vi rigeneriamo... per lui, gratis! Per essere pronti all’indomani a tornare belli e scaricati a produrre meglio per lui, il multinazionale! Lui è il padreterno! È lui che fa boom, poi fa il contro boom! Poi la deflessione, poi l’inflazione, la crisi galoppante, la crisi strisciante... la caduta della lira, il dollaro, l’eurodollaro, il petrodollaro... poi spalanca le braccia e grida: “Che ci posso fare? È fatalità! È fatalità!”” Il Luigi si mette a ridere: “Ehi, ci ho una moglie femminista estremista e non lo sapevo... Da quando è che vai a scuola dalle femministe?” “Senti deficiente, – gli faccio io, – mica ho bisogno di andare a scuola dalle femministe per capire che la vita che facciamo è una vita di merda! Lavoriamo come due cani e mai un attimo per scambiarci due parole, mai un attimo per noi. Mi chiedi mai: “Sei stanca? Vuoi una mano?” Chi fa il mangiare? Io. Chi lava i piatti? Io. Chi fa la spesa? Io. Chi fa i salti mortali per arrivare a fine mese? Io, io, io! Eppure lavoro anch’io! Le calze che sporchi tu, chi le lava? Io! Quante volte hai lavato le mie calze? È questo qui il matrimonio? Io voglio poter parlare con te. Io voglio “VIVERE” con te... non ABITARE con te! Ti viene mai in mente che anch’io possa avere dei problemi? Mi va bene che i “tuoi” problemi siano i miei, ma vorrei che anche i “miei” problemi fossero i “tuoi” e non soltanto i “tuoi” i miei, e i miei sempre i miei!! Io voglio poter parlare, parlare con te... ma quando torni dal lavoro ti butti a dormire. La sera: TELEVISIONE! Alla domenica PARTITA!, a vederti ventidue cretini in mutande, che si dànno scarpate intorno a un pallone, con in mezzo un altro ritardato dell’oratorio, anche lui in mutande, ma con la giacca e il fischietto!” Lui, il Luigi, paonazzo, offeso come se gli avessi parlato male della sua mamma, mi fa: “Ma cosa vuoi capire tu di sport!” Che non era proprio la risposta giusta! Non ci ho visto più! Gridavo come una matta! Ho tirato fuori tutto! Gridavo io, gridava lui... io pesante, lui più pesante, più pesante io... ancora più pesante lui... finché ho detto: “Se questo è il matrimonio, vuol dire che ho commesso un errore...” Ho tirato su il mio errore... (prende in braccio il bambino e si avvia decisa alla porta) e via che me ne sono andata. A questo punto la chiave, sono sicura, ce l’avevo io, perché ho aperto la porta. Il Luigi viene lì... ci aveva una faccia, povero Luigi, era bianco, col magone... Mai avevo fatto una scenata così e mica scherzavo... e lui l’aveva capito. Mi tira dentro in casa: “Su, non fare così, aspetta...” “Lasciami stare!” “Parliamo, prima parliamo, se poi te ne vuoi andare va bene... ma prima parliamo! C’è la dialettica no? C’è la dialettica, per dio!”... e mi spingeva verso il (si siede sul letto) “dialettico”... e mi dice che sì, avevo ragione... ma che lui era abituato con la sua MAMMA... che credeva che fossi anch’io come la sua MAMMA... che aveva sbagliato, che doveva cambiare... insomma, si è fatto la... cosiddetta “AUTOCRITICA”. Ma così bene, così bene... che io piangevo... E più si autocriticava e più io piangevo, e più piangevo e più si autocriticava... come era bello piangere ieri sera! E la chiave? (Guarda per l’ennesima volta l’orologio) Non ce la faccio... (Di colpo si ricorda) Sicuro... me l’ha presa lui sono sicura... nella tasca della giacca... se l’è messa in tasca... (Scorge la giacca appesa all’attaccapanni, fruga nelle tasche) Eccola, la mia e la sua! Che ore sono? Sette meno dieci, forse ce la facciamo ancora... Forza patanino che ce la facciamo! (Prende il bambino in braccio, si muove freneticamente) Il bambino della mamma, la giacchetta della mamma, la borsetta della mamma, (sta per uscire, si blocca di colpo) il tesserino del tram... Aspetta bambino, fammi cercare il tesserino, che se poi il tram è pieno mi tocca metterti per terra e ti schiacciano tutto... (Fruga in borsetta) Eccolo... Bello, il mio bel tesserino! (Lo guarda distrattamente) Sei buchi? Sei buchi di andata e sei buchi di ritorno! (È allibita) Sei buchi di andata sei buchi di ritorno?! Chi m’ha bucato così il mio tesserino? Sei buchi... Ma che giorno è oggi... (Guarda il calendario appeso alla parete, non apre bocca... è stravolta, avvilita. Quasi senza voce dice) Domenica!? (Gridando) Domenica!! (Al bambino) E tu non mi dici niente! È domenica! Roba da pazzi, volevo andare a lavorare anche di domenica! Sono pazza!! (Cantando) Di domenica non si lavora e fino a tarda ora si sta a dormire! A letto, bambino, a letto! Dormire!! (Depone il bambino nel letto matrimoniale, corre in proscenio e si rivolge direttamente al pubblico) Voglio fare un sogno dove c’è un mondo che tutti i giorni è domenica! Tutta una vita di domeniche! È la fine del mondo... È scoppiata la domenica eterna! Non cì sono più gli altri giorni della settimana... Il lunedì l’hanno impiccato, il giovedì fucilato, il venerdì affettato!... Tutti i giorni sono domenica... (Corre al letto, s’infila sotto le coperte) Dormire bambino! Dormire! E se mi sogno un’altra volta di lavorare, mi strozzo da sola! Dormire! (Sulle ultime parole, con il lenzuolo si copre tutta, testa compresa). Buio. Stacco musicale. Canzone:

IL SOGNO

L’altra notte mi sono sognata

che ero in fabbrica a lavorare

e vicino al mio telaio

lavorava anche l’ingegnere

e io gli insegnavo come si fa andare il pettinile,

e lui perfino mi ringraziava,

lui perfino era gentile.

Non c’era quel gran baccano

e non c’era il puzzo di tintoria,

i tempi li dava una mia zia,

si andava comodi, si andava piano.

Senza neanche domandare sono andata

perfino in gabinetto

e seduta comoda ho perfino letto

un gran giornale

dove c’era un titolo fenomenale:

“Lavorare poco, vivere molto”.

Poi sono andata

a farmi un giretto

in un gran parco pieno di bambini

e dentro un giardino

c’era che giocava il mio bambino;

il mio bambino mi ha preso per mano

e mi ha portato nella nostra casa,

al primo piano,

che però non era nel casermone

dove stiamo adesso, come in prigione.

Mio marito era già tornato,

era di festa e faceva il bucato

faceva il bucato e non era arrabbiato

m’ha portato al cinema come da fidanzato

e c’era il cinema, ma nella pellicola

non recitavano degli artisti,

eravamo noi i protagonisti.

Recitava tutta la gente che sta nel mio quartiere:

uno s’alzava e ci chiedeva

quello di cui aveva bisogno;

tutti si discuteva,

e poi ogni cosa, tranquillamente

si risolveva.

Non c’era nessuno che faceva il prepotente,

nessuno con l’aria di comandare,

ognuno era sorridente.

E c’era un gran cartello da guardare

con su scritto: “proibito proibire”

e ho notato così che la gente parlava perfino diverso

nessuno diceva: “questo è mio e quest’altro è tuo”

non c’era più né mio né tuo

era tutto nostro, nostro di tutti,

perfino l’amore era diverso

non era pìù una roba

fra me e te contro gli altri

era con gli altri,

amore per stare più insieme all’amore degli altri...

non c’era più l’egoismo,

c’era proprio il comunismo.

Non c’era più l’egoismo,

c’era proprio il comunismo. 


IL FILO SPEZZATO

E' uno spettacolo per stomaci forti. Un'immagine davvero inguardabile, quella dell'Italia nelle ultime settimane, con un'accelerazione preoccupante negli ultimi giorni.
Appena il tempo per rendersi conto che, davvero, il precariato viene riaffermato per legge come destino, componente essenziale della nostra nuova costituzione materiale, ed ecco giungere il colpo di scure sugli «assegni sociali» (forse l'unica misura in qualche modo efficace contro gli aspetti più scandalosi della povertà, capace di «tenere a galla», sia pur a fatica, alcune centinaia di migliaia di persone prive altrimenti di ogni possibile fonte di sopravvivenza), subito seguito, come in una doccia scozzese, dalla brusca retromarcia.
Apprendiamo, sempre più sconcertati, che l'obiettivo non erano tutti gli oltre 700.000 disperati, dal percorso lavorativo accidentato e dunque senza mezzi sufficienti a garantir loro la sopravvivenza, che venivano condannati a finire sommersi, ma solo una parte di essi. Gli stranieri. Le poche decine di migliaia di disperati che, quelli sì, possono crepare. L'errore era da attribuire alla fretta di qualche peone leghista, non troppo uso alle questioni tecniche dell'attività legislativa, che aveva fatto riferimento a un periodo di almeno dieci anni di «attività lavorativa» anziché - ingenuo - alla necessità di «residenza sul territorio italiano», finendo di mettere nello stesso calderone «i nostri» con gli «altri». I salvati con i sommersi. Come dire «fuoco amico», subito corretto con una nuova modifica alla manovra che ripristina il sano principio che vuole gli italiani a bordo, e gli stranieri ad affogare. E non si sa se sia meno disumana la prima versione del provvedimento, o la seconda. L'insulto universalistico ai poveri senza bandiera, o la selezione spietata in base all'etnia.
Tutto questo, nel giorno in cui da Bruxelles arriva una condanna esplicita per quanto riguarda i rischi di xenofobia e di razzismo impliciti in alcuni provvedimenti di governo e nell'azione delle nostre forze di polizia, in particolare per quanto riguarda i rom, le condizioni «inaccettabili» in cui sono costretti a vivere, e gli abusi e le discriminazioni cui sono sottoposti. Né si tratta solo di ciò che avviene «in alto».
A livello politico e di governo. La rottura degli argini della civiltà, la logica del rancore e del disprezzo, la pratica della segregazione e del rifiuto guadagnano spazio nel sociale. Conquistano aree di popolazione fino a ieri considerate immuni. Viaggiano dagli avvelenati municipi del nord-est ai quartieri popolari di Napoli, con un popolo ridotto a irriconoscibile plebe impegnato a scaricare sugli ultimi la propria miseria sotto forma di un odio nuovo, informe, velenoso e contagioso. Sono una risorsa crescente, e tendenzialmente inesauribile, per chi vuol guadagnare consenso politico. Hanno un potenziale dirompente, maggiore di ogni ragione e di ogni interesse. Superiore a ogni pacato ragionamento. Ad essi, sembrano arrendersi tutti, nell'universo della politica che vuole «contare».
E infatti le voci che nell'arena parlamentare si oppongono sono flebili, quasi inudibili. Nel pragmatismo che tutto sembra aver avvolto, nello sfacelo dei vecchi partiti trasformati in ombre di se stessi, la difesa dei valori universalistici di eguaglianza e pari dignità sembrano aver cessato di aver corso legale. Ma di questo ci eravamo fatti, in qualche maniera, una ragione. O comunque, avevamo incominciato a comprenderne il meccanismo d'innesco.
Quello che appare persino più preoccupante, e più difficile da decodificare, è l'estenuazione e la tendenziale estinzione di quei valori, di quel «comune sentire», di quella sensibilità nella stessa società italiana. Nei suoi codici di comportamento e di valore. E' questa nuova, imprevedibile, «durezza». Questa irriconoscibile insensibilità di massa, che fa girare il volto ai bagnanti davanti ai cadaveri stesi sulla spiaggia delle due bambine rom affogate qualche giorno fa sul litorale napoletano. Che fa ignorare le decine di morti quasi quotidiani nel canale di Sicilia. Che lascia incendiare le baraccopoli di Ponticelli senza fiatare, per condivisione, o sopportazione, o pigrizia. E' questa improvvisa crudeltà dell'essere, nuda, senza ornamenti ideologici, senza argomentazioni né giustificazioni, ciò che spaventa, perché è la precondizione mentale delle sciagure storiche. L'anticamera esistenziale delle guerre civili o delle apocalissi culturali. La forma interiore dei tempi bui.
Ed è su di essa che dovremo interrogarci senza posa, per comprenderne l'origine e la terapia, più che sulle alchimie di un «politico» in ampia misura perduto. Più che sugli esisti dei congressi e sui destini di soggetti collettivi drammaticamente svuotati. Più che sulle maggioranze futuribili e tendenzialmente intercambiabili. Perché da ciò dipenderà, davvero, la possibilità o meno di riprendere il filo spezzato di un percorso comune e civile.

 

Marco Revelli

Il manifesto 31 luglio 200

 


Metto in scena il Lodo e il nano gigante

“…ne vedremo delle belle, anche sessualmente, in teatro, in teatro di piazza, teatro di strada, teatro con 60 milioni di posti…”

“Parti dal presupposto, non smentibile per disgrazia universale, che qui in Italia qualcuno sia riuscito a mettere in pratica il programma della loggia P2….”

“…il più ricco di tutti innocente quasi qualunque cosa faccia a dispetto della Costituzione…”

“…adesso viene il bello perché si gioca senza arbitro, lui può prendere il pallone con le mani, spezzare le reni all’avversario, può vincere anche se ha perso…”

“…predica il nucleare e da quando ha detto “avanti nucleo” in Francia si rompe una centrale dopo l’altra. Poi dicono: contaminati? Poco poco,  rispondono…”

http://www.francarame.it/files/IL%20NANO_GIGANTE.pdf