Un percorso di fresca spettacolarità per raccontare la figura poliedrica di Dario Fo. Scrittore, autore teatrale, attore e anche pittore. Una mostra che comincia dal presente per accompagnare il visitatore in un percorso a ritroso fino alle origini. A Milano, nelle sale di Palazzo Reale, fino al 3 giugno.
Un bell’allestimento, con un alto grado di varia, fresca teatralità. Davvero bravo il curatore Felice Cappa, che ha inserito in ogni sala uno o più elementi di scena: pedane, pupazzi volanti, asticelle di legno denudate dai teli delle quinte. È poi possibile seguire, lungo tutto il tragitto espositivo, nei molti schermi televisivi, frammenti di spettacoli teatrali e opere liriche, lezioni di storia dell’arte all’aperto di fronte a chiese e cattedrali o frizzanti affabulazioni colme di arguzie e ammiccamenti.
Dario Fo (Sangiano, 1926; vive a Milano) svela ovunque e sempre, nel dipingere e nel fare teatro, nei suoi testi come nelle regie, quale personaggio o divertito narratore, un’intima, profonda coerenza espressiva, una corrispondenza creativa dove la varietà, anche cromatica, è insieme reale e metaforica.
Sulla copertina del consistente e ben documentato catalogo campeggia uno dei primi quadri esposti, il vasto Quarto Stato con Dario e Franca (2011), con in primo piano il viso aperto di Fo e sullo sfondo alcuni volti mossi, ritoccati, rielaborati, ma ben riconoscibili, del popolo che avanza di Pellizza da Volpedo. La mostra inizia dalle opere più recenti, con molti lavori datati 2011 e 2012, insieme a video che mostrano la bottega di lavoro – in tanti che contribuiscono a dipingere – e Fo che interviene, magari con il pennarello, i colori particolarmente vivaci, spesso gialli e verdi acidi da evidenziatore. Ci sono spesso delle scritte sulle tele: denunce, accuse o amare riflessioni. “Ma noi italici abbiamo altro a cui pensare”, si può leggere all’interno di una delle barche dello Sbarco di Lampedusa, ma parole paiono scorrere sovrimpresse anche in Africa. Vi lasceremo un gran bidone e in Incidenti mortali sul lavoro” (2011).
In questo percorso a ritroso – incontrando anche i burattini della Famiglia Rame, un pubblico composto di “teste di legno” – ci si accorge a un certo punto che il tempo sembra condensarsi troppo in fretta. Si vorrebbero vedere, degli anni antecedenti e di poco successivi l’indimenticabile capolavoro di Fo, Mistero Buffo, più locandine e bozzetti del periodo d’oro, delle sue opere più spregiudicate, anticonformiste, piene di canzoni, di ritmi allegri, colme di proteste e smorfie, prese in giro e accuse ai potenti. È possibile tuttavia soffermarsi su alcune ricerche dei primi anni, dopo gli studi a Brera, dove si coglie l’ansia di cimentarsi in più stili cercando il proprio. Molti gli echi da Chagall, con quelle creature sospese, i colori che vanno oltre i contorni, dove la realtà pare sempre immersa in un’atmosfera onirica. Eppure sembra ancora che sia troppo poco, specie rispetto alle prime sale, dedicate alla sua attività attuale.
Dario Fo a Palazzo Reale: un’ulteriore conferma del valore di questo personaggio anche in campo artistico. Così recitava la motivazione del Premio Nobel a Fo, assegnato nel 1997: “Figura preminente del teatro politico che, nella tradizione dei giullari medievali, ha fustigato il potere e restaurato la dignità degli umili”.
Valeria Ottolenghi
Milano // fino al 3 giugno 2012Dario Fo – Lazzi, sberleffi, dipintia cura di Felice CappaCatalogo MazzottaPALAZZO REALEPiazza del Duomo02 54913www.mostradariofo.it
fonte: airtribune.com