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disegno di legge per una Riforma del trattamento previdenziale dei Senatori - d'iniziativa dei Senn. Lusi e Bobba

Ecco un interessante disegno di legge che propone dei tagli consistenti ai privilegi dei parlamentari: prolungamento del periodo necessario alla maturazione del diritto alla pensione, e diminuzione delle cifre del vitalizio.

Leggete voi stessi!

 

 

 

 Riforma del trattamento previdenziale dei Senatori

  Premessa

             In virtù dell'articolo 69 della Costituzione ("i membri del Parlamento ricevono un'indennità stabilita dalla legge") si può ritenere che nella specifica materia indennitaria e nelle corrispondenti disposizioni di natura previdenziale, applicabili ai parlamentari, non dovrebbe invocarsi il più generale principio dell'autonomia riconosciuta alle Camere. Nella prassi normativa il principio ha trovato applicazione nella legge n. 1261 del 1965, i cui articoli 1 e 2 correttamente determinano i limiti massimi ai quali si riferisce l'intera disciplina. Secondo la costante e ormai pacifica interpretazione, del resto, fatti salvi i predetti limiti ivi stabiliti, le concrete modalità applicative del trattamento attribuito ai parlamentari sono rimesse alla piena autonomia degli Uffici di Presidenza eletti dai due rami del Parlamento.

 Nell'ambito applicativo di tale principio di autonomia viene, in ogni caso, garantita parità di trattamento indennitario ai parlamentari in carica, indipendentemente dalla sede di effettivo svolgimento del mandato, e trattamento previdenziale uguale a quelli cessati dal mandato.

 

 

 

Ciò premesso, si ritiene opportuno introdurre nel vigente sistema articolate proposte, essenzialmente volte a riformare il trattamento previdenziale dei parlamentari, che gli Uffici di Presidenza del Senato e della Camera dei Deputati potranno tenere nel debito conto, in un quadro di riforma organica e doverosamente coordinata tra i due rami del Parlamento.

  

 

1. Misure volte al riequilibrio dei conti pubblici

               Considerato l'indirizzo dell'ordinamento generale in materia di trattamento previdenziale, viene adottato anche per i senatori cessati dal mandato il sistema "contributivo", prevedendo due distinte situazioni.

  L'attuale sistema, per così dire "retributivo", comprensivo dei limiti anagrafici al conseguimento del diritto al trattamento, continua ad applicarsi ai senatori eletti fino alla XV legislatura;

  •  

  • il sistema "contributivo" si applica ai senatori eletti a partire dalla XVI legislatura. 

     

 

 

 

A partire dalla data di entrata in vigore della riforma la maturazione del diritto al trattamento previdenziale si consegue al compimento del 65° anno di età.

 Considerata la peculiarità del "servizio" parlamentare e, conseguentemente, la specificità insita nel trattamento previdenziale, ai parlamentari in carica viene aumentata l'aliquota contributiva, in misura tale che essa risulti superiore di almeno il 25 per cento rispetto a quella versata dai dipendenti del settore pubblico.

 Ai senatori cessati dal mandato che continuano a beneficiare del sistema "retributivo" viene imposto un contributo di "solidarietà" del 4 per cento, per la quota eccedente i 50.000 euro lordi annui, quale partecipazione alla riduzione dei corrispondenti oneri di bilancio, nonché concrete modalità di "sterilizzazione" dell'adeguamento annuale, riconducendolo sostanzialmente all'indice ISTAT.

 Viene abolita la generale facoltà di costituire, ai fini previdenziali, periodi "figurativi",  anche tramite il riscatto oneroso dei periodi di mandati non completati per i più svariati motivi.

 La facoltà di "riscatto" può essere fatta valere esclusivamente nel caso in cui l'ex parlamentare intenda completare un'unica legislatura - limite minimo per maturare il diritto al trattamento previdenziale a 65 anni - e soltanto in presenza di attività parlamentare esercitata per un periodo non inferiore a 30 mesi.

 2. Natura previdenziale e non assicurativa del trattamento

 E' necessario, in primo luogo, abbandonare la nozione di "rendita assicurativa", conforme alle deliberazioni adottate nel 1993 dagli Uffici di Presidenza delle due Camere, attribuendo anche formalmente piena natura previdenziale al trattamento vitalizio. Ciò comporta:

 a) la necessità di abrogare le deliberazioni appena richiamate;

 

 

 

 

 

 

 

b) la particolare opportunità che il trattamento vitalizio sia sostanzialmente e formalmente riconducibile a un "trattamento previdenziale", sia pure dai connotati speciali, deducibili dall'esigenza prioritaria di assicurare funzionalmente a tutti i cittadini il pieno esercizio dei diritti costituzionalmente garantiti;

 c) l'esigenza che il trattamento previdenziale abbia un più marcato ancoraggio ai redditi da lavoro dipendente e non venga classificato come reddito assimilato; non sia più soggetto, pertanto, all'imposizione dell'IRAP. Ciò, tra l'altro, consente al bilancio interno del Senato un risparmio pari a circa l'8,5 per cento del lordo imponibile di competenza degli ex parlamentari;

 

d) la perdita del beneficio consistente nella quota esente da imposizione (ex art. 52, comma 1, lettera b), del TUIR), per l'anno corrente pari all'8,75 del lordo spettante come trattamento vitalizio. La conseguente reformatio in peius, suscettibile di essere impugnata in quanto incidente su diritti acquisiti, potrebbe essere superata con un incremento temporaneo del vitalizio lordo spettante all'ex senatore, nella misura idonea a far recuperare la perdita del beneficio fiscale a fronte, peraltro, del minor costo a bilancio derivante dalla eliminazione dell'IRAP: al riguardo, infatti, va segnalato che la quota dell'8,75 per cento, in ragione del vigente meccanismo normativo, si riduce progressivamente nel tempo (nell'anno scorso circa l'1,3 per cento).

             3. Passaggio al sistema contributivo

 Conformemente all'indirizzo dell'ordinamento generale, il nuovo sistema contributivo si configura come un mero meccanismo di calcolo della prestazione e non come un sistema di finanziamento della prestazione previdenziale che, dunque, continuerebbe ad essere posta a carico del bilancio interno del Senato.

 

 

Ove, pertanto, il Senato continuasse ad erogare i trattamenti previdenziali con le modalità appena accenate, nell'immediato si dovrebbero registrare sicuri benefici finanziari al proprio bilancio. Questi sarebbero determinati dall'aumento complessivo della contribuzione a carico dei senatori, con una curva della spesa che crescerebbe più moderatamente anche per effetto della più limitata contribuzione (sia pure virtuale) posta a carico del bilancio interno, con un onere previdenziale che, soprattutto per esigenze sistematiche di carattere istituzionale, rimarrebbe comunque a carico degli organi parlamentari.

 E' di tutta evidenza, in conclusione, che il sistema di calcolo prefigurato con gli articoli che seguono tende a ricondurre il complessivo sistema di natura previdenziale nel solco del vigente ordinamento generale, con vincoli matematici e attuariali propri di tutti i regimi previdenziali. Ove, peraltro, si intendesse aumentare il rendimento del trattamento previdenziale dei parlamentari, evocando in qualche modo gli effetti introdotti dal "sistema Dini", occorrerebbe aumentare la contribuzione degli interessati al 30 per cento dei propri emolumenti.

 Si tratta di scegliere, dunque, anche con una congrua valutazione politica e non meramente finanziaria, se sia tollerabile persistere nell'attuale situazione di profondo squilibrio ovvero assicurare fin d'ora un più graduale passaggio a un sistema contributivo che, realisticamente, si qualifichi non più quale garanzia, a prescindere dal reale stato di fatto, dei benefici di fine rapporto - difficilmente assimilabili, sia pure lato sensu, alle dinamiche proprie del mondo del lavoro - ma come un ordinario periodo di servizio prestato nelle istituzioni, giustamente riconosciuto nei limiti dell'effettivo periodo temporale trascorso nell'attività svolta in qualità di parlamentare.

 L'articolato base - che assorbirebbe integralmente gli articoli 1, 2, 6 e 10 del vigente Regolamento per gli assegni vitalizi degli onorevoli Senatori e loro familiari - ovviamente presuppone l'indirizzo da ultimo indicato, fermo restando che, una volta effettuate le scelte di merito da parte dell'Ufficio di Presidenza, andrebbe in ogni caso effettuato un coordinamento non meramente formale dell'intera disciplina.

 

PER CHI DESIDERA APPRONFONDIRE, DI SEGUITO L'ARTICOLATO:

 

 

 

 

 

 

 

 Art. 1

 

 

 

 

 

Trattamento previdenziale

 

 

 

 

 

 

 

 

1. Ai senatori cessati dal mandato, che abbiano svolto almeno una legislatura, dal primo mese successivo al compimento del sessantacinquesimo anno di età spetta il seguente trattamento previdenziale:

 

 

 

 

a) ai senatori in carica fino alla XV legislatura, viene erogato l'assegno vitalizio, corrispondente agli anni di mandato parlamentare, nella misura prevista all'allegata tabella "A", secondo quanto disposto dall'articolo 2;

 

 

 

 

b) ai senatori eletti a partire dalla XVI legislatura, viene erogato un trattamento previdenziale, secondo quanto disposto dall'articolo 3.

 

 

 

 

2. A decorre dal 1° gennaio 2008, il contributo obbligatorio a carico dei senatori ai fini del trattamento previdenziale è stabilito dal Consiglio di Presidenza in misura non inferiore al 125 per cento dei contributi previsti, ai medesimi fini previdenziali, a carico dei lavoratori dipendenti del pubblico impiego.

 

 

 

 

3. Il diritto alla reversibilità del trattamento previdenziale, nella misura e con le modalità di cui all'articolo 14, a favore del coniuge e dei figli è subordinato al versamento, da parte del senatore, di una quota aggiuntiva pari al 25 per cento del contributo di cui al comma 2.

 

 

 

 

4. I contributi sono trattenuti d'ufficio a valere delle indennità parlamentari.

 

 

 

 

 

 

 

 

Art. 2

 

 

 

 

 

 

 

 

Assegno vitalizio per gli eletti fino alla XV legislatura

 

 

 

 

 

 

 

 

1. La legislatura che dà titolo all'assegno vitalizio minimo può avere anche durata parziale, purché non inferiore a due anni e sei mesi. In tale caso, fermo restando quanto previsto dall'articolo 3, comma 3, il diritto al trattamento vitalizio è subordinato al versamento volontario dei contributi per il periodo mancante al completamento della legislatura. Il versamento volontario dei contributi di cui al presente comma, comunque, non è ammissibile allorché il senatore si dimetta per incompatibilità dipendente da opzione per l'esercizio del mandato al Parlamento europeo, a un Consiglio regionale o al Consiglio delle province autonome di Trento e Bolzano.

 

 

 

 

2. Il senatore rieletto, che abbia già riscattato il periodo mancante della legislatura per conseguire il diritto al trattamento vitalizio minimo, ha la facoltà di richiedere, nel mese successivo al raggiungimento del quinquennio di mandato effettivo, la restituzione in un'unica soluzione dei contributi versati, rivalutati in misura pari all'interesse legale.

 

 

 

 

3. La misura massima dell'assegno vitalizio non può essere superiore all'80 per cento dell'indennità parlamentare lorda e si consegue con almeno 30 anni di contribuzione.

 

 

 

 

4. L'indennità parlamentare da prendere in considerazione ai fini dell'assegno vitalizio è quella vigente al 1° gennaio dell'ultimo anno di mandato parlamentare, successivamente rivalutata in base all'indice ISTAT per il periodo di tempo che intercorre tra il 31 dicembre dell'ultimo anno di mandato parlamentare e il 1° gennaio dell'anno in cui decorre la corresponsione dell'assegno vitalizio.

 

 

 

 

5. A decorrere dal 1° gennaio 2008 l'assegno vitalizio è rivalutato annualmente in base all'indice ISTAT.

 

 

 

 

6. Il senatore che cessi dal mandato prima di aver raggiunto il periodo minimo di cui al comma 1, ovvero rinunci all'assegno vitalizio, ha diritto alla restituzione, in unica soluzione, della somma ritenuta a fini previdenziali rivalutata in misura pari all'interesse legale.

 

 

 

 

7. Fatto salvo quanto disposto dall'articolo 13 e dal Parlamento europeo, i contributi obbligatori corrisposti presso i due rami del Parlamento nazionale e il Parlamento europeo sono ricongiungibili ai fini della determinazione dell'esatto ammontare dell'assegno vitalizio, purché riferiti a periodi di mandato non esercitati contemporaneamente.

 

 

 

 

8. Resta ferma la facoltà di optare per la restituzione dei contributi, secondo quanto previsto dal comma 6.

 

 

 

 

9. Non è ammesso il completamento del quinquennio nel caso in cui l'elezione sia stata annullata.

 

 

 

 

10. A carico degli assegni vitalizi attribuiti ai senatori eletti fino alla XIV legislatura viene detratto, con decorrenza 1° gennaio 2008, un contributo di solidarietà pari al 4 per cento della quota eccedente i 50.000 euro lordi annui, quale partecipazione alla riduzione dei corrispondenti oneri di bilancio.

 

 

 

 

 

 

 

 

Art. 3

 

 

 

 

 

 

 

 

Trattamento previdenziale degli eletti a partire dalla XVI legislatura

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1. La misura del trattamento previdenziale riconosciuto ai senatori eletti a partire dalla XVI legislatura viene determinata capitalizzando le contribuzioni di cui all'articolo 1, commi 2 e 3, e al comma 2 del presente articolo in ragione di un interesse pari alla rivalutazione annua dell'indennità parlamentare. La rivalutazione ha effetto fino al raggiungimento del diritto alla effettiva erogazione del trattamento.

 

 

 

 

2. Ai fini del calcolo di cui al comma 1, a carico del bilancio interno delle Camere viene computato un contributo annuale pari al 33 per cento dell'indennità parlamentare.

 

 

 

 

3. Con apposito regolamento approvato dal Consiglio di Presidenza vengono stabiliti anche i parametri e le basi demografiche attuariali concorrenti a determinare il tasso di trasformazione del trattamento previdenziale ai sensi del comma 7 nonché i casi di ammissibilità che consentano la prosecuzione dei versamenti contributivi da parte del parlamentare senza ulteriori oneri da parte della Camera di appartenenza.

 

 

 

 

4. La legislatura che dà titolo al trattamento previdenziale può avere anche durata parziale, purché non inferiore a due anni e sei mesi. In tale caso il diritto al trattamento è subordinato al versamento volontario dei contributi  per il periodo mancante al completamento della legislatura. Non è ammesso il completamento del quinquennio nel caso in cui l'elezione sia stata annullata.

 

 

 

 

5. Il senatore rieletto, che abbia già riscattato il periodo mancante della legislatura per conseguire il diritto al trattamento previdenziale, ha la facoltà di richiedere, nel mese successivo al raggiungimento del quinquennio di mandato effettivo, la restituzione in un'unica soluzione dei contributi versati, rivalutati in misura pari all'interesse legale.

 

 

 

 

6. Il senatore che cessi dal mandato prima di aver raggiunto il periodo minimo di cui al comma 4 ha diritto alla restituzione dei contributi versati, incrementati della rivalutazione di cui al comma 5. In caso di successiva rielezione, con la quale maturi il periodo minimo di contribuzione utile, il senatore ha facoltà di versare la somma a suo tempo restituita, rivalutata in misura pari all'interesse legale.

 

 

 

 

7. Il senatore che abbia maturato il diritto al trattamento previdenziale, alla cessazione del mandato ha diritto alle seguenti opzioni non revocabili:

 

 

 

 

a) restituzione dell'importo costituito dalle proprie contribuzioni, rivalutate annualmente nella stessa misura percentuale dell'indennità parlamentare. Il montante derivante dalla contribuzione a carico del bilancio interno rimane acquisito allo stesso;

 

 

 

 

b) trasformazione del montante complessivo, al compimento del sessantacinquesimo anno di età ovvero al termine del mandato se superiore, in rendita vitalizia, erogata a carico del bilancio interno, secondo le modalità definite con apposito regolamento dal Consiglio di Presidenza.

 

 

 

 

8. L'intera disponibilità risultante dai versamenti dei contributi di cui al presente articolo, in caso di decesso del senatore prima dell'acquisizione del diritto alla erogazione del trattamento previdenziale minimo, è devoluto in conformità alla disciplina in materia di successione.

 

 

 

 

9. In caso di decesso del senatore che abbia maturato il diritto al trattamento previdenziale e che si sia avvalso dell'istituto della reversibilità, il coniuge superstite ha diritto alle seguenti opzioni:

 

 

 

 

a) devoluzione dell'importo, come costituito dalle contribuzioni del dante causa, rivalutate annualmente nella stessa misura percentuale dell'indennità parlamentare. La somma sarà assegnata in conformità alla disciplina in materia di successione mentre il montante derivante dalla contribuzione a carico del bilancio interno rimane acquisito allo stesso;

 

 

 

 

b) trasformazione del montante complessivo, alla data di compimento del sessantacinquesimo anno di età del dante causa, in rendita vitalizia, erogata a carico del bilancio interno, secondo le modalità disciplinate dall' apposito regolamento di cui al comma 3.

 

 

 

 

 

 

 

 

10.  In caso di decesso del senatore cessato dal mandato prima del compimento del sessantacinquesimo anno di età e che si sia avvalso dell'istituto della reversibilità, il coniuge superstite mantiene il diritto alla rendita vitalizia alla stessa data in cui l'avrebbe maturata il dante causa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


lettera sulla precarietà

Abbiamo ricevuto questa lettera da una giovane architetto romana. Pubblichiamo con piacere,e anche un po' di disappunto!

TAMMUARIATA NERA – tutta  –  ITALIANA " Io non capisco a vote che succede e quello che se vede nun se crede, nun se crede “  
 Apparterrò alla categoria di quelli della P.IVA. Dovrò, a breve, aprirla con tutti gli annessi;  è quasi un’ossessione, ho cercato di parlarne con i miei simili con scarsissimo successo, sia per confrontarmi sia per ottenere informazioni e dettagli che non riesco ad acquisire; motivo ne sono le giornate frenetiche e poi la mancanza di conoscenza delle fonti, dove attingere? E allora mi rivolgo a voi, fosse una strada, un modo per capire qualcosa di più.   “Ha detto o parolano, embè parlamo perché si ragiunamo questo fatto nun ce lo spiegamo” 
Ebbene, per me è proprio così io ho fatto dei conti e da questi scaturisce che (non nascondo che vorrei essere smentita! Perdonatemi le imperfezioni!) percependo un compenso mensile di € 1.500,00 lordi con  partita IVA a regime guardate cosa accade: 
                                              € 1.500,00 detraggo 

 
 
20% IVA                                  €    300,00 
                                               € 1.200,00 parte di quest’IVA viene versata dal datore di lavoro sotto forma di R.A. (ritenuta d’acconto) ovvero anticipo IVA (ma chi è l’IVA?)   
 riporto                                  € 1.200,00 detraggo 
2%                                          €      24,00 è il mio contributo alla pensione che dovrò versare all’ente 
                                                                 di previdenza di appartenenza pertanto: 
                                               € 1.176,00 
 
€ 1.176,00 questo è sottoposto (volume d’affari secondo gli studi di settore!) a tassazione che corrisponde a circa il 20% (IRPEF, IRAP, c’è altro? Chi sono?)
 riport                                      € 1.176,00 detraggo 

 
 
 20%                                         €    235,20 
                                               €    940,80
 Fino a questo punto si è “ragionato” o “parlato” soltanto delle tasse da pagare a questo importo devo detrarre dei costi fissi relativi esclusivamente al fatto che vado a lavorare e  a prescindere che il luogo di lavoro sia la propria casa, il proprio studio, un altro luogo. Nota bene i costi fissi si pagano in soluzioni annuali, ma evidentemente la condizione costringe ad una autorateizzazione mensile quindi:
 riporto                                   € 940,80 detraggo 

 
 
contributo ente previdenza          € 142,00 autorateizzazione mensile 

 
                                               € 798,80
 riporto                                     € 798,80 detraggo 
contributo ordine prof.                 €   16,00 autorateizzazione mensile 
                                                € 782,80
 Per tenere la contabilità è obbligatorio farsi seguire da un commercialista:
 riporto                                   € 782,80 detraggo 

 
 
 mensile commercialista             € 120,00 

 
                                               € 662,80
 riporto                                  € 662,80 detraggo 

 
 
 dichiarazione reddito                €   38,20 autorateizzazione mensile (dichiarazione reddito annuale che         farà il commercialista)
                                              € 624,60

 
 
  con questo ho adempiuto al pagamento relativo alle tasse e ai costi fissi annessi all’esercizio della mia attività, ora:  lavoro 8h al giorno e non ho certo il tempo né il modo di tornare a casa per il pranzo (che comunque, sottolineo, non sarebbe gratutito)  
riporto                                € 624,60 detraggo 
mensile pasti                        € 200,00
sono € 10 giornaliere essi comprendono: € 7,00 di pranzo circa, due caffè di pausa, uno di dopo pranzo, sigarette escluse e come ben sapete gli aumenti sono a sorpresa; da questo computo è escluso qualsiasi tipo di “vezzo” ad esempio una bibita, un succo di frutta, un tè, un pasticcino, una pastarella, una tavoletta di cioccolato o un gelato, altrimenti, si sfora; ma considerato che una persona lavora undici mesi l’anno (e qualcosa in più!), forse, a volte, scapperebbe la voglia di concedersi qualche libertà (o no!) 
                                               € 424,60  
riporto                                  € 424,60 detraggo 
 
abbonamento autobus               €   30,00 mensile (e io ho questa fortuna!) e chi è costretto ad andare in        in macchina? O con lo scooter? 
 
                                               € 394,60
 così sono arrivata alla cifra sopra riportata, pagando tutto quanto c’è da pagare per andare a lavorare;
€ 394,60 questo importo va moltiplicato x 11 che sono i mesi dell’anno in cui lavoro, e diviso per dodici che sono quelli che mi è dato “vivere” annualmente perciò    € 394,60x11:12= €  361,72
 "Le assicuro che i redditi sono diminuiti del 20% e la vita è rincarata del 20%; fa il 40% (“L’uomo senza qualità” R. Musil) – un ottimista
 a questo punto la disponibilità economica è soggetta ad ulteriori costi d’obbligo che sono: un affitto, o una rata di mutuo, il condominio, il canone TV, la luce, il gas, il telefono, l’acqua, l’Ama, l’ICI, la ricarica del cellulare, la spesa, la manutenzione ordinaria e straordinaria della casa, l’abbigliamento, il parrucchiere, l’estetista, le visite mediche, la rata dell’autovettura, la polizza assicurativa dell’autovettura ed il relativo bollo ed eventuali costi di manutenzione, la rata dello scooter, l’assicurazione e il bollo, la benzina, la palestra.  

 
 
 Per chi ne avesse ancora la forza qualche buon libro, qualche rivista specializzata o di più largo consumo, quotidiani, cinema, teatro, concerti, mostre, qualche evento, qualche cena o pranzo fuori, qualche CD, qualche DVD, un hobby da coltivare, perché no ogni tanto qualche week end per visitare una città d’arte oppure qualche oasi naturale o anche andare in qualche “magico” luogo a godere di un tramonto o di un’alba, fare, di quando in quando qualche viaggio, regalare qualcosa a qualcuno per un compleanno o un’occasione oppure per una semplice e sentita “estemporaneità” (a patto che lo spirito e l’umore ancora lo consentano!).
Ma purtroppo ancora non ci siamo, manca una parte per niente affatto irrilevante. Questi bacucchi guadagni devono passare per un conto bancario o postale per effettuare i pagamenti, attraverso quanto racimolato, on-line. Ma immaginate voi cosa significa depositare i soldi in un conto che è soggetto ad “hacheraggio”! E se mi rubano i soldi che faccio? Da dove li prendo?  

 

 

 

 
 
 “O spiegano e comari quest’affare, ‘sti casi nun so rari se ne vedono a migliara”  
A quanto ho intuito non dovrei essere un caso unico, né sporadico, il bacino è molto ampio; mi sento di aggiungere a quanto sopra descritto anche quelli che possono essere dei risvolti che riguardano l’individuo e l’intimità di ogni singola persona; ma rimanendo legati soltanto all’aspetto materialistico con il compenso lordo mensile di € 1.500,00 mi sono recata al mio ente di previdenza e mi sono fatta fare una proiezione. Per prima cosa non avrò diritto a nulla prima del sessantacinquesimo anno di età, secondo poi percepirò una pensione di € 300 o € 400 mensili; che dite! allestico la “Baracca?” Per ora sospendo qualsiasi forma di considerazione e/o giudizio; nella vita, è vero, non ci sono certezze, ma rischiare di morire di partita IVA proprio non me lo aspettavo; esistono per caso strutture che ospitano coloro che ne sono colpiti, in modo da rendere  più agevole e meno sofferente il trapasso? Che so, un luogo confortevole, caldo, tranquillo, pacifico, sicuro … e per chiudere con la citazione che ha guidato questa missiva
 “Va trovando ‘mo chi è stato, chi ha cogliuto ‘buono ‘ o tiro”
 certa di un cortese riscontro, e sperando di sopravvivere alla presente, l’occasione è più che gradita per porgere
 distinti saluti
 Architetto, Roma
 Roma 13 giugno 2007

 

 

 

 

 

Argomento: 

Dopo trasmissione Anno Zero

Di Dario Fo, 26 giugno 2007

Giovedì scorso dopo l’ultima puntata di “Anno Zero”, la trasmissione di Santoro, finita la messa in onda, appena fuori dallo studio si formò un capannello piuttosto numeroso di ragazzi che avevano partecipato al dibattito e di tecnici  della Rai. Tutti si dicevano indignati per il comportamento inaccettabile dimostrato da Rutelli. Nell’ultima parte del programma, Santoro aveva dato la parola ad una donna di una cinquantina d’anni la quale iniziò a narrare la strage di operai avvenuta a Monfalcone (dove operano i famosi cantieri navali). I lavoratori dell’impresa in questione hanno utilizzato per anni l’amianto, notoriamente tossico. Molti operai ne venivano contaminati, uno appresso all’altro si ammalavano e in seguito ad una vera propria agonia morivano. Anche la donna aveva perso suo marito e parlava trattenendo a stento le lacrime.
Tutti noi presenti nello studio eravamo coinvolti e sconvolti da quella testimonianza, soprattutto ci indignava il cinismo dimostrato dai responsabili dell’impresa, il loro ipocrita scantonare dalle responsabilità appoggiati dai medici che palesemente andavano mistificando le diagnosi, così da togliere d’impaccio i datori di lavoro. Si stava vivendo una via crucis insopportabile dove giudici, autorità amministrative, politici locali e nazionali venivano alla ribalta unti e bisunti di infamità. La donna alla fine puntava il dito contro chi indifferente aveva permesso quel massacro annunciato da anni e direttamente si rivolgeva all’unico rappresentante del Governo presente alla trasmissione perché spiegasse per quale motivo suo marito avesse dovuto morire, e come mai nessuno dei responsabili fosse stato chiamato a pagare. Il Ministro Rutelli, piuttosto impacciato (e chi non lo sarebbe stato?!), prese la parola e incappò in un vero e proprio infortunio politico.
Infatti all’uscita quei giovani spettatori lo accusavano di essersi posto immediatamente sulla difensiva, esprimendosi più o meno con queste parole: “Partecipo addolorato alla tragedia della signora, ma purtroppo non sono a conoscenza dei fatti. Ho seguito altre catastrofi del genere sul lavoro, ma di tutto questo ahimè non conosco nulla.”
E’ proprio su questa uscita che i ragazzi esplodevano indignati: “Ma ci voleva poco – commentavano – davanti ad una simile tragedia ad ammettere prima di tutto la responsabilità di tutti i dirigenti delle istituzioni: medici, polizia, giudici, imprenditori, sindacati e politici! Che altro valore e peso civile avrebbe determinato per Rutelli riconoscere: sono sconvolto e mi sento a mia volta responsabile per questa ennesima assenza degli organi costituiti davanti a una simile catastrofe. Ad ogni buon conto, poteva aggiungere, mi darò subito da fare per appurare le responsabilità di ognuno e le assicuro signora che farò l’impossibile perché lei, suo marito e tutte le vittime dell’impresa di Monfalcone abbiate soddisfazione per tanta ingiustizia e possiate essere risarciti di tutti i danni subiti. Basta con i morti accidentali: quelli del petrolchimico di Marghera e di Gela, quelli di Seveso, quelli dell’Acma di Cengio… Ve ne posso parlare perché da vice presidente del Governo è mio dovere sapere e denunciare.”
Invece abbiamo dovuto assistere alla solita agile fuga dalle responsabilità e quel che è peggio ci siamo trovati innanzi a una donna che veniva alla trasmissione con la speranza di vedere affiorare un atteggiamento di comprensione e solidarietà e invece eccola rimasta un’altra volta sola con il suo dolore. Per di più – e ne sono stato personalmente testimone – due collaboratori di Rutelli alla fine si sono avvicinati a Santoro piuttosto indignati accusando: “Voi avete approntato una trappola al vice presidente del Consiglio con questa messa in campo della vedova. Una trappola nella quale purtroppo Rutelli è caduto in pieno.” “No, scusate ma non c’è nessuna trappola – ha risposto loro Santoro – la vedova dell’operaio di Monfalcone è venuta qui con il diritto di raccontare della sua  storia: era libera di esprimersi come le pareva, nessuno l’ha controllata o imboccata e questa vostra insinuazione ci indigna ancora di più.”

Argomento: 

LA GUERRA DI TUTTI

Di Dott.ssa Antonietta M. Gatti

  Siamo ogni giorno in guerra e pochi lo sanno. Il nostro corpo, sì: il nostro corpo lo sa e ci avverte, prima gentilmente, con segnali magari appena percettibili, poi via via più forti, fino ad essere tali da farci forzatamente ammettere che siamo malati. Così si va dal medico, gli si elencano i sintomi e quello non ne ricava nulla. Ci prescrive un po’ di tutto, una bella ricetta lunga, un farmaco per ogni sintomo, ma di diagnosi vera nemmeno l’ombra. Malattie psicosomatiche: stiamo diventando tutti matti. Questa è la diagnosi più comoda.

 Di fatto, oggi l’incidenza delle varie malattie non è quella di una tempo, e non parlo di secoli: qualche anno appena. Chi ha mai visto tante allergie, tante intolleranze alimentari come la malattia celiaca, tanto per non fare che un esempio, tanti casi di asma? I bambini di oggi sono incomparabimente più soggetti a queste malattie rispetto a quelli di appena una generazione fa. Ci sono addirittura malattie o, meglio, sindromi, vale a dire collezioni di sintomi, per le quali ci si è dovuti inventare un nome, e basti citare le cosiddette Sindromi del Golfo e dei Balcani.   

 

 Perché? Che cosa è cambiato così radicalmente in un tempo tanto breve? Noi siamo addestrati ad omologare il concetto generale di progresso con quello qualificato di progresso tecnologico. Non è questa la sede per dibattere una questione del genere, ma, dal punto di vista dell’oggettività, è impossibile negare che l’introduzione massiccia di tecnologie abbia introdotto qualcosa nell’ambiente che prima non c’era. Lo so, il concetto, la parola stessa fanno storcere il naso a molti, ma quel qualcosa si chiama inquinamento. Prendiamo ad esempio la polvere cittadina. Trovarci Cerio o Platino dieci anni fa sarebbe stata un’evenienza rara quando non impossibile. Oggi questi metalli ci sono, stanno sospesi in aria a livello del naso, sono in forma di granelli minutissimi di polvere visibili solo a fortissimi ingrandimenti e derivano principalmente dai filtri antiparticolato, i cosiddetti FAP, e dalle marmitte catalitiche. Nei fatti, una pezza che potrebbe essere peggiore del buco, come si dice da qualche parte, e peggiore perché queste polveri sono più fini di quelle che si propongono di eliminare, tentando questo in contrasto con le leggi elementari della fisica. Dunque, quando sono inevitabilmente respirate finiscono altrettanto inevitabilmente nelle parti più profonde dell’organismo da cui, poi, non escono più e dove fanno guai. Piaccia o no, questo concetto è ormai inoppugnabile e lo si trova addirittura sui periodici dell’ARPA (Agenzia per l’Ambiente).

 Noi di utilizzare o finanche di eliminare, questa roba non siamo capaci: il nostro organismo gradisce solo Ossigeno e questo gas è in diminuzione percentuale nell’atmosfera, mentre una miriade d’inquinanti d’ogni specie, tra cui una varietà quasi infinita di nuove polveri, molti dei quali ci sono poco conosciuti o del tutto ignoti, entrano giornalmente nella nostra “dieta gassosa”.

 Diamo un’occhiata al numero 21 del 31 maggio dell'Espresso e all’articolo sul cancro, tutto sommato “buonista”, con tanto di mappe geografiche dei luoghi più incriminati. I dati epidemiologici  indicano che nel nostro Paese, in circa 20 anni, c’è stato un incremento “tra il e il 20 % di linfomi e leucemie, + del 37% di aumento di mesoteliomi nelle donne. +27% di tumore della mammella, + 8-10% di tumori al cervello e+14-20% di tumori al fegato.”

 Ma la cosa più agghiacciante sono i tumori nei bambini “+ 1.3 % anno per tutti i tumori anche se l’aumento maggiore riguarda il neuroblastoma in Piemonte.”

 

 Ma occorre fare molta attenzione a questi dati epidemiologici. Per eseguire una ricerca di questo tipo occorono di norma tempi lunghi, spesso anche ben superiori al decennio, e in questo lasso di tempo occorrerebbe godere di condizioni stabili. Ciò che accade, invece, è che l’inquinamento progredisce a velocità crescente e le condizioni d’inizio ricerca sono lontanissime da quelle di fine ricerca, privando così di una parte di significatività i dati ricavati. Inoltre, esistono malattie che non vengono tradizionalmente legate all’inquinamento e di queste poco o nulla si tiene conto in queste disamine. Tra queste, molte affezioni come il Morbo di Parkinson o il Morbo di Alzheimer la cui relazione con “avvelenamenti” ambientali è sempre più sospetta. Ma con loro, diverse altre patologie neurologiche, della sfera riproduttiva, di quella endocrina, per non dire di quelle cardiovascolari, dagl’infarti alle tromboembolie polmonari.

 Inutile, ingenuo e, soprattutto, deleterio negarlo: “I tumori con forte componente ambientale superano il 50% del totale,” afferma il prof. Lorenzo Tomatis, monumento dell’oncologia internazionale, sempre che vogliamo limitarci a considerare solo queste patologie. E queste patologie, tutte, progrediscono, e a livello di mondo globale, assolutamente in parallelo con il grado d’industrializzazione, un fenomeno che porta con sé non solo fumi con polveri nocive da respirare ma comporta pure una contaminazione forse ancor più subdola dell’ambiente, ad esempio dell'erba che gli animali mangiano e del grano, della frutta e della verdura che ci mangiamo anche noi. E industrializzazione vuol dire anche scarichi di composizione più o meno rivelata che finiscono ovunque, il che significa spesso nelle falde acquifere e in quell’acqua che va nei fiumi e poi al mare.  Lì, nei fiumi e nel mare, quegli scarichi avvelenano alghe, molluschi e pesci che noi mangiamo. Ma forse fanno anche di peggio, pur se la cosa non è immediatamente vistosa: avveleneno il plancton, che è ai piedi della catena alimentare, una catena della quale noi, gli uomini, stiamo al vertice e, minandone le basi, attentiamo efficacemente a noi stessi. Un concetto basilare e ineludibile dell’ecologia è che un essere vivente che distrugge il proprio habitat è inevitabilmente destinato ad estinguersi.

 

 Noi uomini siamo l’unico animale inquinante e l’inquinamento che produciamo non siamo capaci di distruggerlo ma solo, e perché l’universo è concepito in questa maniera e noi non ci possiamo fare nulla, al massimo di trasformarlo, vedi ciò che combinano gl’inceneritori. Nascondiamo pure tutto sotto il tappeto: alla fine, quel tutto ce lo ritroveremo da qualche parte dove non dovrebbe esserci. Magari dentro di noi. Di questi meccanismi ne cominciano, e con apparente sorpresa, a sapere qualcosa i paesi in via di sviluppo, ad esempio la Cina, che hanno visto crescere esponenzialmente patologie letali là dove è arrivata l'industrializzazione senza accanto la consapevolezza di ciò che produce questa varietà di progresso.

 Un esempio per tutti: esiste un luogo, restando in Cina, dove vengono portati i computer di tutto il mondo. Là, operai estraggono tutto quanto abbia un valore commerciale, come piccoli pezzi d'Oro o di metalli pregiati che poi sono rivenduti per qualche dollaro, tanto da permettere loro di mangiare. Questi pezzi vengono dissaldati con piccole combustioni (dissaldature) senza nessuna protezione per l'operatore. In tempi brevi, questi uomini si ammalano di patologie polmonari fino al cancro. E l’India non è da meno: laggiù ci sono bambini che recuperano il Piombo dalle batterie e non sanno che insieme al pane che mangiano senza alcuna consapevolezza e fuori da ogni igiene ne ricavano anche una contaminazione interna che li porta alla morte precocemente.

 L’ho detto: l’organismo prima protesta con educazione, poi reagisce come sa: con la malattia. Le polveri sottili che noi generiamo, ben più sottili di quelle che anche la Natura genera in modesta quantità ad esempio con i vulcani, sono capaci di penetrare nelle parti più profonde del nostro corpo, interagiscono con le cellule e addirittura con il nostro patrimonio genetico, alterandolo in maniera irreversibile. I vari tipi di cancro dei tessuti, duri e molli, sono l'espressione di quello scontro. Il tutto avviene senza clamore, mentre noi siamo a goderci il progresso. Distogliere lo sguardo, coprirsi gli occhi come troppo spesso facciamo non serve: basta solo dare un’occhiata nella giusta direzione e si trova traccia, testimonianza di questi scontri. E' guerra, ma per ora è una guerra in cui il genere umano è destinato a perdere. I farmaci che stiamo mettendo in campo sono rozzi e talvolta molto più insidiosi di questa polvere nuova e inaspettata, di tutti questi inquinanti di cui così poco sappiamo. Alcuni medici, anche di grido, sono immersi fino al collo in questo disastro e non se ne accorgono. Continuano grottescamente a cercare la spiegazione di queste malattie in molecole del basilico o ipotizzano altre facezie, magari tessendo invece le lodi di centrali elettriche al carbone di cui non capiscono neanche il meccanismo ingegneristico o pretendendo d’ignorare le leggi universali della conservazione della materia.

 Nel ’56 a Londra ci fu una strage da smog. La gente respirava polvere di carbone, la nebbia che i londinesi di allora chiamavano affettuosamente “zuppa di piselli” e che era quasi un’attrazione turistica. Si capì che uccideva. Si disse basta al carbone.

 Purtroppo la storia insegna solo a chi è in grado di capire e recepire. Per gli altri, la storia è solo la più fastidiosa e inascoltata delle maestre.

 Ci sono medici che vedono che nella loro città queste patologie crescono e tuttavia non arrivano al ragionamento logico di causa-effetto, pretendendo pigramente “prove sicure”, studi epidemiologici lunghi, costosi e, di solito, mal confezionati, prima di dare il loro autorevole parere. Gli studi epidemiologici sono fatti da medici e basta, e questi sono troppo poco esperti di ambiente, del comportamento in atmosfera degl’inquinanti, di chimica, di processi industriali, di biocompatibilità chimica o fisica delle polveri. Il risultato è che pertanto nello studio non entrerà la causa vera della patologia o, al massimo, entrerà solo qualche ingrediente della ricetta. E un rischio, non certo il solo, è quello di eseguire confronti insensati con altre popolazioni. Se, ad esempio, si farà ciò che si progetta in Emilia Romagna, cioè si valuterà una varietà di patologie entro un raggio di 4 km da un inceneritore e si confronteranno quei dati con patologie sopravvenute entro raggi di poco superiori, il risultato sarà che non ci sono differenze e questo sarà un alibi eccellente per assolvere l’inceneritore. In realtà, le polveri veramente patogeniche, ben inferiori alle PM10, che escono da quegl’impianti si distribuiscono su territori vasti e, dunque, 4 km o 10 farà poca differenza. Tener conto, poi, solo di alcune malattie trascurandone altre è un ulteriore elemento di confusione. Ma questo si fa più o meno ovunque perché le ricerche epidemiologiche sono spesso messe in atto perché diano un risultato prestabilito. E allora si strombazzeranno risultati non solo inutili, ma, in quei casi, fuorvianti. Più interessante e molto meno rischioso, se non altro perché meno manipolabile, sarebbe solo il dato censorio, statistico dell’incidenza di tali patologie.

 Ciò che più è triste è che la guerra per la nostra sopravvivenza non ha alleati.

 L’Espresso mostra una mappa dell’Italia dove ci sono fabbriche con tanto di nome e cognome e intorno cui c’è una grande incidenza di malattie tumorali. Malattie che, chiedo scusa se mi ripeto, sono tutt’altro che le sole da considerare. Ci si aspetterebbe che vi fossero in atto misure di contenimento, di prevenzione. Nossignore: niente di tutto questo. Chi si alza a denunciare la situazione viene zittito, viene tacciato addirittura di “terrorismo” come se terrorista fosse non chi mette le bombe ma chi tenta di disinnescarle, perché la logica degl’interessi economici è forte e prevale su qualche bara, anche se la bara è bianca. Esiste poi la lobby del farmaco. Cancro vuol dire medicine, cioè business, quindi fare prevenzione primaria, quella che evita di ammalarsi, vuol dire perdita di guadagno. Non ha molta importanza se alcune medicine sono più letali della malattia stessa, l’importante è vendere. Con il tasso d’incremento del cancro, le multinazionali del farmaco diventano sempre più ricche. Questo guadagno è in minima parte condiviso con scienziati o, tristemente, pseudo-tali, non certo per studiare come prevenire il cancro, ma come prolungare la vita al paziente. Più questo vive, più farmaci consuma. Allora, è una guerra persa in partenza.

 Ci siamo tutti, ma chi paga il conto più salato di questa industrializzazione sconsiderata e frettolosa, senza che ci si prenda il tempo di controllarne sul serio gli effetti, e di tutto ciò che ne consegue, sono i bambini ed i vecchi. 

 E' la strage degl’innocenti.


interrogazione sullo sfruttamento minorile in Cina per la produzione di gadget olimpici

Oggi abbiamo presentato un' interrogazione, sulla base del Rapporto Playfair 2008  "No medal for the Olimpycs on labour rights".

 Si legge di atroci sfruttamenti di minori nelle ditte incaricate a produrre i gadget per le Olimpiadi di Pechino 2008, in vendita sia in Cina che all'estero.  La nostra richiesta è che  non vengano commmercializzati in Italia prodotti privi di certificazione etica... Ce la faremo?

 

Al Ministro della Solidarietà Sociale

 Al Ministro dello Sviluppo Economico

 Al Ministro degli Affari Esteri

 Al Ministro per le Politiche Giovanili e le Attività Sportive

 Premesso che

 L’Italia parteciperà con le sue delegazioni ai giochi Olimpici di Pechino nel 2008, le cui basi fondanti sono sancite dalla Carta Olimpica, che definisce spirito ispiratore il “valore educativo ed esempio di rispetto per i principi etici fondamentali ed universali” e annovera tra gli obiettivi il “perseguimento della dignità umana” e che “ogni forma di discriminazione con riferimento alla persona, razza, religione, pensiero politico, e genere è incompatibile con l’appartenenza al Movimento olimpico”.

Si apprende con sconcerto dal rapporto di Playfair 2008, redatto da sindacati operanti a livello internazionale e ONG, di gravi violazioni dei diritti umani perpetrate a danno di minori, costretti a lavorare in stato di segregazione per le aziende incaricate alla produzione dei gadget ufficiali in vendita, in Cina e nel mondo, con il marchio ufficiale dei Giochi: borse e zainetti, T-shirt, berretti, quaderni, figurine e album illustrati per bambini. Il quotidiano “La Repubblica” informa in proposito di un “marketing degli oggetti griffati che vale da solo 70 milioni di dollari, per gli organizzatori cinesi delle Olimpiadi. Ma dietro questo business ci sono fabbriche-lager dove si sfruttano i bambini, vige un clima di terrore, non vengono rispettati neppure i modesti diritti dei lavoratori previsti dalla legislazione cinese (…) alcune delle aziende che risultano essere sfruttatrici del lavoro minorile risultano essere a Shenzhen e nel Guangdong in quattro stabilimenti chiaramente identificati: Lekit Stationery (prodotti di cancelleria), Mainland Headwear Holdings (berretti sportivi), Eagle Leather Products (pelletteria) e Yue Wing Light Cheong Light Products (zainetti e accessori). Tutti lavorano alla luce del sole per conto delle autorità olimpiche cinesi” e non è assolutamente da escludersi che siano molte altre le fabbriche coinvolte in questo sistema produttivo.

 La reazione del comitato olimpico locale, risultata in una revoca delle le licenze alle quattro aziende incriminate nel rapporto PlayFair è da ritenersi deficitaria, in quanto non prevede neppure una serie di controlli diffusi atti a verificare le condizioni lavorative nella altre ditte produttrici dei gadget olimpici

 Si chiede di sapere

 Se quanto esposto nella premessa corrisponde al vero,

 Se i Ministri interpellati non ritengano di intervenire fattivamente e con quali misure, per porre fine a questa inconcepibile violazione dei diritti umani anche con un intervento del C.O.N.I. ,

 Se i Ministri non intendano richiedere una “certificazione etica” dei prodotti recanti il marchio ufficiale dei giochi di Pechino 2008 che verranno commercializzati in Italia e forniti in dotazione agli atleti italiani coinvolti nelle Olimpiadi, quale segno tangibile della severità del Governo Italiano nella condanna del lavoro minorile.

 Roma, 14 giugno 2007                                                                               

Sen. Franca Rame


il 9 giugno di www.francarame.it


Della manifestazione di sabato 9 giugno si è parlato purtroppo solo dell’aspetto più drammatico: sassaiole, lacrimogeni, black block.

Tutto questo però è stato l’epilogo, sventurato, di una bellissima giornata! Musica, cori, acrobati, manifestanti allegri e pacifici. Franca, assieme agli amici del blog, era in prima fila!

Alla testa del corteo, dietro lo striscione “uranio impoverito – la guerra nel sangue” c’erano Francy, Lara, Vir, Gargantua, Gessica, Carlotta, Simone, Enzo, Tony, il Prof. Ferrara, e molti altri, che si sono avvicendati tra le fila dell’associazione “Franca Rame - basta sprechi!”.

La nostra giornata è iniziata attorno al tavolo di un ristorante cinese accanto al Pantheon. E’ stato bello ritrovarsi tra amici, ridere e chiacchierare di persona. Subito si è affrontata la questione: quale manifestazione? Piazza o corteo? Nessun dubbio: tutti con Franca, al corteooo!!!

Si parte con l’autobus per raggiungere piazza Esedra, dove l’atmosfera è già festosa: si preparano gli ultimi striscioni, e si incontrano i senatori Fosco Giannini, Franco Turigliatto, Fernando Rossi, Gigi Malabarba e Heidi Giuliani.

Alle quattro e mezza tutto è pronto: si parte, direzione piazza Navona. Tra i manifestanti ci sono i “NO dal Molin”, i Cobas, centri sociali di tutta Italia, Giulietto Chiesa, i ciclisti di critical mass, tra la gente si leggono striscioni quali “Bush, non c’è trip per i cats” “No Vicenza U.S.A. e getta” , “NON E’ TUTTO LORO QUEL CHE LUCCICA” e via così… Nessuna “violenza” nell’aria.

Fino all’arrivo a Piazza Navona dove hanno concluso la giornata Cinzia Bottene del No Dal Molin, Francesco Ferrando, e Luca Casarini abbiamo assistito ad un corteo festoso, che manifestava per la fine di tutte le guerre, contro il rifinanziamento dei crediti militari, e contro il sopravvento degli USA nella politica estera italiana . Il resto, è cronaca di oggi.


Harakiri di Marco Travaglio

L'Unità, 30 maggio 2007


In Giappone il ministro dell’Agricoltura Toshikatsu Matsuoka, coinvolto in uno scandalo finanziario, s’è impiccato in pieno Parlamento. «Sono ben cosciente - ha lasciato detto - delle mie responsabilità. È mio dovere far sì che cose simili non si ripetano». Era accusato di aver intascato fondi neri per 6.600 euro da una società edilizia che poi aveva vinto appalti pubblici e di aver presentato note spese fasulle per 180 mila euro facendosele rimborsare dallo Stato. In Italia Paolo Scaroni, quand’era manager della Techint, pagò tangenti al Psi per vincere appalti all’Enel. Una volta scoperto, fortunatamente non si suicidò. Patteggiò 1 anno e 4 mesi per corruzione e fu subito promosso dal governo Berlusconi presidente dell’Enel (in veste d’intenditore) e poi amministratore delegato dell’Eni: ora è di nuovo indagato dalla Procura di Milano per aver truffato gli italiani taroccando i contatori di gas e gonfiando le bollette di circa il 6%. Se avesse lasciato detto qualcosa, avrebbe potuto dire: «Sono ben incosciente delle mie responsabilità. Ed è mio dovere far sì che cose simili si ripetano. Ora scusatemi, ma ho molto da fare». Matsuoka riteneva di aver «perso la reputazione»: il che, spiega Paolo Salom sul Corriere, «è la tragedia più grande per un uomo dell’Estremo Oriente. Negli ultimi 25 anni, altri 4 parlamentari han fatto harakiri». Tutti gli Scaroni d’Italia della reputazione e dell’onore hanno un concetto un po’ elastico: non temono di perderli, non si sono mai posti il problema, e questo li avvantaggia parecchio rispetto agli uomini dell’Estremo Oriente. Chi ha una faccia, teme di perderla. Ma chi non ce l’ha, o più semplicemente vive in Italia, non ha nulla da perdere. Vive meglio. E soprattutto vive. Mentre i Matsuoka muoiono. Certo i Matsuoka esagerano: noi, più modestamente, ci accontenteremmo che quelli nostrani vivessero cent’anni, ma a casa loro, lontano dal denaro pubblico. Invece, se nel curriculum hanno almeno una condanna da vantare, vi si avvicinano vieppiù. E dire che, solo 15 anni fa, capitava anche in Italia che qualche personaggio coinvolto in Tangentopoli si togliesse la vita per la vergogna, o per paura delle conseguenze. Ma oggi vengono ricordati come vittime, non come colpevoli: colpevoli sono i giudici che scoprirono i loro delitti e i giornali che li raccontarono. In Giappone a nessuno salterebbe in mente di accusare giudici o giornali: se uno ruba, le conseguenze dei suoi furti ricadono su di lui, non sugli altri. Il Corriere aggiunge che «Matsuoka, facendo harakiri, ha riconquistato il suo onore di fronte ai connazionali». Ecco, i connazionali. I cittadini. La società civile. L’opinione pubblica. Nel ‘92-’93 ne avevamo una anche noi. Scendeva in piazza contro i ladri e a favore delle guardie. Poi, a reti unificate, le fu spiegato che i ladri erano le vittime e le guardie i colpevoli. Il gioco di prestigio funzionò. L’altroieri gli elettori di Asti hanno rieletto sindaco il forzista Giorgio Galvagno: lo era già nel gennaio ’94, quando era socialista e fu arrestato. Lo scandalo era quello della discarica di Vallemanina e Valleandona, dove venivano smaltiti illegalmente rifiuti tossici e nocivi in cambio di tangenti. Innocente? No, colpevole: nel 1996 Galvagno patteggiò 6 mesi e 26 giorni di carcere per inquinamento delle falde acquifere, abuso e omissione di atti ufficio, falso ideologico, delitti colposi contro la salute pubblica e omessa denuncia dei responsabili della Tangentopoli astigiana. Meritava un premio: nel 2001 Forza Italia lo preferì all’allora capogruppo, l’avvocato Alberto Pasta, che aveva un handicap: al processo sulla discarica assisteva il comitato delle vittime, parte civile contro Galvagno. Fra il condannato e la parte civile, il partito di Berlusconi non ebbe esitazioni: scelse il condannato. Galvagno divenne deputato. Ora è di nuovo sindaco,col 56,9%. A Taranto sfiora il ballottaggio il figlio di Giancarlo Cito, che non poteva ripresentarsi per via di una condanna per mafia (Sacra corona unita). A Monza vince il rappresentante della Cdl, così finalmente Paolo Berlusconi potrà costruire un milione di metri cubi alla Cascinazza. La politica è in crisi anche per questo: a volte, come diceva un celebre titolo di Cuore, «l’uomo della strada è una bella merda».

Argomento: 

ANNOZERO: Sicurezza - di Marco Travaglio

Gentile Ministro Amato, 

 

mi rivolgo a lei perché è in politica da trent’anni come Mastella. Ma lei sa far di conto. Come ha ricostruito Luca Ricolfi sulla Stampa, al tempo del I° governo Prodi, di pari passo con un certo ottimismo per l¹economia, i reati erano diminuiti. Poi arrivò Berlusconi: promise di dimezzarli ma non fecero che salire. 

 

Lui infatti non diminuiva i reati: ne depenalizzava qualcuno, di solito i suoi. A fine legislatura bastò una lieve ripresina economica per farli di nuovo calare. Ma il nuovo Parlamento, sebbene l’economia ricominciasse a tirare, si diede subito da fare per aumentarli e varò il famoso indulto per sfollare le carceri. Una ricetta, come dice Davigo, ispirata a quel che si fa a scuola con gli alunni discoli: chi disturba, fuori! Così chi disturbava dentro va a disturbare fuori. Geniale. E’ un po’ come sfollare i treni dei pendolari gettandone giù qualcuno dal finestrino, o liberare gli ospedali intasati lanciando qualche malato in barella per la strada. 

 

Risultato: nel secondo semestre del 2006 i reati son tornati a salire: +15,2% di furti e +5,7% di rapine: 30 mila furti e 2000 rapine in più solo da agosto a ottobre. Le rapine in banca, che erano scese del 17%, dopo l’indulto sono cresciute del 30,5%. Un trionfo. Si dirà: non si poteva fare altrimenti, le carceri scoppiavano. E’ vero che le carceri scoppiavano, ma si poteva fare altrimenti. Bastava dire la verità. Invece il ministro della Giustizia annunciò che, per liberare 15 mila detenuti, ci voleva un indulto di 3 anni. Gli esperti, come D’Ambrosio, risposero: ne usciranno almeno il doppio, per quei 15 mila basta e avanza un indulto di 1 anno, massimo 2. Ma fu subito zittito come un menagramo. Anche perché un indulto di 1 o 2 anni avrebbe lasciato Previti agli arresti domiciliari. Gliene occorrevano 3 per farla franca con i servizi sociali. E ne ebbe 3. Ora si scopre che in 9 mesi sono usciti non 15 mila, ma 26.201 condannati definitivi, più almeno 10 mila imputati in custodia cautelare: oltre il 100% in più di quelli annunciati. Il preventivo era falso. 

 

A quel punto scattò un’altra balla: quella sui recidivi, cioè sugli indultati che sono rientrati in carcere. Prima erano “solo l’1%”, poi “solo il 2%”, poi “solo il 3%”. Ora sono “solo il 12%”. Ma comunque è un calcolo che non sta in piedi. Intanto perché son passati solo 9 mesi e chi esce di galera senz’alternativa se non tornare all’antico, ha bisogno di riorganizzarsi. Dategli tempo, che diamine! Poi il 12% dei riacciuffati non sono quelli che son tornati a delinquere: ma solo quelli che son tornati a delinquere e sono stati ripresi. 

 

In Italia il 70-90% dei delitti rimane impunito: il 12 andrebbe moltiplicato per 7 o per 9. Tra qualche anno potremmo sentirci dire che i recidivi sono ³solo il 60, il 70, o l¹80%². In ogni caso, quel “soltanto” suona lievemente stonato, agli orecchi delle vittime dei reati: il 12% dei 26 mila indultati corrisponde a 3144 malfattori che han potuto tornare a delinquere, facendo almeno 3144 nuove vittime, che senza indulto non sarebbero tali.

 

A questo punto, terza balla: prima o poi, anche senza indulto, i detenuti sarebbero usciti lo stesso. Bel ragionamento. Ricorda quel tale che aveva ammazzato il padre e si difese dicendo: “Signor giudice, alla sua età mio padre sarebbe morto comunque”. Ci dicono che la recidiva post-indulto è in finitamente più bassa di quella dei detenuti scarcerati a fine pena: “solo il 12% contro il 60-70”. Dunque l’indulto sarebbe molto più dissuasivo del carcere: fa diventare tutti più buoni. E allora perché non istituzionalizzarlo? 

 

Invece di mandare in galera i rapinatori, li condanniamo alla pena dell’indulto. Così escono subito, anzi non entrano nemmeno, e diventano santi subito. Basta sostituire la parola condannati con “condonati” e il gioco è fatto.

 Che qualcosa non quadrasse, lei l’aveva intuito in autunno, quando esplose la criminalità in Campania e fu costretto a sguinzagliare 7 mila nuovi poliziotti per inseguire gli 8 mila indultati.E disse d’aver votato l’indulto “con grande sofferenza”. Visto che non è un passante, ma è il ministro dell’Interno, avrebbe potuto interpellare qualche esperto e farlo conoscere a Mastella.

 Ancora qualche giorno fa Mastella parlava di “reati in lieve ma costante diminuzione”, riferendosi forse alla Scandinavia, mentre il Viminale diceva il contrario: più rapine, più furti, più spaccio di droga: prima era calato dell’11,8%, poi liberando migliaia di spacciatori è tornato a salire: +1,4 per gl’italiani, +10,4 per gli stranieri. La pericolosità degli stranieri è quintupla rispetto a quella degli italiani, per ovvi motivi: ma prima dell’indulto stava diminuendo. Ora risale vertiginosamente, visto che lo straniero ha meno chances di reinserimento. Così il boom dei reati degli extracomunitari rende la vita più difficile ai regolari che lavorano onestamente e sono comunque la stragrande maggioranza.

 Ultimo punto: i dati del Dap dicono che nei primi 8 mesi dopo l’indulto il ritmo di crescita della popolazione carceraria è triplicato (sestuplicato per gli stranieri). Siamo di nuovo ai limiti della capienza (42.702 detenuti su 43.500 posti cella), e il dato crescerà ancora, perchè quelli che entrano sono più di quelli che escono. Ecco, ministro Amato: non sarebbe il caso di ammettere che quel tipo d’indulto è stato un tragico errore? Già che c’è: non potrebbe prendere Mastella da una parte e, con calma e tatto, tentare di spiegargli qualcosa?

 In attesa di un cortese riscontro, porgo distinti saluti.

                                                                     Marco Travaglio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


LE DUE GUERRE

l'autore della foto è Tano D'Amico.

 

Di Antonietta M. Gatti

 Laboratorio dei Biomateriali,

 Dipartimento Integrato di Neuroscienze, Testa e Collo e Riabilitazione

 Università di Modena e Reggio Emilia

  Se negli anni Sessanta la responsabilità di qualsiasi comportamento umano aberrante era allegramente scaricato sulla società, oggi il nostro approccio al problema è decisamente più scientifico: la colpa sta nel DNA. Nel 2003 un professore di Neuroscienze, tale Evan Deneris della Case Western Reserve University, scovò il gene dell’aggressività e dell’ansia e, dunque, a ben vedere, della guerra. Se è così, la guerra è inevitabile perché la portiamo scritta dentro di noi e, se la portiamo dentro di noi, cercare di eliminarla è fatica sprecata. Ma, al di là della genetica, giustificazioni per fare a botte ce n’è a iosa, da ideali politici a istanze religiose, da classifiche stilate in base all’etnia a pretese territoriali comunque giustificate, e chi più ne ha, più ne metta. In aggiunta, senza che ce lo vogliamo confessare perché questo svilirebbe la nobiltà degl’intenti bellicosi, sotto sotto ci potrebbe stare anche un disegno più grande di cui noi non siamo che protagonisti inconsci: il contenimento dei numeri. Quando animali della stessa specie e, dunque, con le stesse esigenze, si trovano a condividere aree troppo piccole, l’unica possibilità che hanno è di liberarsi del concorrente. La Natura è crudele? Fate voi. Comunque, la Natura sfugge ad ogni giudizio morale: la si deve accettare perché non c’è alternativa.

Però, se la guerra ce l’abbiamo scritta in ogni cellula e, dunque, è una caratteristica della nostra specie, forse sarebbe meglio non esagerare e dare un’occhiata ai rischi che un’attività del genere comporta al di là del puro, semplice e scontato ammazzare il nostro simile occasionalmente nemico. A mero titolo di riflessione, prendiamo

la prima Guerra del Golfo, quella del 1991. Finito il loro periodo di servizio, alcuni militari tornano dall’Iraq o dal Kuwait portandosi a casa strani sintomi, anzi, strane collezioni di sintomi non descritti nei libri o, comunque, apparentemente non in relazione tra loro. La cosa dà fastidio ai comandi militari, non per i malati in quanto tali: in fondo, si tratta solo di soldati e, se un soldato muore, il tutto rientra nell’ordine delle cose; ma per il possibile impatto che un fatto del genere potrebbe esercitare sulla popolazione che, con le proprie tasse, paga i costi della guerra e il cui consenso o, comunque, non dissenso, è indispensabile. Così, come è prassi consolidata da sempre, si decide di negare fatti pure evidentissimi, e questo anche con la complicità di media e di accademici accomodanti.

Passa un quindicina d’anni abbondante, sul Golfo Persico si combatte un’altra guerra, se ne combatte una anche in quella che fu la Jugoslavia e i malati di queste strambe malattie aumentano. E mica si tratta solo di soldati: c’è anche un sacco di civili e, cosa seccante e imbarazzante, ci sono anche tanti bambini, alcuni dei quali non ancora nati, ma che quando riescono a nascere hanno malformazioni più o meno orrende, alcune delle quali incompatibili con

la vita. Non ci sarà, per caso, un lato “oscuro” della guerra? E, visto che ad ammalarsi non sono solo i “cattivi”, ma anche i “buoni”, non ci sarà un lato della guerra che non guarda in faccia a nessuno?

Io, per mestiere, di militari ammalati ne incontro parecchi e, con l’aiuto di un microscopio elettronico un po’ particolare, vado a guardare che cosa c’è nei loro tessuti patologici. Uno di questi militari è Herbert Reed, americano, la cui storia si può leggere all’indirizzo (http://thirdestatesundayreview.blogspot.com/2006/08/herbert-reed-blood-in-his-urine-and.html)

Insieme con lui ho conosciuto due suoi commilitoni, anche loro ammalati, e le storie si accavallano e si ripetono con martellante ripetitività per loro, americani, per i francesi, per gl’inglesi e per gl’italiani che ho incontrato di persona o le cui peripezie mi sono state raccontate dai genitori o dalle mogli perché loro non c’erano più. Bene, prendiamo allora Herbie Reed. Già in Iraq sta male e si fa visitare: non è niente. Torna a casa e sta peggio, con tutta una serie di sintomi che vanno dalla stanchezza cronica a difficoltà ad urinare, dall’insonnia a dolori lancinanti in tutto il corpo a gravissime difficoltà respiratorie. Lo mandano in un ospedale militare da dove lo dimettono senza una diagnosi ma con una documentazione che nega che le malattie, vere o presunte che siano, abbiano a che fare con guerra. Eppure, i sintomi ci sono: io stessa l’ho visto prendere antidolorifici e viaggiare trascinando perennemente dietro di sé una valigia montata su ruote contenente un respiratore senza il quale non potrebbe vivere. E se c’è un effetto, ci sarà pure una causa ma, evidentemente, questo concetto così apparentemente banale è stato pensionato come pure, almeno stando alle apparenze, pare sia stato pensionato il cervello pensante. Sia come sia, Herbert viene trasferito ad altre attività con la speranza che, non potendo di fatto lavorare, si dimetta e si tolga dai piedi, magari andando a morire altrove, non più in carico all’Esercito e, dunque, fuori da ogni statistica.

Guardiamo le cose freddamente: dal loro punto di vista, i militari hanno perfettamente ragione. L’unico rischio che la guerra deve comportare è essere ferito o magari anche morire per una bomba, una pallottola (è consentita anche quella da fuoco amico), durante il servizio, e se la cosa è particolarmente vistosa per qualche motivo, allora c’è un’ottima occasione per organizzare dei bei funerali con le bare ricoperte dalla bandiera che poi viene ripiegata in modo preciso, forse anche un po’maniacale, e consegnata ai famigliari. Ma militari che tornano senza una ferita apparente e che poi muoiono in un letto d’ospedale, dopo un’imbarazzante, magari lunghissima, agonia, condita di diagnosi incerte, spesso emesse dopo lunghi indugi, e di cure inefficaci, non sono contemplati: questo non è morire da soldato. Morire in patria fra monitor, pillole, flebo e padelle di una malattia neanche ben chiara non fa parte del copione, e poi, se la voce si diffonde, tra pacifisti e richieste di risarcimenti, c’è da stare freschi. Bisogna negare, e questo a dispetto di ogni evidenza.

E’ sempre stato così? Non saprei, ma vediamo che cosa sono le guerre moderne. Il protocollo inizia bombardando scientificamente, chirurgicamente, se non viene troppo da ridere con questo avverbio, con gli ultimi ritrovati della tecnologia. Per prima cosa occorre distruggere tutto ciò che di “nevralgico” era stato costruito ed è solo dopo questa prima azione di distruzione che i soldati, in genere i fanti, vanno fisicamente su quella terra distrutta, a prenderne possesso. Dappertutto ci sono solo “brandelli di muro”, come avrebbe detto Ungaretti, ma attenzione: tutto il muro che non si vede più c’è ancora, eccome. Le bombe lo hanno sminuzzato a polveri sottilissime, del tutto invisibili all’occhio ma ben evidenti se si hanno gli strumenti adatti e, ahimé, ancor meglio rilevate dai tessuti umani e dalle cellule che reagiscono male a simili indebite presenze. E queste polveri, i fantasmi di quelle che furono delle costruzioni, aleggiano nell’aria per tempi impossibili da pronosticare ma, comunque, lunghissimi. Un inquinamento, insomma, indotto in un  attimo e destinato a durare forse per sempre. Per sempre perché la maggior parte di queste polveri non è degradabile né dalla Natura né da qualsiasi tecnologia di cui oggi possiamo disporre. E’ da lì che comincia l’altra guerra, quella combattuta a ben altri livelli, e questa ha regole ferree, con cui non si può discutere, per cui non ci sono azioni diplomatiche che tengano. Con le nostre bombe supertecnologiche abbiamo alterato l’equilibrio naturale inquinando aria, acqua, terreno, vegetali, animali e uomini. Va da sé che gli uomini sono uomini qualsiasi abito vestano e, perciò, non ha importanza se si tratta di militari o di civili o di quei volontari che vanno a prestare il loro soccorso. Ma se i militari qualche mezzo di protezione ce l’hanno: maschere antigas e contatori Geiger, per esempio, e i civili sono i nemici e, dunque, devono essere uccisi per la logica stessa della guerra, i volontari sono, in un certo senso, trasparenti. Non appartengono ad una nazionalità precisa, non sono schierati e, dunque, non sono catalogabili né come amici né come nemici, e, a ben guardare, a volte sono pure d’intralcio, se non altro perché vedono certe cose e non tengono la bocca chiusa. Questi vanno lì, mangiano ciò che mangia la gente, bevono la stessa acqua, respirano la stessa aria e quasi mai sono informati dei reali pericoli che corrono. Io ne ho incontrati: ti guardano stupefatti della loro malattia, come se il loro slancio di generosità dovesse obbligatoriamente renderli immuni da tutto. Invece non è così:

la Natura non ha regole morali o, almeno, non quelle che ci aspetteremmo o che vorremmo. Se noi ne alteriamo l’equilibrio, la Natura ne riprende subito un altro senza curarsi del fatto che questo nuovo equilibrio sia o no compatibile con le esigenze di una specie piuttosto che di un’altra. Ovviamente, l’uomo non gode di alcun privilegio e, da signore del creato come con presuntuosa ingenuità ama autodefinirsi, può tranquillamente trasformarsi nella più debole delle creature.

Nessuno strumento è buono o cattivo in sé, ma tutto dipende dall’uso che se ne fa e il cervello non è diverso da qualsiasi altro strumento. Chi è saggio lo usa per il meglio che, poi, di solito coincide con il bene di tutti. Se i politici, i militari e, perché no?, anche la gente comune, volessero soffermarsi un attimo su questa ovvietà, forse sarebbe la specie umana a ricavarne vantaggi, non ultimo, uno economico. Di fatto, tentare di ripulire le aree inquinate dalla guerra comporta spese elevatissime a fronte di risultati che non si possono altro che definire modesti quando non del tutto nulli. L’ho detto: le polveri inorganiche generate dai bombardamenti moderni sono in gran parte eterne e così piccole e sfuggenti da eludere ogni possibilità di cattura. Per di più, oggi sappiamo perfettamente che queste polveri causano un’infinità di malattie, moltissime delle quali inguaribili per la medicina odierna. E allora, che cosa si fa? Negli anni Cinquanta, in una cittadina americana, furono sotterrate scorie radioattive provenienti da un ospedale. Poi, su questa zona, fu costruito un bel parco in cui andavano a giocare i bambini. Malauguratamente, parecchio tempo dopo, insorsero nei frequentatori abituali di quel parco patologie tali da far capire che quella zona era contaminata e lo sarebbe stata ancora per tempi lunghissimi, anzi, in termini di generazioni umane, tempi infiniti. In maniera non dissimile, quando un poligono militare raggiunge un livello d’inquinamento troppo elevato, si regala il terreno alla comunità, senza, però, stare troppo a fare i pignoli sui rischi dell’operazione. Insomma, una patata bollente passata furbescamente ad altre mani tutte contente di tanta generosità.

Ormai è un dato di fatto inoppugnabile: negli ultimi, pochissimi anni abbiamo inquinato il nostro pianeta più di quanto abbiamo fatto nei due milioni di anni precedenti, così valicando ogni limite di sostenibilità e, in certe zone, le guerre moderne sono le responsabili maggiori di questo problema. Che cosa vogliamo fare? E se, non sapendo risolvere i problemi con l’ausilio della ragione, tornassimo a risolvere le guerre con il sistema degli Orazi e dei Curiazi?

 

 


Guerra aerea sotto comando Usa

 

IL MANIFESTO

Herat L'aviazione americana colpisce in accordo con il comando Nato/Isaf

 Manlio Dinucci

«Un B-1B Lancer ha sganciato bombe Gbu-31 su un edificio usato dagli insorti presso Shindand»: con questo comunicato, emesso il 30 aprile, e uno analogo il 1° maggio, la U.S. Air Force informa che, nell’offensiva condotta dalle forze statunitensi nel distretto di Shindand, nella provincia di Herat sotto comando italiano, vengono impiegati non solo soldati ma soprattutto bombardieri. Il B-1B è un bombardiere strategico per l’attacco nucleare, utilizzato con bombe non-nucleari: può sganciare in una missione 24 Gbu-31 Jdam a guida Gps da 2.000 libbre (quasi una tonnellata), che possono essere lanciate simultaneamente contro più obiettivi da oltre 60 km di distanza, più 84 Mk-82 da 500 libbre, 30 bombe a grappolo di vario tipo e decine di altre munizioni.

 La U.S. Air Force informa anche che, sempre nel distretto di Shindand, vengono impiegati cacciabombardieri F-15E Strike Eagle, che sganciano bombe Gbu-38 da 500 libbre. In una di queste azioni, «il comandante Isaf sul terreno ha richiesto che gli aerei mitragliassero un gruppo di edifici usato dal nemico: un F-15E ha sparato colpi di cannoncino e  sganciato Gbu-38 per conseguire con successo gli effetti desiderati». Il comandante dell’offensiva statunitense nel distretto di Shindand viene dunque definito, in un comunicato ufficiale, «comandante Isaf». Ciò sconferma la notizia che l’offensiva sarebbe condotta da forze Usa di Enduring Freedom indipendentemente dalla Nato/Isaf.   

 Quest’ultima, nei suoi comunicati, parla solo di operazioni militari terrestri. Esiste invece uno stretto coordinamento tra il comando Nato/Isaf e l’aviazione Usa, le cui «missioni di appoggio aereo ravvicinato alle truppe Isaf» rientrano ufficialmente nell’operazione Enduring Freedom. Non solo: nei comunicati Usa ci si riferisce spesso alle truppe Isaf come facenti parte di Enduring Freedom. Ad esempio, nell’informare che la portaerei Stennis è ritornata nel Mar Arabico per effettuare bombardamenti aerei in Afghanistan, il Comando centrale delle forze navali Usa annuncia: «La Stennis fornisce appoggio aereo ravvicinato alle truppe Isaf partecipanti all’operazione Enduring Freedom» (5 aprile 2007).

 Le truppe Isaf, comprese quelle italiane, sono dunque inserite in una unica catena di comando che, agli ordini del generale statunitense Dan K. McNeill, unifica di fatto le operazioni Nato/Isaf e Enduring Freedom. Di conseguenza anche il contingente italiano, pur non svolgendo un ruolo diretto di combattimento, ha la corresponsabilità delle stragi di civili provocate soprattutto dai bombardamenti aerei e diviene quindi bersaglio di ritorsioni. Come scrive il ministero italiano della difesa, «la provincia di Herat ha una rilevante importanza geostrategica in quanto area di congiunzione tra l'Afghanistan e l'Iran». Qui sono state messe di guardia le truppe italiane, mentre i B-1B bombardano, spianando il terreno ad altre guerre.

  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


ANNOZERO - Tengo famiglia di Marco Travaglio

 Gent.mo dr. Paul Wolfowitz,

 

ho visto la conferenza stampa in cui lei, sudato e tremante, chiedeva scusa per aver procurato la promozione e l’aumento alla sua amante, la bella tunisina Shaha Riza, manager della Banca Mondiale da lei presieduta. I soliti moralisti protestanti han tirato fuori il codice etico e il conflitto d’interessi. Che paroloni!

 Lei, dr. Wolfowitz, non ha sbagliato a promuovere la sua donna: lei ha sbagliato paese. Da noi per parenti, amici e amanti, si fa di tutto, di più. Alla luce del sole, con un certo vanto. Diceva Longanesi: “Nel tricolore andrebbe scritto: tengo famiglia”. Siamo un paese di mamme, babbi, figli e soprattutto nipoti. Ci scherzava su il card. Enea Silvio Piccolomini, appena divenne papa Pio II, nel ‘400: “Quand’ero solo Enea, nessun mi conoscea; ora che sono Pio, tutti mi chiaman zio”.

 Se lei visitasse la Rai, scoprirebbe decine di cognomi famosi, soprattutto politici: Andreatta, Berlinguer, Donat-Cattin, Leone, Letta, Mancini, Mancino, Rauti, Ruffini, Scelba, Squillante, Sottile. Non sono omonimi: sono proprio parenti. E alcuni sono pure bravi. La Rai ha assunto come dirigenti il capoautista e l’assistente di Berlusconi, e persino il figlio della segretaria di Gelli. Ma a Mediaset è lo stesso, per esempio al Tg5: Geronzi, Confalonieri, Agnes, Loiero, Buttiglione, Sterpa, Caputo, Reviglio.

 Poi si faccia un giro in Parlamento. Lì il seggio è ereditario. Craxi, quello che voi chiamereste latitante e noi chiamiamo esule, ha lasciato in eredità addirittura due seggi: la figlia Stefania deputata di destra, il figlio Bobo sottosegretario a sinistra. Forlani, più modestamente, ha piazzato un solo figlio, Alessandro (Udc). Anche perché non ne aveva altri. Cossiga ha portato il figlio Giuseppe (FI) e il nipote Piero Testoni (FI). Perchè i parlamentari non li eleggiamo più: li nominano i partiti, con le liste bloccate. E’ molto più pratico. Al Senato è arrivato il fratello di Pecoraro Scanio, Marco, che s’era fatto valere come terzino dell'Avellino. Poi c’è l’esercito delle mogli, versione all’italiana delle quote rosa. Alla Camera ora siede la prima moglie di Paolo Berlusconi, Mariella Bocciardo (FI). Al Senato c’è la signora Bassolino, Annamaria Carloni. Madama Fassino, Anna Serafini, è deputata per la quinta volta. Il regolamento Ds vietava più di 2 mandati, ma ci hanno aggiunto una parolina: “consecutivi”. Lei aveva saltato un turno, ed è rientrata. Il prof. Pasquino li chiama "ricongiungimenti familiari in Parlamento".

 Ma il più devoto ai sacri valori della famiglia è Clemente Mastella. La sua signora, Sandra Lonardo, è presidente del consiglio regionale Campania. Il cognato Pasquale Giuditta invece è deputato. Lui naturalmente è il ministro della Giustizia. Ma non è vero che piazza solo i parenti. L’altro ieri ha promosso direttore generale del ministero Gianpiero Nuvoli, un ex forzista passato all’Udeur che aveva proposto di impiccare Borrelli sulla forca in piazza. E, visto che gli piace il patibolo, gli ha dato la delega ai diritti umani. 

 Purtroppo in Parlamento i posti sono limitati. Chi resta fuori si arrangia come può. Per esempio sfruttando al massimo i posti di portaborse. Leggere ‘La Casta’, il nuovo libro di Stella e Rizzo, per credere.

Bossi, nemico giurato del clientelismo di Roma ladrona, sistema il fratello Franco e il figlio Riccardo al Parlamento europeo, come assistenti degli on. Salvini e Speroni. Chissà la durezza delle selezioni. I curricula dei due comunque erano di tutto rispetto: Riccardo è studente fuori corso, Franco ha un negozio di autoricambi a Fagnano Olona. Altri due leghisti si sono scambiati le mogli a Montecitorio: l’on. Ballaman assume come assistente la moglie dell’on. Balocchi, che ricambia ingaggiando come portaborse la signora Ballaman.

 Marco Follini si è spostato da destra a sinistra ma sua moglie è rimasta direttore del Demanio, nominata dal governo di centro-destra e confermata dal centro-sinistra.

 Giorni fa Cristiano Di Pietro, consigliere provinciale di Campobasso, è stato ricevuto per una riunione sull’energia eolica dal ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro, che è pure suo padre. E’ uscito molto soddisfatto. Poi dicono che nelle famiglie non c’è dialogo.

Nel calcio, fino all’anno scorso, regnava una cupoletta chiamata Gea Word, inventata da Luciano Moggi riunendo tanti figli e figlie di papà: il suo e quelli del banchiere Geronzi, del citì Lippi, dell’on. De Mita, dei bancarottieri Tanzi e Cragnotti. Da quelle parti si faceva le ossa un giovane procuratore in erba, Pellegrino Mastella. Che non è omonimo del ministro: è proprio suo figlio.

 

 Montanelli, contro il nepotismo, proponeva una soluzione drastica: sterilizzare i vip. Naturalmente non gli diedero retta. Perciò, dr. Wolfowitz, se le andasse male alla Banca Mondiale, si trasferisca in Italia. Minimo, la inviterebbero al congresso Ds e a comprarsi la Telecom. Da noi la famiglia viene prima di tutto. Anzi, se si spiccia con l’aereo, arriva giusto in tempo per il Family Day.

 

 

 

 

 

 

 

 

 


intervista settimanale "OGGI" a Dario Fo

di Mauro Suttora

«La famiglia cosiddetta "naturale"? E quale? Quella della Bibbia, in cui era normale ammazzare la moglie di un altro per impossessarsene, come fece Davide con Betsabea? Quella in cui la donna viene considerata solo un'appendice dell'uomo, fin dalla costola di Adamo, ed è tuttora tenuta in soggezione?

La famiglia "naturale" non esiste più, ma è una fortuna».

 

Il premio Nobel Dario Fo, 81 anni, attacca la Chiesa sui Dico. Sta dalla parte dei laici che nello stesso giorno della manifestazione dei cattolici in piazza San Giovanni a Roma, il 12 maggio, si radunano in piazza Navona per contrapporsi a quella che definiscono «un'offensiva clericale». «La famiglia tradizionale è in crisi: diminuiscono i matrimoni religiosi, crescono quelli civili e le coppie di fatto. Negli ultimi dieci anni i nati fuori dal matrimonio sono aumentati del 70 per cento. I giovani si sposano sempre più tardi, fanno meno figli. Ma è assurdo dare la colpa di questo sfacelo ai matrimoni non benedetti, ai Dico o alle coppie di fatto. I nostri ragazzi non possono formare una propria famiglia perché le case costano troppo, perché non trovano un lavoro stabile e non hanno prospettive positive. Sbagliano anche i politici quando sollecitano incentivi, premi e contentini per chi fa figli: si preoccupino piuttosto di creare più lavoro e asili nido. Oggi le madri dopo il primo figlio sono costrette a smettere di lavorare, oppure a mendicare un lavoro part-time, perché il reddito diminuisce drasticamente». Su questo sono d'accordo anche i vescovi. «Ma sono loro i primi a tenere le donne in una posizione d'inferiorità. Nella Chiesa le donne possono solo obbedire. Contrariamente alla Chiesa dei primi tempi, che prevedeva la figura delle "oranti", vere e proprie sacerdotesse. Oggi anche dentro alla famiglia sono le donne a sostenere maggiormente il peso del lavoro domestico: il 70 per cento viene fatto da loro. È per questo che fanno meno figli. Per non parlare della violenza subìta in ambito familiare da una donna su dieci. Ma le gerarchie cattoliche, che si ritrovano con chiese e seminari sempre più vuoti, hanno paura di perdere il controllo e se la prendono invece con i gay, con le coppie di fatto, con i Dico». Perché toni così aspri? «I vescovi hanno perso il senso del sorriso. I grandi santi erano pieni di ironia e di gioco, Francesco si autodefiniva "giullare di Dio". Oggi invece le gerarchie ecclesiastiche appaiono sempre imbronciate, pronte a condannare, anacronistiche. E i più in pericolo sono proprio quei tanti cattolici imbarazzati, a disagio di fronte alla prospettiva tetra che viene loro imposta. Il Vaticano è arrivato a dare del terrorista a un comico che oltretutto è un cattolico: da quelle parti devono avere smarrito il senso della misura e della dialettica».


AL CITTADINO NON FAR SAPERE di marco travaglio

 

Cari lettori, quando il Parlamento approva una legge all’unanimità, di solito bisogna preoccuparsi. Indulto docet. Questa volta è anche peggio. L’altroieri, in poche ore, con i voti della destra, del centro e della sinistra (447 sì e 7 astenuti, tra cui Giulietti, Carra, De Zulueta, Zaccaria e Caldarola), la Camera ha dato il via libera alla legge Mastella che di fatto cancella la cronaca giudiziaria. Nessuno si lasci ingannare dall’uso furbetto delle parole: non è una legge “in difesa della privacy” (che esiste da 15 anni) nè contro “la gogna delle intercettazioni”. Questa è una legge che, se passerà pure al Senato, impedirà ai giornalisti di raccontare - e ai cittadini di conoscere - le indagini della magistratura e in certi casi persino i processi di primo e secondo grado. Non è una legge contro i giornalisti. E’ una legge contro i cittadini ansiosi di essere informati sugli scandali del potere, ma anche sul vicino di casa sospettato di pedofilia. Vediamo perché. 

 

Oggi gli atti d’indagine sono coperti dal segreto investigativo (il segreto istruttorio non esiste più dal 1989) finchè diventano “conoscibili dall’indagato”. Da allora non sono più segreti e se ne può parlare. Per chi li pubblica integralmente, c’è un blando divieto di pubblicazione, la cui violazione è sanzionata con una multa da 51 a 258 euro, talmente lieve da essere sopportabile quando le carte investono il diritto-dovere di cronaca. Dunque i verbali d’interrogatorio, le ordinanze di custodia, i verbali di perquisizione e sequestro, che per definizione vengono consegnati all’indagato e al difensore, non sono segreti e si possono raccontare e, di fatto, citare testualmente (alla peggio si paga la mini-multa). E’ per questo che, ai tempi di Mani Pulite, gli italiani han potuto sapere in tempo reale i nomi dei politici e degli imprenditori indagati, e di cosa erano accusati. E’ per questo che, di recente, abbiamo potuto conoscere subito molti particolari di Bancopoli, Furbettopoli, Calciopoli, Vallettopoli, dei crac Cirio e Parmalat, degli spionaggi di Telecom e Sismi.

 Fosse stata già in vigore la legge Mastella, Fazio sarebbe ancora al suo posto,Moggi seguiterebbe a truccare i campionati, Fiorani a derubare i correntisti Bpl, Gnutti e Consorte ad accumulare fortune in barba alle regole, Pollari e Pompa a spiare a destra e manca. Per la semplice ragione che, al momento, costoro non sono stati arrestati né processati: dunque non sapremmo ancora nulla delle accuse a loro carico. Lo stesso vale per i sospetti serial killer e pedofili, che potrebbero agire indisturbati senza che i vicini di casa sappiano di cosa sono sospettati.

 La nuova legge,infatti,da un lato aggrava a dismisura le sanzioni per chi infrange il divieto di pubblicazione: arresto fino a 30 giorni o, in alternativa, ammenda da 10 mila a 100 mila euro (cifre che nessun cronista è disposto a pagare pur di dare una notizia). Dall’altro allarga à gogò il novero degli atti non più pubblicabili.Anzitutto “è vietata la pubblicazione, anche parziale o per riassunto, degli atti di indagine contenuti nel fascicolo del pm o delle investigazioni difensive, anche se non più coperti da segreto, fino alla conclusione delle indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare”. La notizia è vera e non é segreta, ma è vietato pubblicarla: i giornalisti la sapranno, ma non potranno più raccontarla. A meno che non vogliano rovinarsi, sborsando decine di migliaia di euro.

 E’ pure vietato pubblicare, anche solo nel contenuto, “la documentazione e gli atti relativi a conversazioni, anche telefoniche, o a comunicazioni informatiche o telematiche ovvero ai dati sul traffico telefonico e telematico, anche se non più coperti da segreto”. Le intercettazioni – che hanno il pregio di fotografare in diretta un comportamento illecito, o comunque immorale, o deontologicamente grave – sono sempre top secret.

 Bontà loro, gli unanimi legislatori consentiranno ancora ai giornalisti di raccontare che Tizio è stato arrestato (anche per evitare strani fenomeni di desaparecidos, come nel vecchio Sudamerica o nella Russia e nell’Iraq di oggi). Si potranno ancora riferire, ma solo nel contenuto e non nel testo, le misure cautelari, eccetto “le parti che riproducono il contenuto di intercettazioni”. Troppo chiare per farle sapere alla gente.

 

  E i dibattimenti? Almeno quelli sono pubblici, ma fino a un certo punto: “non possono essere pubblicati gli atti del fascicolo del pm, se non dopo la pronuncia della sentenza d'appello”. Le accuse raccolte (esempio, nei processi Tanzi, Wanna Marchi, Cuffaro, Cogne, Berlusconi etc.) si potranno conoscere dopo una decina d’anni da quando sono state raccolte: alla fine dell’appello. Non è meraviglioso?

 

 L’ultima parte della legge è una minaccia ai magistrati che indagano e intercettano ”troppo”, come se l’obbligatorietà dell’ azione penale fosse compatibile con criteri quantitativi o di convenienza economica: le spese delle Procure per intercettazioni (che peraltro vengono poi pagate dagli imputati condannati, ma questo nessuno lo ricorda mai) saranno vagliate dalla Corte dei Conti per eventuali responsabilità contabili. Così, per non rischiare di risponderne di tasca propria, nessun pm si spingerà troppo in là, soprattutto per gli indagati eccellenti.

 

 

A parte Il Giornale, nessun quotidiano ha finora compreso la gravità del provvedimento. L’Ordine dei giornalisti continua a concentrarsi su un falso problema: quello del “carcere per i giornalisti”, che è un’ipotesi puramente teorica, in un paese in cui bisogna totalizzare più di 3 anni di reclusione per rischiare di finire dentro. Qui la questione non è il carcere: sono le multe. Molto meglio una o più condanne (perlopiù virtuali) a qualche mese di galera, che una multa che nessun giornalista sarà mai disposto a pagare. Se esistessero editori seri, sarebbero in prima fila contro la legge Mastella. A costo di lanciare un referendum abrogativo. Invece se ne infischiano: meno notizie “scomode” portano i cronisti, meno grane e cause giudiziarie avrà l’azienda. 

 

Mastella, comprensibilmente, esulta: “Un grande ed esaltante momento della nostra attività parlamentare”. Pecorella pure: “Una buona riforma, varata col contributo fondamentale dell’opposizione”. Vivi applausi da tutto l’emiciclo, che è riuscito finalmente là dove persino Berlusconi aveva fallito: imbavagliare i cronisti. Ma a stupire non è la cosiddetta Casa delle Libertà, che facendo onore alla sua ragione sociale ha tentato fino all’ultimo di aumentare le pene detentive e le multe (fino al 500 mila euro!) per i giornalisti. E’ l’Unione, che nell’ elefantiaco programma elettorale aveva promesso di allargare la libertà di stampa. Invece l’ha allegramente uccisa con la gentile collaborazione del centrodestra. Ma chi sostiene che nell’ultimo anno non è cambiato nulla, ha torto marcio. Quando le leggi-vergogna le faceva Berlusconi, l’opposizione strillava e votava contro. Ora che le fa l’Unione, l’opposizione non strilla, anzi le vota. In vista del passaggio al Senato, cari lettori, facciamoci sentire almeno noi, giornalisti e cittadini. Finchè ce lo lasceranno fare.

 

 

Argomento: 

Prima mondiale: "Madre Pace" di Dario Fo e Franca Rame

All'International Peace Conference, organizzata da Stop the war coalition ore 21:00 presso la Pimlico School (Lupus Street, Pimlico, London SW1V 3AT) verrà rappresentato in prima mondiale il testo che Dario Fo ha scritto per Franca: "Peace Mom" ispirandosi alle lettere inviate a Bush, articoli, giornali, cronologia di Cindy Sheehan, madre di un soldato ucciso in Iraq, tradotto dal prof. Tom Behan, uno dei traduttori inglesi, che ha già trodotto altri testi di Dario e con la regia di Michael Kustow.
Il monologo "Madre Pace" (Italiano) The monologue "Peace Mom" (English)
Per la traduzione negli Stati Uniti stiamo contattando Michael Moore.
In Italia verrà rappresentato prossimamente. Il testo è visibile anche da alcatraznews.com

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