La pericolosità della parola non deriva da quel che è stato scritto, ma da ciò che viene letto. Di questo sono certo. Di questo bisogna convincere chi gestisce l'informazione, la comunicazione. Le organizzazioni criminali non temono mai la parola in sé, ne temono l'ascolto, la diffusione. Che i blog sbraitino, che gli editoriali citino, che le inchieste elenchino nomi e cognomi, tutto questo alle organizzazioni criminali non da fastidio. Niente è più democratico dei cartelli criminali. Parlate pure, il diritto di parlare, di scrivere, di denunciare non vi è negato. Parlate nell'ambito del vostro territorio, ai vostri concittadini, a pochi impegnati o interessati. Si può fare. Anzi in parte si fa pure il loro gioco, così riescono a capire gli orientamenti, dove soffia il vento, su cosa devono calcare la mano e da cosa difendersi. E se qualche giornalista è troppo insistente, troveranno sempre il modo per mostrargli chi comanda, tanto saranno pochi oltre all'interessato a venirne a conoscenza. Perché anche se non lo mettono a tacere, gli mostrano che sono loro il potere e lui è zero fino a quando ciò che scrive non trova attenzione.
Ciò che non deve accadere è proprio questo: che le persone, la parte maggiore, l'opinione pubblica si informi, venga a sapere, che i Tg riportino notizie, che i talk show riferiscano i nomi delle loro aziende, che le sentenze nei loro confronti siano divulgate. Solo le dittature mantengono l'idiozia di perseguitare la scrittura solo perché scrittura, il pensiero in quanto pensiero. Nelle democrazie si censura ignorando e diffamando. Negli ultimi tempi mi sono arrivate molte telefonate e mail da parte di editori che pubblicano libri sulla camorra. E ne sono contento. Sono contento che un fenomeno ignorato per anni dal grande pubblico, tenuto al margine nei lavori scientifici, minimizzato dai vecchi cliché - i cugini scemi della mafia, le disordinate bande di guappi violenti e buffoni - cominci ad
essere raccontato, analizzato, radiografato, divulgato. Per quel che riguarda le mafie i media nazionali le considerano solo quando ci sono molti morti ammazzati.
Oggi però qualcosa è cambiato. È stato il pubblico a decretare che ciò che era sempre accaduto ed era sempre stato ignorato, ora non poteva esserlo più. Oggi, a forza di pubblicare libri sulle mafie e in particolare sulla camorra, libri di ogni stile e genere, con ogni copertina e ogni strillo possibile, capisco che ci sia il rischio che questa nuova attenzione possa presto essere saturata. Comprendo si possa temere l'effetto 'Codice Camorra'. Come pochi anni fa si era creato il fenomeno 'Codice Dan Brown', ossia l'inflazione di decine e decine di succedanei, sinossi, romanzi, saggi, pseudosaggi, compendi, guide, imitazioni e illustrazioni di quello che era stato il filone paraesoterico del successo globale del 'Codice da Vinci' di Dan Brown. Credo però che il fenomeno riguardo alle pubblicazioni sulle mafie non sia equiparabile, e questo a prescindere dalla qualità dei singoli libri che occorre valutare di volta in volta. Può darsi che il chiasso possa essere assordante. Ma mai potrà essere più assordante di quanto sia stato il silenzio. E non mi importa fino a che punto l'interesse degli editori sia quello di sfruttare una tendenza o una moda. Anche una tendenza o una moda è frutto di un clima cambiato, di una domanda che chiede di essere esaudita. E in questo caso la domanda di mercato nasce dalla domanda dei lettori, dal desiderio di capire sempre di più una realtà di questo paese di cui erano all'oscuro.
Chi scrive un libro sulla camorra, o sulla mafia o sull'ndrangheta non è paragonabile a chi stende un giallo sul mistero dei templari o un saggio sul nome del Graal. Non voglio rivendicare una maggiore nobiltà di principio a questo filone, ma semplicemente segnalare che ha avuto il merito di offrire a molti che si occupano dell'argomento, e soprattutto a molti giovani, l'opportunità di uscire da quella condizione di marginalità cui accennavo prima, marginalità che spesso si accompagna a pressioni da parte dei clan. Il meccanismo principale è quello di screditare ancora più che intimorire. Quello più efficace e pericoloso. Chi si occupa di queste vicende è "un buffone, un mitomane che inventa tutto, uno assetato di successo". Cercano voci che erodano la credibilità, che minino l'autorevolezza di una denuncia che li ha colpiti.
Una vittima della camorra
Si attengono alla vecchia massima del potere: Divide et impera. Oppure minimizzano: "sono cose risapute", "tutti le sappiamo", "le hanno dette tutti". Ciò che spaventa i clan non è tanto il racconto del crimine diretto, del sangue, della ferocia. La cosa che più temono è veder scoperti i loro affari sul piano nazionale, veder emergere la zona grigia, la realtà di imprenditori che localmente divengono parte fondamentale della politica e dell'informazione. Ecco perché sono così importanti i libri usciti in questo periodo che trattano di camorra, e che sono spesso scritti da cronisti che pur vantando un'esperienza a volte anche lunga, erano tenuti al margine dei dorsi locali, costretti negli spazi risicati della cronaca.
Ho letto 'I boss della camorra' (Newton Compton) scritto da Bruno De Stefano che è un affresco storico, una specie di manuale per chiunque voglia conoscere le biografie dei boss più feroci. Un libro facile da consultare, un libro secco, chiaro, duro. A De Stefano non piace pontificare, né addentrarsi nella fenomenologia dei clan. Gli piacciono i fatti. Eppure le monografie dei boss sembrano spesso racconti frutto di un'immaginazione figlia bastarda di Balzac e Tarantino. Come la storia del boss Vollaro di Portici, detto 'o' Califfo' perché aveva alloggiato tutte le sue amanti in un unico palazzone dove andava come in un harem a scegliere la favorita. 'I boss della camorra' ricostruisce i percorsi giudiziari, e riporta un episodio che molti avranno dimenticato. Quando Piero Chiambretti andò con la sua trasmissione a Marano di Napoli, perché lì vi fu la prima inchiesta in Italia su qualcosa che tutti conoscevano e praticavano, il voto di scambio. A gestirlo era il clan Nuvoletta, clan campano che siede nella cupola di Cosa Nostra, unica famiglia esterna alla Sicilia ad avere questo privilegio. Chiambretti si avvicinò al boss-patriarca Lorenzo Nuvoletta, indagato per voto di scambio oltre che per reati di mafia e gli chiese: "Lei è Lorenzo Nuvoletta?", e lui rispose: "E lei vuole continuare ad essere Piero Chiambretti?".
Un libro che invece trascina nei succhi gastrici della camorra è 'L'ultimo Sangue. Camorra, vittime e carnefici' di Marco Salvia, uscito per Stampa Alternativa. Un libro fatto di narrazione, inchiesta e fotografia, coadiuvato dagli scatti di Stefano Renna che per vent'anni ha fotografato i morti per le strade napoletane. Una discesa nell'inferno quotidiano, di testimonianza e presa diretta, in cui la narrazione si misura con l'immediatezza cruda delle immagini, cerca di aggredire il lettore, di trascinarlo in quelle strade insanguinate dove la normalità ha il volto della guerra. Una scrittura, quella di Salvia, che non lascia spazio a tentennamenti: il lettore deve scegliere, o con lui o contro di lui.
'L'impero della camorra. Vita violenta di Paolo di Lauro' (Newton Compton) del giornalista Simone di Meo, è un'orchestrazione reportagistica delle vicende del boss di Scampia che l'autore ha seguito da vicino nella cronaca giudiziaria. Ricostruisce una storia che sembra romanzesca ma come avviene per ogni realtà spietata combacia con il più impensabile realismo. La storia di un uomo che prima vive al margine, in silenzio, alleandosi e tramando, e poi diventa protagonista di una tra le guerre più sanguinarie. Guerra che è raccontata dal cronista di Meo con uno stile che ricorda la Chicago di Al Capone, tendendo sempre con forza sullo sfondo l'intero quadro della Napoli criminale del passato e del presente. Tocco di genio, la copertina: un pesce che fuma una sigaretta non dirà nulla alla parte maggiore del pubblico, ma per chi conosce la vicenda è eloquentissima. Paolo Di Lauro, infatti, fu arrestato a causa di un pesce, la pezzogna, suo piatto preferito, che una donna ordinò troppo spesso al pescivendolo tenuto sotto controllo dai Carabinieri.
Sul versante scientifico-saggistico invece è uscito 'Napoli... Serenata calibro 9. Storia e immagini della camorra tra cinema, sceneggiata e neomelodici' (Liguori) di Marcello Ravveduto. Affronta il tema affascinante delmondo dei neomelodici, cantanti che a livello locale sono veri e propri divi che producono un giro d'affari milionario e il cui rapporto con il mondo camorrista oltrepassa quello puramente economico della produzione e diffusione di dischi contraffatti. I neomelodici spesso non sono solo amici dei boss, ma divengono soprattutto i cantori della camorra, gli interpreti di canzoni come ''O latitante', ''O pentito', 'Il mio amico camorrista' e molte altre hit che passate di bocca in bocca cementano la cultura di ampissime zone del territorio.
Il romanzo di Sergio Nazzaro, 'Io per fortuna c'ho la camorra' (Fazi) parte da una domanda retorica che vuol essere una sfida. 'L'Italia sa davvero se esistono Casal di Principe, Mondragone, Frattamaggiore?' - paesi capaci di far cadere governi ma che nessuno realmente conosce nel loro quotidiano, nei capitali che generano, nel sangue che vomitano. Nazzaro attraversa con rabbia l'inferno della sua terra, raccogliendone le storie, storie di tragedie e di violenza e anche quelle minori e quotidiane fra cui una scena per me indimenticabile perché appartiene anche alla mia memoria: ragazzi casalesi che si presentano a una festa e pretendono di entrare gratis solo perché casalesi, perché vivono della guasconeria che la fama del loro paese per diritto di nascita concede.
Legato sempre alle vicende di Casal di Principe, il libro di Rosario Giuè 'Il costo della memoria. Don Peppe Diana. Il prete ucciso dalla camorra' (Edizioni Paoline) racconta vita e assassinio del prete vittima di mafia più trascurato della storia italiana. Il libro non è piaciuto molto alla curia aversana che sembra non amare molto chi tiene a ricordare don Peppino, ucciso per aver scritto un documento intitolato 'Per amore del mio popolo non tacerò'. Nella sua terra, infatti, il suo ricordo è tormentato: basti pensare che una chiesa di San Cipriano d'Aversa ha dedicato una struttura adiacente alla memoria di Dante Passatelli, il re dello zucchero accusato di essere l'imprenditore di fiducia del camorrista Sandokan, e non al prete che non si lasciò impaurire dalla codardia di certe gerarchie ecclesiastiche che coprivano gli interessi dei boss.
È in uscita a breve per Melampo un libro importante, dedicato alla memoria delle vittime innocenti della camorra: 'Vite spezzate' di Raffaele Sardo. Racconta il coraggio di decine di caduti nella guerra contro i clan di cui questo paese non si ricorda non per censura ma per qualcosa di più pericoloso: per indifferenza e per l'incapacità di dare valore a storie che non capisce e quindi non sa riconoscere. E invece c'è bisogno di ricordare e far conoscere queste vite, non solo per rendere giustizia a chi è stato ucciso, ma anche per mostrare che persino in territori dominati dalla camorra non tutti arrivano a piegarsi al suo potere.
Da Forcella invece sono usciti due altri libri che ne raccontano la drammaticità, facendo divenire il quartiere nel cuore di Napoli metafora del male della città intera e della sua possibile speranza. 'Forcella. Tra inclusione ed esclusione sociale' (Guida) è scritto da don Luigi Merola, il giovane prete finito sotto scorta dopo aver preso dal pulpito posizioni contro i Giuliano e i Mazzarella che dominavano il quartiere. Merola racconta il quotidiano di Forcella, cuore criminale di Napoli, ma al contempo generatore delle energie più vive che potrebbero, secondo l'autore, essere il vero antidoto al potere dei clan.
Anche il 'Diario di Annalisa' a cura di Matilde Andolfi e Mario Fabbroni (Pironti), negli ultimi mesi finito fuori catalogo ma ora tornato in libreria, è un documento raro e commovente: traccia la memoria di una ragazzina come altre che il solo fatto di essere cresciuta a Forcella condanna a morte. Nelle pagine del 'Diario' di Annalisa emerge il profilo di una ragazza che vive il clima di un quartiere difficile e sente avvicinarsi un destino fosco cui cerca di reagire con l'allegria e la voglia di vivere.
'Napoli in guerra. Analisi del fenomeno camorristico partenopeo' (Cuzzolin), di Attilio Iannuzzo, affresca con una scrittura disciplinata una città in guerra,una guerra che viene arginata non dalle polemiche politiche, ma da chi riesce a fronteggiarla con il fare quotidiano e reale, mentre i figli dei boss sempre più divengono l'unica borghesia vincente del territorio. In questo libro, se si omettessero le parole Napoli e camorra, sembrerebbe di trovarsi dinnanzi al racconto di un paese sudamericano, o forse persino mediorientale, anche se occorre ricordare che, come evidenziarono alcuni quotidiani stranieri nei giorni della mattanza di Scampia, vi erano più morti a Napoli che a Baghdad.
Anche sui rifiuti sono usciti alcuni libri interessanti che avrebbero potuto aiutare i giornalisti disorientati dalle emergenze della monnezza napoletana 'Le vie infinite dei rifiuti' (altrenotizie.org, ma a breve riedito da Rinascita Editore) di Alessandro Iacuelli, un giovane fisico che ha deciso di seguire da vicino la scia dei rifiuti campani. Il libro è una sorta di dedalo che ricostruisce storicamente la vicenda, le contraddizioni nate dell'incapacità amministrativa, gli errori madornali dei commissari, l'aumento dei tumori, la scelta delle discariche, e soprattutto il fatto che da anni si sapeva (e ci si speculava sopra) che prima o poi avrebbero occluso ogni spazio pubblico. Iacuelli riesce a dare una descrizione chiara e leggibile della questione dei rifiuti in Campania. Sempre sui rifiuti, si segnala l'uscita di 'Monnezzopoli. La grande truffa' (Pironti) di Paolo Chiariello, giornalista di Sky24. Un racconto dettagliato dello spreco più grande avvenuto nel Mezzogiorno negli ultimi vent'anni, ossia i 2 mila milioni di euro concessi per risolvere il problema campano e drenati da anni di corruzione e mala-amministrazione.
E poi i documentari, di ogni tipo e qualità ma capaci tutti, quelli più eleganti e quelli più spartani, di colmare il vuoto di immagini che li precedeva. Fondamentale per aprire gli occhi sull'orrore è 'Biutiful cauntri' di Esmeralda Calabria, Andrea D'Ambrosio e Peppe Ruggiero: mostra la moria apocalittica di greggi e uomini e fa ascoltare, attraverso intercettazioni telefoniche, gli accenti inequivocabilmente nordici di chi impartisce l'ordine di far sversare nelle campagne campane i rifiuti tossici. E poi ''O Sistema' (Rizzoli) di Matteo Scanni e Oliva, che ha il merito di offrire filmati interessanti e prima di allora dimenticati negli archivi della Rai o addirittura completamente ignorati: le ville dei boss, quelle di Sandokan e Walterino Schiavone, le scene di donne disperate davanti ai cadaveri dei mariti uccisi. Poi c'è 'La Santa, Viaggio nella 'ndrangheta sconosciuta' (Rizzoli) fatta sempre da Oliva e da un cronista di razza come Enrico Fierro. In questo dvd essenziale e militante, si delinea il profilo di una realtà fin troppo sconosciuta con l'aiuto di strumenti documentari semplici, ma di un'efficacia impressionante, come le intercettazioni telefoniche. È ad esempio una vera chicca sentire i narcos calabresi parlare tra loro in codice alfanumerico.
Enrico Fierro è anche autore di un libro sul caso 'Fortugno - Ammazzati l'Onorevole' (Baldini Castoldi Dalai), uno di quei testi che possono essere usati come strumenti indispensabili da tenere sempre in casa, come le cassette degli attrezzi che tutti hanno in qualche ripostiglio. Il libro cerca di dipanare il garbuglio di affari criminali e interessi politici che accompagnano questo caso irrisolto e quando arrivi all'ultima pagina quasi non credi alle cose che vi sono scritte. E invece è la verità di questo paese. Contorta, intricata, labirintica e spesso banale. Come non credi sino in fondo a quel che vedi nel documentario 'Napoli vita morte e miracoli' di Mauro Parissone e Roberto Burchielli dell'agenzia h24, mandato in onda qualche tempo fa su La7, dove gli autori raccontano i 'falchi' della polizia che in moto seguono le vicende dellaguerra di strada napoletana. Ci sono le riflessioni della Napoli borghese riunita intorno a un tavolo e i ragazzini di Montesanto che prima di concedersi alle telecamere premettono: "Se pronunciate la parola camorra smettiamo di parlare".
Un capitolo a parte meritano invece i libri che stanno dando alle stampe Antonio Nicaso e Nicola Gratteri. Il primo è il giornalista numero uno per competenza circa la penetrazione della 'ndrangheta nel mondo, il secondo è un magistrato antimafia in prima linea contro le 'ndrine. Nei loro libri si svela come intere fette di economia siano dominate dalle famiglie calabresi. Nel fondamentale 'Fratelli di Sangue' (Pellegrini) i due autori riescono a raccontare la 'ndrangheta con una marea di dati impressionante, poi i riti d'affiliazione, le tappe della carriera degli 'ndranghetisti, le diramazioni internazionali, le guerre, le trasformazioni che hanno portato una mafia agro-pastorale a divenire la prima azienda del narcotraffico mondiale: una delle organizzazioni di cui l'Europa non può più fare a meno, perché dovrebbe rinunciare agli oltre 36 miliardi di euro che ogni anno la 'ndrangheta versa nel settore immobiliare, nelle banche, nel turismo, nei trasporti, nelle assicurazioni del Nord Europa.
E ancora il libro di Antonio Nicaso sulla strage di Duisburg - 'Le radici dell'odio', Aliberti - che riporta l'intera storia di San Luca, da sempre preda delle famiglie 'ndranghetiste, e ne descrive la sedimentazione di affari e sangue sino al massacro tedesco che fece capire all'Europa che la questione mafia la riguarda da vicino. E poi il bel libro 'La società sparente' di Emiliano Morrone e Alessio Saverio, due giovani calabresi originari della città di Gioacchino da Fiore che coraggiosamente- e al costo di pressioni, boicottaggi - chiamano in causa la cultura che porta la loro terra a non lasciare alternative fra un'emigrazione desertificante o l'accettazione della logica 'ndranghetista che penetra in ogni istituzione e in ogni poro. La tesi del libro è nuova e potente:le mafie come responsabili della nuova emigrazione che porta sempre più giovani del sud al nord. Persone che non vogliono compromettersi e vanno via. Spero veramente che libri come questi siano l'avanguardia di una produzione che avrà modo di espandersi, com'è avvenuto con i libri sulla camorra.
La 'ndrangheta è la più inaccessibile delle organizzazioni criminali, più misteriosa di quanto sia mai stata la camorra, e come avveniva per la camorra questo va soltanto a suo vantaggio. Ma non si tratta semplicemente di colmare una lacuna grave. È necessario che l'attenzione sia rivolta costantemente a tutta la rete delle mafie. Se davvero tutta la curiosità si esaurisse in un'ondata effimera da 'Codice Camorra', si finirebbe per fare il loro gioco, un gioco di relazioni ed alleanze globali. Spero quindi che nasceranno libri capaci di illuminare e divulgare ogni aspetto della presenza criminale in questo paese e oltre i suoi confini. Perché è questo di cui abbiamo bisogno. Paolo Borsellino poco prima di venire dilaniato in via d'Amelio scrisse una lettera a degli studenti veneti con cui ci passa il testimone: "Oggi al di là di quello che sarà lo sbocco giudiziario delle indagini, al di là delle eventuali condanne, le inchieste hanno avuto di riflesso una valenza culturale perché sono state diffuse, rese pubbliche. Perché la gente se n'è interessata". Abbiamo bisogno che di questi libri se ne scrivano ancora. E soprattutto che i lettori se ne interessino ancora. Finché questo avviene, c'è speranza.
(19 febbraio 2008)