2012

[STAMPA] Il teatro di Dario Fo e Franca Rame si studia alla Sorbonne

 

marina de juliPARIGI – Tutto il mondo considera ormai il loro teatro al livello di un “classico”: Dario Fo e Franca Rame rappresentano una delle più originali e complete esperienze di palcoscenico e drammaturgia del teatro contemporaneo.
La prova eclatante della loro rilevanza autorale fu il Nobel per la letteratura assegnato nel 1997 all’attore di Sangiano. Da allora, la consapevolezza culturale del loro ruolo si è progressivamente consolidata. Eppure, in Italia, fa ancora un certo effetto rendersi conto del (meritatissimo) credito scientifico del quale all’estero godono i nostri.
“Forse – prova a spiegare Marina De Juli, storica attrice della compagnia Fo-Rame – perché nel nostro Paese è sempre prevalsa la loro figura di interpreti e mattatori su quella di autori. E questo anche per l’esposizione civile e politica del loro teatro”.
Proprio Marina De Juli sarà ospite con ben due spettacoli al Centre Malesherbes di Parigi in occasione di una giornata di studi organizzata dalla Sorbonne: il 15 febbraio prossimo studiosi di teatro italiani e francesi si confronteranno su “Interpréter le théâtre de Dario Fo et Franca Rame. Approches théoriques et pratiques”.
 
“Per quanto riguarda la Francia – ci puntualizza Davide Luglio, responsabile scientifico, insieme a Laetitia Dumont-Lewi e Lucie Comparini, della giornata di studi – il loro teatro si è imposto progressivamente come classico da quando, nel 1974, José Guinot, con l’aiuto di Ginette Herry, lo fece venire in tournée con Mistero Buffo. Da allora, buona parte degli spettacoli di Fo e Rame è stata tradotta e rappresentata, ed è stato possibile cogliere sempre meglio ciò che fa l’universalità, la “classicità” della poetica di Fo. In una recente, bellissima testimonianza, Ginette Herry ne ha messo in evidenza i due aspetti centrali. Da una parte la funzione poetico-politica delle tracce mitiche o delle realtà storiche del conflitto tra «maggiorenti» e «poveri cristi». Si tratta, con esse, di far affiorare o di consolidare la consapevolezza della perennità degli oppressi e della legittimità delle loro lotte e delle loro utopie, dando a queste, magari, anche forza e vita. Dall’altra, la magistrale reinvenzione dell’attore-narratore che privilegia l’azione visiva e lo spettacolo piuttosto che la scrittura, facendo della letteratura non un punto di partenza ma un punto di arrivo”.
Marina De Juli, che in Italia porta in tournée da anni, con successo, una versione personalissima dei lavori di Fo e Rame, si confronterà per la prima volta con la recitazione in lingua francese del suo “Tutta casa letto e chiesa”, mentre “Johanna Padana a la descoverta de le Americhe”, riscrittura al femminile dell’anti-eroe di Fo, andrà in scena con la proiezione di un’inedita traduzione “grafica” realizzata dagli studiosi della Sorbonne.
 
“Molto spesso – aggiunge Marina –, all’estero, la fisicità del teatro di Dario è stata confusa con quella del clown o del mimo. In realtà, Fo è un «anti-mimo», il suo è un lavoro «a togliere». In altre parole, io in scena seguo la lezione del mio maestro: accennare le cose e lasciare alla fantasia dello spettatore lo spazio per completarle”.
Ma in cosa consiste l’elemento di maggior urgenza nel confronto con l’attualità della scrittura di Fo e Rame?
“L’attualità della drammaturgia di Fo è, ancora una volta -– secondo Luglio –, il prodotto della sua classicità. Nel rapporto stile-contenuto va osservato che l’uso che fanno Fo e Rame della storia è sempre un uso allegorico, sicché un fatto legato all’attualità degli anni Settanta o Ottanta nei loro spettacoli assume comunque un valore che supera la contingenza di quel dato momento. Nel 2010 Marc Prin ha portato in scena, al teatro Nanterre/Amandiers, «Clacson, trombette e pernacchi». È stato un grande successo anche se la pièce, strettamente legata alla storia italiana della fine degli anni di piombo, poteva sembrare ostica ad un pubblico francese. Invece, la sua dimensione allegorica ha permesso a Marc Prin di moltiplicare implicitamente i rinvii all’attualità di oggi, proprio perché non esiste epoca in cui non si riproduca, a questo o a quel livello, una dialettica oppresso-oppressore. Quanto all’attualità linguistica, essa è pure presente per lo spazio che occupa nel linguaggio scenico di Fo la visualizzazione gestuale del racconto. Sulla scena della Comédie française l’attore era, per così dire, solo e nudo, disponendo solamente della propria immaginazione per creare e visualizzare la storia che raccontava. E l’immaginazione di un attore è per definizione legata al suo tempo, al presente che vive e condivide con gli spettatori”.
 
15 febbraio 2012
Université Paris-Sorbonne – Salle des Actes – Paris
Giornata di studi
Interpréter le théâtre de Dario Fo et Franca Rame. Approches théoriques et pratiques
 
16 febbraio 2012 – ore 17
Centre Malesherbes, Grand Amphithéâtre – Paris
Johanna Padana a la descoverta de le Americhe
di Dario Fo, adattamento di Marina De Juli
con Marina De Juli
 
17 febbraio 2012 – ore 18
Centre Malesherbes, Grand Amphithéâtre – Paris
Tutta casa letto e chiesa
di Franca Rame e Dario Fo
con Marina De juli
 
Organizzazione:
Université Paris-Sorbonne
PRITEPS – Programme de Recherches Interdisciplinaires sure le Théâtre et les Pratiques Sceniques
ELCI-EA 1496 – (Équipe Littérature et Culture Italiennes)

fonte: etudesitaliennes.hypotheses.org

Anno: 

[STAMPA] La straordinaria coppia Dario Fo e Franca Rame sabato a Varese con “Mistero Buffo”.

Buffi,  vero, ma sempre di misteri si tratta. Quelli che Dario Fo e Franca Rame porteranno a Varese, sabato 18 alle 21 al Teatro di Varese a quarantatre anni di distanza dalla prima rappresentazione del testo teatrale: 1969, a Milano, “in un capannone di una piccola fabbrica dismessa dalle parti di Porta Romana”. Non è troppo affermare che Fo deve ad un’opera dei tardi anni Sessanta il suo Premio Nobel per la Letteratura del 1997. L’Accademia di Svezia sottolineò l’importanza dell’attore nel “fustigare il potere e riabilitare la dignità degli umiliati…”. Complice il corpo, il gesto, l’intonazione, lo sguardo. La compiutezza di un “grandissimo mimo”, come scrive Gianfranco Folena. Perché “Fo padroneggia da maestro le tecniche del discorso e della narrativa popolare”. Con Fo sul palco “potrete ottenere un’idea del tutto credibile di cosa fosse il teatro satirico dei giullari medioevali”, dice ancora Folena.
 
Linguaggio dai mille dialetti padani, nato dal migrare dei buffoni-clown-giullari. Fonte di comicità, grottesco, anticlericalismo. Spregiudicata la parola e l’accentazione; diavolesco – quasi – il suo ritorcersi nelle pieghe del viso e del recitare. Il canto, in questo caso, è parola e verso. E il racconto – Mistero Buffo nasce come giullarata popolare basata in parte sui vangeli apocrifi e sui racconti del volgo sulla vita di Gesù – è espressione di vita consumata. Ma, soprattutto, desiderata e vissuta. Non si tratta, dunque, solo di buffonesca rappresentazione del Mistero, ma rievocazione mistificata di episodi esplosi in un grammelot – linguaggio misto e a volte inafferrabile – che trasforma il pubblico in protagonista, non passivo, dello spettacolo. E’ l’umanità intera a porsi in gioco. Sono i suoi dubbi, le sue fantasie, le sue illusioni. Forse, il bisogno di guardare ad una figura di Gesù che sia umana, dunque, sempre “credibile”.
 
Per Dario Fo, recitare non è un mestiere ma un divertimento. Anche quando si tratta di “buttare all’aria convenzioni e regole”. Eppure, in “Mistero Buffo”, le regole sono quelle di un’umanità che si interroga sul Mistero e che di questo vuole conoscere, sapere e condividere. Senza filosofie e teologismi. La sua accezione terrena, certo non facile per chi esercita un credo assoluto nella fede, rappresenta il lato provocatorio della storia. Addirittura dissacrante quando si tratta di mescolare le carte di fronte alla “Resurrezione di Lazzaro”, “Bonifacio VIII”, “La fame dello Zanni”, la “Storia di San Benedetto da Norcia” o “Maria alla Croce”. Certo: come può una madre accettare la morte di un figlio? Come può non chiedere spiegazioni all’arcangelo Gabriele dei suoi messaggi? La vita e la morte. E, nel mezzo, i miracoli, le sbornie, lo spettacolo di chi risorge, l’ingordigia di colui che vuole mangiare…anche se stesso.
 
“Mistero Buffo” è tutto questo: una parabola di creatività artistica nella quale il Bene e il Male si contendono in una confusione che può essere risolta solo nei codici atavici della coscienza. E di una curiosità spaventosamente umana.
 
Davide Ielmini
 
Anno: 

[STAMPA] Franca Rame si racconta: "Senza teatro non posso stare"

franca rame
VARESE «Sono in una fase di vita eccezionale e bellissima, piena e appagante. Scrivo, rivedo lavori del passato, aiuto Dario nelle sue mille attività. E poi il teatro, finalmente, dopo tutti questi anni di silenzio».
 
Franca Rame parla con tono pacato, ma si capisce che la gioia è parecchia e si trasmette soprattutto al pubblico del nuovo “Mistero buffo”, che i due attori portano in scena nei teatri italiani con un'energia da trentenni. Domani, alle 21, saranno al teatro Apollonio di Varese, un altro ritorno, in una città che Franca abitò ragazzina con la sua famiglia di attori girovaghi, marionettisti fin dal Seicento, con papà Domenico capace di costruire e portare in giro un teatrino smontabile da 400 posti, «coperto e plafonato, con camerini, servizi d'acqua e luce elettrica, persino col telefono», come scrisse nel 1942 Giovanni Cenzato nel suo libro “Piccolo mondo provinciale”.
 
Una famiglia numerosa, tra genitori, figli e nipoti, «con un figlio, ora alle armi, allievo del Centro sperimentale di cinematografia, e un'altra che è detta “la piccola Duse», scrisse il giornalista e commediografo milanese. Franca era bellissima e, come tutti i figli d'arte, non temeva il palcoscenico. «Tutti gli attori quando vanno in scena, sono tesissimi, hanno le mani sudate. Io mai, proprio perché fin da bambina sono stata in scena. Mi mette molto più a disagio lo stare in un salotto con gente che non conosco».
 
Nata a Parabiago, «ma con il lavoro di papà i figli nascevano chi qua chi là», nel 1929, Franca Rame ha lavorato nella rivista, con Tino Scotti, nel cinema - la ricordiamo splendida e platinatissima in “Caporale di giornata”, film di Bragaglia del '58, con il “povero ma bello” Maurizio Arena - in televisione e ha girato parecchi sketch pubblicitari. A 24 anni le nozze con Dario Fo e il nuovo percorso artistico, la Compagnia Fo-Rame fondata nel 1958, gli spettacoli nelle fabbriche e nelle università occupate, la nascita di “Mistero buffo”.
 
«Dario lo scrisse tra il '67 e il '68 nella casa di mia madre sopra Cernobbio, dove abitavamo allora con nostro figlio Jacopo e i figli di mia sorella e mio fratello. Era un posto tranquillo, i ragazzi andavano a scuola e noi preparavamo le nuove commedie. Poi vendemmo la casetta, perché con tutti gli impegni teatrali ci si andava solo il fine settimana».
 
Il ritorno sulle scene di Dario e Franca «abbiamo quasi 168 anni in due», è stato voluto soprattutto da lei: «Sono stata io a spingerlo, mi sentivo disoccupata, la mia professione è il teatro, abbiamo fatto sette spettacoli in due mesi e ci arrivano richieste da ogni parte d'Italia. I teatri sono esauriti, il pubblico ci manifesta rispetto, stima e simpatia ed è splendido toccare con mano l'emozione della gente».
 
L'intervista completa alla grande Franca Rame sulla Provincia di Varese in edicola domani, sabato 18 febbraio
 
Anno: 

[STAMPA] "C'è ancora quel teatro con le vele di tela?"

Mistero Buffo torna sul palcoscenico di Varese sabato 18 febbraio. Il premio Nobel anticipa che nel suo spettacolo non darà spazio a polemiche e politica locale: "Non vogliamo sporcare lo spettacolo con certe bassezze"

 

 
dario fo e franca ramePiù che uno spettacolo è una pietra miliare del teatro italiano. Mistero Buffo torna sul palcoscenico di Varese sabato 18 febbraio: biglietti a ruba e grande attesa per vedere nuovamente all’opera nella città giardino Dario Fo e Franca Rame con l’imperdibile piece giullaresca in lingua grammelot. Legati al territorio varesino (Fo è nato a Sangiano nel 1926, Franca Rame ha passato gran parte della sua infanzia nella nostra provincia), i due attori, drammaturghi e artisti a tutto tondo riportano al Teatro Apollonio il loro più famoso pezzo di teatro, studiato nelle Università e portato in scena in mezzo mondo. «Saranno trent’anni che non rifacciamo Mistero Buffo a Varese – racconta Dario Fo a VareseNews -. L’ultima volta che siamo venuti in città siamo stati in quel teatro con le vele di tela. C’è ancora quello?». Lo rassicuriamo che nulla è cambiato e che di teatro stabile si è tornati a parlare da poco: «D’altra parte Bossi e compagni per la cultura non mi sembra abbiano mai avuto un grande interesse», aggiunge Fo, che ricorda come in tempi passati ci siano stati grandi assessori alla Cultura come «il mio amico Baj: lui ebbe grande attenzione per la cultura, ma durò poco. Farò una mostra di pittura a Milano a Palazzo Reale dove saranno esposte anche opere sue (“Lazzi sberleffi e dipinti” e “Addio Anni '70, Arte a Milano”, celebrazione degli anni della contestazione con “I funerali dell'anarchico Pinelli” di Enrico Baj). Mi piacerebbe portarla a Varese, pensa che sconquasso verrebbe fuori».
dario fo e franca rame
 
Della sua infanzia e gioventù nel Varesotto Dario Fo ha parlato più volte, ricordando la sua formazione artistica e aneddoti diversi, come quello che ci regala oggi: «È la provincia dove ho vissuto da piccolo e dove è cresciuta anche Franca: ci sono tornato decine di volte per passeggiate, visite e abbiamo portato qui tutti i nostri lavori nel tempo. Dei miei amici di allora non ce ne sono quasi più, è una gara di resistenza paradossale – scherza dall’alto dei suoi 86 anni da compiere il 24 marzo prossimo -. Mi ricordo di quando un mio compagno di Università al Politecnico, che avrà avuto dieci anni più di me (lui 30, io 20) mi portò all’Aermacchi a visitare la fabbrica dove lavorava e rimasi colpito dallo splendore della bellezza di quegli strumenti di morte: un senso di potenza assoluto, quasi surreale. Delle vere opere d’arte nella loro malvagità. Mi disse che gli americani appena finita la guerra si erano informati ed erano venuti a studiare la tecnica italiana. Io ne rimasi affascinato e colpito allo stesso tempo».
 
Mistero Buffo è uno spettacolo sempre in evoluzione, nato nel 1962, mai uguale a sé stesso. Anche questa volta Dario Fo e Franca Rame metteranno sul palcoscenico aspetti della quotidianità politica di questa nostra Italia affidata ai tecnici per salvarsi dal default economico: «Non possiamo farne a meno – spiega Fo -. L’attualità è l’aggancio indispensabile per il nostro lavoro, la chiave di lettura per tanti aspetti del quotidiano: le furbizie, le corruzioni, le mascalzonate, la bagarre. Ci sarà un po’ di tutto, mescolato e riadattato nel nostro spettacolo». Non ci sarà spazio per le piccolezze della politica nostrana però: «A trote e altri aspetti di bassa macelleria non ci voglio nemmeno pensare. Non vogliamo sporcare la nostra opera con queste bassezze».
dario foDa premio Nobel (vinto nel 1997), il giudizio sullo stato della cultura nostrana è tranchant: «È un periodo nero, nefasto. Si trattano la cultura e gli intellettuali come fossero operai senza diritti. I nostri governanti tagliano quello che ritengono superfluo o pericoloso, come la cultura e la satira, ma così fanno del male a tutto il sistema – chiosa Fo -. Fino a vent’anni fa era più facile fare cultura, c’erano spazi e risorse maggiori: tanti attori che si sono formati con me e Franca hanno avuto possibilità che i giovani di oggi si sognano. In giro per l’Europa non è così, sebbene ci sia la crisi anche là: in Francia, Germania, Inghilterra c’è più spazio, più possibilità di iniziativa. Lo vedo andando in giro. Qui da noi manca la volontà, oltre che le risorse. In Italia questa crisi produce silenzio, e il silenzio è uguale a morte».
 
Anno: 

La casa editrice...

Ho messo in piedi nel 1975 una piccolissima casa editrice, pubblicavo unicamente i testi che mettevamo in scena. Lavoravo tantissimo. Con frenesia.
Ero l’editore, il direttore, il segretario, il correttore di bozze. Tutto da sola. Sempre al computer.
 
Come mi organizzavo?
Prima mossa: aggiornamento del copione rispetto all'ultima rappresentazione, didascalie, foto e documentazione.
 
E la punteggiatura?
E’ importantissima per un testo teatrale. Serve per dare le intonazioni. Conosco: i ritmi, i tempi, la sintesi indispensabile quando si recita.
 
Mi piace la carta, ne compero 12 risme per volta. Un pesooooo!
I fogli usati da una sola parte  li conservo per appunti, colpa della mia mamma che m'ha insegnato l'economia. Non ad essere economa, proprio "l'economia”.
 
Quando il testo era pronto lo consegnavo alla tipografia scegliendo carta, caratteri, impaginazione. Correggevo le prime bozze, le seconde, decidevo la copertina, se ero fortunata Dario mi dava una mano per la scelta del colore e il disegno da metterci sopra… questo lo faceva immediatly!
 
Quando usciva il libro, lo guardava come fosse un miracolo: "Bello! Brava!" E stop. Il suo interesse finiva qui… con un bacio sul naso.
Questo non significava che non gliene importasse niente.  Anzi, gli faceva molto piacere vederli ben allineati sul nostro banco di vendita durante gli spettacoli con me dietro che li decantavo.
"Li ha fatti Franca" diceva e dentro c'era anche orgoglio per me.
 
Che piacere mi faceva!!
 
Ma se fosse per lui non avremmo nulla in archivio, nulla stampato, nessuna registrazione degli spettacoli.
E' fatto così.  Non ha interesse per il suo "passato prossimo".
 
Dopo tanti anni di vita in comune, ma sopratutto di lavoro in comune, dopo mille arrabbiature per tanta indifferenza verso le sue "cose", sono arrivata alla conclusione di aver vissuto con l'uomo meno ambizioso della terra.
 
Un testo gli interessa quando nasce… crearlo, costruirlo, muoverlo, dipingerlo.  E quando è passato, è passato!
 
Fantastico Dario!
 
Franca Rame
 
 
Argomento: 
Anno: 

[STAMPA] La vita e il Teatro fuori dalle regole - 2° parte

Continua dalla prima parte
I detenuti, come  descrivevano nelle loro lettere, passate di nascosto ai familiari, stavano rinchiusi in celle minime, con una luce tenue che entrava a fatica dalla finestrella dalle pesanti grate. Arrivati al porto d’Alghero troviamo un motoscafo ad attenderci. Sole, aria tra i capelli… libertà.
 
Respiro a fondo. La vita non mi sorride. Una mano pesante mi preme l’anima. Arriviamo all’imbarcadero dell’isola: ecco Cardullo, il signor direttore ad attenderci. Stringo una mano umida senza un sorriso. Non mi viene. Per arrivare alla zona carceraria,  saliamo su di una jeep. Balliamo senza divertirci, sulla strada bianca che sembrava un gruviera.
Ero un po’ agitata. Nervosa e agitata.
Finalmente mi troverò faccia a faccia con persone che seguo da tempo per corrispondenza.Eccoci arrivati ai fornelli. Scendiamo.
Il dottor Cardullo: “Vi accompagna il maresciallo. Vi aspetto qui.” E si siede sul bordo di una fontanella. Lo sento molto teso.
 
Entriamo uno stabile a un solo piano: lunghi corridoi con porte di legno annose: marrone bruciato, lucchettate. Mamma mia quante!
“Chi vuol vedere signora?”
“Tutti.”
Le porte di legno vengono spalancate: mi trovo davanti altri cancelli con sbarre di ferro. Il maresciallo: “Qui c’è Sofia, qui, Franceschini, qui… e qui…
Mi avvicino alla cella semibuia di Franceschini.
Si sta facendo la barba.
Lo chiamo: Roberto…
Gira la testa appena per un attimo e riprende a radersi.
Alzo la voce. “Non mi saluti?”
Si avvicina lento.
Arriva alle sbarre, allunga una mano, che stringe con calore la mia.
“Scusa… pensavo fosse un miraggio…”
In un attimo tutti sanno che sono lì.
Con loro.
 
Un coro di voci, di parole affettuose, d’incredulità… Mi si chiude la gola. Ehhh sì… mi viene da piangere. Una dopo l’altra stringo tante mani… baci affettuosi tra le sbarre.
Gran momento.
Ho sempre scritto ai miei detenuti per reati politici “Non potrò mai condividere le tue scelte, ma difenderò con tutte le mie forze il tuo diritto ad avere colloqui con la tua famiglia, visita medica, gli occhiali se non ci vedi ecc.”
Pietro Sofia ha il viso gonfio. “Che è successo?”
“Mal di denti… ma il dentista non c’è.”
“Come passi la giornata?”
“Abbiamo un’ora d’aria in un cortiletto qua dietro… ma le pareti del muro sono bianche che più bianche non potrebbero essere… abbiamo tutti male agli occhi, dobbiamo ripararli con le mani…”
Pareti bianche: la stessa tortura era stata usata nelle carceri di massima sicurezza in Germania per i componenti del gruppo Baader Meinhof.
 
All’uscita dai fornelli, torniamo, caricando sulla jeep il Cardullo. Veniamo  accompagnati nella elegante abitazione del direttore dove ci attende la moglie elegantissima in un abito fresco a fiori bianco e nero lungo sino ai piedi. Che eleganza, mi sembrava di essere al Grande Hotel di Cesenatico.
Il pranzo è pronto.
Con il mio amico senatore c’eravamo detti:  “Non possiamo rifiutare l’invito a pranzo – che ci era stato preannunciato – ma mangiamo pochissimo…” Ci accomodiamo alla tavola imbandita con molta ricercatezza e ci vengono serviti spaghetti che solo al ricordo, mi si riempie la bocca di saliva: fantastici!
Scambio un’occhiata assassina e minacciosa con XX e inizio a mangiare. Una forchettata… due… e smetto.
Mi imita tristemente il mio povero senatore.
 
Terminato il pranzo riprendiamo il motoscafo e si ritorna ad Alghero commentando sconvolti quello che abbiamo visto.
Come scendiamo all’imbarcadero troviamo il dott. Bondonno che lavorava presso il Ministero di Grazia e Giustizia a Roma. Informato della nostra visita si era precipitato  all’Asinara in aereo. Si presenta facendoci una grande festa… come fossi una sua vecchia amica.
Ho sete e appetito. Andiamo in un bar. Parlo, parlo, parlo. Sono indignata. Turbata.  Bondonno si meraviglia di quanto racconto. “Possiamo darci del tu? Sono socialista. Cosa posso fare? Potrei mettere dei bigliardini nelle celle..”
Lo guardo interdetta.
“Posso fare una telefonata al carcere?” chiedo.
“Ma certo… con chi vuoi parlare? Col direttore?”
“No, con un detenuto: Pietro Sofia.”
Passa una mezz’oretta e drin: eccolo al telefono.
“Pietro…” “Che succede?” è agitato. “Nulla… volevo salutarti… sono col dott. Bondonno… ti serve qualcosa?”
“Sì… una pastiglia per il mal di denti…”
“Farà di meglio il dott. Bondonno… ti manderà dal dentista.”
Immediatamente il ministeriale chiama il Cardullo e dà l’ordine.
A qualcosa la mia visita è servita.
 
Tornata a casa scrivo immediatamente tutto quel che avevo visto. Il mio articolo esce su Repubblica.
Cardullo dopo qualche tempo è stato messo sotto inchiesta per ammanchi nell’amministrazione… ma niente carcere che io sappia.
Quante sono state le denuncie di orrori, di vere e proprie torture perpetrate nelle varie carceri, nelle carceri speciali, braccetti della morte, manicomi criminali, veri mattatoi degli inermi che ho portato a conoscenza dell’opinione pubblica? Quante sono state le campagne, perché i diritti civili (carcere e mondo) degli individui fossero rispettati?
Quanti sono stati gli spettacoli, gli interventi nelle fabbriche che con Dario abbiamo tenuto in sostegno a lotte rivendicative?
Quante sono le persone disperate che si sono rivolte a noi per aiuto, morale e finanziario?
Tante, tante, tante.
 
Ho avuto una lunga vita, e sono felice all’alba dei miei 83 anni, di averla vissuta come l’ho vissuta: entusiasmo, disponibilità, partecipazione, e disperazione.
Quando non riesco prender sonno, ripasso nella mente tutte le persone che ho avuto la fortuna d’incontrare… modeste, umili, sorridenti e piangenti… bisognosi anche solo per un conforto… poter parlare, sfogarsi con qualcuno che li stia ad ascoltare con amore. Tante.
Ho conosciuto anche i cattivi i violenti, gli stupratori, gli assassini.
Ho conosciuto, ovviamente anche qualche furbo… ma quelli si eliminano da soli.
Persone, ragazze, donne uomini… madri disperate, tossicodipendenti… insomma… il mondo.
 
Ma che bella vita!
 
Franca Rame
 
Anno: 

Le elementari ..."Sguercina!" .."Marchiata da Dio!"

A scuola ero sempre un po’ isolata a causa della mia famiglia.  Parlando di me, le mie compagne dicevano: è quella del teatro… e non suonava come un complimento.
C’era disprezzo.
Cosa significasse per quelle bimbe di 7-8 anni essere "quella del teatro” non lo saprò mai. Non ho mai osato chiederlo. Comunque, doveva essere giudicata una cosa non bella…  forse, “disonorevole”. Ero a disagio.

Guardavo la mia famiglia tanto unita… la mia bellissima mamma, mio padre con i suoi capelli bianchi… (li aveva così sin da giovane) mio fratello, le sorelle, i miei parenti e non vedevo nulla di diverso dalle altre famiglie. Quella ha il babbo che fa il droghiere, l’altra il calzolaio, l’altra il tappezziere… IL  medico, ill parruchere… i miei genitori facevano il teatro. E allora?
Ero vestita come le altre, tirata a pomice dalla mia mamma… educata, gentile.
Niente. Nessuno mi guardava.
Non riuscivo a farmi nessuna amica.
 
Il fatto è che io non ero nata in quel paese, venivo da fuori. Noi si stava fermi, con casa e tutto per un periodo, poi ci si spostava… Attori girovaghi.
Un giorno mi sono avvicinata ad un gruppetto di bambine, ero in terza elementare… parlavano fitto… poi sono scoppiate a ridere. Non sapevo perché, ma ho riso anch’io… forte, per farmi notare pensando anche di far loro piacere. Si zittiscono.
Una, la capa, mi guarda con vera antipatia e mi sibila un: "Vattene sguercina!". “Marchiata da Dio!” mi dice un’altra, senza sorridere.
Mi sono allontanata senza capire.
“Marchiata da Dio!” “Sguercina?”. Perché?  Cosa vuol dire? L’ho chiesto alla maestra… ho in mente una anziana  signora severa… ho avuto difficoltà ad esprimermi… ero agitata.
 
Mi guarda imbarazzata.
Con delicatezza accenna al mio strabismo.
Non sapevo nemmeno di esser strabica. Nessuno in famiglia mi aveva mai detto niente.
Ma non farci caso, sono cattive e tu sei una bellissima bambina.
In quel momento ho realizzato nella carne che ero diversa dalle altre. Dagli altri.
Ho gli occhi storti. “Marchiata da Dio!”
Oddio,che faccio? Ero sconvolta.
 
Sembra niente… ma vi assicuro che improvvisamente avevo perso la voglia di ridere, parlare, studiare.
M’era presa la vergogna di essere al mondo, di essere guardata.
Entravo in classe tenendo gli occhi chiusi, raggiungevo il mio posto toccando i banchi, mi sedevo e non c’ero più. Uscita, assente. La maestra viveva il mio dolore e non sapeva come aiutarmi.
Mi chiamava per interrogarmi, andavo alla cattedra sempre da cieca, e pur conoscendo la risposta, stavo zitta.
Lei insisteva appena e poi – “tranquilla… riproviamo domani. Ti ho portato un regalino…” e mi dava 2 caramelle.

Mentre tornavo al posto  sentivo i suoi occhi che mi seguivano e al tempo stesso guardavano  le altre bambine con disapprovazione. Ne ero certa.
Ogni giorno uguale all’altro.
Ero in sciopero dalla vita.
 
Parlo pesante, ma ho veramente vissuto tutto questo.
I tentativi della maestra di sbloccare il groppo che avevo in gola, non servivano. Nell’intervallo (io me ne stavo per mio conto con gli occhi chiusi appoggiata al muro) una della mia classe mi si avvicina… sbircio appena… lei mi sorride, mi prende una mano e mi ci mette sopra una caramella. Non  sono riuscita a dire nemmeno grazie.
Me la sono ficcata in tasca e l’ho conservata non so per quanto tempo. Mai mangiata.
Persa.
I traslochi.
Peccato.
Quella caramella, quel gesto  m’ha dato molto da pensare. Sì mi avevano detto sguercina, e “Marchiata da Dio!” ma forse non era una cosa così brutta come pensavo...
La caramella donata all’improvviso, mi aveva messo in crisi.
Erano state cattive… o ero io ad essere permalosa oltremisura, come mi diceva sempre la mia mamma? A quella età non si misurano le cose con il giusto metro. Né da una parte, né dall’altra.
Forse ho esagerato a prendermela tanto… sì devo proprio aver esagerato… mi ero anche chiusa come un riccio… forse ero diventata proprio antipatica… anche la maestra così gentile e io sempre a non rispondere alle interrogazioni…
Che fare? Penso. Deciso. Natale. A natale…
 
Lavoro sodo con carta velina colorata e forbici. Una certa mia zia Ida, mi aveva insegnato a fare cose miracolose con la carta velina. Taglia, incolla, taglia-incolla carta colora… forza…
Quante me ne mancano?
Finalmente: finito!
 
Arrivo a scuola con addosso l’incertezza di quanto stavo per fare… non mi sentivo sicura di niente. Insomma, piena di complessi sin d’allora, vado al  mio posto con gli occhi semichiusi… e mi si ferma il cuore.
Il mio banco era pieno di caramelle, bigliettini di tutte le forme… a cuore, dorati… disegnati… gentilezze insomma.
Che potevo fare dopo tanto tempo di disperazione e silenzio se non scoppiare a piangere?
Emotiva fin da piccola.
Tutte le bimbe mi vengono intorno,  mi abbracciano, si stringono a me… arriva anche la maestra… anche lei mi abbraccia. “buon natale!!!!”.
Estraggo dalla cartella i, credo 12, pacchettini, più uno per la signora maestra: “buon Natale anche da parte mia” bisbiglio.
Curiose scartavano il mio regalino. Esclamazioni di meraviglia. Cosa avevo fatto? Avevo per ognuna intagliato nella carta velina il nome, poi l’avevo dipinto con fiorellini d’argento, d’oro, rosati... Per la maestra avevo intagliato 13 testoline con i nomi di tutte le sue alunne.
Pace era fatta.
Contentaaa!   

A 9 anni, mia madre mi portò a Novara dove un certo dott. Boccia, mi ha operato per raddrizzarmi l’occhio sinistro.
No, non è andato bene l’intervento. Fatto si è che cresco. Ogni anno cambiavo paese e scuola. Credo di non aver più fatto caso alla gente che mi stava intorno… non ricordo nulla di particolare.
Collegio san Ambrogio di Varese.  Media borghesia, ricchi e riccotti.
Lì non sentivo emarginazione a causa del lavoro della mia famiglia. Mi trovavo bene tra tanta gente. Eravamo in tante… mi ero fatta un’amica, ma proprio amica. Era una ragazzina minuta, i capelli corti, molto timida. Con me parlava.
Allora non lo potevo capire. Ne sentivo solo il peso.
 
Franca Rame
Argomento: 
Anno: 

[STAMPA] Mostre, "Funerali anarchico Pinelli" dopo 40 anni a Palazzo Reale

"I funerali dell'anarchico Pinelli" di Enrico Baj sarà a palazzo Reale a 40 anni esatti dalla morte di Luigi Calabresi e dalla sua prevista esposizione proprio nella Sala delle Cariatidi il 17 maggio 1972, quando l'inaugurazione della mostra fu sospesa per l'assassinio del commissario.
 
Lo ha voluto l'amministrazione comunale, che nel programma delle rassegne artistiche di quest'anno ha fissato per maggio la rassegna "Addio anni '70. Arte a Milano". E' all'interno di questa che troverà posto di primo piano l'opera dell'artista milanese, "pittura civile" diventata uno dei totem del movimento anarchico.
 
Oggetto 40 anni fa di forti polemiche, il grande pannello di tre metri per 1,2 è stato conservato finora alla Fondazione Marconi. A maggio, proprio in coincidenza dell'anniversario dell'omicidio Calabresi, tornerà nel luogo in cui avrebbe dovuto essere "battezzato".
 
A presentare l'iniziativa stamani, con il programma annuale delle mostra promosse dal Comune, l'assessore alla Cultura Stefano Boeri, nella Sala delle otto Colonne di palazzo Reale. Presenti tra gli altri Dario Fo e Franca Rame, a cui sempre a palazzo Reale sarà dedicato un evento fra marzo e giugno. (Omnimilano.it)
 
Anno: 

[STAMPA] La vita e il Teatro fuori dalle regole - 1° parte

Il 1968. Nell’autunno del 68 con Dario decidiamo di abbandonare il circuito teatrale tradizionale, ufficiale e mettere a disposizione il nostro lavoro, la nostra vita – e non sto enfatizzando – con un impegno diretto di quella parte di pubblico che normalmente viene ignorata dal teatro ufficiale: operai, casalinghe, studenti, contadini. Pubblico che solo in questi ultimi anni viene intruppato e portato con pullman nei teatri del centro, organizzati da Cral e Sindacato.
Riprendendo la tradizione di mio padre portiamo il nostro teatro in piccoli centri, nei quartieri periferici, nelle fabbriche occupate, nei palazzetti dello sport. Insomma, decidiamo di metterci a disposizione della classe alla quale sentivamo di appartenere, il proletariato. Detto oggi, così, a distanza di anni suona un po’ tromboneggiante, allora no.
Suonava bene.
Otteniamo una risposta straordinaria: una folla di giovani, studenti, operai, ragazze, donne sono ogni sera presenti. In qualsiasi posto si svolga lo spettacolo i locali sono gremiti all’inverosimile. Nei palazzetti dello sport, ci abbiamo messo anche 12 mila persone.
Che testi recitavamo? Il quotidiano. La vita della gente, le difficoltà.
Il materiale lo trovavamo a iosa.
Erano tempi brutti. Gli incassi spesso vanno a fabbriche in occupazione, che grazie alla sopravvivenza che gli è garantita dagli spettacoli, in certi casi, come per la Sampas di Milano, tengono duro e alla fine vincono la causa contro il padrone.
Quando Dario mi ha proposto di lasciare le strutture tradizionali e di portare il nostro teatro per “boschi e prati” non mi diceva niente di nuovo, per tanto tempo l’avevo fatto con mio padre.
Per anni, esattamente 21, mi sono occupata di detenuti per reati politici, carceri, processi, difesa dei diritti civili. In un secondo tempo, spinta dai detenuti politici, mi sono occupata anche di quelli per reati comuni, per un totale di oltre 800 persone: donne e uomini.
All’inizio ero in grande difficoltà con i detenuti per reati comuni.
Sono nata in una famiglia onesta e laboriosa, dove senza prediche ma con l’esempio, mi si insegnava a rispettare e amare il prossimo, ad avere comprensione e aiutare chi stava in difficoltà. Ma un ladro era un ladro e un assassino era un assassino.
Ci ho pensato un po’ su. Poi mi sono decisa. Scrivevo una letterina stringata tipo: “Ho avuto il tuo nominativo da… fammi sapere per quale reato sei detenuto, condanna, condizioni tua famiglia… tuoi bisogni.” Insomma, avevo bisogno d’inquadrarlo.
Mi arrivavano risposte che mi turbavano. Furto con rapina, omicidio…
Ci pensavo sopra un po’. Certo che al figlio di Agnelli non può capitare di finire in galera per omicidio in treno mentre ti esibisci in “un furto con destrezza…” a un omone che si mette a gridare e giustamente reagisce. Il guaio è che se hai una pisola in tasca… te lo trovi morto ai tuoi piedi quasi senza accorgerti.
“Come ti giustifichi?”, chiedevo.
“Avevo la ragazza incinta… eravamo venuti dal sud, senza casa, senza nulla… nemmeno il paltò e da voi fa molto freddo”.
Povero Pietro hai pagato il tuo reato.
Quanti anni di carcere ti sei fatto? 25, poi scesi a 17.
Per ottenere permessi di colloquio con i detenuti ho dovuto fare salti mortali, ogni volta gabole varie. Arrampicandomi sui muri della burocrazia giudiziaria, sono stata molto aiutata dal segretario di gabinetto del ministro Bonifacio.
Grazie a lui sono riuscita a entrare in molte carceri d’Italia, parlare con i detenuti, i direttori, i giudici di sorveglianza, i famigliari. Sono entrata persino nella “famigerata isola del diavolo”: l’Asinara Carcere Speciale Istituto di massima sicurezza in Sardegna per merito di Mimmo Pinto di Napoli, il più giovane senatore d’Italia. Abbiamo conosciuto  finalmente il tristemente famoso direttore dott. Cardullo, vera macchina per l’annientamento psicofisico dei detenuti, classico paranoico da studio psichiatrico.
Siamo arrivata all’isola, molto nervosi. Avevo addosso un abito a colori vivaci, festoso.
Scelto per l’occasione.
Il mio vestito doveva portar loro i colori della vita… e non della morte che stavano vivendo.
(continua)
 
Anno: 

[STAMPA] Gli indomabili Dario Fo e Franca Rame

Ovazione per il loro 'Mistero buffo' nato 42 anni fa
"Lo spettacolo cambia sempre perché sono gli eventi della vita, la politica e la società a rinnovarlo di continuo", spiega l'attore 85enne con la stessa grinta di sempre

dario fo

 
Firenze, 02 febbraio 2012 - ALLA FINE Dario Fo e Franca Rame ricevono ovazioni trionfali, e la gente non se ne vuole andare. La coppia indomabile - 85 anni lui, 82 lei- sta portando in giro “Mistero buffo” 42 anni dopo il suo esordio in una fabbrica milanese dismessa. L’occasione è storica quanto lo spettacolo, che viene ovunque preso d’assalto (qui siamo all’Obi Hall di Firenze). Questo straordinario affresco di cultura popolare, pantomime, giullarate che racconta i Vangeli dal basso in un dialetto ibrido e inventato, vanta ormai più di 4mila repliche in tutto il mondo. "Cambia sempre perché sono gli eventi della vita, la politica e la società a rinnovarlo di continuo", anticipa Fo prima di cominciare.
Avevate paura di trovare in questo ritorno segni di stanchezza, malinconie di decadimento fisico? Ma quando mai: il carisma è quello, inintaccato. Lo slancio satirico non appare spento, semmai è la poesia semplice e schietta dell’insieme che si esalta in un corpo scenico più saggio, cauto nel dispendio fisico perché consapevole degli impacci, del rischio della goffaggine e in compenso più ricco di sottintesi, pause, sottigliezze argute. Il Fo in camicione nero che distribuisce le due ali di pubblico accanto a lui sul palcoscenico improvvisando gag (è uno spettacolo nello spettacolo, e l’astuto Dario lo ha sempre usato) promette scintille. Solo la sua voce, dopo un intervento alle corde vocali, trema appena ma sull’onda della passione narrativa Fo sa tirarla fuori e manovrarla come ai tempi migliori.
ED ECCO la galleria impagabile che rivedremmo mille volte nella vita: si comincia con la resurrezione di Lazzaro dove il gran giullare fa una ventina di personaggi, poi entra Rame per raccontarci la Genesi in un dialetto del centro-sud; ma è nella seconda parte, con l’impagabile vestizione di Bonifacio VIII che Fo può andare a briglia sciolta perché in ballo c’è il discorso sul potere e si può spaziare. Tra memorie senza troppi rimpianti, esortazioni da guru (“Siate liberi, specie in questi momenti”), scappellotti bonari al sindaco Renzi e pezzi di gregoriano sfidando la voce malferma, si arriva al lamento di Maria sotto la croce con Franca Rame. 'Il pezzo forte della serata!', annuncia con modestia cavalleresca Dario, rinsaldando il vincolo di questa coppia unica e irripetibile che continua a sprigionare contro ogni usura del tempo un’allegria celestiale.
Sergio Colomba
Anno: 

E’ un genio, ma in casa è nullafacente...

Dario sta scrivendo dalle 7. Oggi ha dormito un po' di più. Ogni tanto mi chiede qualcosa che sta nel sito: "Vorrei quel tal pezzo che parla di una tigre..." "Eccolo" gli dico dopo 12 secondi. Mi guarda sbalordito, e: "Ma che brava!!!" Dolce Dario.
 
Non sa nulla di computer per lui è un miracolo misterioso. Succede lo stesso quando salta la luce: arriva con una candela e quasi nel panico mi dice: “E' saltata la luce... Siamo al buio... Che si fa?” ... Pausa. Sto zitta e pensosa... Poi: “Chiamiamo i vigili del fuoco... o i carabinieri...” Indi mi alzo. “Vieni con me... Fammi luce.” Arrivo al contatore e faccio ciò che qualsiasi essere normale fa in questi casi. Sollevo la levetta. Torna la luce. Dario mi abbraccia e bacia come tornassi da un viaggio pericoloso in Palestina e mi sussurra “Che brava sei!!!?
E’ un genio... Ma in casa è nullafacente. Lo amo tutto. Lo amo così com’è.
 
Franca Rame
Argomento: 
Anno: 

[STAMPA] Franca Rame e Ken Loach firmano l'appello di "Liberazione"

(ANSA) ROMA, 31 GEN- C'e' anche il regista inglese Ken Loach tra i firmatari dell'appello per salvare Liberazione, diffuso alla vigilia del tavolo di confronto che potrebbe decidere le sorti del quotidiano di Rifondazione Comunista. Nel documento si chiede al governo un intervento immediato.
 
Hanno aderito, tra gli altri, Dario Fo, Franca Rame, Paolo Rossi, Gianni Mina', Susanna Camusso, Antonello Venditti, Francesco Carofiglio, Franco Piperno, Bruna Bellonzi-Curzi, Candida Curzi, Luciana Castellina, Rossana Rossanda.
 
fonte: ansa.it
Argomento: 
Anno: 

Freud e il trauma dell’evasore beccato.

Evasori: siccome è l’anonimato che li nutre, li protegge e li moltiplica, nulla risulta (e risulterà) più efficace dello svelamento in pubblico per farli prontamente redimere, dopo avere saldato il conto con l’erario, eventualmente con la legge, di sicuro con l’educazione civica. Chi dubita del metodo, chi accampa il diritto alla privacy, non sa o non vuole sapere che è proprio di una caccia alle streghe che abbiamo bisogno, perché sono le streghe che ci assediano.

Travestite da gioiellieri che campano con mille euro al mese. Da banchieri con i commercialisti a Lugano, eccetera. Si è visto quanto terrore generò quella passeggiata a Cortina degli ispettori in divisa, quanti scontrini fiscali comparvero, quante volpi argentate, invece, sparirono.

Accadde lo scorso 30 dicembre, ma ancora se ne parla come di un mirabile portento, accaduto appena ieri nella terra degli evasori. Un portento tramandato dai leali contribuenti ai propri figli per farli addormentare sereni. E invece mimato con strepiti e fiamme dai titolari dei Suv sdraiati davanti ai rispettivi psicoanalisti, anche loro colpiti dalla stessa insonnia, dagli stessi incubi che hanno la terribile faccia della fattura fiscale.

Il Fatto Quotidiano, 27 Gennaio 2012

 

Anno: 

[STAMPA] “Tutti a Teatro”: recensione di Mistero Buffo all'Obihall

Due veri e propri “disgraziati” – come si audefiniscono a fine spettacolo – sono quei due geniacci di Dario Fo e Franca Rame, che dovranno prima o poi spiegare come si fa ad avere 167 anni in 2 e non sentirli…
 
In un Obihall stracolmo in ogni ordine di posti la coppia per eccellenza del Teatro italiano ha riproposto Mistero Buffo, l’opera teatrale forse più colta e impegnata della Satira italiana. Un’opera scritta e portata in scena nel ’69, che mantiene intatta la sua aderenza con la realtà perchè – come dice lo stesso Fo – “tutto cambia ma in fondo solo il Potere e la Politica non cambiano mai”.
 
Strutturato per “giullarate” che riprongono di volta in volta episodi del Vecchio e del Nuovo Testamento o personaggi storici della Santa Romana Chiesa, Mistero Buffo si propone quindi come opera “sacra” (Mistero) e “satirica” (Buffo), smascherando le umane bassezze – sopratutto quelle dei “potenti” – attraverso il rovesciamento delle gerarchie e dei ruoli, raccontando il tutto attraverso le voci dei protagonisti ma anche della gente comune, che parlano in vari dialetti, rimodellati secondo studi approfonditi sulla magnifica varietà di linguaggio che caratterizza l’Italia sin dal Medioevo.
Ed è così che i miracoli della moltiplicazione dei pani e dei pesci e quello della resurrezione di Lazzaro vengono raccontati dal punto di vista di un becchino e di “cadregaro” che al seguito del Nazareno, discorrono e litigano in veneziano, fino ad arrivare a scommettere – l’uno pro e l’altro contro – sulla riuscita o meno del miracolo.
Così il racconto biblico della nascita dell’ “uomo” viene raccontato attraverso la versione dei vangeli apocrifi. E’ quindi Eva il primo “uomo” sulla Terra. Ma è una Eva che parla un dialetto maedievale del centro-sud Italia, che scopre le meraviglie del creato e del suo proprio corpo, che incontra gli Dei pagani caduti in digrazia, che incontra anche il primo uomo, di cui proprio non riesce a spiegare la rozzezza del “corteggiamento”.
 
Bonifacio VIII è il protagonista della terza “giullarata”: l’arrogante e livoroso papa Bonifax – già accusato da Jacopone da Todi di aver trattato come “putta” la “Romana Iglesia” e messo all’inferno da Dante prima ancora della sua dipartita – viene messo alla berlina e sbeffeggiato per la sua boria e per la sua lussuosità, che tanto poco si addicono al rappresentante di Cristo in Terra. Il surreale e goffo Papa si confronta e si scontra quindi col Cristo stesso, uscendone naturalmente malconcio. Il tutto condito – anche qui – in salsa veneziana.
 
La quarta e ultima “giullarata” – in lùmbard stavolta – riporta invece lo strazio e il dolore di una madre che soffre per la morte di un figlio. La storia è quella de La Madre – Maria – che piange il martirio di suo figlio: una madre che non accetta il sacrificio “divino” del “suo sangue”, e che invece – come farebbe qualsiasi altra madre terrena – invoca la pietà delle guardie, e poi l’aiuto delle altre donne, alla ricerca di una condivisione del dolore, sentimento proprio di qualsiasi essere umano.
 
L’aderenza alla contemporaneità sta proprio nel trattare temi universali e quindi sempre attuali. E’ stato poi merito di Fo ricollegarli a personaggi odierni, riallanciandosi naturalmente alla grande tradizione satirica toscana – fiorentina in particolare – alla quale non ha nascosto di essere molto legato. E così quel Papa Bonifax diventa – per il suo ricatto di voler spostare via da Roma la Santa Sede – lo spunto per sbeffeggiare Marchionne. Ma allo stesso modo cadono nelle spire della satira anche gli altri “potenti” di oggi: da Berlusconi a Monti, da Benedetto XVI a Renzi, e su quest’ultimo vi lascio immaginare gli applausi scroscianti…
Giovanni Piccolo
 
fonte: unicitta.it
Anno: