A scuola ero sempre un po’ isolata a causa della mia famiglia. Parlando di me, le mie compagne dicevano: è quella del teatro… e non suonava come un complimento.
C’era disprezzo.
Cosa significasse per quelle bimbe di 7-8 anni essere "quella del teatro” non lo saprò mai. Non ho mai osato chiederlo. Comunque, doveva essere giudicata una cosa non bella… forse, “disonorevole”. Ero a disagio.
Guardavo la mia famiglia tanto unita… la mia bellissima mamma, mio padre con i suoi capelli bianchi… (li aveva così sin da giovane) mio fratello, le sorelle, i miei parenti e non vedevo nulla di diverso dalle altre famiglie. Quella ha il babbo che fa il droghiere, l’altra il calzolaio, l’altra il tappezziere… IL medico, ill parruchere… i miei genitori facevano il teatro. E allora?
Ero vestita come le altre, tirata a pomice dalla mia mamma… educata, gentile.
Niente. Nessuno mi guardava.
Non riuscivo a farmi nessuna amica.
Il fatto è che io non ero nata in quel paese, venivo da fuori. Noi si stava fermi, con casa e tutto per un periodo, poi ci si spostava… Attori girovaghi.
Un giorno mi sono avvicinata ad un gruppetto di bambine, ero in terza elementare… parlavano fitto… poi sono scoppiate a ridere. Non sapevo perché, ma ho riso anch’io… forte, per farmi notare pensando anche di far loro piacere. Si zittiscono.
Una, la capa, mi guarda con vera antipatia e mi sibila un: "Vattene sguercina!". “Marchiata da Dio!” mi dice un’altra, senza sorridere.
Mi sono allontanata senza capire.
“Marchiata da Dio!” “Sguercina?”. Perché? Cosa vuol dire? L’ho chiesto alla maestra… ho in mente una anziana signora severa… ho avuto difficoltà ad esprimermi… ero agitata.
Mi guarda imbarazzata.
Con delicatezza accenna al mio strabismo.
Non sapevo nemmeno di esser strabica. Nessuno in famiglia mi aveva mai detto niente.
“Ma non farci caso, sono cattive e tu sei una bellissima bambina.”
In quel momento ho realizzato nella carne che ero diversa dalle altre. Dagli altri.
Ho gli occhi storti. “Marchiata da Dio!”
Oddio,che faccio? Ero sconvolta.
Sembra niente… ma vi assicuro che improvvisamente avevo perso la voglia di ridere, parlare, studiare.
M’era presa la vergogna di essere al mondo, di essere guardata.
Entravo in classe tenendo gli occhi chiusi, raggiungevo il mio posto toccando i banchi, mi sedevo e non c’ero più. Uscita, assente. La maestra viveva il mio dolore e non sapeva come aiutarmi.
Mi chiamava per interrogarmi, andavo alla cattedra sempre da cieca, e pur conoscendo la risposta, stavo zitta.
Lei insisteva appena e poi – “tranquilla… riproviamo domani. Ti ho portato un regalino…” e mi dava 2 caramelle.
Mentre tornavo al posto sentivo i suoi occhi che mi seguivano e al tempo stesso guardavano le altre bambine con disapprovazione. Ne ero certa.
Ogni giorno uguale all’altro.
Ero in sciopero dalla vita.
Parlo pesante, ma ho veramente vissuto tutto questo.
I tentativi della maestra di sbloccare il groppo che avevo in gola, non servivano. Nell’intervallo (io me ne stavo per mio conto con gli occhi chiusi appoggiata al muro) una della mia classe mi si avvicina… sbircio appena… lei mi sorride, mi prende una mano e mi ci mette sopra una caramella. Non sono riuscita a dire nemmeno grazie.
Me la sono ficcata in tasca e l’ho conservata non so per quanto tempo. Mai mangiata.
Persa.
I traslochi.
Peccato.
Quella caramella, quel gesto m’ha dato molto da pensare. Sì mi avevano detto sguercina, e “Marchiata da Dio!” ma forse non era una cosa così brutta come pensavo...
La caramella donata all’improvviso, mi aveva messo in crisi.
Erano state cattive… o ero io ad essere permalosa oltremisura, come mi diceva sempre la mia mamma? A quella età non si misurano le cose con il giusto metro. Né da una parte, né dall’altra.
Forse ho esagerato a prendermela tanto… sì devo proprio aver esagerato… mi ero anche chiusa come un riccio… forse ero diventata proprio antipatica… anche la maestra così gentile e io sempre a non rispondere alle interrogazioni…
Che fare? Penso. Deciso. Natale. A natale…
Lavoro sodo con carta velina colorata e forbici. Una certa mia zia Ida, mi aveva insegnato a fare cose miracolose con la carta velina. Taglia, incolla, taglia-incolla carta colora… forza…
Quante me ne mancano?
Finalmente: finito!
Arrivo a scuola con addosso l’incertezza di quanto stavo per fare… non mi sentivo sicura di niente. Insomma, piena di complessi sin d’allora, vado al mio posto con gli occhi semichiusi… e mi si ferma il cuore.
Il mio banco era pieno di caramelle, bigliettini di tutte le forme… a cuore, dorati… disegnati… gentilezze insomma.
Che potevo fare dopo tanto tempo di disperazione e silenzio se non scoppiare a piangere?
Emotiva fin da piccola.
Tutte le bimbe mi vengono intorno, mi abbracciano, si stringono a me… arriva anche la maestra… anche lei mi abbraccia. “buon natale!!!!”.
Estraggo dalla cartella i, credo 12, pacchettini, più uno per la signora maestra: “buon Natale anche da parte mia” bisbiglio.
Curiose scartavano il mio regalino. Esclamazioni di meraviglia. Cosa avevo fatto? Avevo per ognuna intagliato nella carta velina il nome, poi l’avevo dipinto con fiorellini d’argento, d’oro, rosati... Per la maestra avevo intagliato 13 testoline con i nomi di tutte le sue alunne.
Pace era fatta.
Contentaaa!
A 9 anni, mia madre mi portò a Novara dove un certo dott. Boccia, mi ha operato per raddrizzarmi l’occhio sinistro.
No, non è andato bene l’intervento. Fatto si è che cresco. Ogni anno cambiavo paese e scuola. Credo di non aver più fatto caso alla gente che mi stava intorno… non ricordo nulla di particolare.
Collegio san Ambrogio di Varese. Media borghesia, ricchi e riccotti.
Lì non sentivo emarginazione a causa del lavoro della mia famiglia. Mi trovavo bene tra tanta gente. Eravamo in tante… mi ero fatta un’amica, ma proprio amica. Era una ragazzina minuta, i capelli corti, molto timida. Con me parlava.
Allora non lo potevo capire. Ne sentivo solo il peso.
Franca Rame