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Il teatro di Franca Rame e Dario Fo
Intervista a Franca Rame ad opera della studentessa Pina Vergara per una tesi sul ruolo educativo del teatro
Franca Rame, autrice-attrice teatrale, moglie e compagna professionale di Dario Fo, senatrice (dal 2006 al 2008).
Franca Rame: il nostro impegno sociale attraverso il veicolo teatro e il nostro amico Eduardo: “Il teatro che faccia ridere o piangere deve far riflettere, denunciare, emancipare”
P. V.: Per me è stato veramente educativo conoscere il vostro Operato: più persone “adulte” (gli stessi artisti), i “trampolini di lancio” ̶ direbbe Eduardo ̶ per i giovani (“nuovi cicli”) pensano e scorgono nel compromesso l’unica strada da percorrere per qualsiasi mestiere, come in quello teatrale. Non sono per niente d’accordo, anzi, soffro all’idea che si debba fare questo. Per me il compromesso è una serpe velenosa che distrugge i sogni e corrompe gli animi umani. Quindi, sapere che esistano persone come lei e suo marito che danno un esempio diverso e costruttivo per tutti, in primis, per noi giovani, i prossimi costruttori di civiltà, mi riscalda il cuore e non mi fa sentire sola e folle.
F. R.: La frase con la quale ha designato il compromesso mi colpisce, mi commuove, soprattutto se penso alle sfide grandi che voi giovani dovete affrontare oggi. Io e mio marito, sin dai tempi di Canzonissima e anche prima, abbiamo lottato a favore di un profondo cambiamento sociale: ci siamo occupati, come ben sa, della condizione della donna, degli operai. Le loro pessime condizioni di lavoro sono rimaste le stesse: insicurezza del lavoro, morti bianche mai ricordate come quelle dei soldati al fronte, 1170 nel 2011! I lavoratori italiani sono da anni e anni in lotta contro il “padrone”, contro la mafia, contro la casta politica fannullona e strapagata, disonesta … anni e anni di lotte in difesa della propria dignità.
Non accettate compromessi: voi giovani siete la nostra speranza per un mondo migliore, più sano e più vivibile.
P. V.: La vostra Drammaturgia si è sempre occupata della società, unendo storia-conoscenza-attualità: emblematico per me è il dialogo fra una “muliera” sicula (simbolo di una delle tre parche, allegoria della vita e della morte) e un giornalista inviato dal continente ̶ vostra scena andata in onda durante una puntata di Canzonissima come denuncia alla mafia, non a caso la donna (mafia) uccide il giornalista che non si fa i fatti suoi ̶ . Il vostro teatro non ha mai abbandonato l’uomo nelle sue battaglie quotidiane, fino ad arrivare in Senato con la sua nomina: si è occupata dello spreco del denaro pubblico, dell’inutilità della guerra e dei nostri militari in missione (divenuta belligerante, massacro e non più di pace), delle carceri italiane strapiene, invivibili e indignitose, dell’illegalità lavorativa per gli stessi precari in Parlamento (sfruttamento proprio all’interno dell’istituzione massima), dell’uranio impoverito, del problema politico RAI; ha lavorato al progetto “10 leggi per cambiare l’Italia”, ha seguito le Commissioni dell’Infanzia, dell’Uranio impoverito, dei Lavori pubblici e Comunicazione, Vigilanza RAI. Insomma, ha donato tutta se stessa, come in tutta la sua vita, per un miglioramento concreto della realtà attuale opprimente, asfittica, inumana. Mi dispiace molto che sia stata costretta (e sottolineo,costretta) a dimettersi proprio perché, vivendo la politica dall’interno, ha conosciuto sempre di più il famoso serpente compromesso ̶ di cui abbiamo parlato ̶ nei volti di tutti coloro che avrebbero dovuto difendere la dignità dei cittadini.
F. R.: Sì, purtroppo, con mio profondo dispiacere ho dovuto abbandonare il campo, come si direbbe nel gergo politico e sportivo. Ho rischiato di ammalarmi. Totale disinteresse. Nessuno ascolta nessuno. Mi sembrava di stare in un mondo a parte, lontano dalle vere problematiche degli italiani. No, non era il mio mondo: ho potuto combattere per il mio prossimo più con la mia professione, con il teatro che con la così detta “politica”. Ho dato le dimissioni dopo 19 mesi. Sono delusa e amareggiata. Continuerò a combattere per gli altri con il mio lavoro: il teatro ha la forza di scalfire ferri duri.
P. V.: Proprio come afferma August Boal “il teatro è uno degli strumenti mediante i quali si esercita l’attività politica […] il suo obiettivo non è acquietare gli spettatori , riportandoli all’equilibrio e persuadendoli ad accettare lo status quo, al contrario, è intensificare nel pubblico il desiderio di trasformazione”. Per l’appunto, la mia decisione di scrivere una tesi sul ruolo educativo del teatro è proprio perché credo con tutta me stessa nella formazione-trasformazione personale e dell’intero pubblico, grazie a questa grande scienza educativa, quale è l’arte teatrale. La mia sfida è quella di dimostrare che il teatro può essere una teoria-prassi educativa e formativa di fronte ad un periodo contemporaneo-postmoderno, lacerato da una forte crisi umana, esistenziale, culturale e civile: l’uomo è in balia del suo stesso individualismo e delle strategie di potere consumistiche (l’odierno deus ex machina). Siamo prigionieri delle nostre stesse idee su cui abbiamo fondato la società (il danaro è il metro di tutte le cose, i soldi ci sfamano). Il mondo è concentrato su se stesso e fa fatica ad entrare nella logica della solidarietà, del senso comunitario, della coscienza planetaria. Invano la natura e i poveri della Terra elevano il loro grido di disperazione di fronte all’indifferenza dei Paesi forti, dediti alla mercificazione dei pensieri, degli affetti, della stessa etica, dello stesso modus vivendi. Sono in auge l’egotismo e l’incomprensione di se stessi e dell’altro (alieno, diverso da me, ma a me simile nella condizione umana), la non-empatia (che come già scritto in tesi, amo definire dialogo fra due umanità che si specchiano). Allora, di fronte a tali carenze, si preoccupa il teatro di rispecchiare- specchiare l’essere umano e sociale, riflettendo le varie problematiche e inducendo ad una conoscenza radicale delle stesse, per una metamorfosi privata e pubblica. L’arte innalza ed eleva l’uomo, lo riporta alla sua condizione specificatamente umana. Il teatro è l’arte sublime che porta al piacere e al contempo alla riflessione: se anche un solo attore o regista crede nella metamorfosi individuale e collettiva che il teatro potrebbe attuare, attraverso la riflessione per e sulla realtà, questa si avvera.
Un teatro non fine a se stesso, ma una forma di comunicazione diretta che ha lo scopo di “coscientizzare” il pubblico e noi stessi, proprio alla maniera dei giullari.
F. R.: Sono pienamente d’accordo con la sua accorta analisi critica sia della società civile e contemporanea, sia del vero ruolo e dell’autentica essenza del teatro. Mi colpisce, fra l’altro, che lo abbia definito una scienza: è giusto, il teatro è una disciplina con i suoi strumenti teorici e pratici di indagine della realtà, è una disciplina seria e, al contempo, ludica per chi lo fa ed è la forma più alta di comunicazione umana.
L’arte va rivalutata, soprattutto in questo periodo di forte decadenza e di disumanità.
Il problema grande è che il teatro è spesso nelle mani di politici e di persone che di arte non ne conoscono nemmeno l’ombra. Come qualsiasi professionista, un attore studia e fa pratica per appropriasi del suo mestiere. Fuggite dai raccomandati, appoggiate e applaudite i giovani preparati e appassionati, ricchi di talento. Il teatro che faccia ridere o piangere come anche lei dice, deve far riflettere, denunciare, emancipare. È uno fra gli strumenti istituzionali più consoni alla formazione di una coscienza etica individuale e collettiva. L’attore infatti ha il preciso compito di credere nell’uomo e, per farlo, deve amarlo, coltivando un’arte non compromessa, ma alimentata dalla passione per un’esistenza e un senso umani migliori.
Proprio come il giullare (che è il giornale del popolo), il teatro restituisce la dignità agli oppressi.
P. V.: Nell’analizzare il ruolo educativo del teatro nei confronti di una realtà contemporanea fortemente in crisi e necessitante di una salvezza imminente (prima parte della tesi) e nella descrizione delle categorie “eduardiane” (seconda parte della tesi), ho attraversato l’intero scritto con cenni-richiami alle vostre Opere “Mistero buffo”, “Fabulazzo osceno”, “Sesso? Grazie, tanto per gradire” e il monologo “Lo stupro”. Per quanto riguarda le prime due Drammaturgie mi ha colpito la figura del giullare, colui che attraverso l’oscenità coscientizza e riporta la primavera fra gli uomini, cioè la dignità che è categoria incarnante tutte le vostre Opere: rottura con le logiche del potere attraverso lo strumento sarcastico dell’ironia che da lama tagliente scioglie le briglie della schiavitù umana. Mi ha commosso e non lo dimenticherò mai il dialogo fra la morte e il matto (il popolo): solo il popolo, l’umile, l’oppresso, l’uomo vero riescono a far innamorare la morte, a conversarci, perché non la temono. Non rifiutano la verità della morte, anzi danzano con essa, facendoci l’amore: grazie alla consapevolezza-coscientizzazione del sé, riescono a sconfiggere la pseudo-morte quotidiana (quella dei potenti sulla terra, succubi di loro stessi, i finti normali). Per quanto riguarda l’altra Opera “Sesso? Grazie,tanto per gradire” (ripresa da “Lo Zen e l’arte di scopare” di vostro figlio Jacopo) e il monologo, trovo conferma al mio pensiero riguardo all’estrema importanza della sessualità, ad una conoscenza profonda del proprio e altrui corpo, alla rottura con i tabù, appositamente costruiti per tenerci imbrigliati nell’ignoranza, nella paura e in una cultura fallologocentrica. Solo amando e facendo l’amore con noi stessi (metaforicamente) e con gli altri (conoscenza profonda dell’altro senza reticenze pseudo-culturali) possiamo diventare meno criminali e più salvatori, cioè portatori di pace, in quanto rappacificati con noi stessi dall’interno. Da non dimenticare poi l’importanza della parità dei sessi e di una donna rivalutata nella sua essenza e non come strumento da mercificare a proprio soddisfacimento orgasmico: effetto di un malessere interiore radicato nell’uomo (anch’egli vittima di se stesso e delle carenze culturali).
F. R.: Mi piacerebbe rispondere con il pensiero espresso in un’intervista da Dario: il problema della disumanizzazione, come lei più volte scrive, risiede nella carenza culturale. Ci anestetizzano attraverso i sofisticati mass-media e ci de-culturano, ci privano della vera cultura. Assistiamo ad un abbassamento dei valori: ubriacano di falsità e di ipocrisia i bambini fin dall’asilo sul problema della moralità, del peccato (sulle cose che si fanno e non si fanno), sul problema della sensualità (tutto è sporco) e così naturalmente nasce un’umanità “gnucca”, ottusa, piena di complessi. Gli antichi, al contrario nostro, erano molto preoccupati della cultura dei bambini e addirittura dello sviluppo del loro senso umoristico: avevano capito che un bambino che ride (capendo del perché ride dal momento che la sua intelligenza ha trovato la sua chiave di satira e di grottesco nelle situazioni) è un bambino che sta meglio, è più aperto e propenso ad accettare gli altri e soprattutto ha una visione della vita che non è meccanica, fatta di regole, ma bensì di invenzione, di fantasie, di volontà di immaginare e ricostruire il mondo che è intorno, vederlo con i propri occhi. Se uno non impara a comprendere il valore della bellezza rimane sempre un mediocre, soprattutto se non si confronta sulla stessa con gli altri e non riuscirà a sceglierla, intuirla e a farla propria. Il problema non è la “bellezza” in sé ma di poterla godere, indicare, dipingere, raccontare, esaltare, vivere. Ed è sempre questione di cultura. A quanto detto da Dario, vorrei aggiungere quanto sia effettivamente suggestiva l’immagine della morte che fa l’amore con il popolo, cioè di un effettivo di-svelamento delle sovrastrutture e infrastrutture umane: il giullare e la morte sono simboli dell’opportunità di mettersi a nudo, scovare il proprio intimo e la propria maschera esteriore per affrancarsi dalle logiche di potere esterno (retaggi culturali, i fatidici tabù, le menzogne sociali e consumistiche) che hanno imbalsamato la nostra essenza umana e la nostra corporeità. Per quanto concerne la donna: ho sempre lottato per l’emancipazione femminile, per la parità dei sessi, per uno scambio dialogico fra uomo e donna senza prevaricazioni, menzogne, soprusi. Le carenze sociali, l’abbrutimento culturale e civile, la non conoscenza di sé, il non amore di sé e del proprio corpo, le sofferenze interiori non risolte conducono alla violenza. Il teatro non può tacere, anzi deve far aprire gli occhi, per questo abbiamo sentito l’esigenza di mettere in scena le ultime due Opere che lei ha citato.
P. V.: So che siete stati grandi amici di Eduardo, avevate pensato anche di lavorare insieme e addirittura Dario ha rischiato di finire sotto una macchina mentre passeggiava con lui. A parte ciò, ho scelto insieme al mio professore e relatore Alessandro Mariani di scrivere una tesi sul suo Operato, non solo poiché di radici partenopee come me, ma anche perché ha dimostrato che il teatro dialettale è patrimonio culturale nazionale ̶ e questo lo avete dimostrato anche voi, fra l’altro Dario ha definito la lingua teatrale eduardiana un vero e proprio grammelot ̶ e perché mediante le sue Opere, esprimenti problematiche universali, si è sempre occupato di una coscientizzazione civile e sociale, affinché gli uomini si approprino della loro natura specificatamente umana. Lei che ne pensa?
F. R.: Eduardo era un uomo di alto livello e in questo trovo d’accordo anche Dario, le sue Opere sono espressione di una forte volontà di metamorfosi umana. Desiderava un mondo pieno di coscienza civile, di solidarietà, di dialogo, di comprensione reciproca. Si potrebbe parlare delle ore su questo grande autore-attore-regista-senatore che ha dedicato tutta la sua esistenza al teatro sia come forma di diletto ma anche e soprattutto come delucidazione dei paradossi umani, delle inciviltà: lavoro costante per una superamento delle barbarie umane.
P. V.: Sarebbe per me un sogno occuparmi professionalmente, seriamente e in maniera ludica del teatro (mia più grande passione, il mio vero amore) e delle varie espressioni artistiche (scrittura, poesia, musica) unendole alla formazione-educazione. Anche lei mi consiglia di lasciar perdere perché quello dell’arte è un “brutto mondo”, pieno di compromessi o mi sostiene in questa mia utopia (concreta, però): migliorare-coscientizzare-umanizzare me stessa e la realtà attraverso l’arte e soprattutto il teatro.
F. R.: Credo che ognuno di noi debba inseguire le proprie passioni, i propri sogni e sono contenta del suo credere in un teatro formativo, dedito ai problemi sociali, agli altri, prima che a se stessi. Sono felice perché giovani come lei possano continuare il nostro cammino di miglioramento personale e collettivo. Non abbia paura, non si lasci abbattere dalle sconfitte, ma creda fermamente nei suoi progetti e vedrà che riuscirà a farsi capire, ascoltare. Dario ed io, siamo stati censurati, abbiamo abbandonato la trasmissione più vista della Rai, “Canzonissima”, perché non accettavamo i tagli che la dirigenza Rai voleva imporci. Siamo stati denunciati dalla Rai con richiesta di miliardi di danni, finita per fortuna in nulla. Abbiamo avuto pesanti minacce (mio figlio Jacopo a sei anni andava a scuola scortato dalla polizia), bombe alla Palazzina Liberty dove recitavamo. Io stessa sono stata sequestrata, caricata su un camioncino e subìto torture e violenza.
Ci siamo sempre rizzati in piedi anche quando eravamo in ginocchio, disperati, ma non abbiamo mai smesso di cercare di cambiare le condizioni degli sfruttati, dei diseredati, di sciogliere i lacci della schiavitù umana in tutte le sue sembianze. Sono con lei!
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A Monologue Written by Dario Fo & Franca Rame
Devised with the company
Directed by Filomena Campus
Assistant Director Michael Lattin-Rawstrone
Projections by Sdna
Light design by Steve Owens
East15 - University of Essex
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PADOVA. “A Padova veniamo sempre volentieri, se non altro per mangiare il baccalà». Dario Fo e Franca Rame la mettono sul culinario, ma in realtà il legame con la città è profondo. «Abbiamo molti amici - dice Franca Rame - anche se alcuni non li vediamo da tempo, poi è la patria del nostro Ruzante». E il riferimento a Ruzante non è casuale, perché in fondo “Mistero buffo”, che i due attori riporteranno in scena a Padova il 10 marzo al Gran Teatro Geox, a 40 anni di distanza dalla prima volta, è uno spettacolo dal clima ruzantiano, sia nel linguaggio sia nei temi. E non a caso uno dei primi ad apprezzarlo fu proprio uno studioso di Ruzante come Gianfranco Folena e Dario Fo ancora oggi ama citarlo: «Lo spettacolo nasceva da molto studio, dai testi dei primi studiosi di folklore e da quelli degli studiosi di linguistica come Folena che scrisse, allora, che guardando Mistero Buffo si poteva ottenere un’idea del tutto credibile di cosa fosse il teatro satirico dei giullari medioevali». Un bel complimento, non c’è che dire, per un attore col vizio della scrittura e della storia. «La passione della storia – dice Franca Rame - l’abbiamo avuta sempre. A ben vedere quasi tutti i nostri spettacoli, anche quelli di maggiore attualità partono dalla storia».
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Mamma Togni
Il racconto è stato ricavato da una registrazione su nastro, eseguita dalla protagonista della storia, e la protagonista è una donna, Mamma Togni. Oggi chissà che polemiche scatenerebbe Mamma Togni, tutti parlerebbero di scorrettezza, di mancanza di dialogo, di democrazia… ma leggete il brano e ditemi, in tutta sincerità, se questo racconto non vi suscita commozione e una voglia di uscire urlando: non siamo tutti morti!!!
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