di Alessandro Carli
Conosciuto principalmente per la sua fervida (e premiata con il Nobel) attività teatrale, Dario Fo è anche un nobile pittore. Anzi, come lui stesso si definisce, “un pitturatore”.
Il Monte si fa in tre: “Dario Fo espone a San Marino” propone infatti un triplice percorso, ficcante e satirico, sponsorizzato unicamente dalla Fondazione San Marino Cassa di Risparmio – SUMS. “Con queste opere in esposizione a San Marino – ha spiegato il Presidente, Tito Masi -, lasciamo a Dario Fo, straordinaria personalità eclettica e Premio Nobel per la letteratura, il compito di indicarci la strada della creatività e del suo inesauribile potenziale nella visione del futuro”.
Il Presidente Masi poi ha sottolineato che la Fondazione San Marino Cassa di Risparmio – SUMS “si è sempre impegnata in prima persona nel promuovere la cultura e in particolare l’arte. Siamo orgogliosi di essere presenti sul territorio con questo importante progetto, che ci vede coinvolti in veste di promotori. Questa iniziativa celebra e consolida la sinergia con le Segreterie di Stato alla Cultura e al Turismo, che ha già dato, in passato, ottimi frutti”.
Per Dario Fo invece “allestire una mostra in loco significa non essere spettatori transitanti. Deve diventare un fatto di conoscenza. Il teatro, il cinema, la pittura e la musica non hanno alcun significato se non sanno entrare nelle coscienze e nei bisogni della gente. Per quanto mi riguarda, ho faticato non poco sia a dipingere che a stare in scena. Oggi riesco a unire le due esperienze con discreta facilità, ma ci sono voluti almeno 60 anni di lavoro. Per me non c’è differenza tra il ‘pitturare’, il disegnare e il raccontare o interpretare un ruolo in scena. Quando, nell’allestire uno spettacolo, mi trovo in crisi e non riesco a trovare un ritmo o uno svolgimento consono a ciò che vorrei raccontare, mi procuro un grande foglio di carta, un po’ di colori, penna e pennarelli. Il tutto per segnare ritmi e figure che raccontino, in un’altra forma, la storia in questione”.
E il risultato è ben visibile: quadri dalle ampie dimensioni (ma anche più raccolti), strutturati e imperniati su colori smaglianti come il verde terribile, il giallo che ride, il rosso che scappa. E che raccontano, in maniera graffiante e satirica, la politica e il sociale.
“Le mostre non devono solamente ospitare le opere, ma soprattutto raccontare qualcosa. Siate creativi, e dipingete nelle strade. Io giro in tutta Europa e in America, e noto un approccio diverso: New York, Parigi… in Italia invece si tende ad attaccare i quadri ai muri, senza pensare al pubblico. Tempo fa mi sono recato a vedere un’iniziativa dedicata a Renoir: c’erano due persone che fingevano una conversazione… raccontavano l’artista attraverso vite finte, inventate sul momento. A Milano, quando ho provato a replicare quanto ho visto, mi hanno fatto a pezzi. Occorre reinventare le mostre. Secondo me, non sono ciò che ospitano, ma il modo in cui vengono rappresentate le opere. Dobbiamo iniziare una rivoluzione espressiva”.
Cosa rappresenta per lei la pittura?
“I quadri sono come un grandissimo giornale dipinto e permettono alle persone di immaginare qualcosa di più rispetto a quello che leggono. Credo sia importate riuscire a creare una dimensione di rapporto ‘raccontato’ tra lo spettatore e l’artista. Io non amo chi rappresenta il vuoto. In passato, abbiamo insegnato la danza, la musica, la pittura. Quando andiamo all’estero, la nostra impronta è ben marcata. Eppure, molto spesso, siamo noi italiani a non conoscere la nostra arte. Facciamoci conoscere”.
Spesso viene chiamato a tenere conferenze sulla sua arte. Cosa “sente”?
“Quando finisco le lezioni, spesso sono stanchissimo e tutto sudato. Raccontare e coinvolgere le persone che hanno un vuoto di conoscenza è un percorso molto faticoso. Quando invece esplodono in un applauso o mi abbracciano, mi sento felice. In occasione dell’assegnazione del Premio Nobel (1997) dovevo tenere un discorso davanti al Re e alla Regina. C’erano un po’ di problemi con la lingua: davanti a me c’erano svedesi, inglesi, italiani, eccetera. Io sono contro il nazionalismo di ogni genere: le bandiere mi fanno pensare alla guerra. Però quando un gruppo di italiani ha iniziato a intonare l’inno di Mameli, mi sono commosso e ho iniziato a piangere”.
Curiosa, per un gioco di richiami, l’esposizione all’interno (e sul palco) del teatro Titano: qui va di scena l’allegoria, e le ispirazioni a Leonardo e Michelangelo. Dipinti taglienti, che spaziano nella Grande Storia dello Stivale. Preso a calci dai grandi potenti dell’Europa. Ieri come oggi. Il Nobel si è soffermato a lungo su un dipinto, posizionato di fronte al proscenio del palco.
“Ci ritroviamo in pieno Risorgimento, e incontriamo subito Leonardo – ha spiegato Fo -. Tanto per cominciare, osserviamo con che sottigliezza allegorica riesce a esprimersi a proposito della società del suo tempo, denunciando la politica dell’arraffo e della truffa organizzata”. La tavola, caratterizzata dal color arancione, presenta “uno dopo l’altro i protagonisti della bassa politica di quegli anni. Il disegno originale, in realtà, è di dimensioni ridotte, circa 20 x 30. Io l’ho ingigantito perché così riusciamo a scoprire meglio il discorso satirico di Leonardo. Alla sinistra potete vedere un maschio e una femmina che sembra stiano giocando amorevolmente. La ragazza ha gambe lunghe e belle, e seni tondi. Il ragazzo esibisce un corpo armonioso e un viso piacevole. Si tratta certamente di un re giovane. Il ragazzo tiene in mano uno specchio nel quale si riflette la fanciulla, ma l’immagine che vi appare è quella di un vecchio grintoso. A un’attenta osservazione, ci rendiamo conto che la fanciulla è bifronte. A più di uno studioso è venuto il dubbio che si tratti di un’allegoria della Chiesa”. Fo, in maniera concitata, entra nelle pennellate. “La dama ha abbrancato con una mano il collo di una gallina starnazzante, mentre con l’altra stringe un serpente che si arrotola inferocito. Una muta di cani feroci si lancia contro il volatile, e ognuno cerca di appropriarsene. Dal cielo accorrono uccelli predatori, aquile e falchi, che alludono ai regni di Spagna, Austria e Germania, che non vogliono mancare al banchetto. I cani, ovviamente, rappresentano i vari principi italiani, che stanno facendo a pezzi la grossa gallina. La gallina, in questo dipinto, è l’Italia e i suoi abitanti. Non è male come allegoria”.
Sulle pareti della platea, tra gli altri, spicca un altro dipinto, particolarmente giocoso, sempre virato sull’arancione.
“Ecco due angeli incaricati di dare il segnale della fine del mondo – commenta Fo -. L’angelo maggiore spernacchia con la sua tromba in pieno orecchio l’angelo minore. Il poveretto lancia un urlo di dolore e il più grande sghignazza divertito”.
Sono oltre 200 le coloratissime opere ammirabili sul Titano esposte in tre diversi spazi: a Palazzo SUMS sono raccolti i monumentali dipinti acrilici più recenti, al Teatro Titano i lavori dedicati alla musica mentre, al Museo San Francesco, si trovano le opere ispirare alla satira della preistoria. Le mostre saranno aperte fino al 14 ottobre.