Basta con gli sprechi

Campagna contro gli sprechi nell'amministrazione pubblica

Palermo: assunti 110 autisti senza patente

04 maggio 2007 ,
COrriere della Sera - Gian Antonio Stella
Il Comune chiama precari per i bus. «Faranno i corsi»
Destinati alla municipalizzata dei trasporti: non hanno mai fatto l'esame per guidare i mezzi pubblici
PALERMO - Domandina facile facile: cosa deve avere un autista? La patente, direte voi. Esatto. Ma non a Palermo. Non sotto elezioni. L'assessore al personale ha fatto assumere infatti all'azienda dei trasporti 110 conducenti. Tutti e 110 ignari di come si debba guidare un autobus. «Impareranno», ha risposto a chi si scandalizzava: «Questione di pochi mesi». Giusto il tempo di incassare il voto riconoscente dei beneficiati alle prossime «comunali». E se poi non imparano a guidare? Boh...
Il protagonista della storia si chiama Alberto Campagna, ha 53 anni, un diploma di perito industriale, i capelli radi tirati all'indietro e un paio di baffi alla Pasqualino Settebellezze. Ricordate quando Silvio Berlusconi scese in campo dicendo che Forza Italia era una «nave di sognatori» carica di «uomini nuovi alla politica» e «campioni nelle proprie professioni» e decisi a «sradicare il clientelismo»? Ecco, lui gestisce quel sogno a modo suo. Consigliere comunale azzurro dal 1997, ha ottenuto dal sindaco Diego Cammarata un mucchio di deleghe: «Risorse umane, Servizi demografici, Postazioni anagrafiche, Rapporti col consiglio comunale, Attività Socialmente Utili e Risorse non Contrattualizzate». Traduzione: è assessore al personale assunto e a quello da assumere. Possibilmente accontentando innanzitutto gli amici e gli amici degli amici.
La prima ad essergli riconoscente, in verità, è stata la moglie. Si chiama Cinzia Ficarra, è stata assunta negli uffici dell'ex «Municipalgas» e ha visto il suo nome al centro delle prime polemiche intorno al marito e ai suoi sistemi di gestire le antiche municipalizzate piuttosto lontani dallo «sradicamento del clientelismo». Era il settembre dell'anno scorso e dopo un lungo braccio di ferro il consigliere comunale diessino Davide Faraone aveva ottenuto finalmente l'elenco di centinaia di persone assunte all'Amg (gas), all'Amat (trasporti urbani), Amap (acqua), alla Sispi (sistemi informatici), Amia (servizi di igiene e rifiuti). Si capì allora perché quell'elenco fosse stato tenuto segreto per mesi e mesi con una motivazione ridicola («c'è la privacy...») rimossa solo da un intervento dell'authority che aveva spiegato come fosse assurdo invocare la segretezza in una materia come quella. La lista degli assunti, arruolati nelle ex municipalizzate per chiamata diretta e senza concorso, era infatti zeppa di amici politici, candidati trombati da risarcire con uno stipendio pubblico, segretari e funzionari di partito da sistemare. E poi mogli (quella di Campagna), figli (come Giuseppe e Tania Tito, rampolli di quello che allora era il presidente dell'Authority sulle aziende municipali per poi diventare addirittura il «difensore civico» comunale nonostante la legge escludesse chi era stato come lui candidato alle elezioni!) e sorelle, cognati, nuore, generi, cugini... Una schifezza. Che infangò soprattutto i partiti della Casa delle Libertà, da Alleanza Nazionale all'Udc, ma che lasciò qualche schizzo di fango anche sulla sinistra per il sorprendente inserimento, tra i raccomandati che avevano trovato una sistemazione, di Tiberio, il figlio di Francesco Cantafia, già segretario della Camera del lavoro e poi deputato regionale della Quercia. E che costrinse la magistratura, seppellita sotto una catasta di lettere e di esposti, ad aprire un'inchiesta. Insomma: che qualcuno approfittasse in modo indecente della libertà concessa alle nuove SpA municipali di potersi muovere sul fronte delle assunzioni senza quel minimo di rigidità (concorsi, documenti, graduatorie...) imposto dalla legge agli enti pubblici, era già chiaro da un pezzo. Né i siciliani si facevano illusioni su una svolta liberale, pulita, meritocratica. Tutto già visto. Troppe volte. Basti ricordare le recenti, incredibili, assunzioni al 118 di autisti delle ambulanze del tutto ignari delle strade e di portantini così inesperti, sciatti e incapaci da rovesciare i malati dalle barelle o peggio ancora decisi a presentare subito dopo l'assunzione certificati medici attestanti che come portantini non potevano portare nulla perché affetti da questa o quella invalidità. Una storia come quella accaduta all'Amat e raccontata ieri sulle pagine locali da «Repubblica», però, non si era mai vista neppure in Sicilia, dove una settantina di Lsu sono stati assunti un anno fa per «contare i tombini e le caditoie, cioè le feritoie nei marciapiedi che permettono il deflusso delle acque piovane» e dove Totò Cuffaro si fa vanto nella biografia ufficiale curata da Francesco Foresta di avere stabilizzato (cioè assunto definitivamente) 55 mila precari. A metà febbraio, con una lettera ufficiale ai vertici di Palazzo delle Aquile, cioè del Comune, il presidente della società dei trasporti Sergio Rodi aveva segnalato l'urgenza di tappare i buchi lasciati negli organici dal pensionamento di oltre un centinaio di autisti. Buchi che impedivano all'azienda di svolgere la sua funzione. Va da sé che in qualunque altro posto al mondo avrebbero fatto un bando: «A.A.A. Azienda comunale trasporti cerca 110 autisti, indispensabile la patente D». In qualunque posto, ma non a Palermo alla vigilia delle elezioni comunali che vedranno lo scontro tra Diego Cammarata e il suo predecessore Leoluca Orlando. E così la giunta comunale ha deliberato l'assunzione di 110 precari dei quali non uno, neanche per sbaglio, ha la patente D (la più difficile da ottenere) richiesta per guidare i pullman pubblici. Di più: ha scritto nero su bianco che «nel periodo di addestramento e dunque nella fase antecedente il conseguimento della patente di guida richiesta, i lavoratori selezionati saranno utilizzati come lsu presso l'Amat». E se qualcuno non ce la facesse a passare l'esame o non avesse alcuna voglia di mettersi al volante? Amen, ha risposto Alberto Campagna: «Perché dovremmo assumere nuovo personale quando abbiamo ancora gli lsu da stabilizzare? Abbiamo fatto una promessa a questi lavoratori precari: abbiamo assicurato loro che sarebbero stati assunti. Dobbiamo rispettare la parola data». E meno male che non c'erano da assumere ingegneri chimici, urbanisti o chirurghi: l'attesa che si laureassero sarebbe stata più lunga...

 


I compensi degli amministratori nelle società pubbliche

Fonte www.report.rai.it, servizio di Giovanna Boursier andato in onda 22.10.06

 

Stipendi altissimi, buonuscite milionarie

  Le più grandi aziende pubbliche italiane sono l'Enel, Poste Italiane, L’Anas, Ferrovie Dello Stato, Alitalia.

  Il numero di membri minimo nel consiglio d'amministrazione previsto dalla legge è 3.

 

   Alle poste i consiglieri sono 11, alla Rai 9, Alitalia e Ferrovie 5, all’ Eni sono in 12, all’Enel 9. Ogni azienda ha, inoltre, delle società controllate e, se si fanno le somme, i consiglieri diventano un numero esagerato: Poste 111, Rai 197, Enel 165, Ferrovie 316.

  Il consiglio di amministrazione di Enel costa complessivamente 2 milioni e 800mila euro, ma il costo può crescere se vengono raggiunti determinati risultati di gestione.

  Nel 2005 il costo del consiglio di amministrazione è aumentato fino a 15 milioni 830mila euro perché l’Amministratore Delegato Paolo Scaroni se n'è andato portandosi via 9 milioni e mezzo di euro. Tra parentesi, vantiamo le bollette più care d’Europa e sulle fonti alternative non abbiamo fatto nulla. Il solare è fermo a 8 mq ogni 1000 abitanti, mentre la media dei paesi europei è di 34, l’eolico e' ancora pari a un ottavo della Spagna e un sesto della Germania. Inoltre, Scaroni ha venduto impianti, aziende ed immobili arricchendo l’azionista e impoverito l’Enel non giustificando quindi il miglioramento di gestione che spiega la milionaria buonuscita.

 

 Lasciata l'Enel,nel 2005 Scaroni va all’Eni dove percepisce uno stipendio di 1 milione e mezzo di euro l’anno.  Il consiglio di amministrazione costa 2 milioni 600 mila euro l’anno.

La cifra sul bilancio risulta, come all' Enel, più alta perché comprende incentivi per gli amministratori e 9 milioni 649mila euro di liquidazione a Vittorio Mincato, predecessore di Scaroni. Se quest’ultimo andasse via anche da ENI prenderebbe un’altra liquidazione di più o meno 8 milioni.

L'Amministratore delegato Scaroni ha stipulato con la società un contratto che prevede l’erogazione di un compenso al termine del mandato ove il mandato non fosse rinnovato. In realtà il contratto dice che se il mandato non viene rinnovato saranno pagati altri 3 anni di stipendio. Scaroni ha deciso lui di andare all’ Eni, ma ha voluto comunque dall’ Enel i 3 anni di buonuscita.

Giancarlo Cimoli se ne andò da Ferrovie nel 2004 in quanto il suo mandato era scaduto e non fu rinnovato: non aveva fatto marciare meglio ferrovie, ma gli fu data una buonuscita di 6,7 milioni di euro. Lunardi lo mandò a risanare Alitalia, già sommersa dai debiti e dopo 2 anni dal suo arrivo, Alitalia è sull’orlo del fallimento. Nonostante il fiume di finanziamenti pubblici, dal 1997 Alitalia ha avuto contributi statali per quasi 7 miliardi di euro, l’azienda è al tracollo e perde circa 1 milione di euro al giorno e 17 mila dipendenti, in cassa integrazione a rotazione. Cimoli non sapeva nulla di aerei. Quando un’azienda va così male sarebbe eticamente corretto presentare automaticamente le proprie dimissioni riconoscendo di aver sbagliato. Quel che si sa e che quando Cimoli se ne andrà da Alitalia prima del 2007 si porterà a casa una buonuscita di 8 milioni di euro. Il suo stipendio è stato raddoppiato nel 2005, momento in cui la compagnia andava male, e portato a 2milioni 791 mila euro l’anno che è 6 volte l’amministratore delegato di Air France e il triplo rispetto a quello di British Airways, compagnie aeree con bilanci in utile. L’Ad di Air France guadagna 30mila euro al mese, quello di KLM 45mila, quello di British 64mila e parliamo di 3 compagnie in attivo, mentre il nostro amministratore delegato prende 190.000 euro al mese.

Il consiglio di Ferrovie costa circa 2 milioni di euro l’anno salvo imprevisti. Quest’anno l’amministratore delegato, Elio Catania, è stato costretto a dimettersi, e come prevede il contratto, si è portato via il risarcimento. Catania, arrivato due anni fa, doveva far viaggiare le ferrovie e invece lascia Trenitalia con un buco di 1 miliardo e 700 milioni di euro. Pare che Catania abbia preso 5 milioni di euro di buonuscita.

 

L' Anas ha una rete stradale e autostradale di 20.182 chilometri e più di 6.000 dipendenti. Nel 2001 con il cambio di Governo, D’Angiolino, presidente dell'Anas dal '94 è costretto ad andarsene. L'allora ministro Lunardi cambia tutto il consiglio d'amministrazione in cambio di una buonuscita o risarcimento: 2 miliardi e 8 per il presidente, 650 milioni per ogni consigliere, in totale sono quasi 6 miliardi di lire e quell'anno paga anche i nuovi. Giuseppe D’Angiolino – ex Presidente Anas fino al 2001 -percepiva 350 milioni all’anno. Il nuovo Presidente percepisce il doppio 400 mila euro , mentre l'Anas perde 496 milioni. Nel 2001 i consiglieri prendevano 150 milioni all’anno lordi delle vecchie lire. Dal 2002 anche i compensi dei consiglieri sono raddoppiati. L’attività consiste nel presenziare le riunioni del consiglio una volta alla settimana. La retribuzione è di 40mila più 140mila per le inutili deleghe per le quali è già incaricato del personale.


Disegno di legge d'iniziativa dell'onorevole Cannavò sul taglio delle pensioni agli ex-parlamentari

Quest'oggi pubblichiamo un interessante disegno di legge... Speriamo vi piaccia com'è piaciuto a noi!

 XV LEGISLATURA

 CAMERA DEI DEPUTATI

 N. 2686 

 

 PROPOSTA DI LEGGE

 d'iniziativa del deputato CANNAVÒ

 Modifiche alla legge 31 ottobre 1965, n. 1261, e all'articolo 1 della  legge 13 agosto 1979, n. 384, in materia di indennità spettante ai  membri del Parlamento nazionale e del Parlamento europeo, di  strumenti e servizi per agevolare lo svolgimento del mandato  parlamentare e di regime previdenziale dei membri del Parlamento  nazionale

 Presentata il 21 maggio 2007

 Onorevoli Colleghi! - L'esigenza di contenere i costi della politica  è divenuta oramai un elemento insostituibile del dibattito politico.  Il sentimento di sfiducia e di distacco tra la società italiana e le  sedi istituzionali della politica è ormai dilagante e percepibile in  ogni ambito settoriale. Si tratta di un sentimento che sconta  innanzitutto una crisi strisciante della politica intesa come  strumento collettivo e partecipato in grado di risolvere problemi, di  migliorare condizioni di vita, di influire positivamente sulle  aspettative di futuro e sui desideri che ogni individuo  legittimamente possiede. L'insieme della politica istituzionale ha, a  questo riguardo, una grande responsabilità e deve riuscire ad  assumere posizioni e decisioni che spezzino questo sentimento  negativo, ricostruiscano fiducia ed «empatia» in uno sforzo di  rinnovamento che non può che esorbitare dagli stessi contenuti della  presente proposta di legge.

    Si tratta, infatti, di mettere mano a una compiuta riforma  della legge elettorale, al ridisegno di un sistema politico- istituzionale in cui la partecipazione dei cittadini e delle  cittadine, il loro effettivo coinvolgimento, sia un valore  fondamentale capace anche di approfondire e di trascendere le linee  guida della Costituzione.

        In questo contesto, non sfugge che il tema della retribuzione  degli eletti, e in particolare dei parlamentari della Repubblica, sia  tra i più sentiti in quanto indice sintetico del rapporto, sempre più  squilibrato,che esiste tra le condizioni di vita medie della popolazione e lo  status di chi quelle condizioni è chiamato a regolare. Il fatto che  il nostro Paese sia agli ultimi posti in Europa nella classifica  degli stipendi medi mentre detenga il primato delle retribuzioni del  parlamentari è una spia di quegli squilibri e accresce quel  sentimento di sfiducia e di disincanto che costituisce ciò che oggi  chiamiamo «crisi della politica».

       L'obiettivo della presente proposta di legge è quindi quello  di intervenire efficacemente e drasticamente in questo senso,  rimodulando la retribuzione complessiva dei parlamentari della  Repubblica nel senso di una sua sensibile riduzione in un'ottica di  «spirito protestante», sapendo che il ridimensionamento proposto può  costituire un depotenziamento del ruolo e del prestigio del  parlamentare ma con l'obiettivo di servire un bene più alto: la  valorizzazione del ruolo della politica.

       L'articolo 1 quindi interviene a sostituire l'articolo 1 della  legge 31 ottobre 1965, n. 1261, che regola l'indennità funzionale  mantenendo intatto l'aggancio al trattamento dei magistrati con  funzioni di presidente di sezione della Corte di cassazione ma  proponendone la riduzione del 50 per cento.

        L'articolo 2 inserisce tutto quello che esula dall'indennità  funzionale in un articolo (articolo 2 della citata legge n. 1261 del  1965) regolante l'attività del parlamentare il quale o la quale deve  avere le condizioni favorevoli allo svolgimento della propria  attività. In questo contesto il comma 1 interviene sulla  corresponsione dell'indennità di missione in modo analogo a quanto  previsto nell'articolo 1, cioè con il suo dimezzamento.

        Il comma 2 regola lo svolgimento del mandato demandando agli  Uffici di presidenza delle due Camere la regolamentazione dell'uso  gratuito dei mezzi di trasporto solo sul territorio nazionale, il  rimborso delle spese telefoniche, sulla base della certificazione  delle medesime, nonché la possibilità di accedere a un fondo per  spese di attività politica generali.

        Il comma 3 regola il rapporto con l'assistenza parlamentare  eliminando il contributo diretto al parlamentare il quale ha diritto  di nominare una persona di sua fiducia che viene però retribuita  direttamente dall'amministrazione della Camera di appartenenza. Si  tratta di una modalità diretta a eliminare forme di lavoro nero che  pure si sono registrate e a ristabilire un principio di efficienza e  di regolarità nella prestazione del lavoro subordinato entro il  perimetro delle due Camere.

        Il comma 4 prevede che gli Uffici di presidenza delle due  Camere possano istituire e regolamentare un fondo diretto a  finanziare attività politiche, entro il limite massimo di due  indennità mensili e con forme di trasparenza e di pubblicizzazione  determinate dagli Uffici di presidenza delle Camere stesse.

     L'articolo 3, infine, introducendo l'articolo 6-bis della  citata legge n. 1261 del 1965, interviene sul terreno più delicato,  quello della rendita vitalizia spettante a ciascun parlamentare che  abbia completato almeno una legislatura. L'articolo propone un regime  alternativo, riportando lo status del parlamentare all'interno delle  leggi vigenti che regolano il rapporto con le casse previdenziali di  appartenenza.

        Il comma 1 prevede così che i lavoratori eletti nel Parlamento  nazionale siano collocati in aspettativa non retribuita, come prevede  l'attuale normativa, e con il versamento di contributi figurativi a  carico dell'amministrazione parlamentare.

       I commi 2 e 3 regolano l'attività dei parlamentari che al  momento della elezione risultino iscritti oppure non risultino  iscritti ad alcuna gestione previdenziale obbligatoria, consentendo  loro di coprire il periodo del mandato elettivo mediante  l'accreditamento dei contributi figurativi a carico  dell'amministrazione parlamentare.

        Con il comma 4 si sancisce il cuore dell'articolo e cioè che i  parlamentari non hanno diritto ad alcun vitalizio, né ad alcuna forma  di trattamento pensionistico aggiuntivi rispetto a quella prevista  dal medesimo articolo.

        Il comma 5 elimina l'obbligatorietà vigente per gli eletti  nelle due Camere di versare a proprio carico i contributi  previdenziali gravanti sul lavoro dipendente in modo da uniformare la  disciplina allo spirito della legge.

        Il comma 2 dell'articolo 3, infine, definisce i termini  dell'avvio della nuova disciplina.

        La presente proposta di legge non solo contribuisce a generare  un notevole risparmio per l'amministrazione pubblica soprattutto in  virtù della riorganizzazione del trattamento pensionistico, ma  consente anche di riportare con nettezza il Parlamento a un contatto  più diretto con il popolo rappresentato. Si tratta di una proposta di  legge equa che potrà affrontare, sia pure solo parzialmente, il  grande nodo della «crisi della politica» consentendo di riavvicinare  rappresentanti e rappresentati.

 

 

 

PROPOSTA DI LEGGE

 Art. 1. 

 

 (Indennità spettante ai membri del Parlamento nazionale e del  Parlamento europeo).

        1. L'articolo 1 della legge 31 ottobre 1965, n. 1261, è  sostituito dal seguente:

        «Art. 1. - 1. L'indennità spettante ai membri del Parlamento a  norma dell'articolo 69 della Costituzione per garantire il libero  svolgimento del mandato è costituita da quote mensili. Gli Uffici di  presidenza delle due Camere determinano l'ammontare di dette quote in  misura tale che non superino il dodicesimo del trattamento  complessivo massimo annuo lordo dei magistrati con funzioni di  presidente di sezione della Corte di cassazione ed equiparate,  diminuito del 50 per cento».

      2. Al primo comma dell'articolo 1 della legge 13 agosto 1979,  n. 384, e successive modificazioni, sono aggiunte, in fine, le  seguenti parole: «, e successive modificazioni».

 Art. 2.(Svolgimento dell'attività parlamentare).

        1. L'articolo 2 della legge 31 ottobre 1965, n. 1261, è  sostituito dal seguente:

   «Art. 2. - 1. Ai membri del Parlamento è corrisposto un  rimborso delle spese di soggiorno a Roma. Gli Uffici di presidenza  delle due Camere ne determinano l'ammontare in misura non superiore  all'indennità di missione giornaliera prevista per i magistrati con  funzione di presidente di sezione della Corte di cassazione ed  equiparate, diminuita del 50 per cento; possono altresì stabilire le  modalità per le ritenute da effettuare per ogni assenza dalle sedute dell'Assemblea e delle Commissioni.

      2. Al fine di garantire il corretto svolgimento del mandato,  ai membri del Parlamento sono assicurati, secondo modalità  determinate dagli Uffici di presidenza delle due Camere, l'uso  gratuito di mezzi di trasporto sul territorio nazionale, la  disponibilità di sale per convegni pubblici, la disponibilità del  fondo eventualmente istituito ai sensi del comma 4 nonché il rimborso  del 50 per cento delle spese di telefonia, entro il limite massimo  determinato dagli Uffici di presidenza delle due Camere.

        3. Per l'adempimento delle attività di segreteria, ogni membro  del Parlamento ha la possibilità di nominare una persona di sua  fiducia. Tale persona è assunta con contratto di lavoro dipendente a  tempo determinato e retribuita direttamente dall'amministrazione  della Camera di appartenenza del membro del Parlamento, in conformità  a quanto stabilito dagli Uffici di presidenza delle due Camere. Il  rapporto di lavoro cessa di diritto con la cessazione dalla carica  del membro del Parlamento che ha provveduto alla nomina.

        4. Gli Uffici di presidenza delle due Camere possono istituire  e regolamentare, secondo criteri di trasparenza e di riduzione della  spesa, un fondo diretto a finanziare iniziative politiche,  preventivamente documentate, dei membri del Parlamento, il cui  ammontare non sia superiore a due indennità mensili, come stabilite  dall'articolo 1. L'entità delle somme eventualmente stanziate e le  modalità del loro utilizzo da parte dei membri del Parlamento sono  rese pubbliche con forme determinate dagli uffici di Presidenza delle  Camere stesse».

 Art. 3.  (Disciplina pensionistica).

        1. Dopo l'articolo 6 della legge 31 ottobre 1965, n. 1261, è  inserito il seguente:

      «Art. 6-bis. - 1. I lavoratori eletti membri del Parlamento  nazionale, qualora collocati in aspettativa non retribuita, possono richiedere che i  periodi di aspettativa siano considerati utili ai fini del  riconoscimento del diritto e della determinazione della misura della  pensione a carico dell'assicurazione generale obbligatoria per  l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti o delle forme sostitutive,  esclusive ed esonerative della medesima, ai sensi dell'articolo 3 del  decreto legislativo 16 settembre 1996, n. 564, e successive  modificazioni. In tale caso l'amministrazione della Camera di  appartenenza provvede al versamento, a favore delle competenti  gestioni previdenziali, dei contributi previdenziali in sostituzione  del datore di lavoro.

     2. I membri del Parlamento nazionale, per il periodo del  mandato parlamentare durante il quale non risultino iscritti ad  alcuna gestione previdenziale obbligatoria né come lavoratori  dipendenti né come lavoratori autonomi, possono richiedere che tale  periodo, che può ricoprire anche l'intero mandato parlamentare, sia  considerato utile ai fini del diritto e della determinazione della  misura della pensione a carico dell'assicurazione generale  obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti o delle  forme sostitutive, esclusive ed esonerative della medesima, purché  gli stessi, anteriormente a tale periodo, possano già far valere  periodi di iscrizione alle citate forme assicurative. In tale caso  l'amministrazione della Camera di appartenenza provvede al  versamento, a favore delle competenti gestioni previdenziali, dei  contributi previdenziali in sostituzione rispettivamente del datore  di lavoro e del lavoratore autonomo.

    3. I membri del Parlamento nazionale che al momento in cui  inizia il mandato parlamentare non risultino iscritti ad alcuna  gestione previdenziale obbligatoria né come lavoratori dipendenti né  come lavoratori autonomi e che, anteriormente a tale momento, non  possano far valere periodi di iscrizione all'assicurazione generale  obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti o alle  forme sostitutive, esclusive ed esonerative della medesima, possono  richiedere che il periodo corrispondente all'esercizio del mandato sia considerato utile ai fini della  corresponsione di un trattamento pensionistico per l'invalidità, la  vecchiaia e i superstiti a carico della gestione separata di cui  all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335. In tal  caso l'amministrazione della Camera di appartenenza provvede a versare alla gestione separata di cui al citato articolo 2, comma 26,  della legge n. 335 del 1995, i relativi contributi previdenziali,  calcolati su una retribuzione figurativa rispondente all'indennità  spettante ai membri del Parlamento di cui all'articolo 1 della  presente legge.

        4. I membri del Parlamento nazionale non hanno diritto ad  alcun vitalizio né ad alcuna forma di trattamento pensionistico  aggiuntivi rispetto a quella prevista dal presente articolo.

       5. Ai membri del Parlamento nazionale non si applica  l'articolo 38 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, e successive  modificazioni. I medesimi pertanto non sono tenuti a corrispondere  all'amministrazione della Camera di appartenenza l'equivalente dei  contributi pensionistici, nella misura prevista dalla legislazione  vigente, per la quota a carico del lavoratore».

        2. La disciplina di cui all'articolo 6-bis della legge 31  ottobre 1965, n. 1261, introdotto dal comma 1 del presente articolo,  si applica ai membri del Parlamento nazionale eletti successivamente  alla data di entrata in vigore della presente legge.



Il tribunale dove i magistrati fanno solo 6 udienze l'anno

Tratto da “Corriere della Sera”, 3 giugno 2007  Gian Antonio stella

 

 

 Sei udienze in un anno. Una e mezzo ciascuno.

Vita durissima, per i quattro magistrati della Procura Generale Militare presso la Cassazione: gennaio è lungo lungo, febbraio non scorre mai, marzo è interminabile, aprile una malinconia, maggio fa sospirare Chi l’ha detto che il tempo fugge via? A loro, gravati dalla soma di un’udienza pro capite ogni otto mesi, sembra lo sgocciolio di noia eterna.

Sia chiaro, felice il Paese in cui i tribunali militari non lavorano a pieno ritmo. Spesso, là dove i giudici con le stellette sgobbano dalla mattina alla sera, la gente finisce al muro e perde la testa sotto la lama del boia. Oltre mezzo secolo di pace dopo l’ultima guerra mondiale, interrotto solo da qualche missione di polizia internazionale o di interposizione pacificatrice in questo o quel conflitto, ha via via impigrito (e meno male) una struttura che in uno Stato come il nostro non ha molto da sbrigare. Meglio così. Gli organici, però, non sono dimagriti parallelamente al calo dei processi.

E anche un mondo come quello della giustizia militare, che l’immaginario collettivo associa a film come “Codice d’onore”, coi severissimi magistrati in divisa alle prese con grintosissimi procuratori loro pure graduati come Tom Cruise, ha finito per somigliare a tutto il resto della macchina pubblica italiana. Una macchina pigra pigra che viaggia col motore al minimo di giri. Basti dire che tutti i tribunali militari messi insieme, nel 2006, hanno emesso complessivamente poco più di mille sentenze, in genere su cose di poco conto. Cioè decisamente meno delle sole sentenze penali (poi ci sono quelle civili) fatte segnare da un tribunale ordinario di scarsa importanza come quello di Bassano del Grappa. C’è chi dirà che in compenso sono cresciute le auto blu: una settantina, per servire 103 giudici e i massimi dirigenti. Chi si chiederà perché i cellulari a carico dell’amministrazione siano circa 300 e cioè, dato che i dipendenti dai vertici agli uscieri sono 700 (grossomodo metà militari e metà civili, oltre i giudici) più di uno ogni 3 addetti. Ciò che più colpisce, però, è il carico di lavoro di certi palazzetti della giustizia con le stellette.

 Come quello di Cagliari. Dove “lavorano”, anche se il verbo può apparire spropositato, tre procuratori e quattro giudici e dove nel 2006 risultano essere state emesse 9 (nove!) sentenze. Poco più di una per ogni magistrato residente. I giudici con le stellette, in realtà, le stellette non le portano affatto. Sono magistrati come tutti gli altri, solo che sono stati assunti partecipando a un concorso diverso e non possono passare (il divieto è reciproco) alla magistratura ordinaria se non accettando di sottoporsi a una nuova selezione. In tutto, da Vipiteno a Lampedusa, sono come dicevamo 103. Una ottantina (per l’esattezza 79) nei nove tribunali sparsi per la penisola (Roma, La Spezia, Torino, Verona, Padova, Napoli, Bari, Cagliari e Palermo, con ripartizioni del territorio così bizzarre che Ferrara, ad esempio, non è sotto la vicina Padova ma la lontanissima La Spezia), 17 nelle tre corti d’Appello (Roma, Napoli e Verona), 4 alla Procura Generale Militare presso la Cassazione e gli ultimi 3 al Tribunale di Sorveglianza militare. Cosa sorvegliano? Boh... Carte alla mano, nell’unico penitenziario militare rimasto aperto, a Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta, sono in cella soltanto carabinieri o poliziotti condannati dalla giustizia ordinaria per reati ordinari. Detenuti militari per reati militari? Zero. Neanche uno.

O meglio, in tutta Italia un detenuto, uno solo, ci sarebbe: il vecchio Erich Priebke, l’ex capitano delle SS condannato all’ergastolo nel 1998, dopo una tormentatissima vicenda giudiziaria, per avere partecipato alla strage delle Fosse Ardeatine. Ma siccome ha 94 anni sta da un sacco di tempo agli arresti domiciliari. Dove viene tenuto d’occhio, appunto, da tre giudici. Più 32 impiegati e dipendenti vari, per metà militari e per metà civili. Tutti per lui. Direte: possibile che una situazione così paradossale si trascini per anni senza una svolta? Possibile.

Alla Procura Generale Militare presso la Cassazione non va poi diversamente. La Cassazione è la stessa che si occupa di tutti gli altri cittadini italiani. La sede no. È il bellissimo Palazzo Cesi, che sorge in via degli Acquasparta, nel cuore della capitale, e ospita anche la Procura Generale presso la Corte Militare di Appello di Roma. Ad occuparsi dei processi che devono essere promossi davanti alla suprema corte (in genere alla prima sezione), sotto la guida del Procuratore Generale Alfio Nicolosi, sono tre magistrati. Che possono contare su 35 dipendenti vari (anche qui per circa metà militari e circa metà civili) e da anni vanno a dibattere le loro cause in Cassazione in non più di una decina di udienze l’anno. Nel 2006, stando ai dati ufficiali, solo sei. Un’udienza ogni due mesi. Da spartire tra quattro giudici. Processi clamorosi e delicatissimi dalle mille pieghe procedurali? Non proprio. Uno era a un carabiniere che, in convalescenza, “non ottemperava all’ordine intimatogli dal capitano di fermarsi nei locali della Compagnia per la definizione di una pratica”. Un altro, per ingiurie reciproche, a un maresciallo e un brigadiere dell’Arma che si erano insultati sanguinosamente con le seguenti frasi testuali: “Vengo a contarti tutti i peli nel...”. “Sei un coglio...”. Un terzo era intentato contro un militare che, alla fine di una esercitazione, si era tenuto due proiettili. Reato contestato: ricettazione. No, ha precisato la Cassazione: “ritenzione di oggetti da armamento”. Condanna: un mese e 24 giorni. Con la condizionale. Valeva proprio la pena di impegnare un mucchio di magistrati fino al massimo grado di giudizio?

 

 

 


Sommersi dai veleni radioattivi

dall’espresso.it lunedi 30 aprile
di Primo Di Nicola

4.300 milioni è il costo per ripulire il Paese dai 25 mila metri cubi di scorie e mettere a sicurezza i 24 impianti nucleari.

Ma dal 1999 a oggi non si è fatto nulla. Tra sprechi e incidenti.

Per provarlo L’espresso è entrato nel Centro ricerche nucleare Enea della Casaccia e ha visitato i siti più pericolosi della centrale del Garigliano.

Il centro di Roma è a soli 20 chilometri. E intorno all’area dell’Enea sono ormai sorte borgate con 30 mila persone. Eppure è lì che parte dell’eredità nucleare italiana dorme sonni lunghi e tormentati: oltre 4.500 metri cubi di scorie, frutto degli esperimenti dell’atomica tricolore e delle terapie del sistema sanitario, chiusi in depositi che registrano più di una crepa. L’ultimo allarme è scattato a ottobre: un banale malfunzionamento del sistema di sicurezza ha fatto sfiorare la minaccia radioattiva. Altri pericoli si corrono ogni giorno nelle vecchie centrali del Garigliano o di Latina, nei depositi di Saluggia o Rotondella: lì dove l’Italia ha cercato di nascondere i suoi 25 mila metri cubi di rifiuti ricevuti in testamento dalla politica nucleare degli anni Sessanta e Settanta. Finora sono stati spesi oltre 15 mila miliardi di vecchie lire per fermare le centrali, poi dal 1999 a oggi è stato messo sul tavolo un miliardo di euro per bonificare i residui. Ma la sicurezza è lontana. E per fare pulizia si stima che ci vorranno altri 4.300 milioni di euro. Quando sarà possibile dichiararci ‘No nuke’ una volta per tutte? Non prima del 2024. Fino ad allora il pericolo resterà alle porte di casa.
Come al Centro ricerche Casaccia dell’Enea, XX municipio di Roma. Qui, nel punto più delicato del complesso, nei locali dove sono custodite apparecchiature contaminate, rifiuti nucleari e importanti quantitativi di uranio e plutonio, da mesi è fuori uso l’impianto antincendio. Il 30 ottobre proprio a causa del malfunzionamento dell’apparato, una quarantina di bombole hanno scaricato anidride carbonica dentro l’impianto Plutonio: un getto simultaneo che ha provocato un enorme aumento di pressione. Sono saltate un paio di porte di sicurezza, ma poteva andare molto peggio se uno delle decine di contenitori di materiali radioattivi avesse registrato una perdita. Si tratta di plutonio: un’emissione all’esterno avrebbe fatto scattare l’emergenza anche per la popolazione circostante. Per evitare che un incidente simile si ripeta, l’impianto antincendio è stato bloccato. Era sovradimensionato: per spegnere le fiamme rischiava di fare esplodere il palazzo.
Grandi timori anche in Campania per un impianto obsoleto con strutture fuori norma che rischiano di cedere, provocando danni irreparabili. Capita a Sessa Aurunca, nella centrale nucleare del Garigliano, ferma da 27 anni. Sopra il reattore continua a stagliarsi minaccioso il camino alto 90 metri. Costruito in calcestruzzo, mostra tutti i segni dell’abbandono: l’intonaco si sgretola, l’armatura metallica spunta dal cemento come uno scheletro sempre più corroso. È in una zona sismica ad alto rischio: per questo l’Agenzia per la protezione dell’ambiente (Apat), che insieme a vari ministeri gestisce il ‘decommissioning’ nucleare, da anni ha chiesto il suo smantellamento. L’incubo è che il camino ceda, schiantandosi sulla sfera bianca che custodisce il reattore. Una scena da film catastrofico anni Settanta? No, si tratta di pericoli concreti, anche se nessuno può prevedere le conseguenze della fuga radioattiva.
Scandalo atomico
Vent’anni dopo il referendum con cui gli italiani dissero no al nucleare, terrorizzati dalla nuvola di Chernobyl, l’eredità atomica resta pesante. Con una serie di casi inquietanti che ‘L’espresso’ ha potuto documentare per la prima volta entrando nel centro della Casaccia e nell’impianto del Garigliano.
Nella base della Casaccia ormai inglobata dalle borgate romane si vive un’atmosfera particolare. Pare di inoltrarsi dentro una matrioska di cemento armato, dove la protezione aumenta mentre si avanza verso l’interno. Nel cuore c’è il magazzino con le cassette di plutonio. Una selva di telecamere seguono ogni passo del visitatore, tutto è custodito da una doppia blindatura, che non lascia filtrare nemmeno i rumori. Ma colpisce ancora di più la sala delle ‘scatole a guanti’, con i macchinari che servivano per confezionare il combustibile nucleare. Si cammina tra file di cubi trasparenti, illuminati all’interno: l’atmosfera ha qualcosa di spettrale a metà strada tra una fiction di fantascienza e un racconto horror. Qui il pericolo è ancora di casa: sette operai sono rimasti contaminati dalle perdite. I tecnici negano persino che ci sia stata una crepa: parlano di sostanze ‘trasudate’. Ma si capisce che la presenza dei giornalisti è un evento eccezionale, da tenere sotto controllo quasi più dei rifiuti tossici. Invece sul Garigliano c’è un clima da fortezza Bastiani: è l’ultimo presidio di un passato tecnologico. Il personale sa di rischiare, ma lo smantellamento significherebbe la disoccupazione: ogni anno lo Stato spende dieci milioni di euro per la manutenzione di questo gigante abbandonato. Dentro la vecchia centrale il tempo si è fermato al 23 novembre 1980, quando il terremoto in Irpinia fece scoprire che quella era una zona sismica. Tutto congelato, prima di Chernobyl e prima ancora del referendum. È quasi un museo di archeologia industriale, dove i fantasmi sono in grado di provocare contaminazioni concrete. La centrale del Garigliano aveva un gemello dall’altro lato dell’Atlantico, costruito negli stessi anni a Big Rock Point negli Usa. Gli americani l’hanno sfruttata fino al ‘97 e poi hanno spento il reattore. Con 350 milioni di dollari è stato smontato e ripulito tutto: l’area trasformata in ‘prato verde’ è stata consegnata nel 2005 allo stato del Michigan per farne un parco. Sul Garigliano invece ogni cosa è illuminata dalla paura.
L’onda letale
In tutta Italia centrali e apparati sono ancora lì con tutto il loro armamentario radioattivo e la coda sterminata dei rifiuti nucleari per i quali non si riesce a trovare una collocazione definitiva. Basta andare a Saluggia, in provincia di Vercelli, per imbattersi in una piscina con combustibile irradiato che perde liquidi: colano nel terreno in profondità, minacciando le falde acquifere. Accade nel sito Eurex (Enriched uranium extraction) dove in una vasca di 625 metri cubi sono sepolti 52 elementi di combustibile nucleare provenienti dalla centrale di Trino e da quella del Garigliano. C’è persino una dose di scorie importate dal reattore di ricerca di Petten (Paesi Bassi). I cittadini di Saluggia da tempo chiedono di portare via tutto: l’impianto Eurex si trova a pochi metri dagli argini della Dora Baltea, dove le alluvioni sono frequenti e toccano anche la bara dei rifiuti più tossici. L’ultima volta è accaduto nel 2000: da allora è stato tirato su un muro in cemento, estrema barriera contro la piena. Ma il rischio idrogeologico incombe lo stesso, così come il timore dei residenti. Gli esperti dei ministeri (Sviluppo economico, Ambiente) studiano da tempo una soluzione del problema con i responsabili dell’Apat. Due decenni di progetti, piani e controrelazioni, ma poco si è mosso. “Abbiamo speso tantissimi soldi senza eliminare i pericoli”, dichiara Aleandro Longhi, il deputato che invoca una commissione parlamentare d’inchiesta sui ritardi nella bonifica: “L’Italia è diventata una pattumiera nucleare, uno dei paesi più a rischio di incidenti e inquinamenti radioattivi”.
Bolletta salata
Eppure per l’uscita dal nucleare gli italiani stanno pagando un conto salatissimo. Tra quello che è andato all’Enel (12 mila 315 miliardi di lire) e gli oneri riconosciuti alle imprese appaltatrici vittime dello stop referendario (altri 3 mila miliardi di lire) sono stati bruciati 15 mila miliardi di lire. Poi ci sono i costi veri e propri del ‘decommissioning’ nucleare. È dagli inizi degli anni Sessanta, quando le centrali erano ancora in costruzione, che i contribuenti versano denaro per il loro smantellamento. Compresa nella bolletta dell’Enel, c’è sempre stata una ‘quota atomica’: serviva per creare due fondi per la dismissione. Questi due ricchi conti, che nel frattempo avevano raccolto oltre 331 milioni di euro, nel novembre del 1999, sotto la supervisione dell’Autorità per l’energia, sono stati riversati nelle casse della Società per la gestione degli impianti nucleari (Sogin), che si occupa del decommissioning. E non basta. A partire dal 2000, sempre nella bolletta, con la cosiddetta ‘tariffa A2’ gli utenti hanno continuato a finanziare il ‘decommissioning’ pagando (con vari ritocchi successivi) 0,6 lire a chilowattora. In questo modo, fino al 2006, sono stati raccolti altri 622 milioni di euro, anch’essi finiti alla Sogin. In totale, quasi un miliardo di euro. Ma è solo un antipasto. La pulizia definitiva richiederà altri 4,3 miliardi, da sborsare entro il 2024.
Eredità nucleare
Bloccate dal referendum, nella Penisola ci sono una lunga serie di installazioni, realizzate tra la fine degli anni Cinquanta e gli anni Settanta, tutte da svuotare, demolire e riportare a ‘prato verde’. Per cominciare, le quattro centrali elettronucleari del Garigliano, Latina, Trino e Caorso; l’impianto per il combustibile della Fabbricazioni nucleari di Boscomarengo (Alessandria); i centri pilota Eurex e Itrec per il riprocessamento del combustibile nucleare esaurito, quest’ultimo situato alla Trisaia (Matera); il deposito Avogadro (Fiat), anch’esso a Saluggia: infine, le strutture di ricerca come i laboratori Plutonio e Opec del Centro dell’Enea della Casaccia e del Centro comunitario Ispra (Varese) per il trattamento e il deposito di rifiuti radioattivi. C’è poi una mole sterminata di scorie, lasciate lì dove erano state prodotte: strutture spesso prive di quei requisiti internazionali di sicurezza. Insomma, uno stoccaggio all’italiana. Si tratta di 25 mila metri cubi di materiali radioattivi di prima, seconda e terza categoria (questi ultimi continuano a emettere radiazioni per centinaia di migliaia di anni), a cui vanno aggiunti i 60 mila metri cubi degli impianti da smantellare, gli altri 6 mila di rifiuti condizionati frutto delle operazioni di riprocessamento del nostro combustibile effettuate in Inghilterra, più la parte di competenza italiana del combustibile utilizzato dal reattore Superphenix in Francia. Per 12 anni tutti hanno fatto finta di niente, limitando al minimo gli interventi di bonifica. Solo nel 1999, per iniziativa di Pierluigi Bersani, allora ministro delle Attività produttive, fu varata la Sogin, cui venne affidata la disattivazione accelerata degli impianti e il trattamento dei rifiuti stoccati nei siti di produzione. Anche l’attività di questa società è andata avanti con lentezza, tanto che nel febbraio 2003, quasi due anni dopo le Torri gemelle, a fronte dei rischi di attentati il governo Berlusconi decretò lo stato di emergenza nelle regioni (Piemonte, Emilia Romagna, Lazio, Campania, Basilicata) che ospitano i centri nucleari: l’allora presidente della Sogin, il generale Carlo Jean, fu nominato commissario per la sicurezza dei materiali e delle installazioni nucleari. La sua missione era chiara: costruire un deposito nazionale, dove concentrare tutte le scorie disseminate lungo la Penisola. Compito assolto? “Macché”, sottolinea Tommaso Sodano, presidente della commissione Ambiente del Senato: “Il deposito non è stato realizzato e i rifiuti solo ancora sparsi per l’Italia. Per il decommissioning è stato fatto poco o niente”. Quanto esattamente? “Forse solo il 10 per cento del lavoro complessivo”, ammette Massimo Romano, da pochi mesi amministratore delegato di Sogin.
Avanti piano
Per quanto riguarda le centrali si sono qua e là smantellate sale turbine (a Trino), rimosso amianto (a Caorso), decontaminati i circuiti e smontate le condotte (Latina). Il grosso è rimasto invece in piedi. Ogni anno 50 milioni vengono divorati dalla Sogin per la manutenzione di questi mostri addormentati. Soldi che si potevano risparmiare intervenendo prima. Perché tanti ritardi? Tra ministeri, Apat e Sogin è tutto un palleggio di responsabilità: colpa degli uffici incapaci di autorizzare i progetti. No, replicano gli altri: quei disegni sono inadeguati. Sembra incredibile, ma nonostante siano stati presentati quasi dieci anni fa i piani globali per la disattivazione di tutte le centrali, le pratiche continuano a rimbalzare da una scrivania all’altra senza arrivare a una decisione. Analoga sorte per i Via, gli studi di valutazione per l’impatto ambientale. Dipenderà magari dal fatto che le pratiche sono troppo complicate? No: i permessi tardano anche per le richieste più elementari, come la realizzazione del deposito provvisorio per i rifiuti ora stoccati in locali inadatti (Latina) o il nuovo settore serbatoi dove collocare i rifiuti liquidi a più alta attività e ancora esposti al rischio attentati (Saluggia). E il deposito nazionale? Buio pesto anche su questo fronte. Dopo l’affaire Scanzano e la rivolta della Basilicata, nel 2003 Berlusconi aveva varato una commissione di 19 esperti per individuare un nuovo sito definitivo: non si sono mai riuniti una sola volta.
Poi c’è il delicato capitolo degli enti locali: a sentire la Sogin in questi anni hanno fatto a gara per complicare gli iter burocratici, mettendo ogni ostacolo alla bonifica. Sfiora il ridicolo la vicenda delle licenze negate dal comune di Sessa Aurunca per la centrale del Garigliano. Ci sono i rifiuti nucleari chiusi in modo precario dentro una struttura dichiarata ‘pericolosa per rischio sismico’. E c’è una trincea a pochi metri dal fiume dove sono sepolte buste di plastica zeppe di scorie, inumate negli anni Settanta. Una situazione di doppio pericolo, che l’Apat ha tentato di risolvere: ordine di disseppellire i rifiuti contaminati e spostarli in un magazzino da costruire secondo i criteri di sicurezza. Facile? No, perchè per il magazzino ci vogliono le licenze edilizie. E gli amministratori comunali non si fidano: la popolazione teme che una volta assemblato il bunker, vi siano trasferiti detriti tossici da altre regioni. Quindi il municipio ferma i lavori con un pretesto: “Quella per noi è rimasta una zona agricola e l’edificio per il deposito non si può fare”, spiega l’architetto Gabriella Landi, responsabile dell’Ufficio tecnico municipale. E le licenze edilizie rilasciate negli ultimi venti anni? E la stessa costruzione della centrale autorizzata tanti anni fa? L’architetto non sente ragione. Anzi, rincara: “La centrale non risulta nemmeno sulle mappe del nostro piano di fabbricazione, per noi è come se non esistesse”. Un fantasma, dunque. “Ma anche un paradosso causato dalle regole del decommissioning”, precisa Massimo Romano: “I nostri vincoli, che vogliamo comunque rispettare, vanno ben oltre i migliori standard internazionali”. Intanto in attesa di fare meglio del meglio, non si fa nulla.
Capitale esplosiva
È con questo andazzo che l’eredità nucleare continua a costituire una minaccia. Alla Trisaia le radiazioni avanzano a causa di una fossa che non si riesce a bonificare: lì l’Enea ha scaricato in passato rifiuti solidi ‘ad alta attività’. Al deposito Avogadro di Saluggia si sfiora la farsa: il ministero dello Sviluppo economico e l’Apat prima non hanno rinnovato la licenza di esercizio, poi hanno concesso una proroga di tre anni. Forse confidano nella clemenza delle piene della Dora. Nel frattempo lì continua a perdere liquido un’altra piscina contenente elementi di combustibile radioattivi. Ma invece di chiudere, raddoppia: Avogadro è ora candidato a ricevere il combustibile che si vuole togliere dal vicino sito Eurex.
Ma è nel XX municipio di Roma, a cento metri dall’abitato di Osteria Nuova, che si è creata la situazione più esplosiva. Qui la società Nucleco (controllata da Sogin) ha realizzato nel silenzio generale un nuovo magazzino: il deposito nazionale di rifiuti nucleari prodotti dal sistema sanitario. Si tratta di oltre 4 mila metri cubi, frutto di radiografie e chemioterapie, ammassati in capannoni ormai al limite. Loredana De Petris, senatrice Verde, ha da tempo lanciato l’allarme: “Continuare a raccogliere rifiuti nucleari in un’area così densamente urbanizzata è in contrasto con i più elementari principi di precauzione”. Tutto inutile. Nuovi carichi pericolosi arrivano nel sito. Che è vulnerabile a un attacco esterno: non servirebbero incursori agguerriti, potrebbe bastare una molotov. E le fiamme sarebbero in grado di innescare un disastro. Arrivare al muro di cinta è facile, come ha constatato ‘L’espresso’. D’altronde, come si fa a isolare totalmente una base che ormai è circondata dalle case?
Tutta colpa del generale
La vicenda dei rifiuti è una dimostrazione di quanto sia sbagliata la scelta nucleare. Anche per un paese che lo ha dismesso, eliminarne le conseguenze non è facile. Alfonso Pecoraro Scanio, ministro dell’Ambiente, è preoccupato per la piega che ha preso la vicenda del decommissioning. E ha chiesto all’Agenzia per la protezione dell’ambiente una radiografia completa dei ritardi e dei rischi accumulati.
Perché si va così a rilento? Di chi le responsabilità?
“Negli ultimi vent’anni c’è stata una sorta di dimenticanza, come se fatto il referendum e dismesso il nucleare i problemi fossero risolti. In più, non ha aiutato certo la gestione della Sogin e l’operato del commissario straordinario per l’emergenza nucleare, il generale Carlo Jean. Con il primo governo Prodi avevamo avviato un dialogo con le comunità locali per rimuovere le resistenze ingiustificate e trovare soluzioni condivise al problema dei rifiuti. Il generale ha spezzato questo rapporto prendendo decisioni autoritarie e sbagliate”.
Nel frattempo,si moltiplicano i rischi di contaminazione. Cosa si può fare per eliminare i pericoli?
“Anzitutto individuare le soluzioni tecniche giuste, sia per le centrali che per i rifiuti. Per questo ho chiesto al ministero dello Sviluppo economico di dare indicazioni alla nuova dirigenza di Sogin perché torni a praticare un confronto costruttivo con le comunità locali. Come è stato fatto per esempio in Piemonte, dove Regione e Protezione civile, per eliminare i rischi delle perdite radioattive della piscina di Saluggia, hanno deciso di trasferire il combustibile in essa conservato nel deposito di Avogadro. Non è la soluzione definitiva del problema, ma almeno si mitigano i rischi per la popolazione”.
E per quanto riguarda la questione del deposito nazionale delle scorie, da molti invocato?
“L’orientamento governativo è quello di dividere il problema a seconda della categoria dei rifiuti. Per quelli ad altissima attività, bisognosi di una messa in sicurezza fino a 300 mila anni, si sta pensando a una collocazione in siti europei, naturalmente allestiti con gli altri paesi interessati. Per le scorie a più bassa radioattività invece si potrebbero individuare più depositi nel nostro paese. Sempre coinvolgendo Regioni e comuni e arrivando a decisioni condivise”. P. D. N.


interrogazione sul caso Eni - Ferlenghi

Oggi abbiamo presentato un'interrogazione sul caso sollevato da Report relativo al rappresentante ENI a Mosca.
Si tratta del più alto rappresentate dell'ENI in Russia, che ha accettato la cittadinanza russa, probabilmente offerta per l'utilità per la Federazione stessa. 
Questo, secondo gli autori del servizio,  fa dubitare della fedeltà verso l'azienda madre, ma soprattutto in un settore cruciale come quello dell'approvvigionamento del gas, fa riflettere sugli alti costi per gli utenti finali...

La puntata è visibile da questo link: http://www.report.rai.it/R2_popup_articolofoglia/0,7246,243%255E1072594,00.html.

Al Ministro dell’Economia e delle Finanze
 
Al Ministro dello Sviluppo Economico

Premesso che:
 
 l’ENI è una società per azioni, di cui lo Stato italiano conserva una quota minoritaria di capitale pari al 38%, e che il settore in cui opera, dell’approvvigionamento energetico da fonti fossili è essenziale e strategico per il nostro Paese, essendo il piano energetico nazionale sempre più orientato verso lo sfruttamento energetico di gas metano i cui approvvigionamenti avvengono attraverso gasdotti e rigassificatori,
 
uno dei più importanti canali di fornitura di gas naturale è rappresentato dalla Russia, dove l’ ENI, attraverso la sede di Mosca intrattiene rapporti economici e commerciali garantendo la sicurezza degli approvvigionamenti energetici all’Italia, in un contesto di delicato equilibrio economico e strategico nel controllo dei pozzi metaniferi attuato da Gazprom,

Attraverso la trasmissione televisiva Report è giunta notizia che il rappresentante dell’Eni a Mosca, Dott. Ernesto Ferlenghi, abbia ricevuto la cittadinanza russa, probabilmente offerta quale riconoscimento dell’utilità per la Federazione Russa; ciò in contrasto con le disposizioni del management locale al momento dell’assunzione dell’incarico del Dott. Ferlenghi a Mosca, le quali disposizioni prevedevano con rigore la cittadinanza italiana, quale garanzia della lealtà verso il Paese,
 
Si  chiede di sapere:
 
 Se quanto esposto nella premessa corrisponde al vero,

 
 
 
 
Se un alto dirigente di una compagnia di grande caratura come l’ENI, possa tenere rapporti di cittadinanza con il paese in cui opera senza che venga meno la limpidità del rapporto lavorativo con l’azienda madre, in particolare con riferimento alle delicate relazioni  italo-russe in materia di rifornimenti metaniferi,

 
 

 
 

 
 

 
 

 
 

 
 
 
 Se la cittadinanza russa ottenuta dal Dott. Ferlenghi per “meriti” non sia da interpretare come “eccesso di zelo” nei confronti della Gazprom con implicazioni negative per Eni, e più in generale per il mercato energetico italiano,
 
Se i Ministri interpellati non ritengano di intervenire per richiedere la sostituzione del Dott. Ferlenghi, con un funzionario di cittadinanza italiana.

 
 
 
 
 
Roma, 6 giugno  2007  
 
  Sen. Franca Rame
 

 
 
 
 
 
 

 

 
 
 
 
 
 


Fermiamo lo spreco di stato! E' nata l'Associazione "Franca Rame – Basta Sprechi!".

Evviva! Dopo aver impegnato tempo e risorse per le pratiche burocratiche, è nata, con l'aiuto di ADUSBEF e del suo Presidente Elio Lannutti,  l'associazione

 "Franca Rame: basta sprechi!"

Ecco creato uno strumento, allora forza, al lavoro!

Vogliamo riuscire a bloccare questa incredibile e ingiusta emorragia di denaro e risorse,lo stato italiano non funziona.
Si lavora male, in modo disorganizzato, senza controlli. La lista dei lavori incompiuti, dei mezzi inutilizzati, delle occasioni mancate è infinita.

L’Italia è paralizzata da una burocrazia ossessiva, schizofrenica e punitiva che costa miliardi di euro ai cittadini (15 miliardi di euro è il costo pagato solo dalle piccole e medie imprese).
La burocrazia e lo spreco sono una "tassa" enorme e intollerabile, che crea un terreno fertile per corruzione e favoritismi e determina l’esistenza di una classe politica che invece di amministrare, governa un sistema nel quale solo gli amici degli amici riescono a ottenere quel che sarebbe legittimo per ogni cittadino.

 

Lo scopo dell’Associazione è quello di unire forze sufficienti per raggiungere tre risultati, e crediamo di poterli conseguire perché oggi milioni di italiani si sono ormai accorti che o si cambia o si affonda.
Lo spaventoso indebitamento dello stato italiano non ci permette di abbassare le tasse ma possiamo abolire la gabella dello spreco e della burocrazia.

 

DOBBIAMO FARLO. NON ABBIAMO ALTERNATIVE!

 

Quindi intendiamo:

 

1) Dar vita a un gruppo di studio che raccolga professionisti di vari settori che elaborino proposte concrete e realizzabili subito per migliorare la situazione. In questa direzione ci stiamo già muovendo da tempo ad esempio con l’organizzazione di un convegno sullo spreco svoltosi presso la Libera Università dei Alcatraz, nel giugno del 2006, che si è trasformato in molte proposte e in un primo disegno di legge sulla responsabilità dei funzionari pubblici sui danni provocati. 

 

E' fondamentale diffondere la cultura dell' avvedutezza e del buon costume della pubblica amministrazione: risparmio energetico e idrico, acquisti ecologici, abbattimento degli sprechi attraverso il controllo, la partecipazione e la denuncia dei cittadini.

 

 

2) sostenere l’iniziativa che Franca sta portando avanti con altri parlamentari per riuscire a unificare una serie di disegni di legge con proposte semplici e di buon senso che potrebbero da subito cambiare la situazione agendo su meccanismi che stanno alla base del sistema dello spreco come l’incapacità di rendere disponibili in tempi brevi i beni sequestrati dalla mafia.

 

 

3) Creare un "albo degli scialacquamenti" (che pubblicheremo un libro!), zona per zona, basilare per avere un quadro preciso della situazione e poterla denunciare con forza. Per combattere gli sprechi, è importante sapere dove si nascondono! La gente sa che esiste lo sperpero di ricchezza ma non si rende conto di quanto enorme sia.

 

Iscrivetevi, chiedete ai vostri amici di partecipare, iniziate a mettere mano ai bilanci dei vostri comuni, a ritagliare articoli di giornale sugli sprechi di casa vostra per dare inizio a una collaborazione seria per questo progetto.

 

Per diventare membri, basta inviare una mail all' indirizzo [email protected]  con i vostri dati anagrafici, recapito telefonico e numero di documento d'identità.

 

Tutti i dati verrano custoditi secondo la vigente normativa in materia di privacy


disegno di legge sui collaboratori parlamentari

La vicenda dei portaborse pare non essere ancora conclusa. Anche dopo l'intervento dei Presidente della Camera Fausto Bertinotti, la situazione rimane nebulosa. Stiamo quindi per presentare un disegno di legge per la regolarizzazione del lavoro dei collaboratori parlamentari, i portaborse.
Dopo molti dibattiti, confonti e discussioni, con il prezioso aiuto della Dott.ssa Mancini, Della Dott.ssa Francesca Parisi e del Dott. De Cesare, è stato prodotto questo testo, che nei prossimi giorni verrà depositato.
Speriamo possa essere almeno l'inizio di una discussione seria sull'argomento!
 
 
DISEGNO DI LEGGE 
 

 
 
 
 
Di iniziativa della Senatrice RAME
 

 
 
 
 
Norme per l'ordinamento della professione di collaboratore parlamentare
 

 
 
 
 

Onorevoli Senatori. - Il presente disegno di legge si pone l'obiettivo di affrontare il problema delle collaborazioni parlamentari, ovverosia di quelle circa ottocento persone che supportano il lavoro dei parlamentari e che ancora non si vedono riconosciuta, contrattualmente, la loro professionalità. Sicché, proprio per evitare abusi, forme surrettizie di sfruttamento, sacche di lavoro in nero e, al tempo stesso, per far emergere alla luce del sole professionalità tanto importanti ed utili che operano nel Parlamento, nelle sue strutture e attraverso i suoi mezzi, per supportare il lavoro quotidiano degli eletti, il presente disegno di legge mira a porre in essere delle norme che garantiscano questa figura professionale, dandole dignità e pieni diritti all'interno del nostro ordinamento.
 

 
 
 
 
In questo senso, rivestendo questa figura professionale il carattere di atipicità, si è previsto che ai collaboratori parlamentari debba essere applicato il contratto collettivo nazionale per i dipendenti degli studi professionali e che, proprio in considerazione del necessario vincolo fiduciario che lega questi al parlamentare, tale contratto debba essere a tempo determinato e con scadenza al termine della legislatura.
 

 
 
 
 
Si è previsto, altresì, per rendere più evidente e certificato questo tipo di contratto l'istituzione di un Albo dei collaboratori parlamentari che consenta a questi ultimi di godere, anche in termini professionali, di maggiore visibilità e di dimostrare, da parte dei loro datori di lavori, un'ampia trasparenza al pubblico rispetto alle persone che li assistono nelle loro attività.
 

 
 
 
 

 

 
 
 
 

 

 
 
 
 
Art. 1
 

 
 
 
 
(Oggetto)
 

 
 
 
 
1. - Si intende come collaboratore parlamentare colui o colei che supporta nella sua attività quotidiana il Parlamentare e che, conseguentemente, si iscrive in un apposito «Albo dei collaboratori parlamentari».
 

 
 
 
 
Art. 2
 

 
 
 
 
(rapporto di lavoro)
 

 
 
 
 
1. - Ai collaboratori parlamentari, identificati ai sensi dell'articolo precedente, si applica il contratto collettivo nazionale per i dipendenti degli studi professionali e quindi i diritti e i doveri che, per entrambe le parti, il collaboratore e il Parlamentare, da questo tipo di contratto collettivo ne discendono.
 

 
 
 
 
2. - In considerazione del fatto che il vincolo fiduciario rappresenta l'essenza di questo tipo di contratto, la durata del rapporto di lavoro con il Parlamentare è definita a tempo determinato e comunque non può essere definita oltre il termine della Legislatura.
 

 
 
 
 
Art. 3
 

 
 
 
 
(licenziamento)
 

 
 
 
 
1. - Il collaboratore parlamentare può essere licenziato, ai sensi del contratto collettivo nazionale previsto all'art. 2, per giusta causa, ragione nella quale si ricomprende anche il venir meno del rapporto fiduciario.
 

 
 
 
 
Art. 4
 

 
 
 
 
(albo)
 

 
 
 
 
1.- AI momento della stipula del contratto di collaboratore parlamentare, questi è tenuto ad iscriversi, senza alcun costo, ad un «Albo dei collaboratori parlamentari», a pena di inibizione dall'ingresso nelle sedi del Parlamento. Questo Albo sarà aggiornato periodicamente a cura di ciascuna Amministrazione parlamentare e sarà depositato presso gli Uffici dei Parlamentari Questori.
 

 
 
 
 
2. - L'«Albo dei collaboratori parlamentari» sarà pubblicamente accessibile e disponibile al pubblico anche via internet rispettivamente nei siti internet di ciascun ramo del Parlamento.
 

 
 
 
 
3. - L'iscrizione all'«Albo dei collaboratori parlamentari» è un titolo valido per la frequenza dei corsi di aggiornamento e di studio promossi dalle Amministrazioni degli organi parlamentari.
 

 
 
 
 
Art. 5
 

 
 
 
 
(Disposizioni finali)
 

 
 
 
 
1.- Nessun obbligo né vincolo deriva alle Amministrazioni parlamentari a seguito della stipula di un contratto di collaboratore parlamentare ai sensi della presente legge.
 

 
 
 
 
 
 

 
 
 
 

 

 
 
 
 
 


L'onorevole va due volte in pensione

 

 La Stampa, di  Pierluigi Franz

  Ci sono anche due volti noti del mondo del pallone, Giancarlo Abete e Guido Rossi, fra i beneficiari del vitalizio regalato dallo Stato agli ex parlamentari. Il neo presidente della Figc riceve 6.590 euro al mese per i suoi 13 anni a Montecitorio, mentre l’ex Commissario straordinario della Figc riceve ogni mese 3.108 euro per i suoi 5 anni trascorsi al Senato dall’87 al ’92. E pensare che il 76enne ex presidente di Telecom Italia non ama incassare pensioni. Preferisce gestirsele direttamente tanto è vero che citò la Cassa Forense per riavere in contanti tutti i contributi che vi aveva versato come avvocato. E nel 2003 la Cassazione gli dette ragione: la Cassa gli rimborsò parecchi milioni di euro, ma cambiò poi le regole per evitare che altri legali lo imitassero. Sono circa 2 mila gli ex parlamentari e poco più di mille gli eredi di deputati e senatori che ricevono gratis da Camera e Senato un vitalizio, variabile da 3 mila 108 (più di 6 volte la pensione sociale) a 9 mila 947 euro al mese a seconda della durata in carica. Costo annuo per l’Erario: 187 milioni di euro (127 pagati dalla Camera e 60 dal Senato). Il vitalizio non può essere rifiutato. Unica alternativa è quella seguita dal Sindaco di Roma Walter Veltroni, già ministro dei Beni Culturali, che con un nobile gesto ha devoluto in beneficenza alle popolazioni africane l’assegno di 9.014 euro mensili. Ma quanti seguiranno il suo esempio? Se il vitalizio può essere in qualche modo giustificato come segno di riconoscenza dello Stato per chi ha rappresentato la Nazione, sedendo sui banchi di Montecitorio o di palazzo Madama senza avere altre forme di pensione, fa invece discutere l’entità dell’assegno anche per chi è rimasto poco tempo in carica e la sua cumulabilità con altri redditi.

Da 37 anni c’è poi un’altra anomalia che nessun politico intende correggere: i dipendenti pubblici e privati eletti deputati, senatori, europarlamentari, governatori di Regioni e sindaci di grandi città - grazie all’art. 31 dello Statuto dei lavoratori - possono conservare il posto di lavoro mettendosi in aspettativa con il diritto di vedersi accreditare i contributi figurativi dall'Inpdap, dall'Inps o dall'Inpgi.

In pratica, quasi per magia magistrati, professori universitari, militari, ambasciatori, insegnanti, bancari, piloti, medici ospedalieri, ferrovieri, telefonici e giornalisti hanno diritto al vitalizio dello Stato ed ai contributi in gran parte gratuiti (fino al ’99 il regalo era, invece, totale) sulla loro futura pensione per tutta la durata del mandato se al momento dell’elezione era già aperta una posizione previdenziale. Molti vitalizi finiscono così per sommarsi a pensioni maturate a spese di “Pantalone” o di enti previdenziali di categoria. E d’incanto ottengono quasi gratis 2 pensioni per lo stesso arco di tempo in cui hanno svolto funzioni pubbliche. Il costo per l’Erario è stato calcolato in almeno 5 miliardi di euro, pari a circa 10 mila miliardi di lire, ma nella legge n. 300 del ’70 non era prevista alcuna copertura di spesa. Ad esempio, molti giornalisti parlamentari hanno chiesto l’accredito dei contributi figurativi: dal leader di An ed ex ministro degli Esteri Gianfranco Fini al ministro degli Esteri ds Massimo D'Alema, dall'ex ministro delle Poste Maurizio Gasparri (An) all'ex ministro della Sanità Francesco Storace (An), dall'ex Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Paolo Bonaiuti (Forza Italia) all'ex segretario Udc e ideatore del Movimento dell'Italia di Mezzo Marco Follini. In pratica, la loro pensione finisce per essere in parte pagata dai loro colleghi in attività perché l’Inpgi è un ente privatizzato senza più l’ombrello dello Stato. Altri loro colleghi hanno, invece, già maturato la pensione: il ministro della Giustizia Clemente Mastella (Udeur), il presidente della Rai Claudio Petruccioli, gli ex direttori del Tg2 Alberto La Volpe, del Gr Rai Gustavo Selva, di “Panorama” Carlo Rognoni, de “L’Europeo” Gianluigi Melega, de “Il Tirreno” Sandra Bonsanti, de “La Gazzetta del Mezzogiorno” Giuseppe Giacovazzo, de “L’Avanti” Ugo Intini, nonchè Corrado Augias, Alberto Michelini, Carla Mazzuca, Luciana Castellina e Gianfranco Spadaccia. Solo due giornalisti hanno sinora rinunciato ai contributi figurativi gratis sulla loro pensione: l’ex direttore de “il Tempo” ed ex Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta e il Vicedirettore de “il Giornale” Paolo Guzzanti.

Persino chi ha frequentato poco o niente Montecitorio come il professor Toni Negri, eletto nell’83 nelle file dei radicali, e che ha preferito restare in quei 5 anni a Parigi perché ricercato, incassa 3.109 euro al mese oltre ai contributi gratis per 5 anni sulla pensione di docente universitario. Anche l’ex ministro della Difesa Mario Tanassi condannato nel ’79 dalla Corte Costituzionale per lo scandalo Lockheed gode di un vitalizio di 7.709 euro. Ricevono lo cheque tre ex presidenti della Corte Costituzionale: Leopoldo Elia (6.590 euro) e Aldo Corasaniti (3.108 euro) poi eletti al Senato, mentre l’ex ministro, Mauro Ferri, riceve 9.387 euro per i suoi 25 anni trascorsi alla Camera. Per la loro attività parlamentare assegni anche per due ex vicepresidenti della Consulta: Ugo Spagnoli (9.760 euro) e Francesco Guizzi (3.108).

Duplice vantaggio (vitalizio di 8.455 euro più contributi gratis sulla futura pensione Inpdap) per il presidente di sezione di Cassazione ed ex sottosegretario agli Esteri Claudio Vitalone e per l’ex ministro dei Lavori Pubblici Enrico Ferri (3.108 euro). Pensione di magistrato con contributi figurativi per l’ex Capo dello Stato e senatore a vita Oscar Luigi Scalfaro, che ha indossato la toga solo per pochi anni nel dopoguerra. Anche l’ex P.G. di Roma ed ex ministro della Giustizia Filippo Mancuso beneficia di un vitalizio della Camera di 4.725 euro. Stesso importo per l’ex p.m. del pool di Mani Pulite Tiziana Parenti, mentre l’ex deputato di An Publio Fiori percepisce 9.947 euro, ma gli spettano anche i contributi gratuiti sulla pensione di avvocato dello Stato.

Altri legali beneficiano del vitalizio: 3.108 euro sia al professor Carlo Taormina, ex difensore della signora Annamaria Franzoni, sia all’ex presidente della Commissione pari opportunità Tina Lagostena Bassi. Più consistenti, invece, gli importi per il radicale Mauro Mellini rimasto per 16 anni a Montecitorio (6.963 euro) e per l’Udeur Lorenzo Acquarone (9.387 euro) . A questa cifra risultano ex-aequo l’attuale presidente del Cnel ed ex ministro per le Attività produttive Antonio Marzano, l’ex ministro dei Lavori Pubblici Nerio Nesi, il demoproletario Mario Capanna e il sindaco di Venezia Massimo Cacciari.

Lunga la lista di altri ministri della Prima Repubblica: Franco Bassanini, Giuseppe Zamberletti, Remo Gaspari, Luigi Gui, Virginio Rognoni, Vincenzo Scotti e Franco Nicolazzi (9.947 euro ognuno), Antonio Gava (9.636 ), Filippo Maria Pandolfi (9.512), Salvatore Formica (9.387), Salvo Andò, Pietro Longo e Claudio Martelli (8.455), Renato Altissimo (8.828) ed Emilio De Rose (4.725). Tra i medici incassa un vitalizio di 3.108 euro il celebre cardiochirurgo Gaetano Azzolina. Stessa cifra per il regista Pasquale Squitieri, mentre a Franco Zeffirelli vanno 4.725 euro. Tra i beneficiari del vitalizio come ex parlamentari non mancano, infine, personaggi del mondo della finanza, ma nel loro caso non vi è, però, il cumulo con i contributi figurativi a spese di “Pantalone”: l’ex ministro degli Esteri Susanna Agnelli (8.455 euro), l’ex ministro dei Lavori Pubblici Francesco Merloni (9.947), Luigi Rossi di Montelera (8.455), Franco Debenedetti (6.590), Vittorio Cecchi Gori (4.725) e Luciano Benetton (3.108).  

 


Due miliardi e i rifiuti sono ancora in strada

da Corriere della Sera del 17 maggio 2007

di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo.

 

 

 

Chiudete gli occhi e mettetele in fila, le cinque milioni di eco-balle di spazzatura accumulate in Campania: vedrete un nauseabondo serpentone di 7.500 chilometri.

Oltre mille più della Grande Muraglia. Niente più di questa immagine può dar l'idea della catastrofe ecologica, amministrativa e sociale che sta togliendo il sonno e rovinando i polmoni a un decimo della popolazione italiana. Ormai esausta di un'«emergenza» che, tra nuove promesse e subitanee rivolte e cassonetti in fiamme dura da un'eternità.
Sono tredici anni che a Napoli e nelle province vicine c'è, sancita coi timbri ufficiali, l'«emergenza rifiuti». Uno più del regno di Umberto I, due più della interminabile guerra del Vietnam, quattro più dell'impero napoleonico, sette più degli anni di potere assoluto di Giulio Cesare. Sono tantissimi, tredici anni.

Ad Alessandro Magno bastarono a conquistare il mondo.

Ai nostri amministratori, di destra e di sinistra, sono stati appena sufficienti a costruire uno dei sei inceneritori che erano stati decisi. E che via via sono stati tagliati per scelte ideologiche pseudo-ambientaliste o per placare certe rivolte infiltrate dalla camorra, fino a ridursi a quello di Acerra. Che dopo essere sopravvissuto a ostilità callose capaci di compattare perfino il sindaco rifondarolo Espedito Marletta e il vescovo Giovanni Rinaldi, dovrebbe (dovrebbe...) entrare in funzione all'inizio del 2008. Quando qualche giudice, potete scommetterci, arriverà a dire: no, l'impianto non va bene per bruciare questo tipo di ecoballe.
Sapete quanto è stato speso, finora, per questa emergenza ultradecennale?

Almeno 1.825.000.000 euro. Una montagna di soldi pubblici ancora più alta e massiccia della montagna di pattume che avrebbe dovuto essere rimossa. Senza che, nella sostanza, sia stato risolto nulla. Anzi. Secondo Michele Bonomo, presidente regionale di Legambiente, la stima ufficiale che per Napoli e l'hinterland parla di una raccolta differenziata al 10% (contro una media italiana intorno al 24% con punte virtuose in tre paesi trevisani che arrivano al 90%), va ritoccata al ribasso: «Intorno all'8%». Il che vuol dire che dopo tredici anni di pattume dilagante non solo i campani continuano a produrre 7.345 tonnellate di rifiuti urbani (da aggiungere a 11.084 tonnellate di industriali) al giorno ma nel 92% dei casi buttano questa loro produzione (un quintale in più a testa rispetto alla media nazionale) tutta insieme nei cassonetti. Da dove finisce tutta insieme in «ecoballe» di qualità così scadente da annullare ogni ritorno economico.

Il sistema di Padova, per fare un solo esempio, serve anche 19 comuni ed è economicamente in attivo come in attivo sono un sacco di altri termovalorizzatori del pianeta che sfruttano le ecoballe come combustibile. Quelle napoletane non le vuole nessuno. I sette impianti nati per trasformare l'immondizia in «Cdr» (cioè ecoballe) operano infatti in condizioni tali, per colpa del materiale che arriva e per inadeguatezza propria, da essere stati declassati a semplici impianti di «tritovagliatura». Sminuzzano e suddividono grossolanamente la spazzatura, ma alla fine sfornano la stessa roba che per le sue caratteristiche dovrebbe finire in discarica. Il 65% è «Cdr» di infima qualità, il 25% «fos» (frazione organica stabilizzata) di qualità altrettanto pessima e il 10% è il cosiddetto sovvallo, scarti della lavorazione.

Tagliamo corto: non servono a niente. Tanto è vero che, dalle inchieste giudiziarie, è arrivata la definizione di «sacchetti talequale». Pattume impacchettato così com'era. Pattume che a smaltirlo, ammesso che la magistratura non intervenga subito come ipotizzano i pessimisti, impegnerebbe il nuovo stabilimento di Acerra per un periodo che alcuni valutano in 45 anni e altri addirittura in 56. Non bastasse, mancano ormai perfino le puzzolenti discariche tradizionali: ce ne sono una ogni 117 mila abitanti nel resto della penisola, una ogni 209.351 in Campania. Ufficialmente, si capisce. Dopo avere soffiato sul fuoco delle rivolte popolari contro la gestione scellerata di certi siti infernali come Schiava o Palma, così inquinati dal versamento criminale di rifiuti tossici da allontanare perfino i topi, la camorra le «sue» discariche clandestine (225 censite ancora nel 2003 dal Corpo Forestale) le ha tenute aperte. Anzi, paradosso dei paradossi, pare continui a smaltire immondizia velenosa che viene da fuori mentre il Commissariato spende, per portar fuori la propria, una tombola.

Da venti giorni, nonostante avanzassero ancora 45 milioni di euro mai pagati dei viaggi precedenti, due treni della Ecolog, la società specializzata delle Ferrovie, hanno infatti ripreso a portare il pattume in Germania, a Lipsia. Seicento ecoballe da una tonnellata per ogni treno. Costo del viaggio e dello smaltimento: 160 euro a ecoballa. Cento di più di quanto costa smaltirne una a Roma. Alternative? Zero. Al momento. Anche se qualcuno ha cominciato a buttar lì l'idea, colonialista, di smaltire tutto in Romania.

Non hanno gli inceneritori giusti? Affari loro... E intanto il povero Guido Bertolaso, seduto sul vulcano di pattume tra incendi e rivolte, assalti e insulti, tappa di qua e sistema di là.
Chiedendosi ogni mattina: chi me lo ha fatto fare? Il punto è che, anche al di là della responsabilità dei singoli, a partire da quella dei primi due commissari e cioè i governatori Antonio Rastrelli e Antonio Bassolino, la gestione dell'emergenza rifiuti in Campania è una storia di errori, assurdità, scelleratezze stupefacenti.

Decisioni prese, annunciate, contestate e rimangiate. Subcommissari pagati 400 mila euro l'anno, come per esempio, afferma il rapporto della commissione parlamentare d'inchiesta sui rifiuti, Riccardo Di Palma, poi presidente della Provincia. Politiche clientelari generosissime con tutti, dalla destra alla sinistra. Consulenze per 9 milioni di euro pagate a 500 «esperti» dal 2000 al 2005. Indecenti compravendite dei terreni (ormai sono circa mezzo migliaio) via via individuati per accatastare le ecoballe, terreni che secondo la commissione d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti sono arrivati a volte ad essere «nello stesso giorno, acquisiti da società di dubbia origine e successivamente rivenduti o fittati per un valore più che quintuplicato».

Per non dire delle assunzioni a raffica compiute per la «raccolta differenziata». Lavoratori socialmente utili ed ex detenuti e disoccupati organizzati e precari vari: 2.316 persone mai schierate davvero, seriamente, nella guerra santa (lo sarebbe davvero, santa) contro la raccolta caotica e sprecona e demenziale di oggi. A partire dai 34 giovanotti schierati al «call center» ambientale dove, secondo «l'esplicita ammissione dei vertici» della società, ricevono «quattro o cinque chiamate al giorno». Cioè una a testa alla settimana. Che senso c'è, mentre bruciano i cassonetti? 


L’ASSENTEISMO DI STATO

Dopo aver visto Report, domenica, siamo rimasti tutti con un grande sconforto. Per tutti coloro che non hanno avuto modo di  vederlo, leggete fino in fondo!!!
Sentire dati sconvolgenti di sprechi e corruzione, uno dietro l’altro, faceva davvero venir voglia di cambiare canale, o Paese.
Oggi persone come l’ex ministro De Lorenzo sono ancora nel libro paga delle istituzioni. Addirittura restano al loro posto insegnanti condannati per pedofilia!
E come la mettiamo con gli onesti, che tutti i giorni lavorano a contatto con queste realtà?
E il caso di Luigi Magistro, che lavora all’agenzia delle Entrate- Ha creato un sistema di controllo informatico contro le truffe fiscali. Il sistema funziona perfettamente, ma Magistro viene trasferito. E’ mai possibile che una volta che c’è un funzionario che combatte con successo la corruzione lo si debba punire?
Un gruppo di senatori della maggioranza, sta preparando un disegno di legge che possa mettere fine a quanto riportato nel servizio di Report, che renda le sanzioni più severe ed efficaci contro i condannati ancora in funzione all’interno della pubblica amministrazione.
Di seguito, un "condensato" della puntata di Report trasmessa domenica 19 maggio.
Disponibile su www.report.rai.it/RE_autori/0,11513,90003,00.html_autori/0,11513,90003,00.html

*MILENA GABANELLI IN STUDIO*

L’inchiesta di questa sera è dedicata a tutti coloro che tengono in piedi il paese per puro senso di responsabilità. Sono quelli che lavorano doppio per tappare i buchi lasciati da chi se la prende comoda.

*SABRINA GIANNINI*
Lei è uno dei pochi del pubblico impiego che ha perso il posto a causa dell’assenteismo?

*VITTORIO SGARBI*
No io non l’ho perso affatto, altra bugia!

*SABRINA GIANNINI*
Non lo so se n’è andato lei?

*VITTORIO SGARBI*
No, no sono ancora io, sono un funzionario pubblico, ammiratissimo.

*SABRINA GIANNINI*
Ma lei non era la sovrintendenza di Venezia.

*VITTORIO SGARBI*
Si, sono tutt’ora. Sono stato condannato a 6 mesi che è una condanna visibile.

*SABRINA GIANNINI*
Nonostante questo non ha perso il posto?

*VITTORIO SGARBI*
No, non dovevo perdere il posto perché non ho fatto niente. È una balla assoluta. Io ho lavorato fuori dell’ufficio, ho pubblicato libri, ho fatto cataloghi. Il problema era un problema…

*SABRINA GIANNINI*
Ma questa sentenza è arrivato ingiudicato o no?

*VITTORIO SGARBI*
E’ arrivato ingiudicato, ma è una sentenza a 6 mesi, per una cosa che non esiste. Tant’è vero che io sono stato promosso, sono diventato sovrintendente.

*SABRINA GIANNINI*
Nonostante la condanna?

*VITTORIO SGARBI*
Nonostante la condanna.

*SABRINA GIANNINI*
Ma quindi non è vera questa cosa che lei avrebbe detto, ammetto di essere stato fisicamente assente, ma sempre intellettualmente presente?

*VITTORIO SGARBI*
Si, si certo, verissimo. Certo è cosi’. Per forza se uno studia storia dell’arte deve andare nelle chiese a studiare i quadri non può stare in ufficio per prendere lo stipendio.

*SABRINA GIANNINI*
Ma è vero che le avevano contestato i certificati medici. Tipo il cimurro,crisi allergico-matrimoniali?

*VITTORIO SGARBI*
Si, si tutte balle. Si, si certo.

*SABRINA GIANNINI*
Non è vero che li ha presentati?

*VITTORIO SGARBI*
Si, si io ho una crisi. Certo che li ho presentati, io ho una crisi allergica al matrimonio, che mi mette in uno stato di malessere assoluto.

*SABRINA GIANNINI*
Ma è vero?

*VITTORIO SGARBI*
E’ vero, è verissimo!

*SABRINA GIANNINI*
Che cosa le succede?

*VITTORIO SGARBI*
Appena sento la parola matrimonio, starnutisco. Starnutisco tutta la mattina. Solo all’idea del matrimonio.

*SABRINA GIANNINI – Fuori campo*
Come avrà potuto il medico di Vittorio Sgarbi diagnosticare un’allergia che non esiste? Si poteva essere altrettanto originali senza rischiare condanne…
(…)

*MILENA GABANELLI IN STUDIO*
E a voi buona sera. Assenteisti, condannati e promossi e godranno anche di una ricca pensione e avranno ragione loro. Questo succede in Italia dove la percentuale di assenteisti nel pubblico è 3 volte più grande rispetto al privato. Complice il certificato medico e un opportunismo cronico, per usare un termine lieve. Abbiamo cominciato a lavorare a questa inchiesta dopo che il giuslavorista Pietro Ichino ha aperto un varco nella piaga dei fannulloni, e rotto un tabù. Adesso dei fannulloni si può parlare. E allora parliamone. La nostra Sabrina Giannini.

*DAL TG1 DEL 1/06/2003*
"Oggi sono 988 gli assistenti di volo che non si sono presentati a lavoro, ieri più di 1.100, sono quelli di turno, malati per protesta e con regolare certificato medico. Certificati di medici diversi, di tante città".

*SABRINA GIANNINI*
Queste certificazioni di massa, che sono evidenti, nessun ordine…

*PIETRO ICHINO - Giuslavorista*
Non mi risulta che nessun ordine abbia fatto una piega, ne che sia stato adottato il minimo provvedimento, ne che i giudici abbiano incriminato sti medici, perché è concorso in frode. Quindi, il medico commette un reato, non è solo un illecito deontologico.

*SABRINA GIANNINI*
Però voglio dire, a livello normativo, secondo lei, che cosa si può cambiare, perché anche i medici siano responsabili?

*PIETRO ICHINO - Giuslavorista*
Non c’è niente da cambiare, c’è solo che la gente che deve faccia il suo dovere. Gli ordini non lo fanno perché sono eletti dai medici. M a questo è lo scandalo degli ordini. Il discorso sugli ordini. Chi glielo fa fare sono eletti dai medici mica dai malati o dal contribuente che paga.

*SABRINA GIANNINI – Fuori campo*
Quando nell’agosto dell’anno scorso il professor Ichino, docente di diritto del lavoro, scrive un editoriale sul corriere della sera sui nullafacenti, giungono così tante lettere da rendere necessaria l’apertura di un forum…

*PIETRO ICHINO Giuslavorista*
La grande sorpresa è stata tutta questa valanga di interventi, lettere e messaggi che ormai si contano a migliaia e i 4/5 vengono dall’interno dell’amministrazione, cioè dagli impiegati insofferenti di questa situazione.

*SABRINA GIANNINI – Fuori campo*
Insofferenti perché devono lavorare al posto dei fannulloni, e prendere a fine mese lo stesso stipendio. Un caso esemplare: un professore di una scuola superiore milanese.

*SABRINA GIANNINI*
Ed erano sempre certificati medici?

*MARIO ALBERTINI - vicepreside I.T.C. Moreschi*
Si, sempre certificati medici o di medici di Milano o di medici di un’altra regione, cioè la Sicilia ad essere espliciti.

(…)

*MARIO ALBERTINI - vicepreside I.T.C. Moreschi*
Il tasso di assenza di questo professore è assolutamente fuori dal

normale. Cioè si va dal 71,5% del 2002/03, al 60% del 2003/04, al 18,2% dell’anno successivo e l’anno scorso dal 30 al 40% nelle varie classi. Tra l’altro assenze che sono avvenute in periodi critici dell’anno, cioè in concomitanza con dei ponti, per esempio il ponte di Sant’Ambrogio, quindi anticipo dei ponti e anticipo anche delle vacanze di Natale.

(…)

*SABRINA GIANNINI FUORI CAMPO*
Tanto ci sono i supplenti. È vero che passano un paio di giorni prima che l’istituto possa trovarne uno. È vero che le classi in quei giorni restano scoperte e non c’è lezione. È anche vero che quei supplenti li paga il contribuente. Non importa al prof. Fogliani neppure che la Corte dei Conti gli abbia contestato un danno all’erario da "disservizio" per 100 mila euro. Torno il 2 maggio. E’ stato assente per malattia per più di due settimane grazie ai ponti del 25 aprile e del primo maggio. (…)

*MILENA GABANELLI IN STUDIO*
Sembra che fare due cose insieme e cioè dare la giusta garanzia al dipendente e tutelare l’interesse collettivo, per noi sia impossibile.
La legge prevede che l’assenteista possa essere licenziato per scarso rendimento, ma le scappatoie i cavilli e la scarsa volontà di liberarsi delle mele marce, permettono a queste persone di stare al loro posto, con aggravio di lavoro per i colleghi e danno alla formazione degli studenti che saltano le lezioni e hanno pessimi modelli. Allora usciamo dal nostro cortile e vediamo come funziona quello che è considerato invece un modello di efficienza e trasparenza.

*DONNA INGLESE*
Londra. Sede del General Teaching Council. L’organo inglese che decide le sanzioni disciplinari per gli insegnanti. La più severa è l’espulsione dalla categoria. Senza paura di violare la privacy ecco i nomi e cognomi degli insegnanti. E nel dettaglio quali condotte hanno portato alla sanzione. Anche se si tratta del peggiore dei delitti. Il diritto alla privacy viene dopo il diritto della comunità di sapere. Non a caso i primi ad avere le pagelle e i voti non sono gli studenti, bensì gli insegnanti e i presidi. A dare le pagelle è l’Ofted, il temuto organismo governativo che da 15 anni ispeziona le scuole britanniche inserendo poi i rapporti dettagliati nel sito internet. La trasparenza è un obbligo di legge.

*(…)

*MILENA GABANELLI IN STUDIO*
Per gli inglesi non esiste mediazione: i diritti del cittadino vengono prima di tutto. E’ un sistema esattamente opposto al nostro, dove invece sembra che tutto sia architettato per e affievolire quindi allontanare le sanzioni. Siccome è per contrasti che ci si studia si può trovare la via di mezzo. C’è una proposta di legge scaturita proprio dalle questioni poste da Ichino che prevede per tutta la pubblica amministrazione un organo di valutazione esterno che controllerà il rendimento e la soddisfazione dell’utente, premi per chi fa , sanzioni a chi non fa, mobilità al personale in esubero. Il dirigente avrà meno ostacoli per effettuare un licenziamento, ma dovrà produrre risultati altrimenti gli verrà tagliato lo stipendio del 30%. Secondo la ragioneria dello stato, il comparto con il maggior numero di giornate di assenza per malattia, Il dato è l’ ultimo disponibile, e si riferisce al 2004, è la Presidenza del Consiglio, con una media di 1 mese di malattia all’anno. Con un esempio così pensate un po’ a un vigile.. che sta molto in piedi, sempre nel traffico, è un mestiere usurante e, a Napoli lo è di più: 640 vigili hanno problemi e quindi non dirigono il traffico ma percepiscono l’indennità disagio, secondo alcuni di loro è proprio l’appartenenza alla categoria che costituisce di per sé un disagio. A Napoli.

*SABRINA GIANNINI FUORI CAMPO*

A Napoli il mal d’incrocio ha colpito un vigile su quattro. È un’epidemia. Hanno presentato i certificati medici con patologie che non gli consentono di dirigere il traffico, negli incroci.

 

*LUIGI MASSA – City manager Comune Napoli*

Ce n’è un 200 che debbono evitare postura eretta prolungata, di genteche ha problemi a strae in inquinamento acustico o limitata esposizione al rumore ce ne è un’n altro 150 circa. Sono 500 che hanno certificazione medica ma questo non significa che sono inidonei a stare in strada.

 

*SABRINA GIANNINI FUORI CAMPO*

Si, stanno in strada ma non nel traffico. Per esempio piantonano

l’ingresso del comune.

 

(…)

 

*SABRINA GIANNINI FUORI CAMPO*

A febbraio la magistratura ha aperto un fascicolo e sequestrato i 640 certificati sospetti, dopo le ripetute segnalazione del Comandante Schettini il comune ha istituito una commissione interna. Quanto è bastato perché qualcuno guarisse spontaneamente.

 

*CARLO SCHETTINI – Comandante Polizia municipale Napoli*

Io dico ci sono un certo numero di ammalati, però devo dire da qualche mese a questa parte già si sono verificate delle guarigioni. (…)

 

*PIETRO ICHINO - Giuslavorista*

I poteri del dirigente pubblico sono di fatto obliterati, il potere disciplinare non viene esercitato, il potere-dovere del controllo dei costi e dei provvedimenti conseguenti che comprendono trasferimento e misure organizzative, e nei casi più gravi anche il licenziamento. E’ una degenerazione ed è una grave violazione di legge. Purtroppo dobbiamo dire che per questo aspetto l’amministrazione pubblica è un’isola molto vasta di illegalità diffusa.

 

*MILENA GABANELLI IN STUDIO*

Si è poi scoperto durante le visite che il motivo dell’inidoneità per alcuni vigili era un tappo di cerume. Su 250 visite ordinate dal magistrato,una buona parte non avevano nessuna inidoneità. Ma dov’era il sindaco se per far lavorare i vigili deve intervenire la magistratura? E Adesso andiamo a Taranto in un luogo vietato ai non addetti: cioè all’arsenale militare.

 

*SABRINA GIANNINI FUORI CAMPO*

Suona la sirena delle sette e trenta. Entrano nell’arsenale militare di Taranto i circa 2200 dipendenti del ministero della difesa, di questi 1300 sono operai addetti alla manutenzione delle navi.

 

*UOMO 1*

Io sono intorno ai 1300 lavoratori pubblici che non fanno niente insomma la stragrande maggioranza non fa niente.

 

*SABRINA GIANNINI FUORI CAMPO*

È la denuncia di un operaio di una ditta privata che lavora in appalto all’interno dell’arsenale. Sostiene che i 400 addetti esterni hanno svolto per anni il lavoro al posto dei 1300 interni, gli statali.

 

*UOMO 1*

Mentre noi siamo un po’ schiacciati da…si lavora, si lavora tanto, anche in condizioni un po’ disumane.

 

*SABRINA GIANNINI FUORI CAMPO*

Questo documento mostra l’attività interna dell’arsenale proprio in

quell’ area dove gli operai statali dovrebbero fare le manutenzioni. Le numerose auto parcheggiate fuori dalle office fa pensare che siano già tutti al lavoro. Questa è l’officina congegnatori, si dovrebbero fare lavori di meccanica. C’è un operaio fuori. Dentro dovrebbero lavorare 50 addetti, ma non c’è nessuno. I Macchinari sono fermi, in stato di abbandono. Questa è la fonderia, non viene utilizzata da anni. C’è un addetto, e ha le mani in tasca. Questa è l’officina motori: deserta.

Anche nell’officina tubisti non c’è nessuno. Questa è la carpenteria.

Ancora una volta strutture fatiscenti e costosissimi macchinari inutilizzati… I dipendenti vivono alla luce del sole la loro inoperosa condizione, convinti che nessuno li possa vedere dentro quella città militare protetta dalle mura.

 

*UOMO FUORI CAMPO*

Beh passano il tempo così, andando per l’arsenale, chiacchierando o…almeno in certe ore poi diciamo negli orari pomeridiani vanno anche addirittura a riposarsi, insomma, oppure si fanno la partita a carte, si passa un po’ il tempo.

 

*SABRINA GIANNINI*

Ma loro non si lamentano del fatto che venissero dati i lavori fuori,

cioè a gente di fuori i lavori che avrebbero dovuto fare loro?

 

*UOMO FUORI CAMPO*

Beh questo gli ha fatto sempre comodo perché poi la maggior parte di questi adesso hanno la doppia attività di fuori no!

 

*SABRINA GIANNINI FUORI CAMPO*

Da una parte i dipendenti di piccole aziende private, tutte con meno di 15 operai, quindi con poche garanzie e tutele. Dall’altra gli ipergarantiti, ma capaci anche di slanci di solidarietà verso i meno fortunati.

 

*UOMO 1*

Dicevano che dovete dire grazie a noi che non lavoriamo perché voi lavorate, perché se lavoriamo noi, voi rimanete senza lavoro, dovete andar via.

 

*SABRINA GIANNINI FUORI CAMPO*

Si può capire il tornaconto dei dipendenti statali, perché lavorare stanca,. Si può capire il tornaconto dei sindacati che qui inseguono tessere e il consenso. Non si capisce quale sia il tornaconto del direttore. Che interesse avrebbe l’ ammiraglio a lasciare con le mani in mano i suoi dipendenti e le attrezzature a invecchiare, sprecando denaro pubblico? Un evidente tornaconto l’avrebbero avuto gli imprenditori delle ditte esterne, che grazie a questa situazione si sarebbero presi, per anni, appalti per milioni di euro…

 

*SABRINA GIANNINI FUORI CAMPO*

Come tutte le mattine un auto blu attende il vicedirettore

dell’arsenale. Esce da casa. Sale in auto. Svolta l’angolo. E l’arsenale è lì davanti, a duecento metri. Avrebbe fatto prima a piedi. Lo stato al servizio del servitore dello stato. Come da copione.

 

*MILENA GABANELLI IN STUDIO*

Ma il ministero della Difesa lo sa che là dentro 1300 operai sarebbero addetti alla manutenzione delle navi, e i lavori li fanno le ditte esterne? Pare che andasse bene a tutti almeno fino a 18 mesi fa quando un provvedimento di un magistrato ha autorizzato un ispettore del lavoro a effettuare dei controlli. L’area è stata messa sotto sequestro. Il problema degli apparati militari esiste perché esplodono di personale ma sembra che ci sia da fare proprio poco. Per esempio .. i tribunali militari ..sono 9 in tutta Italia. Cosa fanno? 3 udienze al mese. A Padova 2 magistrati militari hanno detto basta, noi vogliamo lavorare!

Vivaddio!

 

*SABRINA GIANNINI FUORI CAMPO*

Benedetto Roberti è giudice presso il tribunale militare di Padova, Sergio Dini è sostituto procuratore. Hanno deciso di denunciare pubblicamente che nei tribunali militari c’è poco da lavorare, che i costosi edifici sono deserti, le sale di attesa vuote, le udienze rare. In una mattina c’è stata una sola udienza durata poco meno di un’ora, mase ce ne fosse una al giorno sarebbe già qualcosa invece…

 

*BENEDETTO ROBERTI – Giudice Tribunale Militare Padova*

I dati sono veramente allarmante allarmanti. Qui a Padova al 30settembre 2006 i processi pendenti erano 18, attualmente oggi sono 10.avanti al tribunale militare di Cagliari al 30 settembre 2006 erano tre.Quindi voglio dire che davanti a se avevano solo tre processi da celebrare. E poi c’è il vuoto. 3068 processi pendenti in tutti i nove tribunali militari.

 

*SABRINA GIANNINI FUORI CAMPO*

3000 processi pendenti distribuiti nei tre tribunali del nord, del sud,

uno a Cagliari e due a Roma. Tutti insieme i nove tribunali hanno un quarto del lavoro di un tribunale ordinario di provincia.

 

*SABRINA GIANNINI FUORI CAMPO*

Per restare con i piedi per terra invece, 40 magistrati militari su 100 hanno incarichi extra giudiziari. Per esempio c’è chi ha aperto la partita iva, per fare corsi privati grazie ai quali ha intascato 60 mila euro in un anno. Il Consiglio Superiore della magistratura Militare lo ha quindi richiamato perché a tutto c’è un limite.

 

 

*SERGIO DINI – Sostituto procuratore militare Padova*

Ci sono oltre ai 100 magistrati altri 600 circa soggetti impiegati tra militari e civili e quindi sono anche questi costi notevoli e soprattutto sono costi che non trovano rispondenza in una conduzione.

 

*SERGIO DINI – Sostituto procuratore militare Padova*

Ci sono molte altre vetture di servizio, telefonini, tutto quello che ruota intorno…

 

*SABRINA GIANNINI*

Come se voi foste magistrati ordinari con incarichi in certo senso

ordinari e…

 

*SERGIO DINI – Sostituto procuratore militare Padova*

Diciamo che come auto di servizio siamo trattati meglio noi ne abbiamo di più noi di auto di servizio.

 

*SERGIO DINI – Sostituto procuratore militare Padova*

Son successi dei casi, non sono neanche così frequenti per cui all’interno della caserma un militare ruba le chiavi della macchina del commilitone, gliele ruba dall’armadietto in camerata. Poi con questa stessa chiave va a rubare la macchina che è parcheggiata fuori dalla caserma, perché i parcheggi sono fuori dalla caserma allora in questo caso si fanno due processi per due furti diversi. Uno è il furto militare della chiave avvenuto in caserma, l’altro è il furto della macchina che chissà perché diventa furto comune e per questo deve procedere l’autorità giudiziaria ordinaria. Due processi il che vuol dire doppie spese per lo stato, che deve impiegare tra i giudici militari un giudice ordinario, un pm militare, un pm ordinario, un cancelliere militare, un cancelliere ordinario ecc…

 

*SABRINA GIANNINI FUORI CAMPO*

Il ministro Mastella si è accorto che le baionette non ci sono più e ha introdotto nei suoi disegni di legge sulla giustizia anche una riforma per i tribunali militari. Il classico compromesso all’italiana, in Europa siamo gli unici ad avere ancora questi tribunali, la Francia ne ha mantenuto soltanto uno a Parigi, la legge manterrà la metà delle poltrone e delle auto blu, l’latra metà passerà alla magistratura ordinaria.

 

*SABRINA GIANNINI FUORI CAMPO*

Già il fatto che si dica: "mamma Rai" la dice lunga. Le mamme non

licenziano.

 

*VALERIO FIORESPINO - dirigente RAI *

Quello che emerge di tutta evidenza è che quando c’è una persona che non lavora è difficilissimo mandarla via, ma sono sicuro che ci sta per arrivare una causa di demansionamento.

 

*SABRINA GIANNINI FUORI CAMPO*

Ovvero: il giudice del lavoro sentenzierà che la colpa non è del nullafacente, bensì della RAI che nulla gli ha fatto fare. Appunto, non gli ha dato una mansione. La storia inizia nel 2001. Il dipendente è un laureato, è un quadro e lavora nel settore legale. Tutte le volte che gli vengono assegnate mansioni lui non le esegue. Viene più volte spostato d’ufficio ma...

 

*VALERIO FIORESPINO - dirigente RAI *

Continua a creare continue difficoltà. Cioè se davvero i suoi responsabili avessero dovuto dare ai loro collaboratori tutte le spiegazioni, le specifiche, le puntualizzazione che chiedeva lui, avrebbero completamente paralizzato la loro attività.

 

*SABRINA GIANNINI FUORI CAMPO*

Ci sono dirigenti che rifiutano gli incarichi, anche direttivi, perché non li ritengono qualificanti. e poi fanno causa per demansionamento. Vincendola

 

*MILENA GABANELLI IN STUDIO*

Noi facciamo servizio pubblico e al pubblico bisogna render conto. Sappiamo che ci sono dirigenti senza incarico e costano molto, ed entrano con la spinta politica. Siccome ogni volta che cambia il governo cambia il film, perché non assumere questi dirigenti a tempo determinato? Sparirebbe l’imbarazzante cimitero degli elefanti, insieme alle milionarie cause per demansionamento. Invece per quel che riguarda gli imboscati purtroppo, più l’azienda è grande e più ce ne sono, hanno mansioni che non svolgono e costringono altri a tirarsi il collo al posto loro. Fra parentesi - è grazie a questa categoria, quella dei responsabili, che non prende un euro in più e spesso nemmeno un grazie, se in Rai si va in onda tutti i giorni, se tutte le mattine la scuola apre, se in ospedale si riesce ad avere un’assistenza degna. Chiusa parentesi. Cosa succede invece quando un funzionario pubblico viene rinviato a giudizio ? Il comune di Taranto è stato spolpato, è fallito.

Nell’attesa dei tempi giudiziari dove stanno i responsabili?

 

*ALDO PETRUCCI – Procuratore generale Taranto*

Ho coniato questa definizione per le vicende del comune di Taranto: la realtà supera l’immaginazione.

 

*SABRINA GIANNINI FUORI CAMPO*

Nella sede comunale di via Plinio 23 impiegati lavoravano molto altroché i fannulloni. Per far quadrare i conti facevano straordinari sustraordinari finché un bel giorno…

 

*TGR PUGLIA*

"una ventina di arresti a Taranto per gli emolumenti gonfiati a favoredei dipendenti comunali"

 

*ALDO PETRUCCI – Procuratore generale Taranto*

Peculato, truffa aggravata, associazione a delinquere.

 

*SABRINA GIANNINI FUORI CAMPO*

Secondo la procura i dipendenti coinvolti nella vicenda giudiziaria si sarebbero gonfiati illecitamente le buste paga fino a 20,40,100 mila euro al mese, aggiungendo varie voci di straordinario.

 

*GIOVANNI MONACO – Guardia di Finanza Taranto*

Avrebbero dovuto avere delle capacità soprannaturali, insomma, per poter far fronte a questa mole di lavoro. Praticamente partecipavano contestualmente sia a progetti sia a commissioni, sia a straordinario. Una giornata avrebbe dovuto essere minimo di 48 ore.

 

*SABRINA GIANNINI FUORI CAMPO*

48 ore al giorno e per 5 anni, in via Plinio non si usava timbrare il cartellino, i marcatempo sono stati acquistati soltanto dopo lo scandalo. Erano i dirigenti a segnare le ore su un foglio presenza, attestando che i dipendenti partecipavano a commissioni e a progetti obiettivo.

 

*GIOVANNI MONACO – Guardia di Finanza Taranto*

Un progetto fatto per la raccolta e la numerazione delle fatture, destinato al comune. Questo è un compito ordinario della direzione risorse finanziarie.

 

*SABRINA GIANNINI FUORI CAMPO*

Ma è bastato farlo diventare straordinario e i ragionieri si sono spartiti 26 mila e 500 euro. Progetti obiettivo ne sono stati fatti almeno 122.

 

*ALDO PETRUCCI – Procuratore generale Taranto*

Per le casse comunali oltre 5 milioni di euro.

 

*GIOVANNI MONACO – Guardia di Finanza Taranto*

Lo stipendio base è 1747.

 

*SABRINA GIANNINI FUORI CAMPO*

Aggiungendo la parola magica progetto sono comparsi 50 mila euro, in un solo mese. Dal 2001 al 2005 questo dirigente si è guadagnato 600 mila euro grazie ai progetti. Quest’altro 500 mila. Facevano tutti parte della direzione Risorse finanziarie del personale.

 

*SABRINA GIANNINI FUORI CAMPO*

Le indagini hanno chiarito che gli assessori non verificavano le determine di spesa firmate dai dirigenti, ma i politici sapevano. Nel corso delle perquisizioni è stato trovato in un cassetto il rapporto del 2001 redatto dagli ispettori del ministero dell’economia dove si

segnalavano irregolarità nella gestione delle finanze. Ma per cinque anni e mezzo il sindaco Rossana Di Bello eletta in modo plebiscitario per due tornate elettorali, non ha fatto correttivi. Si è dimessa il giorno dopo aver ricevuto la condanna per la gestione degli appalti dell’inceneritore a febbraio dello scorso anno, lasciando nelle mani del commissario inviato dal governo un comune in bancarotta.

 

*TOMMASO BLONDA – Commissario del Governo*

Il lunedì cominciare una settimana con quest’incubo dei soldi che mancavano, di questi poveracci che stavano qui senza stipendio, due mesi senza stipendio! Due mesi! E’ troppo!

 

*SABRINA GIANNINI FUORI CAMPO*

Taranto da un estremo all’altro. Nel giro di poche settimane i suoi dipendenti comunali sono passati dal record dei più pagati in italia al record dei meno pagati. La grande abbuffata era finita per tutti, anche per gli onesti. I 23 arrestati che si sono mangiati 5 milioni di euro non possono rappresentare gli altri 1300, ma la spartizione pare fosse più allargata e non solo ai piani alti di via Plinio. All’appello mancano infatti almeno 20 forse 30 milioni di euro, elargiti come salario accessorio ma presi illecitamente da altri fondi.

 

 

*SABRINA GIANNINI FUORI CAMPO*

La subcommissario li ha sospesi lasciandoli vivere con l’assegno familiare di 700 euro al mese. I sospesi hanno fatto ricorso in tribunale per rientrare al lavoro. Uno si è persino lamentato per la mancanza dello stipendio. Il giudice ne respinge il ricorso, gli ha ricordato che aveva guadagnato in due anni 230 mila euro.

 

*SABRINA GIANNINI FUORI CAMPO*

Bisognerebbe cambiare la legge che oggi non consente di licenziare un dipendente pubblico se nei suoi confronti è stato aperto un procedimento giudiziario, si deve aspettare che la lenta macchina della giustizia finisca il suo corso. Per i lavoratori del privato la musica è un’altra.

 

*GIUSEPPE FIORONI – Ministro dell’Istruzione*

Oggi c’è una norma che sui reati di abusi sessuali, pedofilia e quant’altro c’è la decadenza immediata del servizio come ha richiamato una circolare per far applicare…

 

*SABRINA GIANNINI *

Quindi lei ha chiesto ai dirigenti qualora ci fossero questi casi in sospensione cautelare.

 

*COSIMA DI STANI – Subcommissario del Governo*

Il rientro in servizio è la regola. L’eccezione è appunto la valutazione in termini discrezionali dell’opportunità o meno di far rientrare il dipendente.

 

*SABRINA GIANNINI FUORI CAMPO*

Infatti non vi è obbligo ma discrezione nell’allontanare un inquisito e a discrezione si sceglie quasi sempre di lasciarlo sul posto. Basta restare a Taranto per avere un esempio.

 

*SABRINA GIANNINI *

Il peso che un dirigente di una asl che ha più dirigenti inquisiti in assoluto?

 

*MARCO URAGO – direttore generale ASL Taranto1*

Statisticamente non so le altre, però io sono messo bene.

 

*SABRINA GIANNINI FUORI CAMPO*

La tangentopoli della sanità tarantina prende avvio nel 2002, secondo l’accusa le gare di appalto erano sproporzionate rispetto ai servizi forniti alla asl, a volte le forniture erano del tutto inesistenti, quindi le fatture false. I funzionari della asl avrebbero secondo l’accusa il loro tornaconto in tangenti. Direttore da un anno Marco Urago sta cercando di ridimensionare il deficit di 90 milioni di euro, in compenso può vantare un bagno costoso lasciatogli in eredità da uno dei direttori inquisiti.

 

*MARCO URAGO – direttore generale ASL Taranto1*

Questo è un bagno che è stato oggetto anche in questo caso di interesse da parte della magistratura perché fu un bagno ristrutturato ad un prezzo decisamente elevato. Circa 200 mila euro. E una doccia che non funziona.

 

*SABRINA GIANNINI *

Quanti ancora oggi sono ancora qua che lavorano?

 

*MARCO URAGO – direttore generale ASL Taranto1*

Tutti tranne una.

 

*SABRINA GIANNINI FUORI CAMPO*

E’ da pochi giorni rientrata anche lei Antonia Manghisi. E’ l’unica ad aver fatto i 5 anni di sospensione previsti e adesso vuole unm risarcimento. Era l’ex direttore amministrativo nel 2002, si fece anche otto mesi di carcere, l’anno successivo gli arresti domiciliari per un’altra vicenda di appalti e tangenti e adesso la rosa dei funzionari inquisiti è al gran completo.

 

PIERCAMILLO DAVIGO – Consigliere di Cassazione*

Ai pubblici funzionari, è richiesto di avere disciplina d’onore. Allora se vuoi continuare a fare il pubblico funzionario non prendi la prescrizione. Oppure se vuoi continuare a fare il pubblico funzionario non patteggi, non ricorri all’applicazione di pena. Se sei innocente ti difendi e accetti l’esito del giudizio.

 

*SABRINA GIANNINI*

Quindi lei sostiene che ci vorrebbero dei correttivi normativi, affinché il pubblico funzionario se accetta invece la prescrizione…

 

*PIERCAMILLO DAVIGO – Consigliere di Cassazione*

Venga colpito disciplinarmente se viene meno il requisito dell’onore che è un bene previsto, anzi imposto dalla Costituzione per chi svolge pubbliche funzioni.

 

*MILENA GABANELLI IN STUDIO*

Quando c’è un procedimento contro un dipendente pubblico l’unico strumento che permette la legge è quello della sospensione cautelare. Cioè tu dirigente se vuoi salvare l’onorabilità della pubblica amministrazione dovresti allontanare il dipendente con un assegno minimo di mantenimento, in attesa di sentenza. Ma la regola invece è quella di lasciarlo al suo posto , anche se ha commesso reati gravi. Una volta condannato invece, immaginiamo, scatterà a il licenziamento…. o no?

Parlavamo di dipendenti pubblici rinviati a giudizio. In caso di condanna chi deve licenziare è il dirigente pubblico. Ma lo fa? Per saperlo basta andare a vedere se i condannati sono stati mandati a casa o sono ancora al loro posto. Torniamo a Napoli.

 

*LUIGI MASSA – City Manager Napoli*

Io adesso non ho qui il dato, quindi non posso…però noi licenziamo moltissima gente.

 

*SABRINA GIANNINI FUORI CAMPO*

E’ vero 99 licenziati in 7 anni, tutti con sentenze passato ingiudicato. Quindici di questi però dopo il licenziamento sono tornati a lavorare. Questo vigile è stato arrestato e poi condannato per concussione con sentenza definitiva. Due anni dopo il fattaccio è stato promosso Diligente di primo livello. Una stelletta e un po’ di stipendio in più.

 

*GIUSEPPE FIORONI – Ministro dell’Istruzione*

Guardi da questa parte, la corte dei conti, gli posso fornire pure i dati, ma noi viviamo in uno stato dove anche la corte dei conti, sa che ormai noi abbiamo fatto una norma dio legge che è precisa, come la sentenza…decadono immediatamente e cessano. Se lei legge la mia circolare, ho ribadito che cessano immediatamente. Per cui questo 50% che è in servizio se ha avuto la condanna…

 

*MILENA GABANELLI IN STUDIO*

Questo 50 % di condannati responsabili di reati sessuali nei confronti dei minori devono essere licenziati, speriamo che l’abbiano fatto e che qualcuno controlli, perché fino a poco tempo fa erano ancora al loro posto. Anche chi è stato condannato per aver rubato soldi pubblici, corrotto, chiesto mazzette se la cava quasi sempre con una sospensione di 10 giorni dal lavoro e dalla busta paga. Sarebbe previsto il licenziamento, ma quasi mai nessuno lo applica, per questo nel 2001 è stata fatta una legge apposta che dice: tu dirigente davanti ad una condanna superiore ai 3 anni puoi licenziare in tronco senza aprire nessuna pratica. Ma poi tra patteggiamento e rito abbreviato, ai 3 anni ci si arriva raramente e il condannato resta al suo posto. Per rimediare adesso è stata fatta una modifica alla legge.

 

*SABRINA GIANNINI FUORI CAMPO*

Il ministro della funzione pubblica Nicolais, ha cosi proposto un disegno di legge per licenziare automaticamente anche chi pur patteggiando prende una pena di due anni. Possiamo festeggiare la fuoriuscita dei corrotti dalla pubblica amministrazione?

 

*SABRINA GIANNINI*

Aver abbassato da due a tre anni comporterà praticamente…

 

*PIERCAMILLO DAVIGO – Consigliere di Cassazione*

Effetti ridottissimi.

 

*SABRINA GIANNINI*

Per esempio la corruzione?

 

*PIERCAMILLO DAVIGO – Consigliere di Cassazione*

La corruzione, il minimo in Italia è di due anni. Solo chi chiede il patteggiamento un terzo in meno, o l’abbreviato o un terzo in meno. Se risarcisce il danno un altro terzo in meno, fino a un terzo, comunque concretamente.

 

*SABRINA GIANNINI*
Quindi in che percentuale, poi alla fine, per esempio uno che è accusato di corruzione, può arrivare a prendere più di due anni.

*PIERCAMILLO DAVIGO – Consigliere di Cassazione*
Il 2%.

*SABRINA GIANNINI FUORI CAMPO*
Il consigliere Davigo insieme a Grazia Mannozzi ha raccolto ed elaborato i dati dei casellari giudiziari dall’83 al 2002, e come si vede risulta che le condanne per corruzione con pena superiori a tre anni, sono 1,7%.

*SABRINA GIANNINI*
Quindi perché li avete lasciati a due anni?

*LUIGI NICOLAIS - Funzione pubblica *
La ragione per cui l’abbiamo lasciati è perché non potevamo scendere al di sotto dei due anni altrimenti noi andavamo ad operare , a licenziare persone che avevano commesso reati minimi e non potevamo a questo punto licenziare tutte le persone che hanno commesso reati lievi.

*PIERCAMILLO DAVIGO – Consigliere di Cassazione*
Sono reati questi che fanno venir meno il rapporto fiduciario, o ti sei rubato i soldi, o li hai rubato all’amministrazione o li hai rubati ai cittadini o ti sei messo d’accordo con i cittadini per danneggiare l’amministrazione. In un caso o nell’altro vai a casa.

*SABRINA GIANNINI*
Quindi che cosa si doveva fare, non mettere un limite di due anni?

*PIERCAMILLO DAVIGO – Consigliere di Cassazione*
No, la condanna per uno di questi reati comporta …punto.

*SABRINA GIANNINI*
Se devi essere severo non farlo per dare un’idea che lo sei ma fallo veramente, se è vero e non punitivo.

*LUIGI NICOLAIS - Funzione pubblica *
Molto sinceramente, l’idea non voleva essere così, voleva però che si arrivasse ad un eccesso. Perché se noi veramente vogliamo buttare a mare il bambino con l’acqua sporca, secondo me esageriamo nella pubblica amministrazione. Arrivare ad un eccesso così di licenziabilità per ogni reato di questo genere, per qualunque forma di condanna, secondo me è un po’ troppo severo.

*PIERCAMILLO DAVIGO – Consigliere di Cassazione*
Perché una corruzione è meno grave se la somma percepita è minore? O vuol dire che il prezzo di quel funzionario è talmente basso che si vende per poco o per nulla? Io non lo so se sia meno grave per esempio, ma uno che si vende per 50 euro che affidabilità può dare alla sua amministrazione?

*LUIGI NICOLAIS - Funzione pubblica *
Di questo però ne discuteremo sicuramente al senato a breve perché diciamo che il limite che abbiamo richiesto è di due anni, ma potremmo anche scendere ne potremmo anche discutere su questo.

*SABRINA GIANNINI*
Scendere a uno?

*LUIGI NICOLAIS - Funzione pubblica *
Scendere ad uno per esempio.

*SABRINA GIANNINI FUORI CAMPO*
Allora visto che c’è ancora un margine per la modifica è il caso che una legge di questo tipo manterrà le cose come prima, quindi lascerà nel cesto tutte le mele marce. Sarà il caso di controllare come per esempio Francesco De Lorenzo l’ex ministro è tornato a fare il docente di medicina dell’università Federico II di Napoli.

*PIERCAMILLO DAVIGO – Consigliere di Cassazione*
Il problema vero è che queste attività non vengono fatte non soltanto per inefficienza, non vengono fatte, mi dispiace doverlo dire, ma anche per la gravissima capacità di ricatto che a volte questi funzionari irretiti da queste vicende hanno.

*SABRINA GIANNINI*
Cioè?

*PIERCAMILLO DAVIGO – Consigliere di Cassazione*
Vede la corruzione è un reagito diffusivi, nel senso che dove c’è un corrotto prima o poi ce ne saranno altri. I corrotti sono in grado di ricattare i loro complici. Se hanno diviso i soldi con altri funzionari pubblici sono in grado di dire agli altri "guardate che se mi mandate a casa io racconto tutto".

*LUIGI MAGISTRO – Ex direttore Audit e sicurezza Agenzia Entrate*
Significa 2000 controlli sui vari uffici locali dell’agenzia delle entrate che sono sparse in tutta Italia e li facciamo soprattutto tenendo conto di quelli che sono i principali rischi cerchiamo quindi di agire sui processi a maggior rischio dei criticità di vario genere.

Luigi Magistro lo avevamo intervistato otto mesi fa, proprio su quel sistema che lui aveva creato dal nulla quattro anni fa. Durante quell’incontro avevamo parlato di un altro caso di corruzione e bustarelle anche questo scoperto grazie al controllo sicurezza interno e alla pronta segnalazione fatta ai magistrati.

*MILENA GABANELLI IN STUDIO*
Uno cerca, spera di trovare qualcosa che funziona, quando lo trova si accorge che il nostro sistema Audit quello creato da Luigi Magistro, addirittura ce lo invidiano in tutta Europa, e i francesi sono venuti a studiarcelo. Cosa fai con un dirigente così: te lo tieni stretto e lo esponi come un fiore all’occhiello. Invece scopri che è stato spostato, non promosso, perché da direttore è diventato vice, e la motivazione ufficiale, la nota che ci è stata mandata è la seguente: "Nella nostra struttura dopo un periodo di 4 anni trascorsi in una funzione di alta responsabilità è normale il passaggio ad altro incarico". Come dire Signor Magistro che lei sia bravo o mediocre non importa, da noi dopo 4 anni si cambia. Siccome questo ufficio però non esisteva prima, è una regola nuova? E come mai al Contenzioso, al Contenzioso c’è lo stesso dirigente da dieci anni? Mi piacerebbe chiedere al Signor Visco: ma lei lo sa? Se è no provveda, se invece ne è al corrente dica almeno ai suoi collaboratori di inventare una motivazione più credibile, altrimenti viene il sospetto che chi ha creato un sistema per individuare la corruzione all’interno dell’agenzia delle entrate era da spostare.Punto. Allora però è inutile che stiamo qui a fare tante leggi e riforme.


L’ACQUA BATTESIMALE E’ GRATIS!

A partire dal 1929, con la firma dei Patti Lateranensi, lo stato italiano si fa carico della dotazione di acqua per lo Stato Vaticano, in virtù dell’articolo n. 6, che al primo comma dice che "L’Italia provvederà, a mezzo degli accordi occorrenti con gli enti interessati alla Città del Vaticano un’adeguata dotazione d’acqua in proprietà".

L’Italia si fa carico da allora dei 5 milioni di metri cubi d’acqua consumati in media dallo Stato Pontificio. Per le acque di scarico, Città del Vaticano si allaccia all’Acea, ma non paga le bollette, perché non riconosce la tassazione imposta da enti appartenenti a stati terzi. In soldoni, non riconosce Acea perché è "straniera".

Quando Acea si quota in borsa nel 1999, chiede un intervento al governo italiano, che ripiana i 44 miliardi di lire di debiti relativi alla fornitura delle acque vaticane. Da quel momento, la Chiesa avrebbe dovuto farsi carico di una spesa di 4 miliardi di lire annui, ma non è andata così. Tutti i salmi finiscono in gloria, e lo Stato italiano si trova di nuovo nel 2004 a pagare il conto: tocca alla finanziaria 2005 stanziare 25 milioni di euro subito e quattro dal 2005 per dotare il Vaticano di un sistema di acque proprie.

Nel 2001 il Governo Berlusconi istituisce una commissione bilaterale per provare a dirimere la questione delle acque bendette, ma pare che ci sia poco da fare per i debiti che ACEA lamenta, il Vaticano è disponibile a pagare solo una quota di 1.100 euro, per realizzare un depuratore. STOP.

La commissione ha assicurato allo stato pontificio la dotazione d’acqua richiesta (1059 once all’anno) sempre con carattere di gratuità, come disposto dai patti lateranensi, per far fronte alle esigenze sia all’interno delle mura Lonine, che all’esterno, a beneficio delle sedi di dicasteri ed enti contrali della Chiesa, indicati dalla Santa Sede con apposito elenco, che viene aggiornato in via diplomatica. Quali e quanti siano è da scoprire. Il Vaticano comunque corrisponderà un contributo periodico in riconoscimento degli oneri connessi al trasporto dell’acqua.

Carta e penna alla mano, facendo due conti si realizza facilmente che il debito dal 1999 ad oggi ammonta a circa 52 milioni di euro.

C’è da strabuzzare gli occhi, al pensiero dell’enorme buco che lo stato italiano ha dovuto ripianare e che Acea ha tollerato, soprattutto se si confronta con un normale cittadino, che se non paga una bolletta rischia di trovarsi i sigilli sul contatore!

L’acqua è diventata un bene preziosissimo per il pianeta, a causa delle molte guerre che per essa si combattono. Nei Paesi poveri si imbracciano i fucili per avere qualche zampillo d’acqua potabile che garantisca la sopravvivenza. Nei Paesi ricchi invece il business si fa privatizzandola: comprando a poco prezzo le fonti, e rivendendo in bottiglie di plastica etichettate un "prodotto" che in realtà è un bene primario, un’esigenza per la vita della collettività.

Le grandi multinazionali e le multiutility dei comuni fanno schizzare i bilanci alle stelle vendendo l’acqua a prezzi più elevati del petrolio, ma l’acqua è soprattutto vita, bene comune dell’umanità. Ecco perché anche il Vaticano dovrebbe riconoscerle il giusto valore (se non per il debituccio…).


INTERROGAZIONI SUL CASO ENEL-WIND E IL RISCHIO DIOSSINE A TREVISO

Anche oggi apriamo una finestra sull'attività parlamentare, pubblicando alcune interrogazioni: la prima, presentata questa settimana a firma di Franca Rame e del Sen. Fernando Rossi, riguarda la "truffa" enel-wind di cui si è occupata la trasmissione REPORT.

L'altra è stata presentata all'indomani dell'incendio alla De Longhi, una fabbrica di elettrodomestici alla prima periferia di Treviso, e del rischio diossina, che è stato superficialmente "oscurato".

INTERPELLANZA  A RISPOSTA ORALE

Al Presidente de Consiglio dei Ministri

Al Ministro del Tesoro

- Premesso che la televisione pubblica nel corso di un suo programma molto apprezzato e molto visto ed ascoltato (REPORT), nella puntata dedicata ad alcune operazioni finanziarie e commerciali dell’ENEL ha affermato che  nella vendita della compagnia telefonica Wind avrebbe registrato una perdita secca di oltre quattro miliardi di euro e che poi avrebbe provveduto al recupero di detta perdita sulle bollette elettriche fatte pagare ai consumatori utenti del servizio.

Considerato che, se quanto affermato corrispondesse al vero:

- ci troveremmo di fronte a gravissimi atti di cattiva amministrazione e, di sperpero del pubblico denaro con grandissime responsabilità gestionali degli amministratori protempore di una società a capitale pubblico;
- ci troveremmo di fronte ad una truffa bella e buona perpretata ai danni dei consumatori utenti del servizio ai quali è stato fatto pagare un prezzo del servizio reso molto superiore al suo reale valore;

consideriamo inoltre che , essendo le tariffe anche oggetto di autorizzazione da parte di autorità di controllo, ci troveremmo di fronte alla più chiara ed esplicita dimostrazione di incapacità del sistema delle Autorità  a garantire concretamente la tutela dei cittadini consumatori ed utenti e troppo disponibili alle richieste delle società di erogazione dei servizi.

Per sapere:
se risponde al vero quanto affermato dalla RAI nella trasmissione REPORT;

- se, qualora rispondesse al vero quanto affermato, il Presidente del Consiglio ed il Ministro interpellati non ritengano di dover chiedere conto a tutti gli amministratori responsabili di un siffatto sperpero di danaro pubblico tramite azioni di responsabilità nei loro confronti e di rivalsa sui loro patrimoni;
- se, qualora quanto affermato rispondesse al vero, gli interpellati non ritengano di dover imporre all’ENEL, con tutti i mezzi in loro possesso, la restituzione a consumatori ed utenti dell’ENEL di quanto fatto pagare ingiustamente;
- se non ritenga che, nei contratti collettivi cosiddetti “per adesione” in cui il gestore dei servizi, quale soggetto forte, impone a milioni di soggetti deboli il proprio interesse sia ormai improcrastinabile una nuova normativa a tutela dei consumatori dando loro una capacità contrattuale attraverso forma associative specifiche.

Sen. Franca Rame

 Sen. Fernando Rossi
_______________________________
 
AL MINISTRO DELLA SALUTE

AL MINISTRO DELL’AMBIENTE

Premesso che:
Nel primo pomeriggio del 23 aprile è divampato, per cause ancora da accertare,  un incendio di gravissima entità che ha coinvolto grande parte dell’azienda De Longhi di Treviso. Tale azienda, di primaria importanza nel settore, produce elettrodomestici di vario genere fabbricati per lo più con materiali plastici. I prodotti erano stoccati nei magazzini, avvolti in contenitori costituiti anch’essi di materie plastiche, in grandi quantità a causa dell’imminente periodo di “picco di richiesta” dovuto all’arrivo della stagione estiva.

Le diossine si formano durante la combustione di materiali organici o contenenti cloro, verosimilmente plastiche,vernici, imballaggi. La pericolosità delle diossine è legate alla loro persistenza sui terreni (stimata oltre il secolo), creando danni irreparabili alle coltivazioni locali, vocate al biologico e alla produzione doc e dop oltre che vitivinicola; e alla bioaccumulabilità: si concentrano cioè nei tessuti adiposi in maniera esponenziale lungo la catena alimentare, nel latte vaccino e in quello materno, nel sangue e nel fegato.

Tra gli inquinanti nocivi alla salute umana, nel processo di combustione vengono generate polveri fini e ultrafini, in grado di penetrare nel sistema emopoietico e linfatico diventando potenziali cause di insorgenze tumorali.

La misurazione della presenza di diossina in atmosfera non è eseguibile in modo estemporaneo, in quanto la metodologia prevede che si rilevi sulla base del deposito sul terreno, che avviene ovviamente nel corso del tempo.

 Si chiede di sapere

- Sulla scorta di quali dati l’ARPAV abbia confermato nelle ore successive all’incendio l’assenza di pericolo legato alla fuoriuscita di diossine, furani  idrocaburi policiclici aromatici (Ipa), polveri sottili, e altri inquinanti
- Se la Prefettura di Treviso, nella definizione dell’ “area più prossima” all’incendio tenuta sotto controllo, abbia tenuto conto della grande dispersione degli inquinanti dovuta ai fattori climatici
- Se sia stato avviato un protocollo di informazione prevenzione e profilassi per la comunità locale, e quali sono i criteri di applicazione
- Se è prevista la realizzazione di una mappatura delle zone a rischio che segnali l’esposizione di scuole, ospedali, case di riposo, allevamenti animali, coltivazioni agricole e bacini idrici, e quali misure si intendano adottare per realizzarla.

Sen. Franca Rame


AL PRESIDENTE PRODI-Conto Onorevole

Gentile signor Presidente Prodi, mi scusi se la disturbo. Vorrei chiederLe se è possibile offrire anche ai precari, disoccupati,ecc. ma cittadini italiani le agevolazioni di cui usufruiamo noi parlamentari. Diventare senatore o deputato è come vincere un terno al lotto. Mi piacerebbe dividere una parte di questa rara fortuna proprio con loro i "diseredati del Paese". Che ne dice? Sarebbe fantastico, no? Potremmo iniziare a dormire finalmente sonni tranquilli! Cominciamo da "Conto Onorevole" cordialmente franca rame Conto Onorevole (06 aprile 2007) Le mail a www.spreconi mostrano una particolare insofferenza per i privilegi dei parlamentari. E sul numero in edicola de L’espresso troverete questa storia, scritta grazie a una delle segnalazioni inoltrate dai lettori a questo sito. La banca più conveniente d’Italia sta in Parlamento. L’agenzia del Sanpaolo Banco di Napoli, ubicata nel bell’ufficio della galleria dei presidenti, a Montecitorio, è l’unica su tutto il territorio nazionale a praticare, per deputati e senatori, un tasso creditore annuo del 3,3 per cento lordo, pari solo al rendimento dei Bot. Agli alti emolumenti e ai numerosi benefici di cui già godono i parlamentari, si aggiunge quindi anche un conto corrente privilegiato. Oltre a usufruire di un tasso redditizio, i parlamentari non pagano bolli, non devono sostenere alcuna spesa di tenuta conto, possono fare operazioni illimitate a costo zero, non spendono nulla per un bonifico, hanno gratis bancomat e Internet bank. Tali condizioni non sono appannaggio solo degli onorevoli ma vengono applicate anche a tutti i dipendenti di Camera e Senato. L’agenzia del Parlamento, per attrarre tra i correntisti anche l’esercito di collaboratori e portaborse, nel 90 per cento dei casi pagati in nero, ha creato apposta per loro un conto parallelo. Il c/c per quanti vengono eufemisticamente definiti “non dipendenti”, prevede lo stesso tasso creditore dei parlamentari, ma ha più spese: 10 euro trimestrali di tenuta conto, un euro per ogni operazione, 4,5 per ogni bonifico, 12,91 euro annuali per il bancomat tratto da:spreconi.blog.espresso.repubblica.it/


I PARTITI: CONTI IN ROSSO E DECRETI RIPIANA-DEBITI

E’ definitivamente tramontato il concetto del partito che si autofinanzia con i proventi delle campagne di tesseramento e che si autotassa per le iniziative locali. Seppellito nel passato. Vecchiume. Oggi i partiti sono diventate aziende, con dirigenti e professionisti del consenso. Su cosa e per chi resta un velato mistero, per quanto riguarda i costi, proviamo a fare un po' di chiarezza!

Il decreto “milleproroghe” del Ministro Tremonti dello scorso febbraio 2006 nascondeva una  sorpresa: il ripianamento dei debiti dei partiti, che hanno raggiunto cifre da capogiro.

Non dimentichiamo che i partiti ottengono cospicui rimborsi per l’attività elettorale, di cui abbiamo gia parlato in passato in questo post , http://www.francarame.it/?q=node/243 e che i parlamentari versano loro una quota variabile dello stipendio.

E ancora in campagna elettorale i privati possono contribuire con grandi somme, come il marito del Sindaco Moratti, petroliere della Saras, che ha contributo per sei milioni di euro alla candidatura della moglie. Ottenendo, particolare non trascurabile, una tassazione più favorevole che se avesse fatto una donazione  ad un onlus od ente di ricerca.

Ma tutto ciò non è stato sufficiente a sbarcare il lunario, tanto da dover istituire un provvedimento inerente a un fondo "per il soddisfacimento dei debiti dei partiti e dei movimenti politici".
Tale fondo è servito a garanzia dei debiti contratti dai partiti. Il fondo copre i debiti contratti precedentemente all'entrata in vigore di questo provvedimento. Per i debiti contratti dopo questo decreto, i partiti verranno dotati di autonomia patrimoniale perfetta (si potrà agire solo sui beni del partito e non sui tesorieri) che verrà accantonata solo se il creditore dimostrerà che gli amministratori sono divenuti insolventi con dolo o colpa grave.

Scrive il  Sole 24 Ore il 3 febbraio 2006:CAMERE SCIOLTE, IL RIMBORSO RESTA MAXI
“Non c'è solo la sorpresa dei debiti auto-azzerati, del colpo di spugna per i partiti. Nel dl milleproroghe c'è anche la difesa del rimborso elettorale: il discusso articolo 39-tricies del decreto prevede infatti che il rimborso per le spese elettorali che, secondo la normativa attuale dovrebbe venire sospeso in caso di scioglimento anticipato delle Camere, dovrà essere «comunque effettuato». (…)

 La norma concede a  movimenti e partiti politici di utilizzare i soldi che avrebbero dovuto avere dallo Stato come garanzia per le obbligazioni eventualmente assunte.
(…)
Inoltre la norma ha istituito un fondo di garanzia per soddisfare i debiti dei partiti «maturati in epoca antecedente all'entrata in vigore della presente legge».  Questo fondo viene alimentato con l'1% delle risorse stanziate a tutti i partiti politici. Per Morando, senatore DS, è però evidente come l’1% non possa ripianare i debiti dei partiti. Trattandosi di un fondo di garanzia, interverrebbe così lo Stato con ulteriori risorse, rispetto a quelle già previste, per azzerare i conti in rosso dei partiti.

Un altro aspetto dell'articolo 30-tricies potrebbe far tirare un sospiro di sollievo agli amministratori dei partiti e dei movimenti già nei guai giudiziari: viene infatti stabilito perentoriamente che la normativa del decreto milleproroghe si applica anche ai procedimenti in corso e quindi gli amministratori comunque non possono rispondere direttamente delle somme dovute anche se sono già davanti al magistrato.
l'articolo 39-trieces del decreto legge "mille proroghe", riguarda il finanziamento (pubblico e privato) dei partiti. E modifica in senso favorevole, a poche settimane dalla fine della legislatura, i meccanismi che regolano i sussidi alle forze politiche.
I punti dell'articolo sono sostanzialmente quattro. Il primo riguarda il finanziamento privato, da parte di aziende o singoli, ai candidati alle elezioni.
La severa disciplina prevedeva che andassero registrati i contributi elettorali superiori ai cinque milioni di lire, rivalutati a circa 6 mila euro. Con  la cifra è arrivata a «cinquantamila euro»”.

E’ intervenuto poi il  decreto 22 febbraio 2007 n. 31 firmato dal Ministro Padoa Schioppa, dove vengono messi in atto i principi sanciti dal “milleproroghe” del precedente governo Berlusconi.

Un articolo di Carmelo Lopapa dalle pagine di Repubblica del 3 maggio 2007, ci informa di uno studio condotto da tre accademici: Luciano Bardi, Piero Ignazi, Oreste Massari. Il risultato è uno studio su «Iscritti, dirigenti ed eletti» (pubblicato dalla Università Bocconi Editore) (..)

Cosa hanno scoperto i tre docenti di scienze politiche? Intanto, che i partiti incassano parecchio da rimborsi elettorali e spendono altrettanto. Anche il partito-movimento per eccellenza, Forza ltalia. Nell'anno della fondazione, 1994, ha vantato entrate per 19 milioni 923 mila euro, di cui 17 milioni e mezzo da contributi statali. Cifra quest' ultima lievitata nel 2005, anno pre-elettorale, a 40 milioni 739 mila euro. E le spese? Un picco di 229 milioni nel 2001 che ha segnato il ritorno al governo di Berlusconi, scesi poi a 45 milioni nel 2005 delle Regionali, col personale dipendente che costa oggi quasi 3 milioni e mezzo. Un partito, quello del Cavaliere, in cui a differenza che negli altri «l'80 per cento dei parlamentari proviene dalle libere professioni e dal settore privato dell'economia». Sul fronte opposto, i Ds percepiscono ancora oltre cinque milioni di euro di introiti dalle iscrizioni ma il doppio da contributi statali e altrettanti da privati, raccolti  attraverso il cosiddetto Fund raising. Nel 2003 (ultima rilevazione registrata) il totale delle entrate per la Quercia aveva toccato quota 24 milioni. Un partito certo più leggero, dato che non si contano più i quasi 2.600 dipendenti in organico nel 1989, ma è anche vero che ancora quattro anni fa gli impiegati dei Ds in Italia erano poco più di 800, che assorbivano quasi 4 milioni di euro.

Ma i soldi non bastano mai! E allora, maggioranza e opposizione si sono rimboccati le maniche, dando alla luce la trovata delle fondazioni.

LE FONDAZIONI
I partiti grandi partiti di questo governo (Ulivo, Forza Italia e An, poi Lega e Udc) ci hanno provato, ma non gli è andata bene grazie all’opposizione dei piccoli partiti.

Ma l’idea era geniale. Concedere (anzi, autoconcedersi) la possibilità  di creare fondazioni, alle quali consentire di ricevere finanziamenti pubblici, e di consentire l’utilizzo del personale pubblico in distacco. Ovvero creare scatole vuote per ricevere denaro pubblico, possibilità peraltro abrogata dal referendum dell´aprile ‘93 .
L´accordo è stato messo nero su bianco dal tesoriere dei Ds, Ugo Sposetti, e dall´ex ministro forzista Giulio Tremonti. Si trattava di superare il penultimo ostacolo, il voto in commissione Affari costituzionali prima dell´approvazione definitiva in aula. Ma l´opposizione delle formazioni minori del centrosinistra, Italia dei valori, Rosa nel pugno e Comunisti italiani, ha convinto i promotori a fare marcia indietro.

La norma aveva suscitato proteste già quando era stata presentata, in gennaio. Si tratta di un emendamento, firmato dal verde Marco Boato, al disegno di legge che riapre i termini del rimborso elettorale per alcune liste della Valle d´Aosta e due in corsa per gli italiani all´estero.
Ieri, in commissione, il testo base lungo mezza paginetta ha ottenuto il via libera definitivo, ma Boato ha dovuto ritirare l´emendamento della discordia, quello che avrebbe dato appunto la possibilità ai partiti di istituire delle fondazioni per consentire loro operazioni finanziarie e l´accedere ai finanziamenti pubblici. «La proposta era frutto di un´intesa tra tutti i maggiori partiti - tiene a sottolineare il firmatario - avrebbe comportato una forzatura procedurale, trattandosi di un emendamento a una leggina che riguardava altro, ed era dunque necessaria l´unanimità, che però non c´era».

E così è definitivamente perita la creazione delle munifiche fondazioni.

Peccato, sarà per un’altra volta!