Ignorando le convenzioni internazionali Tel Aviv ha scatenato un pesante bombardamento sulla Striscia di Gasa uccidendo oltre150 persone. Dietro l’attacco un calcolo politico-militare irresponsabile e pericoloso per tutto il Medio Oriente.
Violando qualunque norma di diritto internazionale conosciuta questa mattina lo stato di Israele ha dato il via all’annunciata rappresaglia sulla Striscia di Gaza. Alle 10,42 le agenzie hanno cominciato a battere notizie secondo le quali in diversi raid aerei l’aviazione di Tel Aviv ha bombardato la città più importante del territorio palestinese controllato da Hamas.
Nei mesi scorsi Israele aveva in gran parte bloccato il passaggio verso la Striscia di cibo, carburante, generi di prima necessità, come anche l’Agenzia delle Nazioni Unite per il supporto e l’aiuto ai rifugiati Palestinesi (Unrwa) aveva denunciato. Dopo la cessazione di una tregua, il 19 dicembre scorso, causata dall’uccisione da parte delle Forze Speciali di Tel aviv di alcuni palestionesi e durante la quale il governo di Ehud Olmert aveva continuato a tenere sigillata la frontiera producendo una seria crisi umanitaria, i militari di Hamas avevano reagito all’embargo non dichiarato col lancio di missili verso il territorio israeliano.
Il popolare ed autorevole quotidiano israeliano Haaretz ha riassunto la vicenda: “Circa 200 razzi Katiusha e Qassam e diversi colpi di mortaio sono stati sparati da Hamas a Negev dalla fine della tregua del 19 dicembre”. Il ministro degli Esteri e candidata premier, Tzipi Livni, aveva ribadito in più occasioni la sua volontà di “rovesciare” Hamas. “Lo Stato d’Israele e un eventuale governo da me presieduto”, aveva affermato la Livni, “faranno del rovesciamento del regime di Hamas a Gaza un obiettivo strategico. I mezzi per realizzare tale obiettivo”, aveva aggiunto, “devono essere militari, economici e diplomatici”. Secondo un retroscena riferito da Haaretz, la Livni e il vicepremier Haim Ramon hanno parlato in più occasioni dell’esigenza di far cadere il governo di Hamas a Gaza. Ma sia il ministro della Difesa, Ehud Barak, sia il capo di Stato maggiore israeliano, Gabi Ashkenazi, avrebbero ammesso che l’obiettivo al momento sarebbe “irrealistico”.
L’attacco di oggi, secondo l’Haaretz, potrebbe essere considerato come una prova di muscoli per cercare di piegare il movimento islamico ed evitare, da adesso in poi, nuovi lanci di razzi da parte di Hamas. Tuttavia, il movimento islamico sembra tutt’altro intenzionato ad arrendersi e quindi la prospettiva di un cessate il fuoco ‘per paura’ è perlomeno velleitaria.
Il quotidiano israeliano mostra come il calcolo politico sia prevalente rispetto ai pericoli indotti dal lancio di missili, che in concreto hanno prodotto danni di piccola entità. Il rafforzamento del movimento radicale Hamas, per paradosso, è la conseguenza dell’intransigenza del governo Tel Aviv, per cui è facile prevedere un peggioramento della già drammatica situazione a Gaza.
Nei giorni scorsi Haaretz aveva pubblicato il risultato di un sondaggio secondo il qualem“il 46 per cento degli israeliani sostiene di non appoggiare un’invasione massiccia della striscia di Gaza da parte delle Forze di Difesa Israeliane (IDF), il 40 invece sostiene l’operazione”. Altri sondaggi hanno mostrato che la maggioranza propende per il dialogo con Hamas, ma il governo ha rifiutato ogni dialogo, ha anche frequentemente dichiarato che sarebbe stato antitetico rispetto ai desideri del popolo israeliano.
Durante l’aggressione di stamattina, secondo la radio di Hamas, i raid aerei hanno ucciso 155 persone e fatto centinaia di feriti. Il bilancio comprende 120 morti a Gaza e altre decine a Khan Younis e Rafah, nel sud del territorio palestinese. I bombardamenti hanno colpito anche diversi bambini, colpiti mentre si trovavano all’interno della loro scuole o nei dintorni. Secondo quanto riferisce l’i'nviato della Tv satellitare ‘al-Arabiya’, in questo momento la citta’ di Gaza è colpita da un black out elettrico mentre i caccia israeliani continuano a sorvolare la città.
Gli attacchi compiuti oggi dall’esercito israeliano erano però attesi e i militari di Hamas, secondo alcune fonti, avevano evacuato da giorni le postazioni più importanti. Tra gli obiettivi colpiti oltre al porto e ai centri della sicurezza sembra ci sia anche la sede della presidenza palestinese a Gaza e diverse stazioni di polizia.
Secondo la Tv araba ‘al-Jazeera’ le autorità egiziane stanno inviando decine di ambulanze e attrezzature mediche verso la Striscia di Gaza. Le emittenti televisive stanno trasmetendo le immagini di bambini per strada che piangono e di cadaveri riversi per le strade.
Il presidente israeliano, Shimon Peres, prima dell’aggressione aveva dichiarato: “Non abbiamo alcuna intenzione di entrare a Gaza e di far scoppiare una guerra nella regione”. Peres aveva annunciato che Israele avrebbe intrapreso tutti i passaggi necessari per mettere fine al lancio di razzi dalla Striscia, escludendo però la possibilità di rioccupare Gaza. “Israele non ha intenzione di andare alla guerra”, aveva detto Peres al quotidiano arabo ‘Asharq al-Awsat’.
Le forze armate però lo hanno smentitoIsraele ed un portavoce ha detto che Israele è pronto ad allargare l’offensiva sulla Striscia di Gaza “se sara’ necessario”. I militari dicono di aver colpito per “fermare gli attacchi terroristici” su Israele e di essere preparate ad “andare avanti”. “La nostra aviazione” ha aggiunti il portavoce, “è intervenuta in modo massiccio contro infrastrutture di Hamas nella Striscia di Gaza per fermare gli attacchi terroristici delle ultime settimane contro edifici civili israeliani. Abbiamo avvertito la popolazione civile della Striscia di Gaza che avremmo attaccato e Hamas, che si nasconde tra la popolazione civile, è l’unica responsabile di questa situazione. Le nostre operazioni andranno avanti e, se necessario, saranno allargate”.
Alla luce delle informazioni diffuse da Hareetz e dalle immagini trasmesse dalle televisioni locali appare chiara la strumentalizzazione dei fatti operata da Tel Aviv, il cui scopo è colpire Hamas, perchè il movimento radicale palestinese, uscito vincitore dalle ultime elezioni nella Striscia, attua una politica non gradita dal governo iraeliano.
E probabile che nelle prossime ore, se non giorni, l’offensiva continuerà. Intanto le cancellerie occidentali, come sempre, non censurano le violazioni del diritto internazionale compiute dal governo israeliano, mentre l’informazione italiana isniste nel fornire un quadro parziale della situazione.
Russia, Unione Europea, numerosi governi e l’Autorità nazionale palestinese hanno chiesto alle autorità israelianè di interrompere subito l’offensiva militare. Hamas, intanto, ha chiamato la popolazione a regire. George W. Bsuh, ormai alla scadenza del suo mandato, invece non ha invece chiesto la fine del raid aereo israeliano. “I ripetuti lanci di razzi da parte di Hamas contro Israele devono cessare perché la violenza finisca. Hamas deve porre fine alle sue attività terroristiche se vuole giocare un ruolo nel futuro del popolo palestinesi”, ha detto il portavoce Gordon Johndroe, per concludere con una frase che lascia interdetti sulla visione che l’amministrazione americana ha delle convenzioni internazionali: “Gli Stati Uniti inoltre chiedono ad Israele di evitare vittime tra i civili mentre colpisce Hamas a Gaza”.
L’unico risultato ottento da Tel Aviv è stato quello di rendere la situazione ancora più grave, come sempre accade quando le armi prendono il posto della diplomazia.
http://www.inviatospeciale.com/2008/12/israele-massacro-a-gaza/
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Terrorismo israeliano a Gaza
Gaza. È terrorismo. È strage. Si può raccontare il crimine - 30/12/08
di Pino Cabras - Megachip
Nei giorni dell’atroce strage di Gaza l’orrore si condensa inevitabilmente sulle immagini e le voci delle vittime. Tanti piccoli tasselli che non riescono a ricomporre ancora il quadro della tragedia. Capire e riflettere in mezzo a tanta sciagura è difficile. Ma dobbiamo farlo, per ricostruire i fatti e il contesto.
Dopo anni di occupazione, l’11 settembre 2005, l’esercito israeliano ammainò la bandiera a Gaza, non appena fu completato il rapido sgombero delle colonie ebraiche sulla Striscia, troppo costose da tenere. Lunghe colonne di mezzi militari si allontanavano. Era il disimpegno unilaterale di Ariel Sharon: nessun riconoscimento politico che mettesse alla pari gli interlocutori palestinesi. Gli israeliani salutavano, ma non se ne andavano. Il mare e il cielo erano interamente sotto controllo israeliano. E che controllo.
In mare, la misera marineria palestinese non aveva più diritto a pescare nemmeno sulla battigia. Nessun molo funzionante, nemmeno per commerciare un po’ di derrate alimentari fresche.
In cielo, nel corso degli ultimi tre anni non si contano le azioni di bombardamento. In cielo, soprattutto, i jet con la stella di David hanno volato di proposito e di continuo a velocità supersonica, specie di notte, per creare insopportabili rumori. Un trauma senza posa che non ha risparmiato i bambini.
In terra, tutto il confine con Israele era una barriera chiusa e impenetrabile. Non bastava lo sfiato esiguo del confine con l’Egitto a trasformare questo territorio in qualcosa di diverso da una prigione. Serrato in via definitiva il passaggio di Karni, da cui potevano entrare le importazioni palestinesi sbarcate nel vicinissimo porto israeliano di Ashdod, pochi chilometri a nord, i palestinesi dovevano affidarsi ai porti egiziani di Port Said o Alessandria, a 200 chilometri l’uno, a 400 l’altro, con costi insostenibili per una popolazione già stremata. Questa era Gaza resa libera. La più grande prigione del mondo, un popolo intero, un milione e mezzo di persone. E più di ogni altra prigione, piena di innocenti.
Quando nel 2005 ci fu il “ritiro” unilaterale, uno sguardo spassionato alle circostanze avrebbe permesso di capire al volo che quello non era un refolo di speranza, ma la base per un aggravarsi della situazione. Sarebbe bastato rileggersi l’intervista concessa il 6 ottobre 2004 al quotidiano «Haaretz» da Dov Weisglass, braccio destro di Sharon, quando dichiarò che il cosiddetto piano di disimpegno da Gaza (che prevedeva anche la costruzione del muro in Cisgiordania) era solo una manovra diversiva intesa a fornire a Israele «una quantità di formaldeide sufficiente affinché non ci sia un processo politico con i palestinesi».
Un mese dopo, moriva Yasser Arafat, il padre della patria, presidente dell’Anp, l’Autorità nazionale palestinese. Gli esponenti della classe dirigente laica di al-Fatah, fino ad allora tenuta insieme dal carisma di Arafat, apparivano ormai nudi nei loro terribili difetti. Avevano rubato a man bassa e si costruivano ville palladiane in mezzo alla miseria dei Territori occupati, mentre non avevano risultati tangibili da offrire come frutto della loro negoziazione continuamente soverchiata dal pugno di ferro del governo israeliano e mestamente instradata verso un percepito collaborazionismo. Per contro cresceva nella popolazione il prestigio del "Movimento di Resistenza Islamico". Il suo acronimo arabo, Hamas, significa “zelo, entusiasmo”. I dirigenti di Hamas conducevano una vita frugale, intanto che in mezzo alle rovine tessevano reti di solidarietà materiale, una sorta di welfare residuale, ma infinitamente più credibile del disastro in cui sprofondava l’Anp.
Fu così che nel gennaio 2006 Hamas vinse le elezioni parlamentari palestinesi, con 76 seggi della camera su 132, mentre al-Fatah ne prese 43. Una vittoria autentica ed elettoralmente pulita, ma anche una variabile che nei calcoli delle potenze coinvolte non si considerava accettabile. Quando la democrazia ha due pesi e due misure.
Ancora Dov Weisglass, stavolta in veste di coordinatore di una squadra di governo che comprendeva anche i capoccioni delle forze armate e incaricata delle azioni anti-Hamas, commentò così subito dopo le elezioni l’intento di avviare una crudele stretta economica all’Autorità palestinese: «è come andare dal dietista: i palestinesi dimagriranno un bel po’, ma non moriranno mica». I presenti, tra cui Tzipi Livni, scoppiarono a ridere (vedi Gideon Levy, “As the Hamas team laughs”, «Haaretz», 19 febbraio 2006).
Weissglass in fondo è uno spiritoso. Nella famosa intervista ad «Haaretz» del 2004 aveva ben rimarcato quanta formaldeide servisse per imbalsamare le velleità di un accordo di pace: «noi abbiamo istruito il mondo, affinché capisca che non c’è nessuno con cui trattare. E abbiamo ricevuto un attestato... [che non c’è nessuno con cui trattare]. L’attestato sarà revocato solamente quando la Palestina diventerà come la Finlandia». La versione moderna delle calende greche, per chi osasse ancora vagheggiare due popoli in due stati.
I palestinesi della grande prigione non sono diventati finlandesi. Hanno subito fino in fondo la dieta, giorno dopo giorno. Nonostante la difficile tregua, la vite si stringeva sempre di più, venivano fatti passare sempre meno camion di aiuti, e nulla usciva dal campo della disperazione concentrata.
Gaza è il caso più disgraziato. Ma anche in Cisgiordania non si scherza. Il governo israeliano ha disposto la chiusura di decine di organizzazioni caritatevoli. La scusa è tagliare qualsiasi flusso che possa favorire Hamas. Quel che accade in realtà è la desertificazione di tutti i corpi intermedi, di tutte le formazioni sociali in seno alla popolazione palestinese, per lasciare spazio solo all’emergenza umanitaria in mano altrui. Magari in mano all’Onu, purché non rompa le scatole come faceva con Richard Frank, relatore speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi, un ebreo cui è ormai vietato entrare in Terra Santa per aver espresso forti critiche sulla politica di occupazione israeliana.
Al solito, di fronte a vicende di guerra, i media occidentali più importanti manipolano pesantemente le notizie. Sono complici di quelle classi dirigenti che – dopo l’11 settembre - hanno fatto di tutto per distruggere un ordinamento giuridico internazionale che ammetteva norme non basate sul solo diritto di potenza, inquinare i punti di riferimento concettuali per la definizione di ciò che è aggressione o tirannia o resistenza, mentre potenti interessi imperialistici condizionano l’economia – vicina a un baratro finanziario – entro la gabbia delle priorità militari. Gli Stati Uniti non stanno sollevando alcuna obiezione, rispetto all’ennesima azione scellerata del governo israeliano. Ma anche le voci europee sono flebilissime.
Ernesto Balducci, quando nel 1991 scorreva il bollettino delle vittime nella Guerra del Golfo notava che a fronte di qualche centinaio di americani, c’erano centinaia di migliaia di morti iracheni: non più una guerra codificata dalla ragione e dal diritto, ma una strage. Credo che anche oggi la parola strage sia la più adatta a descrivere la scena di Gaza. Un’immane strage.
Fra i responsabili dell’eccidio c’è il ministro della difesa israeliano, l’ex premier Ehud Barak. Giustifica anche lui tutta questa ferocia pianificata in nome della lotta al terrorismo.
Pur essendo la parola ‘terrorismo’ una delle più usate nella politica degli ultimi anni, la sua definizione non ha affatto interpretazioni univoche. In molte occasioni i vertici di capi di stato e di governo hanno trovato difficoltà quasi insormontabili quando hanno cercato una definizione minima comune. Se si ragiona un po’ sulla questione, si scoprono tante sfumature che sottostanno alle definizioni polimorfe di un fenomeno sfuggente. A stento troverete fattispecie ben delineate, mentre vi imbatterete più spesso in parole che si adatterebbero tranquillamente alla descrizione di certi atti di guerra e di spionaggio che invece sono coperti da una qualche vernice di legalità.
Dimenticate per un minuto i bersagli di solito segnalati da politici e mass media, scordate l’iconografia di un gruppo di kamikaze che si auto-organizza. Troppo facile.
Provate invece a pensare a certe azioni fatte con la copertura di eserciti, Stati, organizzazioni non governative, servizi, multinazionali della security imparentate con il mondo dello spionaggio. Saranno diversi i gradi di visibilità della copertura dei governi, ma vedrete che quelle definizioni tornano indietro come un boomerang.
La prima grande ondata di attacchi aerei in Iraq nel 2003 venne chiamata «Shock and Awe». Non è facile tradurre questa espressione in due parole, per la densità di richiami che contiene. Normalmente i giornali italiani tradussero “colpisci e terrorizza”, “colpisci e sgomenta”, per mantenere la forza icastica dell’espressione e approssimarsi comunque al significato. Ma è interessante perdere un po’ dell’effetto per cogliere i significati di un’altra possibile traduzione: “sconvolgi e induci in soggezione”. Si coglie così non tanto la furia cieca del fanatico rozzo, quanto la risolutezza metallica del fanatico freddo, che distilla la ‘strategia della tensione’ in un blitzkrieg. Quante volte ritorna l’espressione ‘Terrorismo di Stato’ e di ‘Stato terrorista’, nella Grozny annientata dai carri armati russi, nel Libano devastato dall’aviazione israeliana, nelle lotte di potere in Pakistan, nella memoria degli anni di piombo italiani? A ogni buon conto, l’organo neocon italiano, «Il Foglio», ha plaudito anche stavolta in prima pagina alla rivendicata “strategia shock and awe”.
Cos’è dunque il terrorismo? Il terrorismo non è solo una questione di terroristi. In un certo senso ce lo dicono anche le Convenzioni di Ginevra. Anche se non definiscono la nozione di “terrorismo”, le quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 si riferiscono a “misure di terrorismo” e ad “atti di terrorismo”. L’articolo 33 della IV Convenzione di Ginevra in modo esplicito vieta che la popolazione civile venga fatta oggetto di «pene collettive, come pure [di] qualsiasi misura d’intimidazione o di terrorismo». La vicenda di Gaza è un caso lampante di pena collettiva inflitta alla popolazione. E gli ultimatum che dicono “stiamo per bombardarvi”, lungi dal significare “vogliamo salvarvi la vita, spostatevi” sono atti d’intimidazione e induzione del terrore. Come stupirsi delle parole non prevenute di Richard Falk, pronunciate nel 2007, quando ancora l’assedio di Gaza non era giunto alle punte di crudeltà più recenti? Falk dichiarava: «È forse un’esagerazione irresponsabile associare il trattamento dei palestinesi alle pratiche di atrocità collettiva dei nazisti? Non credo. I recenti sviluppi a Gaza sono particolarmente inquietanti perché esprimono in modo sconvolgente un’intenzione deliberata da parte di Israele e dei suoi alleati di sottoporre una comunità umana nella sua interezza a condizioni di massima crudeltà che ne mettono in pericolo la vita. La suggestione che questo modello di comportamento sia un olocausto in erba rappresenta un appello disperatissimo ai governi del mondo e all’opinione pubblica internazionale affinché agiscano d’urgenza per impedire che queste attuali tendenze al genocidio finiscano in una tragedia collettiva».
L’articolo 4 del Secondo Protocollo Aggiuntivo delle Convenzioni di Ginevra stabilisce che contro tutte «le persone che non partecipano direttamente o non partecipano più alle ostilità […] siano proibiti in ogni tempo e in ogni luogo […] atti di terrorismo». Ancora una volta, senza arrivare alle definizioni “teologiche” di terrorismo, quelle della Guerra al Terrorismo per intenderci, il diritto internazionale ha cercato di codificare fattispecie precise. In entrambi i disposti delle Convenzioni di Ginevra si enfatizza che né singoli individui né la popolazione civile in quanto tale possono essere fatti oggetto di punizioni collettive che, fra l’altro, indurrebbero in essa una condizione di terrore.
Questo concetto si rafforza nel Primo Protocollo Aggiuntivo, laddove, all’articolo 51, è stabilito che «sia la popolazione civile che le persone civili non dovranno essere oggetto di attacchi» e che «sono vietati gli atti o minacce di violenza, il cui scopo principale sia di diffondere il terrore fra la popolazione civile.»
Qualche azzeccagarbugli del diritto umanitario proverà a confondere le acque, giocando fra le definizioni di politica interna e internazionale degli interventi militari. Ma il disposto ricompare quasi alla lettera nel Secondo Protocollo Aggiuntivo: la qualificazione del conflitto come internazionale o interno non ha grande rilevanza.
La strage di Gaza è una misura di terrorismo. Un atto di terrorismo. Affermare che si volevano colpire i soldati di Hamas è una giustificazione sottile come la carta velina. I poveri poliziotti massacrati nel giorno del loro giuramento non erano certo persone che “partecipano direttamente alle ostilità”. Erano parte di una fragile infrastruttura di sicurezza interna del territorio. Fragile come il miraggio del misero stipendio– cosa rara in un luogo in cui ormai tutti sono disoccupati - che forse li allontanava dallo spettro della denutrizione toccata in sorte ai loro connazionali. In tutto e per tutto vittime civili anche i poliziotti morti, come i bambini morti nelle macerie delle scuole.
Che l’obiettivo fosse distruggere qualsiasi dimensione civile dei territori, lo dimostra in modo flagrante la disintegrazione dell’Università. Che si aggiunge alle devastazioni inflitte anni addietro a tutte le infrastrutture palestinesi. Sono rimasti i forni, senza elettricità e senza pane.
Nelle indecenti corrispondenze di molti giornali e telegiornali si asseconda il concetto che l’incursione delle forze armate israeliane servirà a distruggere la percezione di utilità di Hamas nella popolazione civile. Ridurre tutti alla disperazione per rovesciare Hamas, insomma. Di fronte a questo intendimento, ci basta rispolverare la definizione ufficiale di “terrorismo” adottata dal Dipartimento della Difesa Usa: «Il terrorismo è l’uso calcolato della violenza o della minaccia di violenza per indurre paura, intesa a coartare o intimidire stati o società nonché al perseguimento di obiettivi che sono generalmente politici, religiosi e ideologici».
Non vi piace? Volete quella dell’Fbi? Eccola: «Il terrorismo è l’uso illegale della forza o della violenza a danno di persone o proprietà per intimidire o coartare un governo, la popolazione civile o un loro segmento, seguendo obiettivi politici o sociali».
Definizioni troppo americane? Torniamo in Europa, allora. La Decisione quadro sulla lotta contro il terrorismo, adottata dal Consiglio Europeo il 13 giugno 2002 lo definiva come «ogni atto terroristico commesso, da uno o più individui, contro uno o più Stati, intenzionalmente, o tale da arrecare pregiudizio a un’organizzazione internazionale o a uno Stato. Deve trattarsi di atti terroristici commessi con l’intenzione di minacciare la popolazione e di ledere gravemente o distruggere le strutture politiche, economiche o sociali di uno Stato (omicidi, lesioni personali, cattura di ostaggi, ricatti, fabbricazione d’armi, attentati fatti eseguire da terzi, minaccia di porre in atto simili azioni …).».
Ecco, sfumiamo i termini statuali dei soggetti, andiamo agli atti concreti. Siamo lì. Siamo nell’ambito di fattispecie che definiscono forme di azione violenta e illegale, tali da mettere in pericolo la popolazione civile, e quindi indurre una condizione di “terrore” diffuso così da ottenere alcuni risultati di tipo politico.
Possiamo certo riconoscere questa definizione anche a carico di chi lancia i razzi Kassam, che lo spudorato corrispondente del Tg1 definisce missili, ma che sono poco più che delle catapulte, dagli effetti drammatici ma strategicamente trascurabili. Ma perché non riconoscerla a carico di chi invece – tranne le sue bombe atomiche – ha usato sinora tutto il resto di un armamentario spaventoso e senza proporzione?
Questa critica dura e senza sconti alle classi dirigenti israeliane e ai loro alleati significa avere la volontà o la velleità di distruggere Israele? No, è la semplice opposizione alla ‘normale’ e spregiudicata politica di potenza di uno Stato guerresco contemporaneo. Uno Stato che – al pari degli altri Stati – non deve essere considerato in odore di santità né pervaso da fumi demoniaci, ma semplicemente valutato con tutto l’arsenale della critica razionale, per quello che fa e che progetta, per il potere che ha e per lo scontro che il suo potere genera.
Relativizziamo, anche in questo caso.
Il processo di costruzione di Israele come nazione non si è risparmiato indicibili crudeltà e ingiustizie, ma è stato così anche per gli Stati-nazione più forti che conosciamo. La Francia che passa per guerre civili e religiose e accresce la sua economia a spese delle colonie, la Spagna della "limpieza de la sangre" e della Conquista, gli Stati Uniti con la Nuova Frontiera che schiaccia i nativi, la Russia che edifica un impero con impressionanti democidi, la Germania che prende le misure del mondo con enormi massacri e genocidi, la Cina che calpesta le minoranze, la stessa nostra Italia che si unifica con grandi tributi di sangue e dove Cristo è più o meno sempre fermo a Eboli. Dietro tante epopee nazionali c’è un terribile bagno di sangue, che dovrebbe spingere a non demonizzare, ma semplicemente a riconoscere il crimine quando esso si manifesta con tanta capacità di devastazione. In questo caso, oltre al diritto alla vita delle persone, oltre al diritto del popolo palestinese, oltre al diritto internazionale, è in gioco la pace a livello globale, per l’insieme di relazioni che si disputano nello scenario mediorientale. Cui si aggiunge la pericolosissima tradizionale unilateralità del governo israeliano, ancora una volta “pares non recognoscens”, ora in una polveriera più sconvolta.
E, per come si stanno comportando i mass media, è in gioco la possibilità di raccontare ancora delle verità sulla barbarie.
Denunciare la strage di Gaza con una capacità di esecrazione equivalente a quella consumata per la strage di Mumbai. Si può?
Contrastare subito le aggressioni, adesso, non con invisibili autocritiche “a babbo morto”, come è avvenuto per l’aggressione della Georgia all’Ossetia del Sud. Si può?
Non lasciar passare in cavalleria terrificanti crimini di guerra, come si è fatto per Bush che candidamente ha ammesso che la devastazione dell’Iraq è nata da falsi pretesti. Si può? Si può farlo ora?
Raccontare che i razzi Kassam di questi giorni non c’entrano nulla, perché anche «Haaretz» riferisce che l’attacco era pianificato da mesi e mesi. Si può?
Se non si fa disinformazione, si può.
scrittori di stato
il primo giorno dell'offensiva israeliana a gaza i primi due quotidiani italiani - "repubblica" e il "corriere della sera" - hanno dato la parola (senza che nessun palestinese potesse contraddirne le affermazioni) a due noti scrittori israeliani: rispettivamente amos oz e benny morris. tali quotidiani sono responsabili di una sottile mistificazione a danno dei lettori: fanno credere che gli scrittori suddetti siano indipendenti rispetto al punto di vista del loro governo. in realtà non è così. è infatti possibile, se non probabile che un amos oz stia sul libro paga del governo israeliano. per rendersene conto basta leggere l'articolo seguente, scritto da un poeta israeliano che, lui sì, non ha avuto emolumenti dal governo per le sue opinioni non in linea con quelle "ufficiali":
http://www.haaretz.com/hasen/spages/1005287.html
buon anno a tutti!
Liberazione e il manifesto
Il Manifesto oggi oltre alla 'lettera da Ramallah' di Mustafa Barghouti che avevo riportato nel blog stamattina dedica 4 pagine alla tragedia della Palestina, non una riga che legittimi Israele nella sua azione efferata.
Liberazione pubblica questa intervista ad Amina Odeh, giornalista palestinese.
«Stiamo vivendo un dannato inferno
L'unica cosa che ci resta è fuggire via»
Un abitante di Gaza osserva dal suo balcone le devastazioni compiute dall´esercito israeliano ...
Valerio Venturi
Amina Odeh, giornalista palestinese specializzata in diritti umani, riporta un quadro desolante della situazione che c'è oggi in Palestina, dopo l'offensiva militare sferrata dall'esercito israeliano. La sua vita è sempre stata difficile: abituata a vivere e scrivere tra case diverse, posti di blocco, perquisizioni, sospetti, una tensione continua.
Ma ora la situazione è precipitata. Ci scrive dai territori assediati cercando il tempo e la pace interiore per rispondere alle nostre domande sul tragico momento che sta vivendo il suo popolo. Gli israeliani attaccano i palestinesi con furia devastante, i palestinesi piangono vittime e gli estremisti da ambo le parti danno fuoco ai cannoni e si riarmano.
«Di fatto stiamo vivendo un dannato inverno di fiamme e morte, ma noi vogliamo una vita normale; questo accade a causa delle scelte del ministro della difesa israeliano, che ha dichiarato l'inizio della guerra trasformando Gaza in una desolante Gaza-Grad grazie alle bombe che si abbatono sulle case della gente sulla popolazione civile; tutto questo per soddisfare le esigenze di una certa leadership di Israele, una classe politica vecchia e screditata. La guerra è arrivata quindi come un tragico "regalo' di Natale" per i palestinesi, siano essi cristiani o musulmani».
La situazione è drammatica. E gli abitanti dei Territori seguono gli sviluppi della guerra con ansia e paura, la stessa che percorre le parole di Amina Odeh: «Non sappiamo quante persone sono morte o sono disperse; quanti i bambini, le donne decedute sotto i bombardamenti della Striscia; quante le infrastrutture danneggiate. C'è un chiaro piano, militare e politico per rioccupare Gaza. Gli interessi di certi occidentali non dovrebbero stimolare certe azioni. Ora c'è il rischio che si generi una nuova Intifada».
E intanto la paura si impossessa dei palestinesi che, dopo le minacciose dichiarazioni del premier israeliano Olmert, attendono nuovi raid e nuove incursioni dell'esercito: «I palestinesi sono preoccupati, occupano il loro tempo a guardare la tv, giorno e notte nel tentativo di capire gli sviluppi della guerra. Sono preoccupati e arrabbiati, del tutto ostili alla guerra; si cercano su internet informazioni sui dispersi, notizie sui bambini alla radio...Ma il desiderio di guerra degli israeliani è in tal senso significativo; credo che abbiano perso il senso della ragione. Gaza non è l'Iraq, e questi attacchi non sono giustificati, anche esistessero giustificazioni parziali.
Israele ha attaccato ospedali, le moschee... Considerando la natura della striscia di Gaza, l'incredibile densità abitativa - 4117 persone per chilometro quadrato - è impossibile colpire solo quelli che vengono definiti target strategici: e così chi paga il prezzo più alto è la popolazione civile. Il pericolo è per tutti, e le autorità lo sanno bene»
Chiediamo a Odeh se c'è ancora una speranza per il futuro, ma la sua risposta non lascia spazio all'ottimismo, almeno nel breve termine: «Noi vorremmo cercare di vivere in dignità e pace gli uni con gli altri; ma così l'unica cosa che ci rimane da fare è fuggire. Il prima possibile».
31/12/2008
http://www.liberazione.it/
Perchè c'è la guerra a Gaza?
2 filmati in Italiano sulle ragioni della Guerra a Gaza
VOGLIO VIVERE COSI (da vedere)
http://www.youtube.com/watch?v=mH64JHRhUX8
HAMAS uccisione di fratelli Palestinesi
http://www.youtube.com/watch?v=k0Q3AvY-D5E
Lettera aperta della cantante Noa agli abitanti di Gaza
Cari fratelli palestinesi,
è con il cuore pesante che vi scrivo oggi. Gaza sta bruciando. Il confine con Israele è sotto il fuoco delle armi. Bambini da entrambe i lati sono terrorizzati, traumatizzati per il resto della vita, feriti nel corpo e nell’anima. La vita! La vita è persa. Il sangue scorre. Il dolore e le lacrime e l’angoscia traboccano.
Quanto è familiare tutto questo, fratelli miei? Come conosciamo bene queste immagini, questa paura che ci stringe alla gola, la speranza che scivola via dai nostri cuori?
Un nuovo anno è cominciato. Io sto seduta qui, vicino al mio computer, nella notte buia, nella mia casa, accanto al mare. Un mare che è di tutti noi, il Mar Mediterraneo, la nostra cultura, noi gente che vagabondiamo, noi i senza casa, i malati, noi i combattenti, noi i costruttori, i sopravvissuti, i nostri sogni come onde e marea, sospinti dalla luna e dalle stelle, per l’eternità.
Dal quel fatidico giorno del 1994 in cui Rabin fu assassinato, soltanto a qualche passo da me, da quel momento terribile, ho dedicato la gran parte della mia vita pubblica a cantare e a parlare in favore della pace.
Ho visto il processo di pace crescere, cadere e rialzarsi come il petto di una donna che respira nella notte. Ho visto opportunità mancate, così tante, così tante possibilità, così tanta ignoranza, testardaggine e ostinazione, così tanta bellezza calpestata dal passo pesante dell’orgoglio.
Ho cantato e ho parlato, ho litigato e ho abbracciato, mi sono commossa fino alle lacrime così tante volte, ho fatto delle persone più improbabili degli amici… amici per i quali darei il mio braccio destro, amici per i quali attraverserei il confine sotto il fuoco per proteggerli.
E oggi, oggi dico questo: noi abbiamo un nemico comune, un unico terribile nemico, e dobbiamo lavorare tutti insieme per sradicarlo. Questo nemico, amici miei, è il fanatismo. Questo nemico è l’estremismo in tutte le sue oscure reincarnazioni e manifestazioni.
Questo nemico sono tutti gli uomini che mettono “Dio” al di sopra della vita, che reclamano “Dio” come loro spada e loro scudo, che rivendicano la presenza di “Dio” dalla LORO parte. Ebrei, musulmani, cristiani, tutti condividono questa macchia nera. Ad un certo punto della loro storia, tutti sono precipitati in questo fanatismo orribile e distruttivo e le conseguenze sono state devastanti.
Nel mio paese mi sono spesso pronunciata contro il fanatismo, perché lo trovo ripugnante e insopportabile. Sono profondamente contro di esso, quando governa, negli insediamenti, nelle sinagoghe. Per questa convinzione io ho rischiato la carriera e il mio benessere.
Adesso vedo la testa spaventosa del fanatismo, la vedo grande e orrida, vedo i suoi occhi torbidi e l’agghiacciante curva del suo sorriso, vedo il sangue sulle sue mani e conosco uno dei suoi molti nomi: Hamas.
Lo conoscete anche voi, fratelli miei. Conoscente questo mostro spaventoso. Conoscete la sua violenza sulle vostre donne e la sua violenza sulle menti dei vostri figli. Voi sapete che esso educa all’odio e alla morte.
Sapete quanto sia sciovinista e violento, avido ed egoista. Esso si nutre del vostro sangue e grida invano il nome di Allah. Si nasconde come un ladro, usa l’innocente come scudo umano, usa le vostre moschee come arsenali, mente e tradisce, VI usa, vi tortura, vi tiene in ostaggio.
So che questo è vero, fratelli miei! E so che VOI conoscete la verità! E so anche che non potete dirlo perché temete per la vostra vita, così lo dirò io per voi!! Io non temo nulla.
Io ho il privilegio di vivere in una democrazia nella quale le donne non sono oggetti, ma diventano presidenti, una democrazia nella quale una cantante può dire e fare ciò che vuole! So che voi questo privilegio non lo avete (non ancora… ma lo avrete, inshallah, lo avrete…).
So che siete stanchi di essere tenuti in ostaggio da questo demonio, da questa brutta bestia, né a Gaza, né in Iran, in Iraq o in Afghanistan, né in nessun posto!!! Siete un popolo destinato a prosperare in pace! La vostra gloriosa storia è ricchissima di creatività, letteratura, scienza e musica, di infiniti contributi all’umanità, e non del fanatismo che danneggia e tortura, che invoca urlante Jihad e Shahid – guerra santa e martiri.
A volte vi vedo dimostrare, nelle vostre strade, con quei mostri che urlano “morte agli ebrei, morte a Israele!”. Ma non vi credo! Io so dove batte il vostro cuore! Esattamente dove batte il mio: con i miei figli, nella terra, nel cielo, nella musica, nella speranza. Voi volete solo questo, ma non avete scelta. Io vedo attraverso il velo della vostra paura, fratelli miei, attraverso il vostro burka! Abbraccio le vostre speranze perché sono le mie.
Nel corso degli anni il mio paese ha compiuto molti, moltissimi errori. L’ho visto mancare così tante opportunità e, come cittadina di questo paese, sono la prima a riconoscere e criticare la sua follia. Io dimostro, io voto, io mi esprimo e canto a voce alta e con parole chiare.
Ma oggi, adesso, so che nel profondo del vostro cuore VOI DESIDERATE la fine di questa bestia chiamata Hamas che vi ha terrorizzati e uccisi, che ha trasformato Gaza in una discarica in cui si accumulano povertà, malattia e miseria. Che nel nome di Allah vi ha sacrificati sull’altare insanguinato dell’orgoglio e dell’avidità.
Fratelli miei, piango per voi. Certo, piango anche per noi, per tutti i miei connazionali che subiscono i bombardamenti nel sud, nel nord e ovunque nel paese; piango per i soldati rapiti e quelli ammazzati, per le loro famiglie in lutto, per l’innocenza perduta per sempre. Ma piango soprattutto e con grandissimo dolore per voi, che so state soffrendo. Lo sento, lo sento!
Per voi posso soltanto sperare che Israele faccia il lavoro che noi tutti sappiamo deve essere fatto e LIBERARVI finalmente di questo cancro, questo virus, questo mostro chiamato fanatismo, oggi chiamato Hamas. E che questi assassini possano trovare quel po’ di compassione che forse esiste nei loro cuori, e SMETTERE di usare voi e i vostri figli come scudi umani a protezione della loro codardia e dei loro crimini.
E allora… allora, forse, Inshallah, avremo di nuovo un’opportunità… risolleveremo di nuovo i nostri corpi e le nostre anime feriti e cammineremo lentamente l’uno verso l’altro, tendendoci una mano stanca, ci guarderemo negli occhi pieni di lacrime e con voce rotta diremo: “Shalom. Salam. Basta. Basta fratello mio… vuoi del caffé? Ecco, siediti e resta per un po’…parliamo, conosciamo le parole, conosciamo le canzoni, conosciamo la strada…
Shalom…
Salam…
Con il cuore spezzato che ancora desidera l’amore
La vostra amica,
Noa
Peccato che Noa che ha una
Peccato che Noa che ha una voce così bella subisca la propaganda del governo d'Israele!
Scontro tra Annunziata e Santoro ad Anno Zero
Solidarietà a Santoro.
Ognuno ha diritto di esprimere la sua posizione tanto più i ragazzi palestinesi di Milano.
E soprattutto un giornalista non può rimanere freddo di fronte a certe tragedie umane...indipendentemente dalle colpe dell'una o dell'altra parte.Deve denunciare.
La popolazione civile, i bambini non hanno nessuna colpa.
Sono le persone e le loro tragedie che ci debbono smuovere per dare tutti, nel nostro piccolo, un contributo affinchè questi stermini non avvengano più.
Santoro ha ragione: i politici nostrani e i potenti della terra non fanno nulla.
E' tempo che i grandi ascoltino il grido di milioni di persone morte o sofferenti per la barbarie assurda della guerra.
E' tempo di cambiare, di pensare in termini umani non di profitto, di potere e sopraffazione.
Dobbiamo essere sempre dalla parte della sofferenza, della solidarietà e della compassione.
La persona che più mi è piaciuta è Manuela Dviri che ha auspicato un impegno di pace da parte di tutti.
www.repubblica.it
Scontro fra i due giornalisti durante il programma su RaiDue
"Sei di parte". "Non dire le cose che dicono tutti"
La Annunziata lascia Annozero
"Santoro, sei filo-palestinese"
ROMA - La giornalista Lucia Annunziata ha abbandonato la trasmissione Anno Zero, condotta da Michele Santoro su Raidue, accusando il giornalista di aver realizzato una puntata dedicata alla situazione a Gaza, "al 99,9 per cento schierata" a favore dei palestinesi.
Santoro ha polemicamente risposto alla Annunziata invitando la collega ad entrare nel merito e discutere di contenuti, evitando alla trasmissione critiche "che vengono avanzate da anni nei nostri confronti".
Alla conduttrice di "in mezz'ora", in particolare non sono piaciuti i commenti dei ragazzi della comunità palestinese di milano, intervistati da corrado Formigli. "Non si possono affidare a due ragazzine" questioni così importanti, aveva detto. Lucia Annunziata si è quindi alzata e ha lasciato la trasmissione.
Nel finale di trasmissione Santoro si è lasciato andare, quasi gridando, a un attacco alla politica, che "su queste tragedie non fa un tubo", e personale a Veltroni: "Andasse a Gaza invece di andare in Africa".
Santoro ha criticato anche il Pse, che "da anni non fa niente... perché non convoca una riunione e decide quali azioni politiche intraprendere?". "Non accetto - ha scandito Santoro - che questi bambini muoiano e i potenti della terra non fanno niente per fermare questo massacro".
LA STAMPA ITALIANA E' CON ISRAELE
titoli allucinanti come questo:
http://www.tgcom.mediaset.it/mondo/articoli/articolo437277.shtml
in cui agenzie riportano l'uccisione di un soldato israeliano come notizia unica.
O come il Corriere della sera che dedica un intero articolo al soldato israeliano ferito.
Mentre tutto il mondo scende in piazza a protestare contro il NAZISMO di Israele che ha trasformato Gaza nel suo Lagher privato nel quale ha già causato 310 morti fra cui 20 bambini, la stampa italiana e la maggioranza politica si preoccupa di Israele.
E' UNA VERGOGNA. Ma il mondo la pensa diversamente!
fabio
Movimento RadicalSocialista
D'accordo con te caro
D'accordo con te caro Fabio,non è possibile che ci vogliano far credere tutto ciò che ci propinano !
Mai come in questi giorni è chiaro che i nostri telegiornali portano avanti un'informazione falsa, quasi manipolata. Mi riferisco alla guerra a Gaza.
Ma c'è un giornalista, in particolare, che da anni sembra portare avanti una campagna anti-palestinese. Si tratta dell'inviato della Rai, Claudio Pagliara, ormai noto per i suoi collegamenti con il tg1 e il tg2.
Pagliara è un tipo che si presenta in tv con un giubbotto antiproiettile e in ogni diretta fa pacatamente e serenamente disinformazione.
Sia ben chiaro: non vogliamo che Pagliara comunicasse notizie pro-palestina. Vogliamo solo un'informazione libera, oggettiva.
Buon Anno a tutti
laura
Mustafa Barghouti: la vostra indifferenza
29/12/2008
Quanti altri morti, per sentirvi cittadini di Gaza?
Intervento dell'ex ministro dell'informazione del governo di unità nazionale palestinese
di Mustafa Barghouti
Ramallah, 27 dicembre 2008.
E leggerò domani, sui vostri giornali, che a Gaza è finita la tregua. Non era un assedio dunque, ma una forma di pace, quel campo di concentramento falciato dalla fame e dalla sete. E da cosa dipende la differenza tra la pace e la guerra? Dalla ragioneria dei morti? E i bambini consumati dalla malnutrizione, a quale conto si addebitano? Muore di guerra o di pace, chi muore perché manca l'elettricità in sala operatoria? Si chiama pace quando mancano i missili - ma come si chiama, quando manca tutto il resto?
E leggerò sui vostri giornali, domani, che tutto questo è solo un attacco preventivo, solo legittimo, inviolabile diritto di autodifesa. La quarta potenza militare al mondo, i suoi muscoli nucleari contro razzi di latta, e cartapesta e disperazione. E mi sarà precisato naturalmente, che no, questo non è un attacco contro i civili - e d'altra parte, ma come potrebbe mai esserlo, se tre uomini che chiacchierano di Palestina, qui all'angolo della strada, sono per le leggi israeliane un nucleo di resistenza, e dunque un gruppo illegale, una forza combattente? - se nei documenti ufficiali siamo marchiati come entità nemica, e senza più il minimo argine etico, il cancro di Israele? Se l'obiettivo è sradicare Hamas - tutto questo rafforza Hamas. Arrivate a bordo dei caccia a esportare la retorica della democrazia, a bordo dei caccia tornate poi a strangolare l'esercizio della democrazia - ma quale altra opzione rimane? Non lasciate che vi esploda addosso improvvisa. Non è il fondamentalismo, a essere bombardato in questo momento, ma tutto quello che qui si oppone al fondamentalismo. Tutto quello che a questa ferocia indistinta non restituisce gratuito un odio uguale e contrario, ma una parola scalza di dialogo, la lucidità di ragionare il coraggio di disertare - non è un attacco contro il terrorismo, questo, ma contro l'altra Palestina, terza e diversa, mentre schiva missili stretta tra la complicità di Fatah e la miopia di Hamas. Stava per assassinarmi per autodifesa, ho dovuto assassinarlo per autodifesa - la racconteranno così, un giorno i sopravvissuti.
E leggerò sui vostri giornali, domani, che è impossibile qualsiasi processo di pace, gli israeliani, purtroppo, non hanno qualcuno con cui parlare. E effettivamente - e ma come potrebbero mai averlo, trincerati dietro otto metri di cemento di Muro? E soprattutto - perché mai dovrebbero averlo, se la Road Map è solo l'ennesima arma di distrazione di massa per l'opinione pubblica internazionale? Quattro pagine in cui a noi per esempio, si chiede di fermare gli attacchi terroristici, e in cambio, si dice, Israele non intraprenderà alcuna azione che possa minare la fiducia tra le parti, come - testuale - gli attacchi contro i civili. Assassinare civili non mina la fiducia, mina il diritto, è un crimine di guerra non una questione di cortesia. E se Annapolis è un processo di pace, mentre l'unica mappa che procede sono qui intanto le terre confiscate, gli ulivi spianati le case demolite, gli insediamenti allargati - perché allora non è processo di pace la proposta saudita? La fine dell'occupazione, in cambio del riconoscimento da parte di tutti gli stati arabi. Possiamo avere se non altro un segno di reazione? Qualcuno, lì, per caso ascolta, dall'altro lato del Muro?
Ma sto qui a raccontarvi vento. Perché leggerò solo un rigo domani, sui vostri giornali e solo domani, poi leggerò solo, ancora, l'indifferenza. Ed è solo questo che sento, mentre gli F16 sorvolano la mia solitudine, verso centinaia di danni collaterali che io conosco nome a nome, vita a vita - solo una vertigine di infinito abbandono e smarrimento. Europei, americani e anche gli arabi - perché dove è finita la sovranità egiziana, al varco di Rafah, la morale egiziana, al sigillo di Rafah? - siamo semplicemente soli. Sfilate qui, delegazione dopo delegazione - e parlando, avrebbe detto Garcia Lorca, le parole restano nell'aria, come sugheri sull'acqua. Offrite aiuti umanitari, ma non siamo mendicanti, vogliamo dignità libertà, frontiere aperte, non chiediamo favori, rivendichiamo diritti. E invece arrivate, indignati e partecipi, domandate cosa potete fare per noi. Una scuola? Una clinica forse? Delle borse di studio? E tentiamo ogni volta di convincervi - no, non la generosa solidarietà, insegnava Bobbio, solo la severa giustizia - sanzioni, sanzioni contro Israele. Ma rispondete - e neutrali ogni volta, e dunque partecipi dello squilibrio, partigiani dei vincitori - no, sarebbe antisemita. Ma chi è più antisemita, chi ha viziato Israele passo a passo per sessant'anni, fino a sfigurarlo nel paese più pericoloso al mondo per gli ebrei, o chi lo avverte che un Muro marca un ghetto da entrambi i lati? Rileggere Hannah Arendt è forse antisemita, oggi che siamo noi palestinesi la sua schiuma della terra, è antisemita tornare a illuminare le sue pagine sul potere e la violenza, sull'ultima razza soggetta al colonialismo britannico, che sarebbero stati infine gli inglesi stessi? No, non è antisemitismo, ma l'esatto opposto, sostenere i tanti israeliani che tentano di scampare a una nakbah chiamata sionismo. Perché non è un attacco contro il terrorismo, questo, ma contro l'altro Israele, terzo e diverso, mentre schiva il pensiero unico stretto tra la complicità della sinistra e la miopia della destra.
So quello che leggerò, domani, sui vostri giornali. Ma nessuna autodifesa, nessuna esigenza di sicurezza. Tutto questo si chiama solo apartheid - e genocidio. Perché non importa che le politiche israeliane, tecnicamente, calzino oppure no al millimetro le definizioni delicatamente cesellate dal diritto internazionale, il suo aristocratico formalismo, la sua pretesa oggettività non sono che l'ennesimo collateralismo, qui, che asseconda e moltiplica la forza dei vincitori. La benzina di questi aerei è la vostra neutralità, è il vostro silenzio, il suono di queste esplosioni. Qualcuno si sentì berlinese, davanti a un altro Muro. Quanti altri morti, per sentirvi cittadini di Gaza?
(testo raccolto da Francesca Borri)
http://it.peacereporter.net/articolo/13403/La+vostra+indifferenza
intervista a Tanya Reinhart
Intervista a Tanya Reinhart
(traduzione di Alessandra Fava e Alfredo Tradardi).
L'intervista è stata pubblicata su Znet l’8 novembre 2002
La versione originale: Colorado Campaign for Middle East Peace
www.ccmep.org
Può spiegarci di che cosa parla il suo libro "Israele/Palestina come terminare la guerra del '48"?
Israele, con l'appoggio dei principali media occidentali, definisce la guerra contro i palestinesi come guerra difensiva, una risposta necessaria al terrorismo palestinese, una nobile presa di posizione nella guerra globale contro il terrorismo. E' incredibile oggi, dopo due anni di distruzione della società palestinese, che sia conosciuto così poco di come la guerra si è sviluppata e quale ruolo abbia Israele. Il libro cerca difar luce su questo. Il libro segue la politica israeliana da quando Barak divenne primo ministro sino all'estate del 2002, il periodo peggiore della storia di Israele. Prendendo informazioni dai media israeliani ci accorgiamo come si siano prese le distanze dai concetti di Oslo già dal'93. E' difficile ora dimostrare il come, ne parla ampiamente il libro, ma faccio un esempio. Dal '67 quando è iniziata l'occupazione dei territori palestinesi, il primo pensiero dell'esercito israeliano e dell'élite politica è stato come avere il massimo di terra e acqua con il minimo di popolazione palestinese. La soluzione di annettere semplicemente la terra popolata dai palestinesi avrebbe creato problemi demografici, paura che la maggioranza degli ebrei trova insostenibile.
Così il piano Alon del partito laburista proponeva l'annessione del 35-40 per cento dei territori con un ruolo anche della Giordania o qualche forma di autonomia per il resto del paese, dove sarebbero stati confinati i palestinesi. Questo sembrava un compromesso necessario. Sembrava allora inconcepibile ripetere la soluzione della guerra di Indipendenza del '48, quando la terra fu liberata dagli arabi con espulsioni di massa. La seconda soluzione, caldeggiata da Sharon, voleva di più. E così trovò una soluzione complessa e appetibile, cioè mandare altrove i palestinesi, in una Giordania palestinese. E siamo negli anni '80.
Nel '93 a Oslo, sembrava che il piano Alon avesse la meglio. E questo successe anche grazie alla cooperazione di Arafat. In passato i palestinesi si erano opposti anche al piano Alon che toglieva loro grande parte delle terre. Ma nel '93 Arafat stava perdendo il polso della società palestinese, era criticato da più parti per il suo personalismo e per la corruzione della sua organizzazioni. Allora sembrava che solo una vittoria incredibile avrebbe potuto tenerlo al potere. Così alle spalle del gruppo palestinese di negoziatori con a capo Haider Abd al-Shafi, Arafat accettò l'accordo che lasciava tutte le colonie israeliane intatte persino nella Striscia di Gaza, dove 6 mila coloni occupano un terzo delle terre, mentre un milione di palestinesi affollano il resto. Intanto, Israele aveva esteso le zone "disarabizzate" al 50 per cento dei territori palestinesi. Così i laburisti cominciarono a parlare di Alon Plus, come più terra a Israele.
Tuttavia, sembrava che permettessero che il restante 50 per cento potesse restare sotto il controllo palestinese, seppure in condizioni simili ai bantustan del Sud Africa. Alla vigilia degli accordi di Oslo, la maggior parte degli israeliani, erano stanchi di guerre. Ai loro occhi, le lotte per la terra e le risorse erano finite. Perseguitati dalla memoria dell'Olocausto, la maggior parte riteneva che la guerra del '48 per l'indipendenza, con le terribili conseguenze sui palestinesi, fosse stato il modo per ottenere uno stato per gli ebrei. Ma ora che lo avevano, volevano solo vivere in pace sulla terra posseduta. Come la maggior parte dei palestinesi, anche la maggioranza degli israeliani si illuse che quello di cui erano testimoni erano accordi di passaggio e che un giorno l'occupazione sarebbe finita e le colonie smantellate. Così due terzi degli israeliani, secondo i sondaggi, appoggiarono l'accordo di Oslo. Era chiaro che la maggioranza non avrebbe appoggiato nuove guerre per la terra o le risorse. Ma l'ideologia della guerra per la terra non è mai morta nell'esercito e nei circoli militari che influenzano la politica, quelle carriere che dall'esercito passano alla politica. Dalla partenza del processo di Oslo, i massimalisti non volevano dare più terra o diritti ai palestinesi. Questo fu evidente soprattutto negli ambienti militari, il cui portavoce era Ehud Barak, che si oppose a Oslo da subito. E così Ariel Sharon. Nel '99, l'esercito tornò al potere con generali passati alla politica - Barak per primo, e Sharon (il mio libro parla anche della lunga storia della loro collaborazione). Così si apriva la strada per correggere quelli che consideravano gli errori di Oslo. Ai loro occhi, l'alternativa dello scontro per eliminare i palestinesi e imporre un nuovo ordine nella regione era fallito in Libano nel '82 solo per la debolezza della "viziata società israeliana". Ma ora con la nuova filosofia della guerra costruita dall'esercito Usa con le operazioni in Iraq, Kossovo e Afganistan, i generali prestati alla politica pensavano che con la superiorità evidente dell'aviazione israeliana, si poteva ribaltare il passato. Per ottenere questo, era necessario convincere la "viziata società israeliana" che i palestinesi non vogliono vivere in pace e che stanno minacciando l'esistenza di Israele. Sharon da solo forse non ce l'avrebbe fatta, ma Barak ci riuscì con la storia dell'"offerta generosa".
Ad oggi, è stato scritto molto sulla non-offerta di Barak a Camp David.
Tuttavia, un attento esame delle informazioni dei media israeliani rivela molto sulla costruzione della frode e un capitolo del libro è dedicato ai dettagli. Molti mesi prima, Barak aveva fatto lo stesso con la Siria, facendo credere al mondo che Israele era pronto a ritirarsi dai territori del Golan. Nei sondaggi, il 60 per cento degli israeliani era felice di andarsene dal Golan. Ma alla fine è andata come con i negoziati con i palestinesi. Gli israeliani furono convinti che Asad rifiutasse gli accordi, non volesse avere indietro i suoi territori e fare la pace con Israele. Da allora la possibilità di una guerra con la Siria diventava reale. Gli ambienti militari spiegavano apertamente che gli Hezbollah, Siria e Iran cercavano di tendere una trappola a Israele e che quindi Israele doveva trovarne una in cui far cadere i nemici. Le circostanze giuste si sarebbero creato alla fine della guerra americana contro l'Iraq".
(Amir Oren, Ha'aretz, July 9, 2002).
Il 28 settembre del 2000, Sharon con l'appoggio di Barak, buttò benzina sulla frustrazione accumulata nella società palestinese con la passeggiata provocatoria al tempio della Montagna, Haram al-Sharif. Le guardie del corpo che lo seguivano numerose colpirono ripetutamente con proiettili di gomma i dimostranti disarmati. Così il giorno dopo la protesta crebbe e Barak ordinò all'esercito di invadere con i carri armati alcune zone palestinesi densamente popolate. Se la reazione israeliana fosse stata più contenuta anche i Palestinesi avrebbero limitato la protesta. Anche davanti a una resistenza armata, la reazione d'Israele è stata del tutto sproporzionata come ha sottolineato anche l'Onu che ha condannato Israele per "uso eccessivo della forza" il 26 ottobre del 2000. Israele definisce l'azione militare come una difesa necessaria contro il terrorismo. Ma nei fatti il primo attacco terroristico palestinese a civili israeliani all'interno di Israele è avvenuto il 2 novembre del 2000. Insomma dopo un mese intero durante il quale Israele ha usato tutto il suo arsenale contro i civili, compresi proiettili, fucili automatici, elicotteri da combattimento, carri armati e missili. E' stupefacente come la tattica militare condotta da Israele nei mesi seguenti è stata concepita all'inizio, nell'ottobre del 2000, compresa la distruzione delle infrastrutture palestinesi (il piano "Field of Thorns"). La strategia politica che tentava di discreditare Arafat e l'autorità palestinese era pronta sin dall'inizio. Barak e il suo entourage prepararono un manoscritto chiamato come Libro bianco che annunciava che Arafat non aveva mai abbandonato l'opzione della violenza. Insomma un tema propagandistico che lega queste circostanze a quelle della guerra del '48. Il generale Moshe Ya'alon, allora vice capo dello staff (ora capo) spiegò che "questa era la campagna più critica nei confronti dei palestinesi inclusa la popolazione araba di Israele dalla guerra del '48", anzi per lui, "in effetti, era la seconda fase della guerra del '48". (Amir Oren, Ha'aretz, November 17, 2000).
Dopo due anni di brutale oppressione israeliana dei palestinesi, è difficile non concludere che l'esercito e la cerchia politica abbiano concluso che la seconda metà - la pulizia etnica iniziata nel '48 – è necessaria e possibile. Il secondo scopo del libro è sottolineare che, nonostante gli orrori di questi due anni, c'è un'alternativa per terminare la guerra del '48 ed è la strada della pace e di una vera riconciliazione. E' incredibile quanto sarebbe semplice e facile raggiungerla. Basterebbe che Israele si ritirasse dai territori occupati nel '67. La maggior parte dei coloni (150 mila di essi) sono concentrati in grandi colonie nel centro del West Bank. Questa area non si può lasciare in quattro e quattr'otto. Ma il resto della terra (il 90 -96 per cento della Cisgiordania e la striscia di Gaza) possono essere abbandonate subito.
Molti coloni che vivono in zone isolate dicono apertamente ai media israeliani che se ne vogliono andare. E' solo necessario offrire loro una compensazione adeguata per le proprietà che lasciano. Il resto - i fanatici della terra promessa - sono una minoranza ridotta che dovrà accettare le scelte della maggioranza. Il ritiro immediato lascerebbe da discutere che fare del 6-10 per cento della Cisgiordania, quella con le colonie più numerose, come risolvere la questione di Gerusalemme e il diritto al ritorno. Su questi punti, servono negoziati di pace.
E intanto durante i negoziati, la società palestinese potrebbe ricominciare, insediarsi nelle terre lasciate dagli israeliani, costruire delle istituzioni democratiche e sviluppare un'economia basata con liberi contatti con chi prescelgono. Con queste premesse, sarà allora possibile stabilire quale sia la strada giusta per costruire insieme il futuro di due popoli che dividono la stessa terra. In Israele, la proposta del ritiro immediato ha avuto simpatizzanti come Amy Ayalon (ex capo del servizio di sicurezza) che ne ha parlato apertamente, e nel febbraio del 2002 anche il Consiglio per la pace e la sicurezza che ha mille membri ha appoggiato l'idea. A giudicare dai sondaggi, il piano ha il supporto del 60 per cento degli ebrei israeliani. E non stupisce, perché a partire dal '93 altrettanti hanno appoggiato l'abbandono delle colonie. In una sondaggio Dahaf del 6 maggio del 2002, commissionato da Peace Now, il 59 per cento propendeva per il ritiro unilaterale dell'esercito israeliani dalla maggior parte dei territori occupati e l'abbandono della maggior parte delle colonie. Pensano che questo possa dare fiato al processo di pace. Questa maggioranza non rappresenta tutto il mondo politico, ma esiste.
Può spiegare come si scrive un libro? Da dove arrivano i contenuti? Come si è costruito quello che leggiamo adesso?
Ho cominciato a scrivere il libro durante il primo mese di Intifada.
All'inizio era un fondo del giornale israeliano Yediot Aharonont, con articoli più lunghi su Znet e Indymedia Israele che seguivano gli eventi giorno per giorno. Ma poi ho esteso a tutto il periodo. La prima parte era pronta nel febbraio del 2002. Ed è apparsa in francesi come "Distruggere la Palestina o come terminare la guerra del '48" (France: La Fabrique, 2002).
La versione in inglese invece arriva all'estate 2002 quando Israele ha iniziato la nuova e più crudele fase della distruzione della Palestina, con l'operazione "Scudo di difesa" e gli orrori del campo dei Jenin. La mia fonte sono per lo più i media israeliani. Sui giornali si trova molto di più che nei reportage fatti dagli stranieri. A volte si sente dire che questo significa che i media israeliani sono più liberali e critici che nei paesi occidentali. Ma questa non è la spiegazione giusta. Con l'eccezione di giornalisti coraggiosi e coerenti come Amira Hass Gideon Levi e pochi altri, la stampa israeliana è sottomessa come altrove e riporta fedelmente le veline dell'esercito o del governo. Ma quel che ci dà la notizia è la mancanza di inibizioni. Opinioni che altrove sarebbero considerate oltraggiose, sono all'ordine del giorno. Per esempio il 12 aprile dopo le atrocità del campo di Jenin, Ha'aretz innocentemente ha scritto che fonti militare avrebbero riferito al giornale: "L'esercito vuole seppellire oggi i palestinesi uccisi nella Cisgiordania". La fonte disse che "due compagnie sarebbero entrate subito per raccogliere i corpi. Quelli identificati come civili sarebbero stati portati all'ospedale di Jenin e quindi nelle fosse, mentre quelli identificati come terroristi sarebbero stati seppelliti in una cimitero nella valle del Giordano".Apparentemente, nessun israeliano si è preoccupato delle leggi internazionali sui crimini di guerra o le fossi comuni. La tv israeliana mostrò la notte prima, i camion con refrigeratori che aspettavano fuori Jenin per trasferire i corpi nel cimitero dei terroristi. E' stato solo dopo che l'attenzione internazionale si è concentrata su Jenin che le informazioni sono state manipolate e reinterpretate con scuse assurde negando che fosse successo alcunché. Più tardi Ze'ev Schiff, firma di Ha'aretz, ha così commentato l'accaduto: "Verso la fine della battaglia, l'esercito ha mandato tre grossi camion con celle frigorifere in città. I riservisti hanno deciso di dormire lì per stare al fresco e così i palestinesi hanno visto dozzine di corpi nei camion ed è circolata la voce che i camion fossero pieni di morti". (Ha'aretz, 17 luglio, 2002).
Quale spera possa essere il contributo del suo libro?
Con l'aria che tira negli Stati Uniti e in Europa, chiunque osi criticare Israele viene subito tacciato di antisemitismo. Una delle ragioni per cui la lobby israeliana ed ebrea ha avuto così successo nell'accusare i palestinesi, è la mancanza totale di conoscenza circa quello che è successo realmente. Senza i fatti, la vulgata rimane che Israele combatte per esistere ancora. L'attenzione va solo al terrorismo orribile e deprecabile dei palestinesi, così chiunque critica Israele viene accusato anche di giustificare il terrorismo. Io spero di dare ai miei lettori una relazione precisa dei fatti in modo da avere risposte a questa accusa. La seconda speranza è di ridare speranza. Una soluzione razionale e giusta è ancora possibile. La gente ha trovato il modo in passato di passare da una storia di stragi alla coesistenza pacifica. L'Europa è un esempio. Dopo due anni di orrori, la maggioranza degli israeliani come dei palestinesi, spera di aprire una nuova pagina.
Mostro questo nel mio libro e concludo il libro con la storia degli attivisti israeliani e palestinesi che si battono per l'unico futuro possibile, quello basato sui valori umani. Tocca ora al mondo intervenire per dare speranza e per fermare la giunta militare israeliana che non rappresenta la maggioranza degli israeliani. Infine, forse è questa la parte più importante, cerco di dare un'idea della tragedia palestinese facendo parte dei privilegiati, gli oppressori. Con gli americani che coprono le spalle e il silenzio degli occidentali, c'è il serio pericolo che questo sia solo l'inizio e che col paravento della guerra in Iraq, il popolo palestinese si trovi davanti a un aut aut: l'annullamento o un secondo esilio. La descrizione dell'Afganistan di Arundhati Roy sembra riprendere la situazione palestinese: "guarda la giustizia infinita di questo secolo. I civili stanno morendo di fame aspettando di essere uccisi". La mia più grande speranza e il mio appello è: salvate i palestinesi! Fermate Israele! Deve essere una parte della lotta contro la guerra americana all'Iraq. Se i governi del mondo non lo faranno, io spero che lo facciano i popoli.
http://www.frammenti.it/VociDeserto/italiano/palestina.asp
Auguri di pace !
La guerra a Gaza, con il suo spettacolo di sopraffazione, di dolore, di morte, di sfacelo morale, fa da spietato contraltare al forzato clima di baldoria di un nuovo Capodanno.
E' cronologicamente l'ultimo campanello d'allarme sul desolante panorama che l'umanità ha saputo produrre, di sè stessa e del suo habitat.
Questo, se non altro, ha conquistato gli onori delle cronache e le prime pagine dei giornali, per più di una ragione, mentre tanti altri continuano a consumarsi in un agghiacciante silenzio, o quasi.
A chi, pur muovendosi entro questo panorama, cerca di mantenere gli occhi aperti e il cervello lucido, auguro di cuore, nonostante tutto, il dono della pace, per la serenità e il conforto dei cuori e perchè da lì possa propagarsi, almeno un po', nel mondo intero.
In particolare l'augurio va a straordinari operatori di pace come Franca, Dario e Jacopo, a quanti li amano, li seguono e collaborano con loro.
Con simpatia, ammirazione, amicizia e affetto.
Franz ( www.franz-blog.it )
per Franz
Grazie per i tuoi bellissimi auguri, che anche per te quest'anno sia sereno! Speriamolo con tutto il cuore e cerchiamo di collaborare perchè lo sia.
L'eterno destino di due popoli
Daniele Barenboim è uno dei maggiori direttori d'orchestra ma soprattutto è un uomo dall'identità complessa: nato in Argentina, i suoi genitori sono russi di origine ebraiche. Da gennaio 2008 è anche il primo ed unico cittadino israeliano ad aver ottenuto la cittadinanza palestinese onoraria. E' ambasciatore Onu per la Pace
Un suo articolo da La Repubblica - 2 gennaio 2009
Ho soltanto tre desideri per il nuovo anno. Il primo è che il governo d’Israele comprenda una volta per tutte che il conflitto in Medio Oriente non può essere risolto con mezzi militari. Il secondo è che Hamas comprenda che i suoi interessi non sono difesi dalla violenza, e che Israele è lì per esistere. E il terzo è che il mondo riconosca che questo conflitto è diverso da qualunque altro nella storia. È straordinariamente intricato e delicato — un conflitto tra due popoli, entrambi profondamente convinti del loro diritto di vivere sullo stesso, piccolissimo pezzo di terra. Questo è il motivo per cui né la diplomazia né l’azione militare possono risolvere questo conflitto.
Gli sviluppi degli ultimi giorni sono per me estremamente preoccupanti e per ragioni di natura umana e politica. Se da una parte è evidente che Israele ha il diritto di difendersi e che gli attacchi missilistici sui suoi cittadini non possono e non devono essere tollerati, dall’altra il bombardamento di Gaza da parte del suo esercito, incessante e brutale fa nascere alcune importanti domande nella mia mente.
La prima domanda è se il governo d’Israele ha il diritti si incolpare i palestinesi per le azioni di Hamas. Bisogna forse ritenere responsabile l’intera popolazione di Gaza dei peccati delle organizzazioni terroristiche? Noi ebrei dovremmo sapere e sentire molto più intensamente di altri popoli che l’uccisione di civili innocenti è inumana e inaccettabile. L’esercito di Israele ha argomentato, molto debolmente, che la Striscia di Gaza è così sovrappopolata che è impossibile evitare la morte di civili durante le operazioni.
La fragilità di questo argomento mi porta alla domanda successiva: se l’uccisione di civili è inevitabile, qual è lo scopo dei bombardamenti? Qual è, sempre che esista, la logica che sta dietro alla violenza, e cosa spera di ottenere Israele? Se l’obiettivo è distruggere Hamas, allora la domanda che bisogna porsi e se questo sia realmente possibile. Se non lo fosse, allora l’intera operazione militare non sarebbe soltanto crudele, barbara e condannabile: è anche insensata.
Se, vice versa, è davvero possibile distruggere Hamas attraverso operazioni militari,che tipo di reazione prevede Israele a Gaza una volta che l’obiettivo sia stato raggiunto? Un milione e mezzo di abitanti di Gaza non si inginocchieranno all’improvviso in segno di deferenza verso il potere dell’esercito di Israele.
Non dobbiamo dimenticare che prima che Hamas fosse eletta dai palestinesi, era incoraggiata da Israele per indebolire Yasser Arafat. La storia recente di Israele mi porta a credere che se Hamas verrà distrutto con le bombe, un altro gruppo prenderà certamente il suo posto, un gruppo che potrebbe essere ancora più radicale, più violento e pieno d’odio nei confronti d’Israele.
Israele non può sopportare una sconfitta militare per paura di sparire dalla carta geografica, e tuttavia la storia ha mostrato che ogni vittoria militare ha indebolito Israele politicamente per via dell’emergere di gruppi radicali. Non sottovaluto la difficoltà delle decisioni che il governo d’Israele deve prendere ogni giorno, né sottovaluto l’importanza della sicurezza d’Israele Tuttavia, rimango fermo nella mia convinzione che l’unica via davvero perseguibile per ottenere una sicurezza di lungo termine sia quella di ottenere il riconoscimento di tutti i nostri vicini. Mi auguro che il 2009 veda il ritorno proverbiale intelligenza attribuita agli Ebrei. Mi auguro che chi deve prendere decisioni per Israele sia ispirato di nuovo dalla saggezza di Salomone e comprenda che palestinesi e israeliani hanno uguali diritti umani.
La violenza da parte palestinese tormenta gli israeliani e non giova alla causa della Palestina; la rappresaglia di Israele è inumana, immorale e non garantisce la sicurezza. i destini dei due popoli sono indissolubilmente legati e li costringono a vivere fianco a fianco. Devono decidere se vogliono farne una benedizione o una maledizione.
Guerra dopo guerra
GUERRA DOPO GUERRA
di Giampaolo Calchi Novati
2 gennaio 2009
In un aspetto la crisi israelo-palestinese è uguale a tutti i conflitti di tutto il mondo: le cause, le motivazioni, le responsabilità sono plurime, si rimandano e si rafforzano l'una con l'altra. I razzi Qassam non spiegano da soli la guerra d'Israele contro Gaza: se si può chiamare guerra uno scontro così sproporzionato non solo per la tecnologia militare dei due contendenti ma per il fatto che da una parte combatte uno stato in piena regola, persino troppo «sovrano» visto che a Israele, a dispetto dell'opinione dei più, sono permesse violazioni delle regole non ammissibili in genere per nessuno (salvo le superpotenze), e dall'altra una larva priva di qualsiasi personalità (tanto che spesso si paragona la lotta di Hamas a una guerriglia benché le analogie con le guerre di liberazione o le insorgenze siano davvero scarse se non per le vicende delle Intifada, che però si sono svolte nella West Bank più che a Gaza).
Le provocazioni di Hamas sono una mezza verità. Non si capisce del resto perché le condizioni di vita degli abitanti di Israele a ridosso della Striscia e sotto il tiro dei missili artigianali sparati da Gaza dovrebbero essere più insopportabili delle condizioni di chi è rinchiuso in una specie di prigione, in perenne embargo, senza collegamenti esterni, oggetto di periodiche incursioni e omicidi mirati. Per essere seri si deve partire dall'eccezionalità, per non dire unicità, della fattispecie arabo-israeliana e poi israelo-palestinese e dalla sostanziale circolarità degli scambi. Non ci sono azioni e reazioni singole. C'è una storia a più facce che si trascina da un secolo.
Anche in Israele-Palestina valgono le questioni legate allo stato e alla nazione, al potere, alle classi, alla terra e alla formazione sociale, ma sopra o sotto questi fattori c'è l'intreccio di due realtà concrete e simboliche che nessuna divisione è riuscita veramente a separare. La stessa guerra è il modo d'essere di questa interazione un po' perversa. Guerra dopo guerra, lo spazio fra israeliani e palestinesi è diventato sempre più comune, anche se via via più sbilanciato a favore di Israele quanto a capacità di gestirsi e ad autonomia effettiva e protetta. Israele, come stato e come soggetto collettivo di cui fanno parte, oltre alle decisioni delle autorità, un'opinione pubblica informata e un discorso politico-culturale che si presume libero, fa torto a se stesso se cerca di far credere che senza i deprecati e deprecabili razzi non ci sarebbe stato bisogno di una guerra. Dov'è finita la coscienza critica che si è soliti attribuire alla sua sofisticata intellettualità? Si aveva ragione di ritenere che al centro del confronto in vista delle elezioni di febbraio - in una fase obiettivamente cruciale per le obbligazioni dell'ordine globale, la crisi finanziaria, il cambio alla Casa Bianca, la (forse) crescente ambizione dell'Europa - non ci fossero i Qassam ma temi come la natura dello stato ebraico oggi e domani, la conciliabilità fra democrazia e demografia, le vie per integrarsi convenientemente nel Medio Oriente (altro che Unione europea). In gioco fra Israele e Palestina c'è l'ingombro fatale del disegno che ha portato alla nascita e all'affermazione dello stato ebraico con la grandezza dell'utopia e le sue insanabili contraddizioni. Allo stesso modo, e lo si dice non solo per equidistanza, i dirigenti di Hamas e al limite l'intero movimento palestinese non possono ridurre tutto alle colpe di Israele (l'assedio della Striscia, gli insediamenti nei territori, il muro, ecc.), perché l'applicazione degli accordi o degli schemi di accordo messi a punto a tutt'oggi si è dimostrata o inadeguata o effimera o impossibile.
La questione israelo-palestinese può essere affrontata in due modi diversi e alternativi: o con la violenza o con la politica. Si può sostenere che anche la violenza è un'espressione della politica: è vero, ma la distinzione è fra la violenza come fine e la violenza come mezzo. Non si ripeta la solita solfa del «processo di pace» e dei «due stati per due popoli». Questi obiettivi possono essere raggiunti sia come sbocco della violenza (sopraffazione anche nelle eventuali concessioni) che per una scelta politica (equità nel riconoscimento dei diritti degli uni e degli altri). Finora ha prevalso l'uso sistematico della violenza. Israele ha in mente una soluzione - la sicurezza come dogma, la pace come possibilità, lo stato palestinese solo come necessità - che presuppone lo squilibrio, la supremazia, un dominio acclarato come unico pegno di sicurezza dando per scontato che i rapporti con i palestinesi, gli arabi e l'ambiente mediorientale nel suo insieme saranno sempre e comunque di ostilità se non di belligeranza.
Fatah e Hamas soffrono anche a distanza per la mancanza di una strategia attendibile. Arafat ebbe almeno il merito di tenere in vita un'idea unica di Palestina quando la Palestina era smembrata e negata da tutti. In ogni caso, nessuna componente del movimento palestinese ha mai immaginato di imporre una soluzione che implicasse un'egemonia a senso unico. La fase storica del «rifiuto arabo», quale che fosse il suo significato reale, è chiusa. Sono altre le minacce che incombono su Israele (provenienti anche dall'interno). Determinante, pur nella lunga durata, è il contesto in cui il contrasto si colloca di volta in volta. C'è una bella differenza fra Nasser e Mubarak. Ai tempi di Nasser l'impegno arabo e panarabo aveva come riferimento il sovvertimento dei rapporti di origine coloniale. Il Rais vinceva politicamente anche quando usciva sconfitto da una guerra perché cavalcava l'onda ascendente. Si supponeva che l'ordine mondiale potesse e dovesse essere forzato per adattarsi alle aspettative del Terzo mondo.
Il 1956 a Suez fu il clou esaltante di quell'impegno: non servì a nulla a Francia e Inghilterra sbaragliare l'Egitto in una guerra sbagliata e anacronistica. Israele allora credette utile mettersi al servizio dell'ultima fiammata del colonialismo europeo e subì più umiliazioni che gratificazioni scontrandosi con la politica decisamente post-coloniale degli Stati Uniti. Il declino della causa araba cominciò nel 1967 con la guerra dei sei giorni e si precisò nel 1977 quando Sadat andò alla Knesset a concordare i termini della resa. Il bipolarismo Est-Ovest non dava nessuna copertura alla causa araba. L'errore strategico di Israele è di non aver colto le diverse opportunità dei vari passaggi adottando lo stesso schema dell'autodifesa preventiva per esibire sempre e solo la forza militare. L'invasione del Libano nel 1982 lo dimostra in modo fin troppo evidente.
Invece di rompersi la testa sui «piccoli problemi» delle «piccole patrie», che appartengono al passato (la prima rivolta araba esplose nella Palestina mandataria nei lontani anni Trenta), Israele, palestinesi e arabi farebbero bene a misurarsi con le sfide che riguardano le loro posizioni relative nel sistema globalizzato. La globalizzazione, si sa, si occupa dell'ordine, non delle vittime. Le novità non mancano. Potrebbe essere imminente il superamento dell'era degli idrocarburi da cui dipende l'economia di quasi tutti i paesi arabi della regione. La Palestina ha il vantaggio di non doversi sottoporre a questo tipo di riconversione. Il suo interlocutore obbligato nella transizione è e resterà Israele. E qui si apprezza meglio la differenza fra la guerra e la politica.
Le alternative diventano: esclusione o inclusione. Demarcare i confini era il compito del colonialismo. In futuro, con o senza Hamas, conteranno i diritti della cittadinanza (più della sovranità), le funzioni e le specialità (più dell'origine etnica). Se Israele è la forza vincente, incombono su Israele le responsabilità maggiori. Deve scegliere molto semplicemente se accanirsi contro i vinti (i palestinesi) o contribuire al loro riscatto.
http://www.ilmanifesto.it/il-manifesto/in-edicola/numero/20090102/pagina...
Medici Senza Frontiere
MSF a Lampedusa è costretta a chiudere la propria attività perchè il Ministero dell'Interno non firma il protocollo d'intesa, ma riesce a entrare a Gaza.
Medici Senza Frontiere cambia la strategia di soccorso
02/01/2009
Gaza-Roma - Tre operatori internazionali di Medici Senza Frontiere (MSF) hanno potuto raggiungere i team locali all'interno della Striscia di Gaza. Una volta entrati, mercoledì, hanno constatato la tensione e le enormi difficoltà per operare a Gaza a causa delle continue incursioni aeree e dei bombardamenti che rendono molto complicato qualsiasi movimento sia per i pazienti che per medici e infermieri.
"L'intensità dei bombardamenti sulla Striscia di Gaza - spiega Cecile Barbou, coordinatrice medica di MSF - frena i movimenti in tutta l'area. I pazienti hanno paura di recarsi all'ospedale per le visite mediche e anche per essere sottoposti alle terapie post-operatorie. Anche il personale medico ha paura di muoversi nel territorio. Nel frattempo continuano a circolare voci su un imminente attacco via terra da parte delle forze israeliane".
Mentre durante i primi giorni di bombardamento su Gaza gli ospedali erano sovraffollati dall'afflusso di feriti, ora le strutture sanitarie sono in grado di fronteggiare il numero di pazienti che ricevono ogni giorno. "All'inizio c'era molta confusione - dice Franck Joncret, capo missione di MSF - dovuta al massiccio e improvviso sopraggiungere di feriti. Poi poco a poco il lavoro è stato riorganizzato e ora i medici palestinesi riescono a sistemare i feriti che arrivano".
Dal 30 dicembre, MSF tenta di riaprire la sua clinica pediatrica a Beit Lahia, nel nord della Striscia di Gaza, dove le visite effettuate hanno permesso di alleggerire la pressione sull'ospedale di Kamel Edwan. Il primo di gennaio i bombardamenti nella zona hanno costretto MSF a sospendere il proprio lavoro due ore dopo aver cominciato. Nel frattempo a Gaza City solo pochi pazienti hanno potuto recarsi alla clinica di MSF per le visite. Oggi, 2 gennaio, entrambe le cliniche di MSF sono vuote poiché i pazienti non riescono a spostarsi a causa della totale insicurezza
Per fronteggiare questa situazione, MSF sta modificando la sua strategia di soccorso. Il nostro personale medico ha cominciato a visitare i pazienti nei propri quartieri. " Sedici operatori locali di MSF, sia medici che infermieri, hanno portato a casa medicine e altri materiali sanitari - spiega Jessica Pourraz, coordinatrice di MSF a Gaza - in questo modo riescono a occuparsi dei pazienti che sono malati e anche dei feriti direttamente nei loro quartieri".
http://www.medicisenzafrontiere.it/msfinforma/news.asp?id=1918
Gaza
Sono sbigottita dalla violenza mostruosa che Israele sta esprimendo contro la popolazione della striscia di Gaza.
Come è possibile che non esista nessuna volontà di aprire una trattativa con Hamas che ha vinto le elezioni nel 2006 e quindi rappresenta il popolo di quei territori? Le vittime palestinesi aumentano di ora in ora, non sanno più come fare a curare i feriti, crollano le case e dilaga il panico, ma come è possibile agire in questo modo? Neppure gli orrendi nazisti arrivavano nelle loro decimazioni alla mostruosità a cui assistiamo oggi: per 4 israeliani morti sono stati uccisi 400 palestinesi.
Come è possibile che chi ha patito la Shoah, oggi possa agire in questo modo?
Dove vuole arrivare Israele? Il silenzio del governo italiano è spaventoso, solo la gente oggi è andata in piazza a manifestare e solo sulla rete appaiono le voci dei dissidenti israeliani.
Cosa farà il governo italiano se altri palestinesi cercheranno di entrare in Italia per salvarsi da questo genocidio, li rispedirà alla terra di origine? E' la domanda che faceva oggi un amico arabo palestinese che vive qui da qualche anno.
Anch'io mi chiedo dove Israele voglia arrivare
Hamas è stato eletto dai palestinesi ma Israele non lo riconosce. Vuole colpire Hamas? ma è la popolazione civile che sta massacrando. E' un genocidio quello che sta portando avanti perchè vuole riprendersi Gaza.
E questa strage assurda si realizza nella quasi totale indifferenza della comunità internazionale.
Un articolo che chiarisce la situazione della popolazione civile sul sito www.infopal.it:
Cristine, vittima del terrorismo israeliano e della codardia occidentale.
Scritto il 2009-01-04 in News
Dedichiamo questo articolo ai nostri politici senza morale e umanità...
Gaza: anche Cristine era una pericolosa terrorista?
“Cristine è una vittima ‘indiretta’ dei bombardamenti israeliani di quest’ultima settimana… è morta di paura, di stenti e di freddo; e come lei ci sono migliaia di minori, di bambini e adolescenti, che non resistono al continuo martellamento dei bombardamenti, ai boati tremendi che il resto del mondo si ostina a non sentire o a definire incidenti collaterali”: padre Manuel Musallam, parroco della Sacra Famiglia, unica chiesa cattolica della Striscia, parla alla MISNA di Cristine al-Turk, una ragazza di 16 anni morta ieri nella sua casa della città di Gaza nel quartiere di Rimal non perché colpita da un ordigno israeliano o da un crollo ma di stenti, di freddo, dopo giorni e giorni di terrore.
Nella Striscia, per divieto di Israele, non sono ufficialmente presenti operatori dell’informazione stranieri e padre Musallam è diventato, non solo per la MISNA, un punto di riferimento anche per notizie sulle condizioni dei circa 3000 cristiani presenti a Gaza. Le sue descrizioni, testimonianze senza fronzoli, chiare e inconfutabili, raccontano anche le storie dei ‘piccoli’, degli innocenti, della gente di solito anonima e ignorata come Cristine, quello che le grandi cronache di guerra e i freddi bilanci non fanno sapere.
“Da giorni - continua - stanno colpendo Gaza dal mare con le loro navi da guerra, dall’alto con aerei ed elicotteri, da terra con carri armati e cannoni; vengono colpite case di civili con dentro persone”. Gli abitanti di Gaza uccisi in una settimana, dopo le 750 incursioni aeree ammesse da Israele, sono, secondo fonti mediche locali, 436, almeno un quarto civili dice l’Onu, inclusi 75 bambini e 21 donne. Cristine frequentava la scuola diretta da padre Musallam ed era una cristiana della piccola comunità greco-ortodossa.
“Avrebbe potuto anche essere musulmana - continua padre Musallam - ma che importanza ha? Nelle stesse ore Iyad, Mohammed e Abdelsattar al-Astal – tre fratellini di età compresa tra i 7 e i 10 anni - sono stati uccisi da un missile vicino alla loro abitazione ad al-Qarara. I missili qui non guardano in faccia, non bussano a nessuna porta. Uccidono”. E’ stanco, ma non vuole fermarsi padre Musallam, racconta di come la gente abbia saputo di proteste e manifestazioni a loro favore in diverse città e paesi del mondo, racconta della rabbia di dover sentire solo una verità.
“Riusciamo a vedere i vostri telegiornali – continua – e restiamo costernati per le bugie che sentiamo. Quanto vale la vita di un palestinese? Perché un razzo artigianale lanciato dalla resistenza palestinese - ordigni che dal 2002 ad oggi avranno causato al massimo una decina di vittime - fa più notizia di 432 persone morte in una settimana?
Israele dice che teme le minacce palestinesi e intanto ci butta in mare; dice che teme i razzi e intanto ci bombarda; dice che siamo terroristi e intanto uccide indiscriminatamente…: la verità è il primo pilastro della pace; la verità è che fino al 1948 Israele non esisteva, la Palestina tutta non era un deserto ma era abitata dai palestinesi; la verità è che prima ci hanno cacciato e adesso tentano di cancellare quel che resta di un popolo mentre il resto del mondo gira gli occhi dall’altra parte. La verità è il solo strumento che abbiamo per riaprire il processo di pace; perché noi ancora ci crediamo”.
Anche in memoria di Cristine che “aveva un sogno - ricorda padre Musallam - poter uscire da questa prigione dove è nata e viaggiare, vedere con i suoi occhi i posti di cui parlavamo in classe, vedere Gerusalemme, i luoghi dell’altra Palestina, la Cisgiordania, visitare i monumenti e le città che poteva vedere solo sui libri in foto; questo era il suo sogno, ma anche quello di migliaia di bambini che qui sono nati e morti”.
(Agenzia Misna del 3.01.2008, http://www.misna.org/ )
notizie su Gaza
Se vi regge il cuore potete avere informazioni sulla situazione degli abitanti di Gaza a questi indirizzi:
http://www.palsolidarity.org/
http://www.forumpalestina.org
http://www.rete-eco.it/
Lo stress di Sderot
Si fa un gran parlare (e a ragione) del conflitto palestinese isrlaeliano, con il macrabo ed immancabile conta morti, arrivato a stime di 600 palestinesi.
Ho provato però a cercare, visti i rapporti tra i morti isrealiani e le forze contrapposte che si sono registrati nei conflitti precedenti (1 a 30 nella guerra dei sei anni, 1 a 6 nella guerra del Kippur, 1 a 7 nella guerra del Libano) il numero di morti israeliani causati dal lancio dei missili da parte di Hamas nel 2008 (oltre 1500 missili).
Ne ho contati 4. Quattro contro 600 (è solo una partita domestica per Israele, come afferma Caracciolo in un articolo su Repubblica!).
La mia indignazione (per il genere umano in generale e per l'operato di Olmert in particolare) ha però raggiunto l'apice leggendo il sito del Ministero degli Affari Esteri Isrlaeliano (http://tinyurl.com/3ypjqk) che il 1 gennaio 2009 pubblica uno studio che recita:
"[...] The damage done by rockets to the civilian population of Sderot and other western Negev population centers cannot be measured only statistically in terms of dead and wounded. Studies done in recent years showed that the continued rocket fire and the large number of shock victims have led to post traumatic stress disorder among many of Sderot's residents (close to 30%). It influences their mental health and seriously damages the quality of their lives. [...]".
Stress Disorder.
Il partito della pietà
L'Unità - 8 gennaio 2008
Il partito della pietà
Lidia Ravera
“Basta un morto per dire: No. Ma anche le proporzioni contano”, così scrive Luisa Morgantini, vicepresidente del Parlamento Europeo, in “Gaza,lettera aperta ai politici italiani”. Scrive che dal 2002 a oggi, per i razzi degli estremisti palestinesi sono state uccise 20 persone. E sono certamente troppe. Ma a Gaza, nello stesso periodo, sono state distrutte migliaia di case e uccise più di 3000 persone. Centinaia erano bambini. Facile: sono la maggioranza della popolazione a Gaza. E non tirano razzi. Al di là di qualsiasi ragione o torto di entrambi i contendenti, la sproporzione è evidente. Una delle tante asimmetrie?E fino a quando dovremo sopportarle, le guerre asimmetriche? A Gaza capita che una donna partorisca in un campo, che il marito le debba tagliare il cordone ombelicale con un sasso, perché le impediscono di raggiungere l’ospedale. Capita che gli scolari debbano camminare un’ora per arrivare a scuola, la via più breve non la possono percorrere.Vita quotidiana di un popolo braccato. A Gerusalemme, una scrittrice incontrata al convegno organizzato dal locale Istituto Italiano di Cultura, mi ha detto: “ mandi i tuoi figli a scuola al mattino e non sai se torneranno a casa”. Si soffre al di qua e al di là del confine. Ma i carrarmati sono la soluzione? Molti israeliani pensano che servono soltanto a perpetuare l’odio e non lo sopportano più. C’è, nello stato democratico di Israele, chi condanna l’aggressività bellica del governo, nonostante la paura con cui convive da decenni . Ci sono soldati che rifiutano di andare a sparare sui vicini di casa, e si lasciano incarcerare per questa nobilissima disobbedienza. C’è, anonimo, timido, eppure in continua espansione, un incorporeo partito transnazionale della pietà. E’ forse l’unico a cui varrebbe, qualora prendesse corpo, la pena di iscriversi. L’unico partito da votare, in questi anni di confusione e di dolore.
(wwwlidiaravera.it)
grazie Antonella
Un articolo che centra il nucleo del dramma di ogni conflitto, grazie per averlo riportato.
per davidemario
T'indigna forse il fatto che anche la popolazione israeliana possa soffrire della sindrome da stress post traumatico?
Chiunque viva in un terreno di guerra o dove sia avvenuta una catastrofe naturale, può essere colpito da questa dolorosa sindrome.La subiscono anche i soldati aggressori, ne sono una testimonianza i reduci dal Vietnam e dall'Iraq e le tante persone impegnate negli aiuti umanitari.
V. Arrigoni- Diario da Gaza
Vittorio Arrigoni
Diario da Gaza,
la notte dell'invasione
Mentre scrivo i carri armati israeliani sono entrati nella «Striscia». La giornata è iniziata allo stesso modo in cui è finita quella che l’ha preceduta, con la terra che continua a tremare sotto i nostri piedi, il cielo e il mare, senza sosta alcuna, a tremare sulle nostre teste, sui destini di un milione e mezzo di persone che sono passate dalla tragedia di un assedio, alla catastrofe di bombardamenti che fanno dei civili il loro bersaglio predestinato. Il posto è avvolto dalle fiamme, cannonate dal mare e bombe dal cielo per tutta la mattina. Le stesse imbarcazioni di pescatori che scortavamo fino a quale giorno fa in alto mare, ben oltre le sei miglia imposte da Israele come assedio illegale criminoso, le vedo ora ridotte a tizzoni ardenti. Se i pompieri tentassero di domare l’incendio, finirebbero bersagliati dalle mitragliatrici degli F16, è già successo ieri. Dopo questa massiccia offensiva, finito il conteggio dei morti, se mai sarà possibile, si dovrà ricostruire una città sopra un deserto di macerie. Livni dichiara al mondo che non esiste un’emergenza umanitaria a Gaza: evidentemente il negazionismo non va di moda solo dalle parti di Ahmadinejad. I palestinesi su una cosa sono d’accordo con la Livni, ex serial killer al soldo del Mossad, (come mi dice Joseph, autista di ambulanze): più beni alimentari stanno davvero filtrando all’interno della striscia, semplicemente perché a dicembre non è passato pressoché nulla, oltre la cortina di filo spinato teso da Israele. Ma che senso realmente ha servire pane appena sfornato all’interno di un cimitero? L’emergenza è fermare subito le bombe, prima ancora dei rifornimenti di viveri. I cadaveri non mangiano, vanno solo a concimare la terra, che qui a Gaza non è mai stata così fertile di decomposizione. I corpi smembrati dei bimbi negli obitori invece dovrebbero nutrire i sensi di colpa, negli indifferenti, verso chi avrebbe potuto fare qualche cosa. Le immagini di un Obama sorridente che gioca a golf sono passate su tutte le televisioni satellitari arabe, ma da queste parti nessuno si illude che basti il pigmento della pelle a marcare radicalmente la politica estera statunitense. Ieri (venerdì, ndr) Israele ha aperto il valico di Herez per far evacuare tutti gli stranieri presenti a Gaza. Noi, internazionali della Ism, siamo gli unici a essere rimasti. Abbiamo risposto oggi (ieri, ndr) tramite una conferenza stampa al governo israeliano, illustrando le motivazioni che ci costringono a non muoverci da dove ci troviamo. Ci ripugna che i valichi vengano aperti per evacuare cittadini stranieri, gli unici possibili testimoni di questo massacro, e non si aprano in direzione inversa per far entrare i molti dottori e infermieri stranieri che sono pronti a venire a portare assistenza ai loro eroici colleghi palestinesi. Non ce ne andiamo perché riteniamo essenziale la nostra presenza come testimoni oculari dei crimini contro l’inerme popolazione civile ora per ora, minuto per minuto. Siamo a 445 morti, più di 2.300 feriti, decine i dispersi. Settantatré, al momento in cui scrivo, i minori maciullati da bombe. Al momento Israele conta tre vittime in tutto. Non siamo fuggiti come ci hanno consigliato i nostri consolati perché siamo ben consci che il nostro apporto sulle ambulanze come scudi umani nel dare prima assistenza ai soccorsi potrebbe rivelarsi determinante per salvare vite. Anche ieri un’ambulanza è stata colpita a Gaza City, il giorno prima due dottori del campo profughi di Jabalia erano morti colpiti in pieno da un missile sparato da un Apache. Personalmente, non mi muovo da qui perché sono gli amici ad avermi pregato di non abbandonarli. Gli amici ancora vivi, ma anche quelli morti, che come fantasmi popolano le mie notti insonni. I loro volti diafani ancora mi sorridono. Ore 19.33, ospedale della Mezza Luna Rossa, Jabalia. Mentre ero in collegamento telefonico con la folla in protesta in piazza a Milano, due bombe sono cadute dinanzi all’ospedale. I vetri della facciata sono andati in pezzi, le ambulanze per puro caso non sono rimaste danneggiate. I bombardamenti si sono fatti ancora più intensi e massicci nelle ultime ore, la moschea di Ibrahim Maqadme, qui vicino, è appena crollata sotto le bombe: è la decima in una settimana. Undici vittime per ora, una cinquantina i feriti. Un’anziana palestinese incontrata per strada questo pomeriggio mi ha chiesto se Israele pensa di essere nel medioevo, e non nel 2009, per continuare a colpire con precisione le moschee come se fosse concentrato in una personale guerra santa contro i luoghi sacri dell’islam a Gaza. Ancora un’altra pioggia di bombe a Jabalia, e alla fine sono entrati. I cingoli di carri armati che da giorni stazionavano al confine, come mezzi meccanici a digiuno affamati di corpi umani, stanno trovando la loro tragica soddisfazione. Sono entrati in un’area a nord-ovest di Gaza e stanno spianando case metro per metro. Seppelliscono il passato e il futuro, famiglie intere, una popolazione che scacciata dalle proprie legittime terre non aveva trovato altro rifugio che una baracca n un campo profughi. Siamo corsi qui a Jabaila dopo la terribile minaccia israeliana piovuta dal cielo venerdì sera. Centinaia e centinaia di volantini lanciati dagli aerei intimavano l’evacuazione generale del campo profughi. Minaccia che si sta dimostrando purtroppo reale. Alcuni, i più fortunati, sono scappati all’istante, portandosi via i pochi beni di valore, un televisore, un lettore dvd, i pochi ricordi della vita che era in una Palestina perduta una sessantina di anni fa. La maggioranza non ha trovato alcun posto dove fuggire. Affronteranno quei cingoli affamati delle loro vite con l‘unica arma che hanno a disposizione, la dignità di saper morire a testa alta. Io e i miei compagni siamo coscienti degli enormi rischi a cui andiamo incontro, questa notte più delle altre; ma siamo certo più a nostro agio qui nel centro dell’inferno di Gaza, che agiati in paradisi metropolitani europei o americani, che festeggiando il nuovo anno non hanno capito quanto in realtà siano causa e complicità di tutte queste morti di civili innocenti.
http://www.ilmanifesto.it/archivi/fuoripagina/anno/2009/mese/01/articolo...
Israele usa bombe al fosforo?
Un massacro ecco come si può chiamare quello che Israele sta facendo a Gaza e, se l'uso delle bombe al fosforo sarà provato, Israele dovrà risponderne davanti al tribunale dell'Aja per avere commesso un crimine di guerra.
www.unita.it
Israele usa le bombe al fosforo a Gaza
di RACHELE GONNELLI
Israele usa bombe a grappolo al fosforo bianco. Si tratta di armi che in base alla Convenzione di Ginevra e ai protocolli internazionali del 1980 non possono essere utilizzate contro la popolazione civile e in aree densamente popolate.
Dell’impiego massiccio di queste bombe, con il loro caratteristico effetto tracciante simile a un fuoco d’artificio se viste da lontano, esiste una vasta documentazione fotografica nei reportage delle principali agenzie del mondo che arrivano in questi giorni dalla Striscia di Gaza. A parlarne, a denunciarne l’uso durante l’avanzata terrestre dell’esercito israeliano dopo aver visto le foto, sono stati soprattutto i blogger. Una denuncia che corre sul web da un capo all’altro del mondo ma che finora non ha trovato riscontro sulle pagine dei giornali cartacei. Se ne parla però su alcuni forum di quotidiani inglesi, da "The Guardian" al "Times" di Londra.
Il capitano Ishai David, portavoce dell’esercito israeliano, si è comunque preoccupato di rispondere ai dubbi, affermando che «Israele usa munizioni che sono accettate dalle leggi internazionali». Lo stesso "Times" ha ricordato che le bombe a grappolo – a conchiglia, shells, si chiamano in inglese – al fosforo bianco non sono illegali se usate solo come proiettili traccianti per indicare la direzione e coprire l’avanzata delle truppe terrestri. Gli inglesi lo sanno bene perché le hanno utilizzate con questo escamotage in Iraq.
I dubbi sulla liceità di questi bombardamenti al fosforo però restano tutti. Anche in considerazione del fatto che Tel Aviv ha dapprima negato ma alla fine ammesso di aver usato armi illegali come le cluster bombs durante la guerra nel Sud del Libano, nell’estate di tre anni fa.
Alcuni esperti militari britannici intervistati in forma anonima dal "Daily Mail" sostengono che sia assai dubbia la liceità dell’impiego di queste armi anche come «cortina fumogena» in una zona tra le più densamente popolate del pianeta qual è la Striscia di Gaza. E sostengono che ci troveremmo di fronte ad un pesante crimine di guerra.
«Se fosse provato l’utilizzo di bombe al fosforo verso postazioni civili densamente popolate Israele potrebbe essere chiamata risponderne davanti al tribunale dell’Aja», ha detto al "Times" Clarles Heyman, tenente colonnello dell’esercito britannico.
Poi ci sono le foto che circolano in Rete di bambini uccisi nei bombardamenti su Gaza. Foto raccapriccianti che vengono da siti arabi, probabilmente legati ad Hamas. Hanno i volti, la testa completamente nera, ustionati ma i lineamenti ancora visibili e il resto del corpo quasi intatto. Cadaveri simili a quelli che si sono visti durante la guerra in Libano.
Nei blog circola la denuncia di un operatore sanitario di un ospedale della Striscia di Gaza. Si chiama Jawad Najem. E dice di essersi trovato di fronte a centinaia di persone con ferite da bombe al fosforo. «Sono arrivati tutti domenica», il giorno dell’attacco terrestre dei soldati di Tshal.
Ahmed Al Dabba, un ragazzo di 26 anni che vive nella parte orientale della Striscia ha postato il suo racconto delle prime ore dell’attacco, quando ancora funzionavano le reti telefoniche e telematiche ora tagliate. Racconta di essere salito sul tetto della sua casa non lontano dal valico di Karni e di aver visto centinaia di bombe a conchiglia al fosforo bianco lanciate nella notte. «Ne ho contate almeno duecento in un’ora, purtroppo non sono riuscito a vedere bene gli obiettivi che venivano colpiti».
Times: israeliani usano bombe al fosforo bianco
05/01/2009
Times: israeliani usano bombe al fosforo bianco
L'ipotesi avanzata da un ufficiale israeliano
Nell'offensiva di terra nella Striscia di Gaza l'esercito israeliano starebbe usando i controversi proiettili al fosforo bianco che creano spesse cortine fumogene, ma che possono anche causare terribili ustioni. Lo rivela il quotidiano britannico Times nell'apertura del suo sito internet.
Come a Falluja e in Libano. Il giornale riporta le dichiarazioni di un esperto di intelligence israeliano. Si tratta delle stesse munizioni impiegate dagli Usa in Iraq nel novembre del 2004 a Falluja e nella guerra del Libano contro Hezbollah nel 2006. In base al Trattato di Ginevra del 1980 - precisa il Times - il fosforo bianco "non puo' essere usato come arma di guerra nelle aree popolate da civili, anche se non ne è vietato li''impiego appunto come cortina fumogena o come bengala per illuminare le aree" dove operano le truppe. In realtà, secondo il Times, vengono usate nelle aree urbane "per snidare i cecchini o quanti restano appostati tra le macerie per far esplodere gli ordigni improvvisati" al passaggio delle truppe. Israele ha riconosciuto di aver usato il fosforo bianco nel Libano meridionale durante la disastrosa guerra dell'estate del 2006 contro le milizie sciite di Hezbollah. "Impiegare tali proiettili in un'area delle aree piu' densamente popolate del mondo come la Striscia di Gaza - scrive il giornale conservatore - alimenterà ulteriormente le critiche contro l'offensiva israeliana che ha già causato almeno 2.300 feriti".
Tessuti bruciati. I proiettili danno vita a "esplosioni fantastiche, causano tanto fumo ostacolando la vista del nemico e consentendo alle nostre truppe di avanzare", ha spiegato un esperto di sicurezza israeliano. "Se il fosforo bianco è stato sparato in maniera deliberata sulla la gente qualcuno finirà alla Corte per i crimini di guerra dell'Aia", ha commentato l'ex maggiore dell'esercito britannico, Charles Heyman, perchè "è anche un arma terroristica. Le gocce di fosforo bruciano al contatto con la pelle". Tsahal ha negato l'uso del fosforo, ma non ha voluto precisare il tipo di armi adottate limitandosi a ribadire che "Israele usa munizioni autorizzate dal diritto internazionale", ha detto il portavoce, capitano Ishai David. Tra i militari il fosforo bianco viene chiamato 'Willy Pete' fin dalla Prima Guerra mondiale ed è stato ampiamente utilizzato dagli Usa nel Vietnam. Il fosforo bianco viene conservato sott'acqua o in azoto perchè a contato con l'ossigeno presente nell'aria produce anidride fosforica generando calore. L'anidride fosforica reagisce violentemente con composti contenenti acqua (come il corpo umano) e li disidrata producendo acido fosforico. Il calore sviluppato da questa reazione brucia la parte restante del tessuto molle. Il risultato è la distruzione completa del tessuto organico.
Luca Galassi
http://it.peacereporter.net/articolo/13491/Times:+israeliani+usano+bombe...
fosforo bianco e uranio impoverito
Sui corpi delle vittime, oltre alle ustioni da fosforo bianco sono state trovate tracce di uranio impoverito.
http://www.rete-eco.it/approfondimenti/gaza/4094-depleted-uranium-found-...
Crimini di guerra contro Gaza
www.infopal.it
Crimini di guerra contro Gaza. Video-intervista a medico norvegese che conferma uso armi di distruzione di massa da parte di Israele.
Infopal. Israele sta facendo uso di armi di distruzione di massa contro Gaza - fosforo bianco, uranio impoverito? -, che fanno a pezzi i corpi delle persone e nei feriti potranno causare cancro e leucemia.
La testimonianza del dott. Mads Gilbert, medico norvegese e e membro della organizzazione umanitaria Noewac, attualmente in servizio all'ospedale ash-Shifa di Gaza:
http://www.youtube.com/watch?v=bFjooAPtyTo
crimini
Verremo a conoscenza, forse, solo dopo la fine di questo immane disastro, dei danni atroci subiti dalla popolazione.Mi chiedo se il governo d'Israele sarà mai incriminato per la violenza e la cecità con cui agisce contro persone prive di una via di fuga.
Ury Avnery: piombo fuso nuova guerra elettorale di Israele
Piombo fuso: la nuova guerra elettorale di Israele
di Uri Avnery
The Palestine Chronicle, 1 gennaio 2009
Fu proprio un governo israeliano a contribuire alla nascita di Hamas. Ora Israele vuole distruggere questo movimento con un’operazione militare nata a scopi elettorali – sostiene il pacifista israeliano Uri Avnery. Ma il risultato potrebbe essere opposto a quello desiderato. Mettendo a nudo l’impotenza dei regimi arabi, Israele sta perdendo l’ultima possibilità di giungere ad una pace con il nazionalismo arabo laico. Domani, lo stato ebraico potrebbe trovarsi di fronte ad un mondo arabo uniformemente fondamentalista – afferma Avnery
Poco dopo la mezzanotte, il canale arabo di al-Jazeera stava riferendo gli eventi da Gaza. Improvvisante la telecamera puntò in alto, verso il cielo buio. Lo schermo era un campo nero. Non si poteva vedere nulla, ma si poteva sentire l’audio: il rumore degli aerei, uno spaventoso, terrificante ronzio.
Era impossibile non pensare alle decine di migliaia di bambini di Gaza che stavano sentendo quel rumore in quel momento, rannicchiati, paralizzati dalla paura, aspettando che le bombe cominciassero a cadere.
“Israele deve difendersi contro i razzi che stanno terrorizzando le nostre città meridionali”, hanno spiegato i portavoce israeliani. “I palestinesi devono rispondere all’uccisione dei loro combattenti nella Striscia di Gaza”, hanno dichiarato i portavoce di Hamas.
Per la verità, il cessate il fuoco non è stato interrotto, poiché non vi è stato nessun vero cessate il fuoco. Il principale requisito di qualsiasi cessate il fuoco nella Striscia di Gaza deve essere l’apertura dei valichi di confine. Non può esserci vita a Gaza senza un flusso costante di rifornimenti. Ma i valichi non sono mai stati aperti, eccetto che per poche ore di quando in quando. Il blocco aereo, marittimo e terrestre imposto a un milione e mezzo di esseri umani è un atto di guerra, così come qualsiasi bombardamento o lancio di razzi. Esso paralizza la vita nella Striscia di Gaza: eliminando le principali fonti di impiego, spingendo centinaia di migliaia di persone sull’orlo della fame, impedendo alla maggior parte degli ospedali di funzionare, interrompendo la fornitura di elettricità e di acqua.
Coloro che hanno deciso di chiudere i valichi – con qualsiasi pretesto – sapevano che non vi è alcun reale cessate il fuoco in queste condizioni.
Questo è il punto principale. Poi sono giunte le piccole provocazioni volte a spingere Hamas a reagire. Dopo diversi mesi, durante i quali non era stato lanciato quasi nessun razzo Qassam, un’unità militare israeliana è stata inviata nella Striscia “al fine di distruggere un tunnel giunto in prossimità della recinzione di confine”. Da un punto di vista puramente militare, sarebbe stato più sensato tendere un’imboscata dal nostro lato del confine. Ma l’obiettivo era trovare un pretesto per porre fine al cessate il fuoco, in una maniera che rendesse plausibile dare la colpa ai palestinesi. E in effetti, dopo molte di queste piccole azioni, in cui sono stati uccisi combattenti di Hamas, quest’ultimo ha risposto con un massiccio lancio di razzi, e – guardate un po’ – il cessate il fuoco è giunto alla fine. E tutti hanno accusato Hamas.
Qual era l’obiettivo? Tzipi Livni lo ha annunciato apertamente: liquidare il governo Hamas a Gaza. I razzi Qassam servivano solo come pretesto.
Liquidare il governo Hamas? Sembra un capitolo tratto da “La marcia della follia”. Dopotutto, non è un segreto che fu proprio il governo israeliano che contribuì alla nascita ed al rafforzamento di Hamas all’inizio. Quando una volta chiesi a un ex capo dello Shin-Bet, Yaakov Peri, a questo riguardo, mi rispose enigmaticamente: “Non lo abbiamo creato, ma non abbiamo ostacolato la sua creazione”.
Per anni le autorità israeliane hanno favorito il movimento islamico nei territori occupati. Tutte le altre attività politiche furono rigorosamente soppresse, ma le attività del movimento nelle moschee erano permesse. Il calcolo era semplice ed ingenuo: a quell’epoca, l’OLP era considerato il principale nemico, e Yasser Arafat era il Satana del momento. Il movimento islamico predicava contro l’OLP e contro Arafat, e perciò era visto come un alleato.
Con lo scoppio della prima Intifada nel 1987, il movimento islamico si attribuì ufficialmente il nome di Hamas (le iniziali arabe di “Movimento di Resistenza Islamica”) e prese parte alla battaglia. Ma anche allora, lo Shin-Bet non prese alcun provvedimento contro di esso per quasi un anno, mentre i membri di Fatah furono uccisi o imprigionati a frotte. Solo un anno dopo, lo Sheikh Ahmed Yassin ed i suoi compagni furono anch’essi arrestati.
Da allora è girato il vento. Hamas è ora diventato l’attuale Satana, e l’OLP è considerato da molti in Israele quasi una succursale dell’organizzazione sionista. La logica conclusione, per un governo israeliano che avesse cercato la pace, sarebbe dovuta essere quella di fare ampie concessioni alla leadership di Fatah: porre fine all’occupazione, firmare un trattato di pace, permettere la fondazione di uno Stato palestinese, ritirarsi entro i confini del 1967, dare una soluzione ragionevole al problema dei profughi, rilasciare tutti i prigionieri palestinesi. Tutto questo avrebbe sicuramente arrestato l’ascesa di Hamas.
Ma la logica ha poca influenza in politica. Nulla del genere è accaduto. Al contrario, dopo la morte di Arafat, Ariel Sharon dichiarò che Mahmoud Abbas, che aveva preso il suo posto, era un “pollo spennato”. Ad Abbas non fu concesso il più piccolo successo politico. I negoziati, sotto gli auspici americani, divennero una burla. Il più credibile leader di Fatah, Marwan Barghouti, fu messo in carcere a vita. Invece di un rilascio di prigionieri su vasta scala, vi furono “gesti” insignificanti e offensivi.
Abbas fu sistematicamente umiliato, Fatah apparve come un guscio vuoto, e Hamas ottenne una clamorosa vittoria alle elezioni palestinesi – le elezioni più democratiche mai tenutesi nel mondo arabo. Israele boicottò il governo eletto. Nella lotta intestina che ne seguì, Hamas assunse il controllo diretto della Striscia di Gaza.
E ora, dopo tutto questo, il governo di Israele ha deciso di “liquidare il governo Hamas a Gaza” – con spargimenti di sangue, fuoco, e colonne di fumo.
Il nome ufficiale della guerra è “piombo fuso”, due parole tratte da una canzone per bambini riguardo a un gioco della festa di Hanukkah (festività ebraica, conosciuta anche come “Festa delle Luci” (N.d.T.) ).
Ma sarebbe più esatto chiamarla “Guerra Elettorale”.
Anche in passato alcune operazioni militari furono compiute nel corso di campagne elettorali. Menachem Begin bombardò il reattore nucleare iracheno durante la campagna elettorale del 1981. Quando Shimon Peres sostenne che si trattava di un espediente elettorale, Begin gridò al suo successivo raduno: “Ebrei, credete che io manderei i nostri coraggiosi ragazzi a morire, o – peggio – a essere fatti prigionieri da animali umani, allo scopo di vincere delle elezioni?”. Begin vinse.
Peres non è Begin. Quando, durante la campagna elettorale del 1996, ordinò l’invasione del Libano (l’operazione “Grappoli di Collera”), tutti erano convinti che lo avesse fatto per scopi elettorali. La guerra fu un fallimento, Peres perse le elezioni e Benjamin Netanyahu giunse al potere.
Ehud Barak e Tzipi Livni stanno ora ricorrendo allo stesso vecchio trucco (l’idea che la guerra sia stata scatenata anche per scopi elettorali è stata sollevata anche in alcuni ambienti della destra israeliana; si veda ad esempio l’articolo “The Politics of Air Strikes” apparso il 30/12/2008 sul Jerusalem Post a firma di Michael Freund (N.d.T.) ). Nei sondaggi, Barak ha guadagnato cinque seggi alla Knesset in appena 48 ore. Circa 80 morti palestinesi per ogni seggio. Ma è difficile camminare su un cumulo di cadaveri. Il successo potrebbe svanire in un minuto, se la guerra dovesse iniziare ad essere considerata dall’opinione pubblica israeliana come un fallimento. Ad esempio, se i razzi continueranno a colpire Beersheva, o se l’attacco di terra determinerà pesanti perdite da parte israeliana.
Il momento per colpire è stato scelto meticolosamente anche da un’altra angolazione. L’attacco ha avuto inizio due giorni dopo Natale, quando i leader americani ed europei sono in vacanza fino a dopo Capodanno. Il calcolo: anche se qualcuno volesse cercare di fermare la guerra, nessuno rinuncerebbe alle sue vacanze. Ciò assicurava diversi giorni liberi da pressioni esterne.
Un’altra ragione per questa scelta di tempo: questi sono gli ultimi giorni di George Bush alla Casa Bianca. Da costui ci si poteva tranquillamente aspettare che avrebbe appoggiato la guerra, come in effetti ha fatto. Barack Obama non si è ancora insediato, ed aveva un pretesto bell’e pronto per mantenere il silenzio: “C’è solo un presidente per volta”. Il silenzio non lascia ben sperare per il mandato del presidente Obama.
La parola d’ordine era: non ripetere gli errori della seconda guerra del Libano. Un ritornello che è stato ripetuto all’infinito in tutti i programmi di informazione e in tutti i talk show.
Ma questo non cambia le cose: la guerra di Gaza è una copia quasi esatta della seconda guerra del Libano.
La concezione strategica è la stessa: terrorizzare la popolazione civile con incessanti attacchi dal cielo, seminando morte e distruzione. Ciò non mette in pericolo i piloti, dato che i palestinesi non hanno armi antiaeree. Il calcolo: se l’intera infrastruttura di supporto alla vita nella Striscia viene completamente distrutta e ne risulta una totale anarchia, la popolazione si solleverà e rovescerà il regime di Hamas. A quel punto Mahmoud Abbas tornerebbe a Gaza sulla scia dei carri armati israeliani.
In Libano questi calcoli non hanno funzionato. La popolazione bombardata, inclusi i cristiani, si è raccolta attorno a Hezbollah, e Hassan Nasrallah è divenuto l’eroe del mondo arabo. Qualcosa di simile probabilmente accadrà anche adesso. I generali sono esperti nell’uso delle armi e nel muovere le truppe, ma non nella psicologia delle masse.
Qualche tempo addietro, scrissi che il blocco di Gaza era un esperimento scientifico inteso a scoprire quanto si può affamare una popolazione e trasformare la sua vita in un inferno prima che essa crolli. Questo esperimento fu condotto con il generoso aiuto dell’Europa e degli Stati Uniti. Finora, esso non ha avuto successo. Hamas è diventato più forte, e la gittata dei razzi Qassam è aumentata. La guerra attuale è una continuazione dell’esperimento con altri mezzi.
Potrebbe darsi che l’esercito “non avrà alternativa” a quella di riconquistare la Striscia di Gaza, perché potrebbe non esservi altro modo per fermare i razzi Qassam – eccetto quello di giungere a un accordo con Hamas, cosa che è contraria alla politica del governo. Quando l’invasione di terra partirà, tutto dipenderà dalla motivazione e dalle capacità dei combattenti di Hamas di fronte ai soldati israeliani. Nessuno può sapere cosa accadrà.
Giorno dopo giorno, notte dopo notte, il canale arabo di al-Jazeera trasmette immagini atroci: mucchi di corpi mutilati, parenti in lacrime che cercano i loro cari fra le decine di cadaveri sparsi al suolo, una donna che tira fuori la sua giovane figlia da sotto le macerie, medici privi di farmaci che cercano di salvare le vite dei feriti. (Il canale in lingua inglese di al-Jazeera, a differenza del canale in arabo, ha compiuto uno stupefacente voltafaccia, trasmettendo solo immagini asettiche e distribuendo senza riserve la propaganda israeliana di governo. Sarebbe interessante sapere cosa si nasconde dietro questo cambiamento).
Milioni di persone stanno vedendo queste immagini terribili, una dopo l’altra, giorno dopo giorno. Queste immagini resteranno impresse per sempre nelle loro menti: orribile Israele, abominevole Israele, disumano Israele. Un’intera generazione nutrita di odio. Questo è un prezzo terribile, che saremo costretti a pagare molto tempo dopo che i risultati stessi della guerra saranno stati dimenticati in Israele.
Ma c’è un’altra cosa che si sta imprimendo nelle menti di questi milioni di persone: l’immagine dei miserabili, corrotti e passivi regimi arabi.
Alla vista degli arabi, una cosa spicca su tutte le altre: il muro della vergogna.
Per il milione e mezzo di arabi di Gaza, che stanno soffrendo così terribilmente, l’unica apertura verso il mondo che non è dominata da Israele è il confine con l’Egitto. Solo da lì può arrivare il cibo a sostenere la vita, e i medicinali a salvare i feriti. Questo confine rimane chiuso al culmine dell’orrore. L’esercito egiziano ha bloccato l’unica via attraverso la quale il cibo e i medicinali possono entrare, mentre i chirurghi operano i feriti senza anestesia.
In tutto il mondo arabo, da un capo all’altro, sono echeggiate le parole di Hassan Nasrallah: i leader dell’Egitto sono complici di questo crimine, stanno collaborando con il “nemico sionista” nel cercare di spezzare il popolo palestinese. Si può ritenere che egli non si riferisse solo a Mubarak, ma anche a tutti gli altri leader arabi, dal re dell’Arabia Saudita al presidente palestinese. Vedendo le manifestazioni in tutto il mondo arabo e ascoltando gli slogan, si ha l’impressione che a molti arabi i loro leader appaiano patetici nel migliore dei casi, e miserabili collaboratori nel peggiore.
Ciò avrà conseguenze di portata storica. Un’intera generazione di leader arabi, una generazione imbevuta dell’ideologia del nazionalismo arabo laico, i successori di Gamal Abdel Nasser, Hafez al-Assad e Yasser Arafat, potrebbero essere spazzati via dalla scena. Nella regione araba, l’unica possibile alternativa che si profila è l’ideologia del fondamentalismo islamico.
Questa guerra è un segnale d’allarme: Israele sta perdendo la storica possibilità di fare la pace con il nazionalismo arabo laico. Domani, lo Stato ebraico potrebbe trovarsi di fronte ad un mondo arabo uniformemente fondamentalista – Hamas moltiplicato per mille.
L’altro giorno il mio tassista a Tel Aviv stava riflettendo ad alta voce: perché non chiamare alle armi i figli dei ministri e dei membri della Knesset, costituirli in un’unità di combattimento e mandarli a guidare il prossimo attacco di terra a Gaza?
Uri Avnery è un giornalista e pacifista israeliano; è fondatore del movimento ‘Gush Shalom’
(Traduzione a cura di UNIMED-IlChiosco)
http://www.osservatorioiraq.it/modules.php?name=News&file=article&sid=6893
I crimini di guerra israeliani
I crimini di guerra israeliani
di Richard Falk* – «The Nation»
Gli attacchi aerei sulla Striscia di Gaza rappresentano delle gravi e massicce violazioni del diritto internazionale umanitario definito dalle Convenzioni di Ginevra, sia in relazione agli obblighi di una Potenza Occupante, sia ai requisiti del diritto bellico.
Tali violazioni implicano:
• Punizione collettiva: l’intera popolazione composta da un milione e mezzo di persone che vivono nell’affollata Striscia di Gaza viene punita per le azioni di pochi militanti.
• Civili come obiettivo: gli attacchi aerei sono stati rivolti verso aree civili in una delle porzioni di terra più affollate del mondo, certamente la più popolata del Medio Oriente.
• Reazione militare sproporzionata: Gli attacchi aerei non hanno soltanto distrutto ogni ufficio di polizia e di sicurezza del governo eletto di Gaza, ma hanno ucciso e ferito centinaia di civili; è stato riferito che almeno uno dei bombardamenti ha colpito gruppi di studenti in attesa di mezzi di trasporto da casa all’università.
Le precedenti azioni israeliane, in particolare la completa sigillatura della Striscia di Gaza in entrata e in uscita, hanno portato a una grave scarsità di medicine e carburante (così come di cibo), fino a causare l’impossibilità per le ambulanze di soccorrere i feriti, l’incapacità degli ospedali di fornire adeguatamente le medicine o le necessarie attrezzature per i pazienti, e l’impossibilità per i medici e gli altri operatori sanitari sotto assedio di Gaza ad assistere sufficientemente le vittime.
Certamente gli attacchi con razzi contro obiettivi civili in Israele sono illegali. Ma tale illegalità non fa sorgere in capo a Israele, né in veste di Potenza Occupante né di Stato sovrano, alcun diritto a violare il diritto internazionale umanitario o commettere crimini di guerra o crimini contro l’umanità nella sua reazione. Prendo atto che la progressione di attacchi militari di Israele non ha reso i civili israeliani più sicuri; al contrario, l’unico israeliano ucciso oggi dopo la recrudescenza della violenza israeliana è il primo da oltre un anno.
Israele ha altresì ignorato le recenti iniziative diplomatiche di Hamas miranti a ristabilire la tregua o il cessate il fuoco a partire dal suo termine del 26 dicembre
Gli attacchi aerei di oggi, con i catastrofici costi umani che hanno causato, sfidano quei paesi che sono stati e restano complici, sia direttamente sia indirettamente, nei confronti delle violazioni del diritto internazionale da parte di Israele. Tale complicità comprende quei paesi che notoriamente forniscono l’equipaggiamento militare, tra cui aerei di guerra e missili usati in questi attacchi illegali, così come quei paesi che hanno sostenuto e partecipato nell’assedio di Gaza che di per se stesso ha causato una catastrofe umanitaria.
Ricordo a tutti gli Stati Membri delle Nazioni Unite che l’Onu continua a essere vincolata a un indipendente obbligo di proteggere qualsiasi popolazione civile che si trovi a fronteggiare massicce violazioni del diritto internazionale umanitario, a prescindere da quale paese sia responsabile di tali violazioni. Faccio appello a tutti gli Stati Membri, nonché a tutti i funzionari e a ogni organo rilevante del sistema Onu, affinché si muovano sulla base dell’emergenza non solo per condannare le serie violazioni israeliane, ma per sviluppare nuove misure volte a fornire una reale protezione del popolo palestinese.
* Richard Falk, professore emerito di diritto e pratica internazionale alla Princeton University, è relatore speciale dell’Onu sui diritti umani nei territori palestinesi occupati e fa parte del comitato editoriale di «The Nation».
Fonte: http://www.thenation.com/doc/20090112/falk?rel=hp_currently
[29 dicembre 2008]
Traduzione di Pino Cabras - Megachip
http://www.pandoratv.it/index.php?q=static/falk
Continua lo sterminio della popolazione da parte d'Israele
E' di ieri sera la notizia che Israele ha bombardato una scuola gestita dall'Onu, segnalata agli Israeliani, dove si erano rifugiati i civili. Almeno 40 i morti.
Ha centrato anche ambulatori e una casa di medici, sempre ben segnalati dall'Onu. 13 persone sono state sterminate in una casa.
Si combatte in zone densamente popolate e le vittime sono salite a 635 e i feriti a 2900. 4 Israeliani sono morti per mano del fuoco "amico".
Il ministro degli Esteri Tzipi Livni ha risposto alle domande dei giornalisti sugli attacchi dicendo di non avere "familiarità" con i fatti."Sfortunatamente, (i combattenti di Hamas) si nascondono tra i civili", ha detto il ministro, aggiungendo che Israele sta cercando di evitare vittime civili.(Reuters)
E' una vera è propria emergenza umanitaria che Israele nega e Hamas ignora e continua a lanciare i suoi missili.
La popolazione civile non riesce a fuggire perchè le frontiere verso l'Egitto e la Giordania sono chiuse e la striscia è diventata una trappola mortale per gli abitanti
L’ Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati António Guterres ha lanciato un appello affinché nel conflitto in corso a Gaza vengano rispettati rigorosamente i principi umanitari, fra i quali il diritto universale di chi fugge dalla guerra a cercare rifugio in altri stati.
La Croce rossa denuncia la difficoltà di organizzare i soccorsi per il fuoco incessante.
E' quindi necessaria una tregua per permettere gli aiuti umanitari
Si moltiplicano le voci dell'uso da parte d'israele di bombe al fosforo bianco che Israele seccamente smentisce. Ma nessuno può appurare come realmente sta la situazione perchè nessun giornalista può entrare a Gaza.
E il governo Italiano? ho sentito delle dichiarazioni da cinici. Riconoscimento dei diritti di Israele e dei Palestinesi ma non possiamo stare con i terroristi di Hamas....perciò stiamo con quella forte democrazia (?) d'israele. E la popolazione civile? dove la mettiamo?
Forte democrazia? Israele ha violato 72 risoluzioni Onu e mai nessuna potenza o coalizione internazionale è intervenuta per obbligarlo a rispettarle.
Isralele ha invaso territori sradicando popolazioni autoctone e sostituendole con altre appartenenti ad una sola nazionalità religiosa senza che nessuno abbia parlato di pulizia etnica.
Israele ha violato il trattato di non proliferazione nucleare e contro il quale non è mai stata presa alcuna forma di sanzione.
E se volete saperne di più di questo grande stato democratico che sta massacrando la popolazione civile senza risparmiare nemmeno le scuole, gli ospedali, dove ci sono rifugiati e malati...leggete l'articolo di Ezechiele Levini al sito:
http://www.countdownnet.info/articoli/analisi/fatti_misfatti/487.pdf
Pessime ragioni- Rossana Rossanda
PESSIME RAGIONI
Rossana Rossanda
Che cosa persegue realmente Israele con i bombardamenti e l'invasione di Gaza? Certo non quello che dichiarano Tzipi Livni e Ehud Barak. Sono troppo intelligenti per farsi trasportare dall'antica paura che i modestissimi missili di Hamas distruggano il loro paese. Quando hanno iniziato la rappresaglia i Qassam tirati da Gaza avevano ucciso tempo fa una persona, ferito alcune, fatto danni minori su Sderot, incomparabili con i cinquecento morti, migliaia di feriti e le distruzioni inflitti da Tsahal alla Striscia in tre giorni, e che continuano a piovere. Né che siano mirati a distruggere le infrastrutture di Hamas, sapendo bene l'intrico che esse hanno con gli insediamenti civili, tanto da impedire alla stampa estera di accedere a Gaza. Né sono così disinformati da creder che si possa distruggere con le armi Hamas, votata da tutto un popolo, come se ne fosse una superfetazione districabile. Sono al contrario coscienti che l'aggressione aumenterà il peso e l'influenza sulla gente di Gaza oggi e in Cisgiordania domani, contro l'indebolito Mahmoud Abbas. Né gli sarebbe possibile ammazzarli tutti, ci sono limiti che neanche il paese più potente può varcare, ammesso che abbia il cinismo di farlo, e tanto meno all'interno del mondo musulmano che circonda Israele e nel quale, dunque con il quale, intende vivere.
Gi obiettivi sono dunque altri. Primo, battere nelle imminenti elezioni Netanyahu, che si presenta come il vero difensore a oltranza di Israele. Già le possibilità appaiono ridotte; l'assalto a Gaza sembra sotto questo aspetto una mossa disperata. Che sia anche crudelissima è un altro conto, siamo qui per ragionare. Secondo, usare le ultime settimane di Bush alla Casa Bianca per mettere la nuova presidenza americana davanti al fatto compiuto. Il silenzio assordante di Obama è già un risultato, quali che siano le circostanze formali che gli rendono difficile parlare su questo, mentre si esprime su altri problemi di ordine interno. Non è ancora insediato che si trova nelle mani una patata bollente, causa prima e annosa di quella caduta dell'immagine americana nel mondo che ha più volte detto di voler restaurare. Queste sono le carte che Olmert, Livni e Barak deliberatamente giocano in una prospettiva a breve.
Neanche Hamas si è mossa sulla semplice onda di un giustificato risentimento. I suoi dirigenti hanno visto benissimo in quale situazione il governo israeliano si trovava quando hanno deciso di rompere l'approssimativa tregua, sapendo anche che per modesti che siano i guasti prodotti dai Qassam nessun governo può presentarsi alle elezioni con una sua zona di confine presa di mira tutti i giorni. Anch'essi puntano a far cadere Olmert, già fuori gioco, la Livni e Barak, secondo la logica propria delle minoranze accerchiate di produrre il massimo danno perché la situazione si rovesci. Gaza è stata messa, e non da ieri, agli estremi, periscano Sansone e tutti i filistei. Si può capire, ma è una logica reciproca a quella di Israele. Non ritenevano certo che quei modesti spari di missili l'avrebbero distrutta e convertita alla pace. E anch'essi puntano a mettere la nuova amministrazione americana davanti a un incendio che non tollera rinvii. Lo sa la Lega Araba, lo sa l'Iran. Obama ha fatto molte promesse di cambiamento, e lo sfidano a mantenerle o a discreditarsi subito.
Tanto più colpevole di questo sanguinoso sviluppo, che la gente di Gaza paga atrocemente, è l'inerzia dell'Europa. Essa, che sulla questione ebraica ha responsabilità maggiori di chiunque al mondo, nulla ha fatto per impedire che si arrivasse a questa catastrofe. Ne aveva la possibilità? Certo. Poteva mettere, a condizione ineludibile dell'alleanza atlantica e della Nato, e soprattutto quando con la caduta dell'Urss ne venivano meno le conclamate ragioni, la soluzione del nodo Israele-Palestina, sul quale gli Usa erano determinanti, per adempiere alle disposizioni dell'Onu. Più recentemente, doveva riparare a costo di svenarsi all'assedio di Gaza, dove non ignorava che la mancanza di mezzi elementari di sussistenza, cibo, acqua, elettricità, medicinali, faceva altrettanti morti di quanti stanno facendo adesso gli aerei e i blindati di Tsahal. Ma neanche questi hanno fatto muovere altro che il presidente francese, a condizione che le sue vacanze fossero finite. Siamo un continente che fa vergogna.
http://www.ilmanifesto.it/il-manifesto/in-edicola/numero/20090106/pagina...
La Compagnia dei pellegrini
LA COMPAGNIA DEI PELLEGRINI
di Ernesto Milanesi
Indagato, avvocato e piemme tutti insieme in Terrasanta
Il pellegrinaggio «privato» in Terrasanta (mille euro tutto compreso) ha messo in fila un centinaio di Vip istituzionali veneti. Li guida in questi giorni Graziano Debellini, gran capo della Compagnia delle Opere Nord Est, uno che con un lapsus freudiano ha battezzato il giornale che avete fra le mani come una «testata mafiosa». Con il pretesto del modellino della Cappella degli Scrovegni esposto a Gerusalemme (100mila euro di costo, coperto anche da contributi pubblici), i Vip sono sbarcati in Israele per una missione che sembra prescindere dall'epifania militare a Gaza - e di tutti gli affreschi di Giotto agli Scrovegni, ai palestinesi sarebbe forse potuta bastare la trentesima scena, il «Bacio di Giuda».
In delegazione, democraticamente devoti alla Compagnia delle Opere, l'ex ministro Pierluigi Bersani, i sindaci Achille Variati e Flavio Zanonato, la presidente del consiglio comunale di Padova Milvia Boselli. Un viaggio (religioso?) politicamente bipartisan: l'assessore regionale di An Elena Donazzan, il presidente forzista della Provincia di Padova Vittorio Casarin, l'europarlamentare dell'Udc Iles Braghetto. In processione anche tutti i vertici che contano: dalla Fondazione Carisparmio alle aziende sanitarie, dalla Camera di commercio all'Università, fino alle associazioni dei commercianti. Tutti intruppati, fedeli a Debellini. Con il rettore di Sant'Antonio e il rabbino, all'opera con l'azienda di promozione turistica pubblica e il marchio dei viaggi targati Cielle.
Ebbene, nell'autorevole lista dei passeggeri si evidenzia una clamorosa contiguità tra interessi teoricamente in conflitto. Spiccano i nomi di Giorgio Fornasiero (doroteo di lungo corso) e Dario Curtarello. Uno è l'avvocato di fiducia della Compagnia delle Opere, l'altro è l'attuale procuratore della Repubblica di Rovigo. A luglio Fornasiero affiancava legalmente Debellini che si è scoperto indagato nell'inchiesta sui fondi europei che ipotizzava una maxi-truffa con le cooperative legate alla Compagnia. Nei panni di procuratore aggiunto a Padova, Curtarello aveva immediatamente «chiamato» nel suo ufficio il fascicolo con i dettagliati rapporti. Per tre corsi di formazione, l'Istituto Romano Bruni Scarl avrebbe introiettato maggiori finanziamenti pubblici per 51.709 euro e 30 cent. Debellini dal 17 febbraio 1999 al 6 aprile 2004 risultava il legale rappresentante dell'Istituto, di cui è stato poi nel consiglio d'amministrazione.
Indagato, avvocato e magistrato sono insieme in pellegrinaggio. Come se niente fosse. Tanto c'è anche l'assessore regionale che dovrebbe controllare «a monte» l'utilizzo dei soldi pubblici. Più una bella corte di politici e amministratori istituzionalmente pronti a benedire. Un'anomalia evidente, ammesso che la si voglia vedere... «Meglio soli, a casa, piuttosto che in Compagnia delle Opere», sibila a denti stretti perfino un eletto nella cerchia del governatore Galan. Amen.
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Operazione piombo fuso
http://it.peacereporter.net/articolo/13492/Piombo+fuso%3A+propaganda+fin...
05/01/2009
Piombo fuso: propaganda fin dalle origini
Il nome piombo fuso, secondo "Liberali per Israele", un sito di "informazione" ripreso da numerosi organi di stampa nazionali, "è stato ispirato da una celebre filastrocca ebraica per bambini il codice militare «Piombo Fuso» (in ebraico: Oferet Yezukà) utilizzato per ribattezzare la grande offensiva aerea israeliana contro le strutture di Hamas a Gaza che ha già fatto centinaia di morti. La filastrocca fu scritta dal poeta nazionale israeliano Haim Nahman Bialik in occasione della ricorrenza ebraica di Hanukà (festa delle luci), che è stata celebrata proprio questa settimana e si è conclusa oggi. «Il mio insegnante - si canta nella seconda strofa - mi ha dato una trottola di piombo fuso. Sapete il perché? In onore della festa di Hanukà». Una festa che da due giorni si è macchiata di una nuova escalation di violenza in Medio Oriente".
Invece l'origine del nome Piombo fuso dato al nuovo massacro di palestinesi è tutt'altra, e rende perfettamente l'idea delle intenzioni del governo israeliano.
Nella Torah si trovano quattro tipi di pena capitale: la lapidazione (mentre si è spinti giù da un precipizio), il rogo (versando del piombo fuso giù per la gola), la decapitazione (con una spada) e lo strangolamento (per mezzo di una sciarpa intorno la gola). I peccati per i quali sono previste queste differenti forme di pena di morte sono l'omicidio, la bestemmia, l'idolatria, l'adulterio, l'incesto, i rapporti sessuali con gli animali, la violenza o la ribellione verso i propri genitori, la violazione dello shabbath, la stregoneria e il rapimento, se provati oltre ogni dubbio.
Nella Mishnà, la codificazione della Torah orale che raccoglie le principali opinioni degli scribi e dei rabbini sui problemi della legge così è descritta l'uccisione del condannato tramite colata di piombo: si mette un sudar, (telo, sciarpa) duro in uno morbido e si avvolge il collo del condannato. Due boia tirano i due lembi di questa sciarpa, uno da una parte e uno in senso contrario, finchè il condannato, sul punto di soffocare, apre la bocca. A questo punto un terzo boia versa nei suoi visceri piombo fuso.
Che è esattamente, seppur metaforicamente, quello che il governo di Israele sta facendo a Gaza, a dispetto di quello che la propaganda israeliana propina e che i grandi mezzi di comunicazione riprendono a scatola chiusa, forse perché ben contenti di non dover guardarci dentro, a quella scatola.
Sennò, peraltro, non si capisrebbe come mai, nei nostri telegiornali si utilizzi tanto spesso una agghiacciante e cinica distinzione tra israeliani e palestinesi. I primi sono "vittime", i secondi sono semplicemente "morti".
Maso Notarianni
orrore
Nulla da invidiare agli assasinii e alle torture della Santa Inquisizione...
Medici Senza Frontiere: la tregua è una misura irrisoria
La tregua dei bombardamenti a Gaza è una misura irrisoria di fronte all'estrema violenza che colpisce i civili
L'offensiva militare colpisce oggi i civili nella Striscia di Gaza in maniera indiscriminata, mentre le equipe mediche continuano a incontrare difficoltà enormi per portare loro assistenza.
08/01/2009
Gaza/Roma - La comunità internazionale non può accontentarsi di tregue parziali, largamente insufficienti per portare un'assistenza vitale alla popolazione.
Mentre continua l'offensiva israeliana, il bilancio stimato di 600 morti e 2950 feriti in soli 11 giorni raggiunge delle proporzioni allarmanti a testimonianza di un'offensiva di rara violenza che colpisce la popolazione in maniera indiscriminata. "Un milione e mezzo di palestinesi nella Striscia di Gaza, di cui la metà bambini, sono attualmente preda di proiettili e bombardamenti incessanti", spiega Franck Joncret, capo missione di MSF. "Chi poteva credere che un simile rullo compressore potesse risparmiare i civili, a cui è impedito di fuggire e che si ritrovano ammassati in un'enclave fortemente popolata?"
L'offensiva militare ha seminato il terrore tra una popolazione urbana presa in trappola e che non osa più uscire di casa per raggiungere le cure. L'insicurezza colpisce ugualmente le organizzazioni di soccorso: operatori umanitari e sanitari palestinesi uccisi, ospedali e ambulanze bombardate.
E tuttavia i pronto-soccorsi degli ospedali continuano a essere oberati. Nei primi dieci giorni, l'ospedale di riferimento di Al Shifa ha effettuato oltre 300 interventi chirurgici. "Le sei sale operatorie dell'ospedale funzionano a pieno regime, ciascuna effettuando due interventi al tempo stesso", si preoccupa la dottoressa Cecile Barbou, coordinatore medico di MSF a Gaza. "I chirurghi palestinesi e il personale medico sono esausti e arrivano a malapena a fare fronte al numero dei feriti". La maggior parte dei casi riguardano feriti gravi e politraumatizzati, colpiti principalmente al torace, all'addome o al viso.
Le equipe di MSF presenti a Gaza, 3 operatori internazionali e 70 operatori palestinesi, cercano fin dall'inizio dell'offensiva di sostenere le strutture ospedaliere palestinesi, di prendere in carico i feriti e hanno già distribuito materiale medico e farmaci a diversi ospedali sul punto di terminare le scorte. Oggi una ventina di operatori di MSF portano cure a domicilio a una quarantina di persone al giorno. "L'insicurezza è tale che la nostra libertà di movimento e di portare soccorso sono estremamente limitate", spiega Jessica Pourraz, responsabile delle attività di MSF a Gaza. "Ciò di cui abbiamo bisogno è di potere avere accesso senza alcun ostacolo ai feriti 24 ore su 24, e che i civili stessi abbiano la possibilità di accedere alle strutture sanitarie".
Su richiesta dei medici dell'ospedale di Al Shifa, MSF sta inviando un'equipe chirurgica (un chirurgo, un anestesista, un infermiere di sala operatoria) e una clinica mobile dotata di sala operatoria e di un'unità di terapia intensiva per aumentare la capacità di presa in carico dei feriti. MSF deve ottenere le autorizzazioni necessarie per fare rientrare d'urgenza questa equipe all'interno della Striscia di Gaza insieme a tutto il materiale necessario alle equipe mediche.
In queste circostanze, e mentre continuano delle restrizioni sull'accesso del personale e del materiale medico nella Striscia di Gaza, la sospensione temporanea dei bombardamenti permetterà forse di migliorare l'accesso dei feriti alle strutture sanitarie, i movimenti dei soccorritori e l'approvvigionamento di prodotti vitali (gasolio, cibo, materiale medico e farmaci).
"Tuttavia, queste misure parziali, destinate a calmare l'opinione pubblica internazionale, non hanno alcun effetto sulla violenza diretta e massiccia subita dalla popolazione", constata Kostas Moschochoritis, Direttore generale di Medici Senza Frontiere Italia.
http://www.medicisenzafrontiere.it/msfinforma/comunicati_stampa.asp?id=1922
Cecità morale a Gaza
Cecità morale a Gaza - 9/01/09
di Robert Scheer - TruthDig
Perché siamo così indifferenti alla morte e alla distruzione a Gaza?
Le principali testate giornalistiche hanno docilmente accettato il divieto d’ingresso a Gaza ai giornalisti imposto da Israele dietro la scusa di contenere le vittime civili collaterali; il nostro presidente eletto Barack Obama ha avuto poco da dire su un’invasione che complicherà di molto i suoi futuri sforzi di pace; la maggior parte dei commentatori giustificano con disinvoltura le uccisioni “molti più occhi per occhio” da parte di Israele.
Perché esiste una così diffusa accettazione, a partire dalle argomentazioni apologetiche del presidente Bush, del fatto che qualunque cosa faccia Israele questa sia sempre giustificata come necessaria per la sopravvivenza dello stato ebraico?
In realtà non lo è.
Gli attacchi con razzi da parte di Hamas sono sì da condannare, tuttavia costituiscono una sfida inefficace all’enorme apparato di sicurezza di Israele, e la durezza della risposta di Israele è controproducente. Chiaramente l’esistenza stessa di Israele non è ora, né mai lo è stata, seriamente minacciata da niente di ciò che i palestinesi hanno fatto. Neppure nel 1948, quando Israele fu fondato come Stato con un’insignificante resistenza militare palestinese, né al tempo della Guerra dei Sei Giorni del 1967, quando Egitto, Siria e Giordania combatterono Israele.
I palestinesi non furono nella posizione di potersi confrontare con l’esercito israeliano, poiché coloro le cui terre non erano state ancora occupate da Israele vivevano sotto l’oppressivo controllo egiziano su Gaza e sotto il duro governo giordano nella Cisgiordania. Dopo la rapida vittoria israeliana, che demolì il mito della vulnerabilità del nuovo stato, i palestinesi divennero una popolazione imprigionata da Israele per crimini che non ebbero commesso.
Anche se accettiamo il più duro ritratto delle tattiche e delle motivazioni usate dai movimenti palestinesi contro Israele dopo la Guerra dei Sei Giorni, a che punto il terrorismo ha rappresentato una seria minaccia alla sopravvivenza del popolo ebraico o dello Stato che reclama di parlare in suo nome? Tuttavia quella sopravvivenza è invocata per giustificare l’uso largamente eccessivo della forza da parte della macchina da guerra israeliana con frequenti allusioni all’Olocausto che afflisse il popolo ebraico, un olocausto che non ha niente a che vedere con i palestinesi o coi musulmani, ma ha tutto a che vedere con i centro-europei che si definiscono cristiani. L’alta rivendicazione morale dell’occupazione israeliana non si poggia sulla realtà oggettiva di una minaccia palestinese alla sopravvivenza di Israele, ma piuttosto sul non sequitur che “mai più” debba un pericolo incombere sugli ebrei come accadde nell’Europa Centrale sette decenni fa.
L’argomento di fondo è che ai terroristi palestinesi rappresentati da Hamas si attribuisce un irrazionale odio verso gli ebrei così profondo da invalidare il loro movimento, perfino quando vincono le elezioni. Ma non era questa la visione dei servizi di sicurezza di Israele ai tempi in cui sostenevano Hamas come alternativa alla allora temuta OLP.
Fra l’altro la storia abbonda di esempi di terroristi che diventano statisti, perfino fra le prime linee di ebrei che combatterono per fondare lo stato di Israele. Uno di questi fu Menachem Begin, che arrivò a diventare un leader eletto del nuovo Stato.
Ma prima che Begin raggiungesse questa rispettabilità, nel 1948 quando fu in visita negli Stati Uniti, un gruppo di intellettuali ebrei di spicco fra i quali Albert Einstein, Sidney Hook e Hannah Arendt, scrisse una lettera al «New York Times» mettendo in guardia da Begin in quanto ex leader di «Irgun Zvai Leumi, organizzazione terroristica, di destra, e chauvinista nella Palestina.» La lettera esortava gli ebrei a isolare Begin, affermando: «è inconcepibile che coloro che si sono opposti al fascismo ovunque nel mondo, se correttamente informati sui trascorsi politici e le prospettive del Sig. Begin, possano sottoscrivere coi loro nomi e sostenere il movimento da lui rappresentato.»
Il nuovo partito di Begin stava partecipando allora alle elezioni israeliane, ed Einstein ed i suoi colleghi, molti dei quali erano stati - come il fisico - vittime del fascismo in Germania, affermarono: «Oggi costoro parlano di libertà, democrazia ed anti-imperialismo, ma fino a poco tempo fa hanno predicato apertamente la dottrina dello Stato Fascista. È nelle azioni compiute che il partito terrorista tradisce la sua reale natura.»
Tali azioni erano elencate nel dettaglio in quella lettera. Includevano il terrore sistematico inflitto ad uomini, donne e bambini palestinesi innocenti allo scopo di forzarli ad abbandonare il territorio che il partito di Begin rivendicava per il nuovo stato di Israele.
Ovviamente Begin ed i suoi eredi politici, fra cui Benjamin Netanyahu, il più probabile vincitore delle prossime elezioni in Israele, hanno fatto evolvere il loro comportamento.
Ma io lo rievoco per sottolineare il modo di raccontare a senso unico dell’attuale fase di questo interminabile conflitto e chiedo: dove sono le voci che riflettono la moralità senza compromessi della generazione di Einstein e degli intellettuali ebrei disposti a riconoscere errori ed aspetti umani ad entrambi i termini dell’equazione politica?
Traduzione di Paolo Maccioni - Megachip
Vedi: Articolo originale
Robert Scheer, editorialista e saggista di lungo corso, è il curatore del portale Truthdig. Già corrispondente dal Vietnam ed editorialista del «Los Angeles Times», ora è fra i corsivisti di maggior prestigio del settimanale «The Nation». Il suo ultimo libro è “The Pornography of Power: How Defense Hawks Hijacked 9/11 and Weakened America”, Twelve.(La pornografia del potere: come i falchi della Difesa hanno dirottato l’11 settembre e indebolito l’America).
http://www.megachip.info/modules.php?name=Sections&op=viewarticle&artid=...
Naomi Klein- Israele boicottaggio, ritiro investimenti,sanzioni
Israele: boicottaggio, ritiro degli investimenti e sanzioni - 10/01/09
di Naomi Klein - «the Nation»
È ora. Un momento che giunge dopo tanto tempo. La strategia migliore per porre fine alla sanguinosa occupazione è quella di far diventare Israele il bersaglio del tipo di movimento globale che pose fine all'apartheid in Sud Africa.
Nel luglio 2005 una grande coalizione di gruppi palestinesi delineò un piano proprio per far ciò. Si appellarono alla «gente di coscienza in tutto il mondo per imporre ampi boicottaggi e attuare iniziative di pressioni economiche contro Israele simili a quelle applicate al Sudafrica all'epoca dell'apartheid». Nasce così la campagna “Boicottaggio, ritiro degli investimenti e sanzioni” (Boycott, Divestment and Sanctions), BDS per brevità.
Ogni giorno che Israele martella Gaza spinge più persone a convertirsi alla causa BDS, e il discorso del cessate il fuoco non ce la fa a rallentarne lo slancio. Il sostegno sta emergendo persino tra gli ebrei israeliani. Proprio mentre è in corso l'assalto, circa 500 israeliani, decine dei quali artisti e studiosi rinomati, hanno inviato una lettera agli ambasciatori stranieri di stanza in Israele. La lettera chiede «l'adozione immediata di misure restrittive e sanzioni» e richiama un chiaro parallelismo con la lotta antiapartheid. «Il boicottaggio del Sud Africa fu efficace, Israele invece viene trattato con guanti di velluto.... Questo sostegno internazionale deve cessare.»
Tuttavia, molti ancora non ci riescono. Le ragioni sono complesse, emotive e comprensibili. E semplicemente non sono abbastanza buone. Le sanzioni economiche sono gli strumenti più efficaci dell'arsenale nonviolento. Arrendersi rasenta la complicità attiva. Qui di seguito le maggiori quattro obiezioni alla strategia BDS, seguita da contro-argomentazioni.
1. Le misure punitive alieneranno anziché convincere gli israeliani. Il mondo ha sperimentato quello che si chiamava “impegno costruttivo”. Ebbene, ha fallito in pieno. Dal 2006 Israele accresce costantemente la propria criminalità: l'espansione degli insediamenti, l'avvio di una scandalosa guerra contro il Libano e l'imposizione di punizioni collettive su Gaza attraverso un blocco brutale. Nonostante questa escalation, Israele non ha dovuto far fronte a misure punitive, ma anzi, al contrario: armi e 3 miliardi di dollari annui in aiuti che gli Stati Uniti inviano a Israele, tanto per cominciare. Durante questo periodo chiave, Israele ha goduto di un notevole miglioramento nelle sue relazioni diplomatiche, culturali e commerciali con moteplici altri alleati. Ad esempio, nel 2007, Israele è diventato il primo paese non latino-americano a firmare un accordo di libero scambio con il Mercosur. Nei primi nove mesi del 2008, le esportazioni israeliane verso il Canada sono aumentate del 45%. Un nuovo accordo di scambi commerciali con l'Unione europea è destinato a raddoppiare le esportazioni di Israele di preparati alimentari. E l'8 dicembre i ministri europei hanno “rafforzato” l'Accordo di Associazione UE-Israele, una ricompensa a lungo cercata da Gerusalemme.
È in questo contesto che i leader israeliani hanno iniziato la loro ultima guerra: fiduciosi di non dover affrontare costi significativi. È da rimarcare il fatto che in sette giorni di commercio durante la guerra, l'indice della Borsa di Tel Aviv è salito effettivamente del 10,7 per cento. Quando le carote non funzionano, i bastoni sono necessari.
2. Israele non è il Sud Africa. Naturalmente non lo è. La rilevanza del modello sudafricano è che dimostra che tattiche BDS possono essere efficaci quando le misure più deboli (le proteste, le petizioni, pressioni di corridoio) hanno fallito. Ed infatti permangono reminiscenze dell'apartheid profondamente desolanti: documenti di odentità con codici colorati e permessi di viaggio, case rase al suolo dai bulldozer e sfollamenti forzati, strade per soli coloni. Ronnie Kasrils, eminente uomo politico sudafricano, ha detto che l'architettura della segregazione da lui vista in Cisgiordania e a Gaza nel 2007 è “infinitamente peggiore dell'apartheid”.
3. Perché mettere all'indice solo Israele, quando Stati Uniti, Gran Bretagna e altri paesi occidentali fanno le stesse cose in Iraq e in Afghanistan? Il boicottaggio non è un dogma, è una tattica. La ragione per cui la strategia BDS dovrebbe essere tentata contro Israele è pratica: in un paese così piccolo e così dipendente dal commercio potrebbe effettivamente funzionare.
4. Il boicottaggio allontana la comunicazione, c'è bisogno di più dialogo, non di meno. A questa obiezione risponderò con una mia storia personale. Per otto anni i miei libri sono stati pubblicati in Israele da una casa editrice commerciale chiamata Babel. Ma quando ho pubblicato “Shock Economy” ho voluto rispettare il boicottaggio. Su consiglio degli attivisti BDS, ho contattato un piccolo editore chiamato Andalus. Andalus è una casa editrice attivista, profondamente coinvolta nel movimento anti-occupazione ed è l'unico editore israeliano dedicato esclusivamente alla traduzione in ebraico di testi scritti in arabo. Abbiamo redatto un contratto che garantisce che tutti i proventi vadano al lavoro di Andalus, e nessuno per me. In altre parole, io sto boicottando l'economia di Israele, ma non gli israeliani.
Mettere in piedi questo programma ha comportato decine di telefonate, e-mail e messaggi istantanei, da Tel Aviv a Ramallah, a Parigi, a Toronto, a Gaza City. A mio avviso non appena si dà vita ad una strategia di boicottaggio il dialogo aumenta tremendamente. D'altronde, perché non dovrebbe? Costruire un movimento richiede infinite comunicazioni, come molti nella lotta antiapartheid ricordano bene. L'argomento secondo il quale sostenendo i boicottaggi ci taglieremo fuori l'un l'altro è particolarmente specioso data la gamma di tecnologie a basso costo alla portata delle nostre dita. Siamo sommersi dalla gamma di modi di comunicare l'uno con l'altro oltre i confini nazionali. Nessun boicottaggio ci può fermare.
Proprio riguardo ad ora, parecchi orgogliosi sionisti si stanno preparando per un punto a loro favore: forse io non so che parecchi di quei giocattoli molto high-tech provengono da parchi di ricerca israeliani, leader mondiali nell'Infotech? Abbastanza vero, ma mica tutti. Alcuni giorni dopo l'assalto di Israele a Gaza, Richard Ramsey, direttore di una società britannica di telecomunicazioni, ha inviato una e-mail alla ditta israeliana di tecnologia MobileMax. «A causa dell'azione del governo israeliano degli ultimi giorni non saremo più in grado di prendere in considerazione fare affari con voi né con qualsiasi altra società israeliana.»
Quando è stato interpellato da The Nation, Ramsey ha affermato che la sua decisione non è stata politica. «Non possiamo permetterci di perdere neppure uno dei nostri clienti: è stata pura logica difensiva commerciale.»
È stato questo tipo di freddo calcolo che ha portato molte aziende a tirarsi fuori dal Sud Africa due decenni fa. Ed è proprio questo tipo di calcolo la nostra più realistica speranza di portare giustizia, così a lungo negata, alla Palestina.
Traduzione di Manlio Caciopo per Megachip
Articolo orginale: http://www.thenation.com/doc/20090126/klein?rel=hp_currently
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Il loro obiettivo? Ridurci a un popolo di profughi
INTERVISTA | di Michelangelo Cocco
VOCI DA JABALIYA
«Il loro obiettivo? Vogliono ridurci a un popolo di profughi»
I giovani progressisti: gli sfollati sono migliaia, devastate le strutture della società civile
«Qui non è in atto nessuna guerra contro Hamas - esclama al telefono Salah - ma un'invasione che mira a distruggere i palestinesi in quanto entità nazionale». Per gli islamisti che governano la Striscia, che definisce «non democratici e disinteressati ai diritti umani», Salah Adel Adi non nutre particolari simpatie. Ma ora, lui e i suoi compagni del Palestine progressive youth union (organizzazione giovanile legata al Fronte popolare), si preoccupano anzitutto di difendere il loro campo profughi di Jabaliya, assieme a quelli di Hamas e di tutte le altre fazioni palestinesi.
Qual è la situazione a Jabaliya?
Qui i soldati non sono entrati, ma gli attacchi degli F-16 e degli elicotteri Apache sono continui: soltanto ieri hanno ucciso 22 persone e distrutto 16 edifici. Sappiamo che in tutta la Striscia le abitazioni abbattute sono oltre 600, circa 3.000 quelle danneggiate. A pochi chilometri da qui, a Beit Laiya, sono stati massacrati decine di civili.
Come si fa a vivere in queste condizioni?
L'elettricità va e viene, da quattro giorni non abbiamo acqua corrente e anche il cibo scarseggia. Non si trovano più medicine: una situazione drammatica, sopraggiunta al culmine di un vero e proprio assedio durato un anno e mezzo. Le presenza delle truppe israeliane ha tagliato la Striscia in tre parti, le comunicazioni tra la popolazione sono impossibili. Tutte le municipalità hanno smesso di funzionare. L'acqua in molte parti non arriva più, perché gli israeliani hanno distrutto gli impianti di pompaggio. Così stanno sopravvivendo 1,5 milioni di palestinesi - la maggior parte dei quali bambini - sotto i bombardamenti quotidiani. Altro che Hamas, distruggono anche le poche strutture della società civile, quelle di noi progressisti.
Chi sono i palestinesi che combattono?
Si tratta di membri di tutte le organizzazioni, da Hamas al Fronte popolare per la liberazione della Palestina, passando per il Jihad islami. Gli israeliani stanno cercando di distruggerci, noi ci siamo uniti nella resistenza. Anche le divisioni tra Fatah e Hamas ora, qui, sono superate. Israele sta provando a distruggerci in quanto entità nazionale, vorrebbero che diventassimo un immenso campo profughi e poi che ci trasferissimo in Egitto. E purtroppo già migliaia di persone sono state evacuate da Beit Laiya (nel nord) e da Rafah (nel sud) verso altre aree, di nuovo profughi, dopo la Naqba del 1948.
Crede che Hamas sia almeno parzialmente responsabile per quanto sta accadendo?
Hamas ha fatto un grave errore quando ha rotto l'unità tra palestinesi, prendendo per sé tutto il potere qui a Gaza, ma quello che sta succedendo in questi gironi sono massacri da parte dell'occupante.
Quando tutto finirà, Hamas sarà più debole?
Difficile prevederlo, ma il livello delle distruzioni - anche alle loro infrastrutture - è tale che qualche cambiamento di potere, in favore di Fatah, potrebbe realizzarsi. Del resto uno degli obiettivi degli israeliani è proprio questo.
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Noi, nell'inferno della Striscia tra urla, il sangue e le bombe
da La Repubblica - 12 gennaio 2009
IL RACCONTO. Oltre 20.00 persone vivono nelle aule e nei cortili delle scuole
La loro speranza è che l'Onu li protegga. E i camion con gli aiuti sono gocce nel mare
"Noi, nell'inferno della Striscia
tra le urla, il sangue e le bombe"
dal nostro inviato FABIO SCUTO
GERUSALEMME - Rafah, nella striscia di Gaza, è una città fantasma. Palazzi sbriciolati, come se una gigantesca mano li avesse accartocciati e rigettato a terra quello che ne rimaneva, polvere, rovine e morte. Nelle poche strade ancora percorribili solo macchine saltate in aria, sventrate dalle esplosioni, che esalano quell'odore acre della plastica bruciata. E poi scarpe abbandonate, borse, mucchi di stracci che qualcuno in fuga ha pensato fossero troppo ingombranti mentre si corre tra una bomba e l'altra in cerca di un possibile rifugio. In giro non c'è un'anima viva.
Sedici giorni di bombardamenti continui hanno riportato Rafah a un Medio Evo moderno. Questo il drammatico scenario che si è trovato davanti ieri la delegazione dei parlamentari europei, guidata dal vice presidente dell'Europarlamento Luisa Morgantini, che oltrepassando con molte difficoltà il valico dall'Egitto, è riuscita a entrare per soli 120 minuti nella Striscia di Gaza, approfittando della "tregua umanitaria" che anche ieri non è stata rispettata. "Gli israeliani hanno sparato anche durante la tregua di tre ore durante la quale siamo entrati", ci racconta, "abbiamo fatto in tempo a vedere la distruzione delle bombe che cadevano, case rase al suolo, auto distrutte, macerie dappertutto, anche accanto alla scuola dell'Unrwa, l'agenzia Onu che assiste i profughi palestinesi e che pure è stata danneggiata".
La pattuglia di parlamentari europei (l'altro italiano era il senatore del Pd Alberto Maritati) si sono pigiati dentro un malridotto pullmino dell'Unrwa che li ha presi a bordo per trasferirisi dal valico di frontiera alla città, che dista solo qualche chilometro. "La parte palestinese di Rafah è semideserta, rispetto a come l'ho vista pullulare di gente in altri momenti, siamo stati in un rifugio ed abbiamo visto donne piangere sconvolte dal dolore per la perdita dei loro figli, mariti, fratelli. Eppure hanno avuto la forza di accoglierci a braccia aperte, con bambini che ci baciavano e gli adulti che ci chiedevano "ma come avete fatto ad entrare?".
Dal pullmino, racconta Alberto Maritati, "gli aerei che compivano i raid erano visibilissimi, anche in squadriglia, poi hanno lanciato altre due bombe, si vedevano nettamente i funghi dopo le esplosioni e le colonne di fumo che si alzavano". La deriva umanitaria che sta stringendo la Striscia come un cappio mortale è sotto i loro occhi. La gente resta aggrappata alla vita come può. Negli ospedali la situazione è drammatica. "I medici, gli infermieri sono travolti dall'emergenza, fanno turni massacranti, si opera senza anestetici, con bisturi che non tagliano più, si amputano arti per ferite che altrove potrebbero essere curate". E per i vivi la situazione non è meno terribile. Se è impossibile fare un censimento dei palestinesi rimasti senza casa, è possibile una stima degli sfollati che in queste due settimane hanno cercato rifugio nelle scuole dell'Unrwa: in oltre trentamila vivono nelle aule, nei corridoi, nei cortili nella speranza che la bandiera azzurra dell'Onu li possa proteggere. "Nella scuola "Yasser Arafat" di Rafah sono ammassate centinaia e centinaia di persone, intere famiglie, volti scavati, provati dalla paura e dalle privazioni soprattutto donne e tanti, tanti, bambini, portati via sotto le bombe con quello che avevano addosso. Molti senza nemmeno le scarpe".
L'Unrwa è quasi al collasso. "Ha pochissimo da distribuire: ho visto dividere una confezione di pannolini e consegnarne pacchetti singoli, perché non ce n'è abbastanza, c'è pochissimo latte in polvere. Mi ha detto il direttore dell'Unrwa, John Ging, sono passati per la prima volta dei camion con aiuti dal valico di Kerem Shalom, in Israele". Una goccia per un mare di assetati. I magazzini dell'Unrwa, del Pam, del Wfp nella Striscia sono vuoti, i rifornimenti - dopo quasi due anni di embargo - sono sempre stati modesti, ma adesso la situazione peggiora di ora in ora. "Non dimentichiamo che c'è una popolazione di un milione e mezzo di palestinesi da soccorrere e da sfamare e con la distruzione dei tunnel, nei quali forse passavano armi ma anche tanta merce e tanto cibo, è finita anche un'economia parallela di sopravvivenza".
Mentre la delegazione si trovava negli uffici Unrwa sono cadute alcune bombe lanciate dai caccia israeliani, a meno di un chilometro, in uno degli 80 raid che i caccia hanno compiuto ieri nel sud, bombardando sistematicamente tutta la zona di confine con l'Egitto. "La gente correva in preda al terrore e urlando, forse per sfogare la paura", racconta Maritati, "poi dopo l'esplosione, quando si è visto il fungo levarsi in un'altra parte della città, ci sono state grida di esaltazione per essere scampati ancora volta". "Questa guerra è una follia più grave di altre perché i due avversari si combattono in uno scontro impari", dice ancora con la voce scossa l'ex magistrato, "in mezzo alle case, in zone così densamente popolate, i civili pagano il più alto tributo di sangue".
Due ore più tardi il pullmino dell'Unrwa riaccompagna la delegazione al valico di frontiera, spingersi verso nord verso Khan Younis, verso Gaza City non è possibile, la battaglia lì è strada per strada con le truppe israeliane a terra che ingaggiano combattimenti con i miliziani di Hamas che hanno ricevuto l'ordine di non alzare mai bandiera bianca. Aspettando le formalità per ripassare la frontiera, la delegazione ha potuto vedere gli effetti del bombardamento sulla città di un paio d'ore prima. Una fila di cinque-sei ambulanze aspetta di poter entrare in Egitto. A bordo solo feriti gravissimi. Nessun combattente di Hamas. "Erano tutti civili, feriti dalle esplosioni, con arti scomposti. In una c'erano due corpicini avvolti con le bende già completamente intrise di sangue. Per loro la speranza di potercela fare è solo oltre la sbarra di questa frontiera. La comunità internazionale non può restare a guardare".
(12 gennaio 2009)
http://percorsi.blog.kataweb.
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Da Gaza.
Gaza: Testamento di una madre….
Principi carenti d’essere
dentro una terra
Mai paga di sangue
Sbarre striate di vergogna
Sopra una gabbia
Che lesina aiuti
Scandali assopiti
Nel decoro
In una società
Senza remore di divieti
E poi soli fra tutti
Coloro che raspan
Dura terra
Per raccattare
Una fiaccola accesa
Una madre scrive……..
Qui si sprofonda nel limo
Di uno stagno nero
Qui agli alberi stessi
Senza tronchi né zolle
Non è dato ricoprirsi
Di verdi germogli
Qui l’acqua non erompe
Innocua da cime invernali
Ma rocce può frantumare
Mentre sibila il vento
Come pianto
A lungo represso
E amarezze riversa
Su chi ci cammina accanto
A noi non è dato
Indugiare sull’erba
E ascoltare il vento
Che modula gemme
Quando anche i sogni
Violentano l’anima..
Quando anche i ricordi
Sfiatano al tempo
Fuochi passati..
E’ difficile sperare
E se poi anche la luna
Inganna spazi aperti
Gli occhi assorti nel nulla
S’arrendono prima o poi..
Perciò lascio questi pensieri…
Mi sfiora il tempo
Con afflati nuovi
E rubo al mondo
I suoi spazi azzurri
Fuggendo l’ombra
Dai contorni netti
Afferrerà il tutto
Come un sussurro
Chi il cuore pasce
Di improvvisi guizzi
Chi va in silenzio
Per ascoltare un canto
Chi accorda insieme
Attimi d’eterno
Senti
E’ un fluire
di diafane visioni
In cui scie
Restano di parole
Perciò scrivo
Frantumando
Un abisso senza fondo
Sostando al largo
In cui l’onda
E’ regno
Odi
Un mormorìo
Si sprigiona intorno
Di sole e vento
Di luce e vita
Dentro
E’ il segreto
Che non disturba
Il giorno
Maria Allo
Il Quarto Reich
L'articolo che hai pubblicato, Antonella, descrive già molto esaustivamente la situazione. Gli operatori umanitari dell'associazione per cui lavoro raccontano ogni giorno scenari infernali, e il peggio è che ancora non abbiamo alcuna notizia degli oltre 300 bambini che abbiamo in carico per l'adozione a distanza. Vivo ogni giorno con il patema di non sapere nulla sulla loro sorte e di non poter far altro che continuare a lavorare per loro, come posso. I telegiornali non raccontano che mezze verità, diffondono notizie distorte e sempre un po' di parte. A sentir loro sembra che non siano civili palestinesi a morire ma solo terroristi, e che gli aiuti umanitari affluiscano quasi senza intoppi entro i confini. Poi ti documentano dettagliatamente su come vive una famiglia italiana emigrata in Israele. Questo ho visto nei telegiornali. Non si racconta la tragedia, il dramma umano di questo popolo perseguitato da 60 anni. Ironia della sorte, perseguitato proprio da chi di persecuzioni ne ha vissute e dovrebbe astenersi dal perpetuare il dolore vissuto sulla propria pelle durante il Terzo Reich.
Per cercare di documentarvi un po' meglio sulla reale situazione nella Striscia di Gaza, vi segnalo il link al sito della mia associazione, che pubblica regolarmente aggiornamenti sullo stato delle cose e sulla vita a Gaza. E' solo un mio piccolo contributo a debellare la disinformazione dei media italiani.
http://www.islamic-relief.it/archivio_notizie/2009/emergenza_umanitaria_...
Grazie Irene!
Hai perfettamente ragione sulla disinformazione !
Anche perchè è da un pò di anni che la popolazione di Gaza, soprattutto i bambini, vivono in condizioni disperate per l'embargo voluto da Israele. E i media non hanno mai dato rilevanza alla cosa anche se le Associazioni umanitarie denunciavano il problema...
Israele può calpestare diritti umani, risoluzioni Onu, fare strage di civili, essere uno stato razzista ma nessuno si è mai levato a condannarlo in modo chiaro e netto.
Spero che con questo Olocausto che gli Israeliani stanno attuando contro i Palestinesi di Gaza qualcosa si muova. Anche il papa è intervenuto ...il che è tutto dire!
Come tu hai scritto, il popolo d'Israele , che ha tanto sofferto, dovrebbe essere sensibile alle sofferenze altrui, dovrebbe avere più umanità, e invece sembra che voglia fare pagare ad altri popoli, i Palestinesi, quello che ha patito. In tal modo non fa altro che aggiungere violenza a violenza e non si finirà mai!
L'unica strada possibile è la pietas, la compassione e comprensione per le condizioni dell'altro, per le sue esigenze. L'unica strada possibile è il dialogo.
Grazie del tuo contributo, segnalerò il link della tua associazione sul mio blog.
Un abbraccio e buona giornata, Antonella
sito criminale invita a eliminare i volontari
UN SITO CRIMINALE INVITA AD ELIMINARE I VOLONTARI A GAZA. NEL MIRINO ANCHE VITTORIO ARRIGONI
Un sito di criminali http://stoptheism.com/ invita ad uccidere i pochi volontari che prestano assistenza sanitaria a Gaza sotto le bombe israeliane.
Si tratta dei volontari dell'ISM (International Solidarity Movement), americani, australiani, spagnoli, italiani, ecc.da cui provengono le rare notizie sulla reale entità dell'aggressione israeliana a Gaza. Tra di essi, Vittorio
Arrigoni, cooperatore e attivitsta dei diritti umani.
E' un vero e proprio incitamento all'assassinio supportato da foto segnaletiche. E' inconcepibile che esso sia ancora on-line. Il Governo italiano e il Ministero degli Affari Esteri si attivino subito per chiederne l' immediato oscuramento e chiusura e per assicurare i responsabili alla giustizia.
Quelli che vogliono ammazzare i testimoni della strage - 13/01/09
di Pino Cabras - Megachip
L’incitazione è esplicita: uccidere un gruppo di persone, con nome e cognome, abitudini e idee, appartenenze politiche e immagini facilmente identificabili. Chiedono la collaborazione di delatori per completare le liste con gli indirizzi. La schedatura è esplicitamente rivolta ai militari, quelli israeliani, se non ci pensano altri killer, per facilitarli nell’eliminazione fisica di “pericolosi” bersagli: i nemici da colpire sono gli attivisti occidentali – infermieri e altri volontari - che lavorano e sono testimoni di quanto succede nei Territori occupati.
Tutto questo lo potete leggere in un sito web, gestito da un gruppo di estremisti, una sorta di Ku Klux Klan ebraico americano: Stop the ISM. Può essere di interesse far notare che fra i bersagli c’è anche un cittadino italiano, Vittorio Arrigoni, di cui abbiamo letto i toccanti reportage da Gaza. Il tenutario del sito è Lee Kaplan. È uno dei tanti agitatori fascisteggianti della pancia reazionaria americana, un coagulo che ultimamente ha preso piede sia nell’ambito dei movimenti cristianisti, sia nelle frange del fondamentalismo ebraico, ora uniti in un inedito oltranzismo anti-islamico. In USA la saldatura fra questi ambienti si è rafforzata, tanto che Kaplan talora ascende anche al salotto buono, si fa per dire, dei talk show con la bava alla bocca, su Fox News. Ma si rafforza soprattutto in Terrasanta. I fondamentalisti ebrei controllano gli insediamenti coloniali più estremisti dei territori (come già si leggeva in un libro di Israel Shahak e Norton Mezvinsky, Jewish fundamentalism in Israel, London, Pluto Press, 1999). I fondamentalisti cristiani li appoggiano per accelerare l’avvento dell’Armageddon, la lotta finale fra il Bene e il Male, che proprio da quelle parti dovrà svolgersi. Forse per portarsi un po’ di lavoro avanti, il signor Kaplan lascia briglia sciolta al sito per sollecitare l’eliminazione di Arrigoni e altri. Non senza profetizzare che il governo italiano non si preoccuperà più di tanto se qualcuno provvederà all’auspicata «rimozione permanente» del nostro connazionale. Lo ripetiamo: questi auspici criminali non appaiono in un forum semiclandestino, ma in un sito accessibile gestito da un noto personaggio pubblico.
Ora, dal momento che anche le forze armate israeliane non vogliono testimoni nello scempio di Gaza, e il nostro mainstream si è subito docilmente accodato rispettando il divieto, siccome l’unica voce ci giunge da Arrigoni, in tal caso facciamo due più due e fiutiamo un grosso pericolo. Abbiamo visto che lì non si va per il sottile, se già vengono bombardati ospedali, ambulanze, scuole, e se si prende di mira qualunque soccorso.
Mentre la conta dei morti ammazzati a Gaza si avvicina a quota mille, accade una cosa singolare. Il cumulo di cadaveri non si può più nascondere sotto un editoriale di Bernard-Henry Lévy, l’uso di armi orrende – che un domani vedrete proibire - nemmeno. I giornali nostrani cominciano timidamente a parlarne. Ma non in prima pagina e in apertura, come abbiamo fatto già diversi giorni fa su questi schermi, ma a pagina dieci e in taglio basso. Nascondere non si può. Ma diluire, questo sì. E questo i nostri grandi organi di informazione lo fanno benissimo. In attesa di chissà cosa, un successo politico militare, una chimera, la fine di Hamas. A che prezzo? È in atto la censura più sottile, ma questa sottigliezza non la salva dall’essere accostata alla censura più violenta e più minacciosa, quella che vuole colpire chi vuole salvare il popolo palestinese dalla sua distruzione.
Tanti intellettuali italiani indicano inorriditi il dito insanguinato del Movimento di Resistenza Islamico (Hamas), ma non vedono la luna desolata degli altri fondamentalismi che egemonizzano sempre di più la classe dirigente israeliana. L’idea che le forze armate israeliane difendano i Lumi contro la barbarie è un ideologismo foriero di tragedie, dal quale è bene liberarsi con un’operazione onesta di ricognizione storica e politica della memoria mediorientale. Il racconto di quel che accade ora è un passo fondamentale, con tutti i testimoni da rispettare.
http://www.megachip.info/
Le donne in nero
In questi giorni leggendo notizie su Gaza in Internet ho trovato questo sito :
http://andreacarancini.blogspot.com/2008/07/donne-in-nero.html
che pubblica un articolo di Nurit Peled-Elhanan sulle donne in nero . L'articolo è del luglio 2008 ma è tristemente attuale.
Le donne in nero è un movimento nato a Gerusalemme ovest nel gennaio 1988, come un gruppo di donne, madri israeliane, per manifestare contro la politica di occupazione militare del governo israeliano. Manifestano in nero e in silenzio. A poco a poco è diventato un movimento internazionale di donne, cittadine del mondo di varie nazionalità che organizziamo sit-in per protestare nei nostri paesi contro la guerra, i conflitti tra i popoli, il militarismo, la produzione e il commercio delle armi, il razzismo, ogni forma di violenza alle donne.
Mi sembra importante segnalarlo innanzi tutto perchè fatto da donne, da madri (non sono tutte come la Signora Tzipi Livni) e poi perchè anche tra gli Israeliani c'è chi non condivide l'operato del governo e combatte contro una mentalità di guerra e razzista. Combatte per un diverso modo di instaurare rapporti tra paesi e individui.
Segnalo il link di Donne in nero in Italia.
www.donnein nero.it
Avvoltoi e cacciatori di taglie. Restiamo umani
Restiamo umani è la frase che Arrigoni scrive alla fine di ogni suo articolo.
Grazie a tutti coloro che , in questa tragedia, sentono pietà, compassione, per ogni uomo che soffre. Grazie ai membri delle associazioni umanitarie che, rischiando ogni giorno la vita, fanno di tutto per soccorrere questa popolazione massacrata.
http://guerrillaradio.iobloggo.com/
Vittorio Arrigoni a Gaza: avvoltoi e cacciatori di taglie
14/01/2009
Il mio pezzo per Il Manifesto di oggi:
Dal mare non più i suoi generosi frutti, nulla dell'amore per i suoi flutti che rispecchiano il cielo, solo la morte portata in dote da navi da guerra che arano il suo spettro liquido. Del mare proviamo a fare ancora corridoio salvifico, una breccia su questa terra martoriata, confiscata e imprigionata, stuprata in ogni suo palmo, ridotta ad un cimitero per salme che non trovano riposo. Da qualche giorno anche i funerali sono diventati target di attacchi dell'aereonautica israliana, come se i palestinesi uccisi meritassero un'ulteriore punizione anche da morti. Se un corridoio umanitario stenta a schiudersi per venire in soccorso ad una popolazione ridotta allo stremo delle forze, ci penserà la "spirit of humanity," una delle nostre barche targata Free Gaza Movement. Salpata oggi da Larnaca, Cipro, cercherà di condurre sino al porto di Gaza oltre a tonnellate di medicinali una quarantina fra dottori, infermieri, giornalisti, parlamentari europei, attivisti per i diritti umani, rappresentanti 17 diverse nazioni. Esseri veramenti umani, come me, come i tanti in Italia che mi testimoniano la loro indignazione, disposti a rischiare la vita piuttosto che continuare a restare seduti e ignavi nel salotto buono di casa, dinnanzi ad un televisore che rimanda solo una minima parte del massacro che ci sta affliggendo.
Il 27 dicembre i miei amici ci provarono con la "Dignity", furono attaccati dalla marina israeliana che tentò di affondarli, lanciato l' SOS dovettero rifugiare in Libano coi motori in avaria e una falla nello scafo. Per puro caso non ci furono feriti gravi in quell'occasione, ci auguriamo che domani siano rispettate le loro vite e i diritti umani. Ci sono terribili catastrofi naturali a questo mondo, come terremoti e uragani, inevitabili. A Gaza è in corso una catastrofe umanitaria innaturale perpetrata da Israele ai danni di un popolo che vorrebbe ridotto alla più completa miseria, sottomissione. Una popolazione disperata che non trova più il pane e il latte per nutrire i suoi figli. Che non piange neanche più i suoi lutti perchè anche agli occhi è stata imposta una ferrea dieta. Il mondo intero non può ignorare questa tragedia, e se lo fa, non includeteci in questo mondo. Ogni giorno invochiamo forze che governano sopra di noi affinche fermino questo genocidio in corso, per domani mattina chiediamo solo che la nostra piccola imbarcazione approdi a Gaza con il suo carico di compassione, pace, amore, empatia, che a tutti i palestinesi siano concessi gli stessi diritti di cui godono gli israeliani, e qualsiasi altro popolo del pianeta. Il mare come ancora di speranza, il mare come meta di distruzione. Secondo l'agenzia di stampa Ma'an, e la Reuters conferma, gli Stati Uniti stanno per rifornire di 300 tonnellate di armi Israele, tramite due navi cargo in partenza dalla Grecia. Armi e una grande quantità di esplosivo e detonatori, tutto il necessario per spianare la Striscia da migliaia delle sue abitazioni. Sono già 120 mila gli sfollati da Gaza a Jabalia, ma i più, compresi diversi miei amici non si sono mossi, non sanno dove rifugiarsi. Giornalisti, dottori e becchini. Sono le professioni che lavorano di più qui a Gaza, senza sosta ormai da 16 giorni. Gli avvoltoi, oltre i caccia bombardieri preoccupano e fomentano disprezzo, specie quelli che fino a ieri sedevano sulla stessa sedia del compianto Arafat, e ora anelano a venire a riprendersi il trono sulle ceneri di quel che di Gaza sarà. Siamo giunti a 923 vittime, 4150 i feriti, 255 i bambini palestinesi orribilmente trucidati. Il computo delle vittime civile israeliane, fortunatamente, è fermo a quota 4. Gira voce che Olmert avrebbe fatto sapere ai suoi che il raggiungimento di 1000 vittime civili è il termine ultimo per arrestare questa brutale offensiva infanticida. Un pò come succede alla Vucciria di Palermo, dove i quarti di manzo goccialano sangue all'aperto, e si contratta la carne un tanto al chilo. Le apparizioni di Ismail Haniyeh sullo schermo sono seguitissime dai palestinesi della Striscia. Non si può parlare di tregua senza contemporaneamente prefissare una fine dell'assedio. Continuare ad assediare una Gaza ridotta in macerie, non permettere il confluire di viveri e medicinali, impedire la fuoriuscita di malati e di feriti, significa condannarla ad una più lunga agonia. Questo il sunto delle parole del leader di Hamas, pronunciate stasera da un bunker chissa dove sottoterra, che fanno breccia nell'opionione pubblica gazawi. Il discorso di un leader che avrebbe potuto fuggire a ripararsi altrove, e invece è rimasto qui a prendersi le bombe in testa come chiunque altro. Questo miei prose odierne sono state trocate sul nascere, dalla solita telefonata intimidatoria che ordina l'evocuazione prima di un bombardamento. Mi trovo nel palazzo dove risiedono i principali media internazionali, fra gli altri, Al Jazeera, Ramattan e Reuters. Abbiamo dovuto staccate i pc dalle pareti, precipitarci giù per le scale e riversarci in strada, dove con gli occhi incollati al cielo cerchiamo di scorgere da dove giungerà il fulmine distruttivo. Questa notte non ci saranno telecamere e reporters a documentare il massacro di civili, aleggia il fondato sospetto che le vittime innocenti saranno più del solito. Ancora per strada fisso Alberto e gli strizzo un'occhio, si avvicina e gli sussurrò in un orecchio se ritiene plausibile che le telefonata intimidatoria sia stato un segnale per noi due soli, dopo la scoperta di un sito statunitense di estrema destra che ci ha messo una taglia sulla testa: "ALLERTARE I MILITARI DELL'IDF PER COLPIRE L'ISM
Numero da chiamare se localizzate i covi di Hamas con i membri dell'ISM. Dall'America chiamate 011-972-2-5839749. Da altri paesi non digitare lo 011. Aiutateci a neutralizzare l'ISM, che è ormai parte integrante di Hamas sin dall'inizio della guerra. BERSAGLIO ISM #1 PER LE FORZE AEREE ISRAELIANE E TRUPPE DI TERRA DELL'IDF: INVITO ALL'OMICIDIO DI VITTORIO ARRIGONI (FOTO SOTTO) CHE ATTUALMENTE ASSISTE HAMAS A GAZA.". Dal sito "stoptheism.com". Non prendetevi la briga di visitarlo ne tantomeno di linkarlo ai vostri siti. E una testimonianza sociologica da tramandare ai posteri. Analizzando questi tempi, il futuro pronuncerà la sua sentenza inappellabile, di come l'odio fosse il sentimento più puro, e il livore verso il diverso muovesse eserciti e fosse il collante di intere masse di uomini,. Non è necessario che i miei detrattori e chi mi vorrebbe martire compongano quel numero, l'esercito israeliano sa benissimo dove trovarmi anche stanotte, sto sopra le ambulanze dell'ospedale Al Quds in Gaza city. Restiamo umani.
guerrilla radio dixit - permalink
Giovanardi e il ribaltamento della realtà
L'ultima di Giovanardi: espellere immigrati 'totalmente dalla parte di Hamas'
12 Gennaio 2009
Bisogna espellere o non rinnovare il permesso di soggiorno ai manifestanti razzisti, come quelli che sono scesi in piazza dalla parte di Hamas. A sostenerlo e' il sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei Ministri, Carlo Giovanardi, in una lettera inviata al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi.
"Caro Presidente ancora oggi, a piu' di sessant'anni dalla "soluzione finale" che la follia nazista aveva immaginato per il popola ebraico, si discute sulle responsabilita' storiche di chi avrebbe potuto forse fare di piu' per evitare lo sterminio di milioni di uomini donne e bambini. Ma mentre si discute del passato l'attualita' ci richiama a nuovi tentativi di cancellare dalla faccia della terra lo stato di Israele e di colpire ovunque nel mondo persone che hanno l'unica colpa di essere ebrei".
"In Italia assistiamo ad una escalation di azioni vergognose contro la comunita' ebraica che vanno dalle iniziative di boicottaggio dei negozi gestiti da ebrei alla comparsa di scritte minacciose ed insultanti persino all'interno del quartiere ebraico a Roma. Ai cittadini italiani responsabili di questi comportamenti, vanno applicate con grande determinazione le norme che sanzionano penalmente il razzismo".
"Ma gli italiani stanno assistendo attoniti in questi giorni a manifestazioni e cortei nelle nostre citta' di immigrati extracomunitari di fede islamica, schierati totalmente dalla parte di Hamas e dell'estremismo piu' fanatico, con tanto di rogo di bandiere israeliane e slogan razzisti e antisemiti. Per questi signori non ci deve essere spazio in Italia".
Quindi, Giovanardi chiede al premier di "dare disposizione al ministro degli interni perche' a tutti coloro che si rendono responsabili di tali eccessi, nel caso non emergano piu' gravi reati, venga decretata l'espulsione dall'Italia o comunque non rinnovato il permesso di soggiorno. Dobbiamo essere coerenti con quanto abbiamo detto in campagna elettorale come Pdl porte aperte a tutti coloro che da ogni parte del mondo vengono in Italia per cercare un lavoro e un futuro migliore per la loro famiglia nel rispetto dei principi della nostra costituzione e delle nostre leggi. Ma non dobbiamo avere nessuna tolleranza nei confronti di chi pensa di trovare nel nostro paese un terreno fertile per seminare odio, inneggiare alla guerra santa, chiedere la cancellazione dello stato di Israele, assumere atteggiamenti razzisti e antisemiti".
http://www.aduc.it/dyn/immigrazione/noti.php?id=246224
Il massacro di palestinesi viene sostituito dal tentativo di cancellazione dello stato di Israele e la proposta di un divieto a manifestare in difesa dei palestinesi come una proposta antirazzista.
Pazzesco
Il dialogo, la comprensione...
Il dialogo, la comprensione, il rispetto per l'esigenze dell'altro, condizioni per la pace, debbono essere chiaramente da entrambe le parti. Ma qui, com'è successo per l'11 settembre, sembra che i buoni (Occidente compreso Israele) siano da una parte e i cattivi dall'altra (mondo islamico), il gioco cowboy - indiani si ripete.
Spesso invece il popolo " cattivo" è il più debole e quindi massacrato, maltrattato, emarginato (quello insomma diverso da noi, portatore di una diversa cultura).
In realtà , per aprire un dialogo, occorre abbandonare questa idea del bene da una parte e del male dall'altra, del rifiuto del diverso perchè pericoloso, della sua sottomissione al nostro concetto di società, di "democrazia".
Qui c'è un popolo , quello Palestinese, vessato da anni, che soffre, che sta soffrendo e che combatte (ad armi impari) per evitare il suo annientamento, per affermare il suo diritto di vivere come Stato. Mi pare, invece, che gli Israeliani abbiano visto riconosciuto questo diritto che vogliono negare ai Palestinesi.
Non è , in ogni caso, con le armi,da entrambi le parti, che si arriverà ad una soluzione.
In questi giorni sto leggendo Lettere contro la guerra di Tiziano Terzani (grande saggio!) . L'ha scritto dopo l'11 settembre ed auspicava che da questa tragedia il mondo avesse l'occasione per reinventarsi il futuro, per percorrere un cammino diverso dall'oggi e che "Potrebbe domani portarci al nulla" .
Le cose sono andate diversamente...e il mondo ripercorre sempre lo stesso cammino.
Termino con un passo dal libro che mi piace tanto...perchè può essere inteso in senso individuale ma anche collettivo, sociale e politico.
Solo se riusciremo a vedere l'universo come un tutt'uno in cui ogni parte riflette la totalità e in cui la grande bellezza sta nella sua diversità, cominceremo a capire chi siamo e dove stiamo. Altrimenti saremo solo come la rana del proverbio cinese che, dal fondo di un pozzo, guarda in su e crede che quel che vede sia tutto il cielo.Duemilacinquecento anni fa un indiano, chiamato l'"illuminato", spiegava una cosa ovvia: che "l'odio genera solo odio " e che "L'odio si combatte solo con l'amore". Pochi l'hanno ascoltato. Forse è venuto il momento.
Lettera aperta ai soldati israeliani
Lettera aperta ai soldati israeliani
Scritto da Joel Finkel
Martedì 13 Gennaio 2009 09:12
Introduzione
Si prega di firmare la seguente dichiarazione, che ci auguriamo di essere presto in grado di pubblicare sui giornali israeliani. Donazioni per aiutare a pagarne la pubblicazione possono essere inviate tramite PayPal cliccando qui: http://www.ajjp.org/campaigns/signStatement.php?cid=15
Noi incoraggiamo le organizzazioni a firmare inviandoci e-mail.
Gli Ebrei invitano i soldati israeliani a fermare i crimini di guerra.
Noi ebrei della comunità internazionale invitiamo i soldati israeliani a issare la Bandiera Nera dell’illegalità sulle operazioni contro la popolazione di Gaza.
Ci rifiutiamo di rimanere in silenzio mentre i leader israeliani costringono i soldati israeliani a commettere crimini di guerra: crimini contro l'umanità per i quali saranno un giorno chiamati a rispondere. I soldati israeliani di coscienza possono e devono fermare questa guerra pericolosa, illegale e immorale.
Questa attività criminale non migliora la salute e il benessere degli ebrei. Piuttosto, da Sderot a Sidney, da Ashkelon a Amsterdam, staremo tutti meglio quando ci sarà giustizia per i palestinesi.
Pertanto, vi chiediamo di utilizzare tutte le misure possibili per fermare queste atrocità contro il popolo palestinese. Non si deve semplicemente disobbedire a ordini palesemente illegali, ma bisogna opporsi ad essi attivamente ed efficacemente.
Noi membri della comunità ebraica internazionale, ci appelliamo a voi, soldati israeliani di coscienza, per bloccare la macchina bellica israeliana; solo voi potete e dovete farlo.
Firmato, (Aggiungi il tuo nome)
Organizzazioni promotrici per Paese:
Jews for Israeli-Palestinian Peace (JIPF) Sweden
European Jews for a Just Peace Europe
American Jews for a Just Peace United States
Tikkun Community Chicago United States
Jewish Women for Justice in Israel/Palestine (Boston, MA) United States
Jewish Voice for Peace-Chicago United States
People of Faith CT United States
Jews Against the Occupation - NYC United States
Jews Against the Occupation (Central NJ) United States
Israeli Committee Against House Demolitions Israel
Jews for Justice for Palestine Britain
Portland Peaceful Response Coalition United States
ICAHD-USA United States
Tucson Women in Black United States
Not In My Name - SA South Africa
Women in Black Union Square NYC United States
Italian Network of Jews against the Occupation (Rete-ECO) Italy
http://www.rete-eco.it/it/gruppi-ebraici/ejjp/4313-lettera-aperta-ai-sol...