Chi non ricorda “Ho visto un re” di Dario fo? Il re, il vescovo, il ricco, piangono per la perdita di un frammento della loro ricchezza. Solo il povero contadino è costretto a ridacchiare per non turbare la serenità dei potenti.
“Bisogna nascondere quel che guasta l’umore dei potenti. E’ l’impasto di sempre, ipocrisia e arroganza del potere”
La logica è sempre quella: non facciamoci scoprire. E’ la massima forma di ipocrisia italica clericale, invece di preoccuparsi per chi non ha da mangiare vogliono cancellare chi è costretto a rovistare nella spazzatura per rimediare un frutto marcio….
Basta guardare la tv per capire la filosofia che regola la comunicazione al servizio del potere. L’Italia batte tutti i record per morti sul lavoro ma la gente non deve saperlo, deve invece associare la violenza e la sicurezza alla vecchietta scippata o alla donna violentata in periferia…
Vogliono dare al cittadino l’impressione che ci si stia occupando di lui, poi si scopre che l’impegno del governo sulla casa è un imbroglio in cui si toglie al poveraccio, allo sfrattato, per favorire i ricchi, i palazzinari……
Commenti
Nascondere i barboni, gli
Nascondere i barboni, gli zingari, i cani in una parola tutti quelli che volontariamente o per sorte non sono un mattone di questo orrendo muro (adoro i Pink Floyd) costruito dalla peggiore cultura umana è una ingiustizia della cosiddetta società civile ma è ancora più intollerabile quando è attuata da chi vive nell'agio e nel lusso.
E' strano però notare che in posti del pianeta diversi dalla piccola Italia i ricchi ed i poveri vivano anche a stretto contatto con rapporti quotidiani di vicinato, un fenomeno del tutto inesistente in Italia, dove al ricco da fastidio la sola vista del povero.
Homo sapiens? Bah!
Natura
Va abolita la povertà, non i poveri
LORIS CAMPETTI
Al povero, qui e ora, restano il cassonetto dell'immondizia e la mano tesa alla porta della chiesa. Persino il diritto alla ribellione, in determinati contesti storici, sociali, geografici e culturali gli viene negato.
Il cardinale Martino ha ragione perché è in questo contesto che ci troviamo a operare (e a legiferare). Battersi per rovesciare il contesto dato ci riguarda, non è un compito che possiamo delegare a chi non ha strumenti, e non li ha perché glie li abbiamo tolti noi, società occidentale affluente; il nostro consumo, la sua qualità e la sua quantità, si fonda sul non diritto al consumo degli «altri». Il cardinale sostiene anche che una via per affrontare «i casi di estremo bisogno... non si è trovata e io credo che non si troverà presto se Nostro Signore ebbe a dirci "i poveri li avrete sempre con voi"». Noi che pensiamo che ribellarsi alle ingiustizie e alle diseguaglianze sia giusto, e possibile, quella via continuiamo a cercarla. Ma essere convinti che gli africani debbano poter vivere dignitosamente nelle loro terre senza dover fuggire alla fame, alle guerre di cui noi siamo esportatori professionali, alle tirannie con cui noi facciamo affari e che abbiamo contribuito a instaurare, non vuol dire che allora non vogliamo nelle nostre strade chi scappa da quella realtà che è loro data.
Essere convinti che la povertà vada abolita non vuol certo dire che vogliamo interdire la ricerca di brandelli di futuro nei cassonetti, o l'elemosina. Così come la convinzione che la prostituzione sia un degrado, forse il peggior degrado, non può certo iscriverci alla schiera di chi scatena la caccia alle donne costrette a prostituirsi per strada. Siamo figli di una cultura che rifiuta le diseguaglianze su cui si fonda il modello economico e sociale capitalistico, lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Un modello che ha al suo centro il mercimonio, e la prostituzione è il più degradante dei mercimoni. Ma i nostri padri cantavano «son nostre figlie/ le prostitute/ che muoiono tisiche/ negli ospedali...». Dovremmo tornare a cantare questa canzone.
Ci sono punti che uniscono e punti che dividono la nostra cultura da quella del cardinale. Ma su un obiettivo non possiamo che percorrere un pezzo di strada insieme: quella che va dalla parte opposta di chi vorrebbe cancellare dalla nostra vista i «sottoprodotti» del suo criminale modello sociale. I mendicanti, gli accattoni, i migranti che non sono (ancora) funzionali alla difesa dei nostri privilegi. Le prostitute. Dice il cardinale che bisogna rispondere al bisogno, non nasconderlo. Chi vuole impedire l'accattonaggio, per noi compie un crimine. Un peccato, direbbe il cardinale.
Ha ragione il premio Nobel Dario Fo, che ieri sul manifesto - e sempre in decenni di impegno artistico, sociale e politico - ha denunciato l'ipocrisia di chi è alla guida della nostra società opulenta e l'arroganza del potere. Né lui né noi pensiamo che la carità sia la risposta alle ingiustizie. Pensiamo però che tentare di nasconderle sarebbe la peggiore delle ingiustizie.
Il manifesto 9 agosto 2008
Da che pulpito viene la predica...
www.unità.it
Clandestini nel suo capannone: nei guai un assessore leghista
Massimo Franchi
Predicano bene, ma razzolano molto male. I leghisti urlano contro l'immigrazione clandestina e nel frattempo sfruttano gli stessi immigrati per arricchirsi.
Faceva così anche Roberto Zanetti, assessore della Lega alle Attività produttive e presidente degli artigiani di Cartigliano, comune in provincia di Vicenza. Nel capannone di sua proprietà la Guardia di Finanza di Bassano del Grappa ha scoperto un laboratorio di confezionamento di abbigliamento con nove cinesi costretti a lavorare in condizioni pietose.
L'assessore adesso cerca di difendersi dicendosi sconcertato. «Questa storia mi toglie 10 anni di vita, io non ne sapevo niente».
Dopo aver effettuato una serie di controlli nei giorni precedenti, i finanzieri della Compagnia di Bassano sono entrati in azione all'una di notte di mercoledì. Nell'immobile c'erano 9 asiatici. A finire in manette sono state la donna cinese che gestiva il laboratorio, immigrata regolarmente in Italia, e due operai sui quali pendeva già un provvedimento di espulsione, arrestati per violazione della legge (pensa un po') Bossi-Fini. Tre erano regolari, di altri tre non avevano documenti.
Gli operai lavoravano giorno e notte in mezzo a puzza e rumore. Ma nel capannone erano completamente segregati dormendo in due stanzette nascoste dietro un armadio con un solo e lurido wc. Gli otto vivevano come schiavi: lavoravano tutta la notte, non uscivano mai. La "direttrice", almeno, aveva una camera tutta per sè.
«Quando siamo arrivati hanno iniziato a correre e a gridare, ma la cosa che ci ha colpito di più - spiega il capitano Danilo Toma della compagnia di Bassano del Grappa - è stato il doppio fondo che abbiamo trovato su un muro. Da una botola si accedeva alle stanze, di cui una piccolissima, pochi metri quadri con i letti ammassati e un puzzo incredibile».
Per quanto riguarda la posizione dell'assessore, il capitano spiega: «Come il fratello, al momento non è indagato, anche perché il contratto di affitto era regolare». Difficile però credere che la famiglia Zanetti non fosse al corrente di cosa stesse accadendo nel capannone. «La casa dei Zanetti dista poche centinaia di metri», osserva il capitano. In più, non è la prima volta che nel profondo Nord est leghista vengono scoperti laboratori clandestini: «Di casi simili anche in zona ne abbiamo scoperti parecchi», ricorda il capitano.
Zanetti da parte sua cerca di difendesi. «La cinese titolare - spiega Roberto Zanetti - era venuta da noi la scorsa primavera; era stata costretta ad abbandonare la precedente sede, ne cercava un'altra e aveva saputo del nostro capannone. Era iscritta alla Camera di Commercio e, a quanto ci constava, i suoi dipendenti erano a posto con il permesso di soggiorno. Insomma, sembrava tutto in regola e abbiamo perfezionato la locazione, alla luce del sole».
Peccato che "alla luce del sole" però non lavorassero i cinesi. E Zanetti ne era al corrente. «Parevano invisibili - continua l'assessore vicentino - lavoravano di notte, come formiche, non disturbavano. Cosa combinassero là dentro, non lo sapevamo: avevano messo subito le tende alle finestre e non aprivano a nessuno. Consideravamo l'affitto che ci pagavano una sorta di compensazione: in fondo, è proprio per colpa della Cina che abbiamo cessato la nostra attività originaria».
È rimasto «sorpreso e sconcertato» anche il sindaco leghista di Cartigliano, Germano Racchella, nell'apprendere che il capannone dove è stato scoperto un laboratorio cinese clandestino è di proprietà di un suo assessore. «Una bella mazzata - commenta il primo cittadino - Sono sorpreso più come leghista che come sindaco», dice orgogliosamente. Racchella non ha ancora sentito il suo assessore e collega di partito Roberto Zanetti e non lo farà prima di sera. «Ho convocato una riunione - spiega il sindaco - vedremo cosa uscirà dall'incontro».
Una banda di senza vergogna.
A volte uno sprazzo di verità emerge anche dalle parole dei più inveterati mentitori.
Ne ho visto un esempio durante “Primo piano” di ieri sera. Si dibatteva dei diritti umani in Cina e delle polemiche sull’opportunità di un boicottaggio della cerimonia di apertura dei giochi olimpici.
Quando la conduttrice Bianca Berlinguer ha domandato all’ex piduista Cicchitto come mai ci si ricorda dei diritti umani solo ora, nell’imminenza delle Olimpiadi, il capogruppo del Pdl ha avuto uno di quegli sprazzi di verità.
“E’ inutile nasconderlo, i fatti che non si vedono in tv è come se non esistessero, guardate per esempio il Sudan…” (non riporto alla lettera, ma sia il senso che le parole erano queste.)
Credo che questa affermazione sia, oltre che banalmente vera, anche risaputa, sperimentata e continuamente denunciata, ma un’ammissione del genere, fatta da chi difende gli interessi del monopolista dei media, che per di più è capo del governo, suoni come l’ammissione di un cortigiano che il re è nudo, sì, ma bisogna continuare a credere che è vestito di ricchi abiti. Mi pare che quella frase contenga, oltre che la minimizzazione del conflitto di interessi e della conseguente manipolazione delle notizie (che relega l’Italia nella bassa classifica dei Paesi con libertà di informazione), anche l’ invito a mantenere una forma di idiozia collettiva in nome e a vantaggio del culto della personalità di Berlusconi e dei suoi accoliti.
Una banda di senza vergogna.
La favola di Andersen
Il re è nudo (H. C. Andersen)
Molti anni fa viveva un imperatore, il quale amava tanto possedere abiti nuovi e belli che spendeva tutti i suoi soldi per abbigliarsi con la massima eleganza.
Nella grande città, dove egli abitava, ci si divertiva molto; ogni giorno arrivavano stranieri, e una volta vennero due impostori; si spacciarono per tessitori e dissero che sapevano tessere la stoffa più straordinaria che si poteva immaginare. Questa stoffa, però, poteva essere vista solo da persone intelligenti.
“Manderò dai tessitori il mio vecchio, bravo ministro!” pensò l’imperatore. “Egli può vedere meglio degli altri che figura fa quella stoffa, perché è intelligente e non c’è un altro che sia come lui all’altezza del proprio compito!”.
Così quel vecchio buon ministro andò nella sala dove i due tessitori lavoravano sui telai vuoti: “Dio mio!” pensò spalancando gli occhi “Non vedo proprio niente”. Ma non lo disse forte.
Dopo un po’ di tempo l’imperatore mandò un altro valente funzionario a vedere come procedeva la tessitura, e a chiedere se la stoffa era finita. Gli successe proprio come al ministro; guardò, guardò; ma siccome non c’era niente all’infuori dei telai nudi, non poté vedere niente.
Tutti i cittadini discorrevano di quella stoffa magnifica. Allora l’imperatore stesso volle andare a vederla mentre era ancora sul telaio vuoto; e non poteva mica dirlo che non vedeva niente!
Tutti quelli che s’era portato dietro, guardavano, guardavano, ma, per quanto guardassero, il risultato era sempre uguale; eppure dissero come l’imperatore:
- Oh! Bellissimo!
- Ecco, i vestiti sono pronti”
- Ecco i calzoni, ecco la giubba, ecco il mantello – e così via di seguito
- È una stoffa leggera come una tela di ragno! Si potrebbe quasi credere di non avere niente addosso, ma è appunto questo il suo pregio!
- Si – dissero tutti i cavalieri, ma non vedevano niente, perché non c’era niente.
E così l’imperatore aprì il corteo sotto il sontuoso baldacchino e la gente per le strade e alle finestre diceva:
- Dio! Sono di una bellezza incomparabile, i vestiti nuovi dell’imperatore! Che splendida coda dietro la giubba! Ma come gli stanno bene!
Nessuno voleva mostrare che non vedeva niente, perché se no significava che non era degno della carica che occupava, oppure che era molto stupido. Nessuno dei tanti costumi dell’imperatore aveva avuto tanta fortuna.
- Ma se non ha niente, indosso – gridò un bambino
- Signore Iddio! La voce dell’innocenza! – disse il padre; e ognuno sussurrava all’altro quello che aveva detto il bambino.
- Non ha niente indosso! – urlò infine tutta la gente.
E l’imperatore si sentì rabbrividire perché era sicuro che avevano ragione; ma pensò “Ormai devo guidare questo corteo fino alla fine!”.
E si drizzò ancor più fiero e i ciambellani camminarono reggendo la cosa che non c’era per niente.
Cicchitto Fabrizio iscritto
Cicchitto Fabrizio iscritto alla loggia massonica P2 di Licio Gelli, tessera n.2232
da:
"Le pagine gialle della P2"
Bisogna sempre, sempre, sempre, ricordare chi è colui del quale si parla.
la gente dimentica in fretta.
il fabio
P2: per aiutare a ricordare
Credo anch’io che sia necessario sempre non perdere la memoria degli intrighi oscuri e delle trame occulte che hanno caratterizzato in modo nefasto la vita politica del nostro Paese negli anni che hanno preceduto la caduta della prima Repubblica.
Ricordare i fatti di ieri aiuta a fare i collegamenti adeguati e i raffronti opportuni per comprendere le vicende di oggi.
A questo scopo può essere utile vedere questo video che contiene una significativa intervista a Licio Gelli.
INTERVISTA A LICIO GELLI
a proposito di P2
C'è un articolo interessante, del giugno scorso, di Antonio Martino - aveva chiesto l'iscrizione alla P2, non so se l'abbia ottenuta- ex ministro della difesa del precedente governo Berlusconi a questo indirizzo:
http://www.brunoleoni.it/nextpage.aspx?codice=6773
Beh... visto che sono aperte le iscrizioni...
... che dite... un gufo pidduista farà molta strada?
Asor Rosa : Più del fascismo
Più del fascismo
08/08/08
di Alberto Asor Rosa
da il Manifesto
Il terzo Governo Berlusconi rappresenta senza ombra di dubbio il punto più basso nella storia d'Italia dall'Unità in poi. Più del fascismo? Inclino a pensarlo. Il fascismo, con tutta la sua negatività, costituì il tentativo di sostituire a un sistema in aperta crisi, quello liberale, un sistema completamente diverso, quello totalitario. Pochi oggi possono consentire con la natura e gli obbiettivi di quel tentativo; nessuno, però, potrebbe contestarne la radicalità e persino, dentro un certo assai circoscritto ambito di valori, le buone intenzioni.
Berlusconi invece non è che il prodotto finale e consequenziale di una lunga decadenza, quella del sistema liberaldemocratico, cui nessuno per trent'anni ha saputo offrire uno sbocco politico-istituzionale in positivo: è il figlio naturale del craxismo; è il figlio naturale dell'affarismo democristiano ultima stagione (ben altri titoli d'onore si possono inscrivere nel blasone storico della Dc); è il figlio naturale dell'incapacità dimostrata nella politica in questo paese di rappresentare gli «interessi generali» e non quelli, inevitabilmente affaristici, anche quando non personalmente lucrativi, di piccoli gruppi autoreferenziali, che pensano solo a se stessi.
Berlusconi, dunque, prima che essere fattore di corruzione, nasce da una lunga, insistita, fortunata pratica della corruzione: rappresenta fedelmente la decadenza crescente del pianeta Italia; per forza di cose non sa che governare attraverso la corruzione: la diffonde spontaneamente intorno a sé; crea un vergognoso sistema giuridico per difendersi quando sia stato colto in passato con le mani nel sacco e per continuare a farlo impunemente; modella l'Italia secondo il suo sistema di valori e, man mano che l'Italia degrada, ne viene alimentato.
In un articolo apparso sul Corriere della sera (13 luglio), come al solito intelligente ed acuto, Ernesto Galli della Loggia se la prende con il «moralismo in un paese solo», che sarebbe il nostro e che consisterebbe nel pensare che «L'Italia che politicamente non ci piace è fatta di gente moralmente ottusa guidata da un malandrino». L'accusa di moralismo astratto e vaniloquente - Galli della Loggia con la sua intelligenza dovrebbe ammetterlo - sarebbe molto meno pungente se la situazione italiana fosse quella da lui descritta. Insomma, il moralismo vano è fastidioso (lo dico con cognizione di causa, avendo studiato a lungo, e con analogo rigetto, gli antigiolittiani). Però alla lunga può diventare ancor più fastidioso che i critici del moralismo non ci dicano se al centro del problema non ci sia la corruzione dominante, e insieme con questa il suo principale rappresentante e beneficiario.
Per corruzione non intendo soltanto, e neanche principalmente, l'appropriazione indebita di denaro pubblico e privato e il culto quasi parossistico del proprio interesse personale: ma la degenerazione del sistema dentro cui il gioco politico, sempre più solo formalmente, continua a svilupparsi: il malcelato disprezzo della Carta costituzionale; l'evidente estraneità alle «forme» (cioè alla «sostanza») della democrazia; la denegazione crescente della separazione dei poteri; l'incapacità dei politici - tutti - di sottrarsi al gioco mortale della pura autoriproduzione; la tendenza in atto a sottomettere tutto a un potere unico. E accanto a questo, la pulsione - per usare una vecchia ma non del tutto inadeguata terminologia - a connotare in senso sempre più ferocemente classista i valori cosiddetti condivisi della morale pubblica e le scelte di politica economica.
È altresì evidente, come giustamente osserva Galli della Loggia, che vedere le cose in questo modo significa mettere all'ordine del giorno anche una riflessione sullo stato attuale della «democrazia rappresentativa» in Italia. Se infatti è per il voto degli elettori italiani che questo scempio può continuare ad ingrandirsi, questo non ci autorizzerà a buttare a mare per intero il sistema ma neanche a giustificare o ignorare lo scempio perché è il voto popolare, fatto in sé astrattamente positivo, a convalidarlo e produrlo. Se, ripeto, le cose stanno così, è evidente che c'è qualcosa (parecchio?) da cambiare o da aggiustare.
Arrivo a una prima conclusione. Io mi sentirei di dire che questo è uno dei momenti della storia italiana in cui «questione sociale» e «questione nazionale» fittamente s'intrecciano, fino a costituire un unico «nodo di problemi» da affrontare insieme. Questo vuol dire che il bisogno di «unità», per quanto tormentato e difficile, è altissimo. Uno degli errori strategici più gravi che si siano commessi nel corso dell'ultimo ventennio è l'essere andati separati - riformisti e radicali - alle ultime elezioni: gli uni, vantandosene come della scoperta del secolo; gli altri, consentendovi con pallida e autolesionistica tracotanza.
Per affrontare questo «nodo di problemi» è fin troppo evidente che le forze politiche dell'attuale opposizione risultano inadeguate. Perché la difficoltà attuale sia superata bisognerebbe che tutte le forze interessate, sia pure da angoli visuali diversi, guardassero fin d'ora a questo traguardo: sto parlando dunque di un processo, non di un arrangiamento fra capi e capetti.
Del Pd non saprei che dire se non che dovrebbe imparare presto a far bene il suo mestiere, che sarebbe quello, se non erro, di un partito moderato che guarda a sinistra (perché se decidesse, da partito moderato, di guardare a destra, il berlusconismo oggi tanto deprecato ci apparirebbe solo una tappa verso precipizi ancora peggiori). Sulla sinistra, che c'è e non c'è, e che in mancanza di altro si dilania, mi sentirei di fare alcune considerazioni di massima.
Il recente congresso di Rifondazione comunista ha avuto il merito di separare più nettamente che in passato i «comunisti» da tutti gli altri. I «comunisti» - per carità, bravissimi compagni, con cui non sarà impossibile mantenere rapporti - vanno per una loro strada, che non porta da nessuna parte. E gli altri? Gli altri dovrebbero porre alla base del loro futuro quel profondo ragionamento critico e autocritico, che finora è mancato e che lo stesso Bertinotti, se si escludono gli ultimi, disperatissimi mesi pre-elettorali, ha accuratamente evitato di affrontare. La cosa riguarda nello stesso modo l'intera galassia di quella parte della realtà politica italiana (che esiste, e come), la quale non s'adatta né alla formula corruttiva berlusconiana né all'opposizione moderata del Pd né alle risposte, piene di pathos, ma programmaticamente e ideologicamente assai deboli del dipietrismo (e di altri fenomeni analoghi ma deteriori).
Se mai ci sarà una Costituente di sinistra (come io mi auguro), mi piacerebbe che i suoi promotori tenessero conto che esistono tre comparti di problemi, uno programmatico, uno strategico e l'altro organizzativo, con cui - quali che siano le soluzioni da proporre - non si dovrebbe evitare di confrontarsi.
Il comparto programmatico è di gran lunga il più importante, ma qui posso evocarne solo il principio ispirativo. Se non si è comunisti, si è riformisti: bisogna accettare l'inevitabilità di questo décalage storico. Ma ci sono molte forme di riformismo: e ciò che le distingue è il programma (di cui non c'è traccia alcuna nei recenti dibattiti, anche quelli congressuali!).
Quella cui io penso è una forma molto radicale di riformismo, che preme su tutti i gangli della vita sociale, va più in là, s'occupa in modo più generale della «vita», delle collettività ma anche di ognuno di noi individualmente inteso, e propone soluzioni che spostano i rapporti di forza. Il cambiamento è in atto da quando lo si inizia, non c'è bisogno di arrivare al risultato finale per conoscerne tutti gli effetti. Dal punto di vista strategico non si potrà fare a meno di comporre in un quadro unitario «questione sociale» e «questione ambientale».
La cosa, se si entra nel merito, è tutt'altro che semplice: una classe operaia ecologista ancora non s'è vista ma neanche s'è visto un militante ecologista capace di «pensare» la «questione sociale» contemporanea. E pure sempre più avanza la consapevolezza che il destino umano risulta dalla composizione, meditata e razionale, delle due prospettive e cioè, per parlarne in termini politici, dalla sovrapposizione e dall'intreccio del «rosso» e del «verde».
Infine: se qualcuno pensa che la crisi della sinistra si risolva creando un nuovo piccolo partito dei frantumi dei vecchi, farebbe bene a cambiare opinione il più presto possibile. Ciò a cui sembra opportuno pensare è un vasto e persino eterogeneo movimento di forze reali, che sta dentro e fuori i vecchi partiti e per il quale vale la parola d'ordine che l'unica organizzazione possibile è l'autorganizzazione: una rete di istanze e rappresentanze diverse, collegate strategicamente e non gerarchicamente, che assorba e rivitalizzi le vecchie forze piuttosto che viceversa.
Certo, perché il discorso funzioni è necessario ammettere che tutte le volte in cui in Italia si riaffaccia una «questione morale» - cioè, come ho cercato di spiegare, un problema di degrado e di corruzione della vita pubblica e della democrazia - torna ad affiancarlesi l'ancora più stantia e veramente obsoleta parola d'ordine di una «rivoluzione intellettuale e morale». È questo cui pensiamo quando diciamo che la lotta al berlusconismo è al tempo stesso «questione sociale» e «questione nazionale»? Siamo retro al punto di rispondere tranquillamente di sì a questa domanda. In fondo tutto si riduce a questa semplicissima prospettiva: cambiare i tempi, i modi, le forme, i valori, i protagonisti dell'agire politico in Italia. Il resto verrà da sé.
Olimpiadi
Ho visto qualche frammento della cerimonia di apertura delle Olimpiadi a Pechino.
Mi hanno colpito la bellezza di alcuni costumi, il volo di creature sulla scena, i fuochi artificiali, ma per me è tutto troppo.
Mi è tornato in mente quel meraviglioso spettacolo " Le cirque imaginaire" di Jean Baptiste Thierrée e Victoria Chaplin ; che poesia e che intimità in quell'assenza di spettacolarizzazione! E dietro il palcoscenico non c'erano diritti umani violati, calpestati e neppure enormi fiumi di denaro. Un altro mondo che io amo.
Le coreografie grandiose
Una coreografia davvero grandiosa e di grande suggestione, non c’è che dire. Ma questo non è certo un giudizio positivo in assoluto: anche il nazismo si fregiava di cerimonie di grande impatto estetico, così come altre nefaste dittature.
Come dice Pietro Mennea nell’intervista rilasciata a Micromega: Una coreografia davvero grandiosa e di grande suggestione, non c’è che dire. Ma questo non è certo un giudizio positivo in assoluto: anche il nazismo si fregiava di cerimonie di grande impatto estetico, così come altre nefaste dittature.
Come dice Pietro Mennea nell’intervista rilasciata a Micromega: "E' la più grande e politicizzata olimpiade della storia dopo quella di Berlino nel '36. Ma non sarà di nessun aiuto per i diritti umani senza un boicottaggio politico e economico. Che non avverrà, perché gli interessi in gioco sono troppo grandi"
INTERVISTA AUDIO A PIETRO MENNEA
Mi sembra opportuno ricordare la sobrietà scenografica che caratterizza molte delle opere di Dario Fo e Franca Rame, una essenzialità che nulla toglie all’intensità dei contenuti, e anzi, spesso la esalta.
In definitiva, credo che la cerimonia di ieri nascondesse, con la grandiosità estetica, la carenza di ogni preoccupazione etica.
Mi ha impressionato molto vedere Putin (quasi sorridente) in tribuna, mentre in Georgia il suo esercito era impegnato in un’azione militare che, in un solo giorno, ha provocato più di mille vittime. Non sono affatto convinto che lo show debba sempre e comunque andare avanti, come recita l’abusato detto.
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E' quello che ha colpito e preoccupato anche me; troppa perfezione, troppo controllo, troppa chiara volontà di lasciare il mondo ammutolito. A me è sembrata una dimostrazione di potere e non una festa.
I poveri - di Ascanio Celestini
I poveri erano così poveri che presero la loro fame, la misero in bottiglia e andarono a vendersela.
Se la comprarono i ricchi.
I ricchi che nella vita avevano mangiato tutto dal caviale ripieno all'ossobucodiculodicane allo spiedo e volevano conoscere anche il sapore della fame dei miseri.
Per un po' quei poveri tirarono avanti, ma poi tornarono a essere poveri come prima.
Allora imbottigliarono la loro sete e andarono a vendersela.
Se la comprarono i ricchi che nella vita avevano bevuto tutto, dal Brunello al Tavernello ma non avevano ancora assaggiato la sete dei miseri.
Ancora un po' i poveri tirarono avanti, ma poco tempo più tardi tornarono nella povertà.
Allora presero la loro rabbia la misero in bottiglia e andarono a vendersela. Se la comprarono i ricchi.
I ricchi che nella vita si erano sentiti indispettiti, che avevano avuto un po' di rodimento di culo, ma la rabbia vera non l'avevano mai provata. Così se la comprarono dai poveri che ce n'avevano tanta.
I poveri tirarono avanti, ma poi vendettero anche il loro pudore, la loro vergogna, il loro dolore. Imbottigliarono la commozione e l'insubordinazione, la violenza e il riscatto, la rivolta e la pietà.
Col tempo le cantine dei ricchi si riempirono di bottiglie. Accanto ai grandi vini d'annata collezionavano la fame dei sanculotti della rivoluzione e la rabbia dei braccianti che occupavano le terre del Meridione.
Tra gli spumanti e gli champagne trovavano posto la pazzia dei pellagrosi nelle campagne o l'orgoglio dell'aristocrazia operaia che aveva difeso le fabbriche dai nazisti e s'era guadagnata i diritti nelle lotte sindacali. Tra novelli e i passiti c'era il disgusto dei precari e dei senza casa o la determinazione dei Zapatisti che marciarono verso Città del Messico col passamontagna.
Dopo qualche generazione i poveri s'erano venduti tutto.
I poveri diventarono così poveri che presero la loro povertà, la misero in bottiglia e andarono a vendersela.
Se la comprarono i ricchi che volevano essere così tanto ricchi da possedere anche la miseria dei miseri.
Quando i poveri restarono senza niente si armarono.
E non di coltello e forchetta, ma di pistole e fucili perché la rivoluzione non è un pranzo di gala, la rivoluzione è un atto di violenza.
Marciarono verso il palazzo.
Però quando arrivarono sotto il balcone del podestà si fermarono e rimasero zitti. Perché senza la rabbia e la fame, senza l'orgoglio e il disgusto, senza cultura e coscienza di classe non si fa la rivoluzione.
Così il podestà scese in cantina, tornò con una bottiglia e la riconsegnò al popolo. C'era imbottigliata la libertà che avevano conquistato i loro nonni, ma che i padri s'erano già venduta da un pezzo. Potevano farci un inno o un partito, un circolo o una bandiera.
La stapparono, ma non riuscirono a farci niente.
Perché la libertà da sola non serve.
Allora il podestà si cercò in tasca e trovò una scatola di caramelle alla menta. La consegnò al popolo. E da quel momento i poveri furono liberi. Liberi di succhiare mentine.
Monologo tratto dalla trasmissione televisiva «Parla con me» (Raitre) di Serena Dandini.
La non violenza in cammino
NOTIZIE MINIME DELLA NONVIOLENZA IN CAMMINO
di: www.peacelink.it - Numero 548 del 15 agosto '08
EDITORIALE. SI PUO', NON SI PUO'
Si può andare in Afghanistan a commettere stragi.
Non si può venire in Italia per cercar di salvarsi dalle stragi.
*
Si può avvelenare e devastare l’Italia intera.
Non si può leggere un libro sdraiati in un parco.
*
Si può saccheggiare il pubblico erario.
Non si può chiedere la carità per la via.
*
Si può essere ricchi e assassini.
Essere poveri e onesti è vietato.
LE ULTIME COSE. IL GOLPE FLACCIDO
Proviamo a dirlo ancora una volta in poche semplici parole.
Primo: una persona che molti reati ha commesso, per sottrarsi ai rigori della legge s’inventa un partito e vince una, due, tre volte le elezioni. Vinte le elezioni, impone per legge - illegalissima legge - la sua impunità.
Secondo: governo e parlamento ripetutamente violano la Costituzione e precipitano l’Italia in una guerra guerreggiata, una guerra terrorista e stragista, imperialista e razzista, che nessuno sa quanto tempo ancora resterà lontana dal nostro paese. Anche le guerre di Mussolini cominciarono al di là dei confini della penisola. Ed evidentemente finchè le persone uccise lo sono in luoghi remoti (o a distanza di tempo dall’esposizione, ad esempio, nelle aree contaminate dall’uso di proiettili all’uranio impoverito) la cosa non turba il popolo della pizza e del mandolino.
Terzo: governo e parlamento ed enti locali guidati da personaggi inqualificabili perseguitano i migranti, perseguitano i rom, perseguitano i poveri, violano flagrantemente fondamentali diritti umani. Ma chi ha ancora il salotto buono e la televisione perennemente accesa finge di non vedere la pulizia etnica e la guerra di classe che i barbari rapinatori al potere conducono contro gli sfruttati con una ferocia pari a quella di prima del sorgere delle organizzazioni del movimento operaio.
Quarto: non si fa più mistero del saccheggio e della volontà di saccheggio. Non si fa più mistero del razzismo, della disumanità. Non si fa più mistero della complicità con la mafia - i cui esponenti vengono ormai pubblicamente definiti "eroi" in campagna elettorale. Non si fa più mistero della volontà di distruggere la separazione dei poteri e l’autonomia della magistratura che è alla base dello stato di diritto. Non si fa più mistero dell’uso della menzogna e della corruzione e del crimine come arte di governo. Non si fa più mistero della volontà di devastare ogni cosa al solo fine di arraffare quanto più possibile. Non si fa più mistero del patto scellerato che lega in un blocco sociale e in un comitato d’affari coeso razzisti, neofascisti, mafiosi, poteri occulti e criminali, rapinatori in doppiopetto, speculatori assassini, ideologie e prassi della violenza.
Quinto: le macchine politiche che ancora qualche mese fa proclamavano (mentendo, certo, ma almeno eran costrette a proclamarlo - e diceva quel francese che l’ipocrisia è l’omaggio che il vizio rende alla virtù) di rappresentare l’opposizione al berlusconismo si sono estinte per loro intima consunzione: il cosiddetto Pd votato all’eterna rincorsa di un accordo consociativo con chiunque governi e sia dsponibile a spartire le spoglie della cosa pubblica - fosse pure Al Capone; i partiti della cosiddetta "sinistra arcobaleno" o "sinistra radicale" inabissatisi nel loro totalitarismo e nella loro corruttela.
Questa è la situazione.
*
Cosa resta?
Resta la sinistra della nonviolenza. Il movimento reale delle oppresse e degli oppressi. Le persone di volontà buona che di fronte a tanta barbarie continuano la lotta per la democrazia, per la legalità, per la pace con mezzi di pace, per il riconoscimento di tutti i diritti umani a tutti gli esseri umani, per la liberazione comune, per la solidarietà che tutte e tutti raggiunge, per la comune responsabilità.
Resta l’umanità sofferente che ovunque resiste contro l’oppressione, che ovunque difende con le parole ed i fatti la dignità, la civiltà, la biosfera; che ovunque è in lotta per la vita e i diritti delle persone oggi viventi e delle generazioni future.
Solo la nonviolenza può salvare l’umanità.
Diamine che squallore cara
Diamine che squallore cara Clara
Mi sale il veleno in gola...
Hai ragione... solo la non violenza ci salverà da noi stessi!
Ci siamo...
Ci siamo arrivati. Dopo la violenza per motivi razziali e xenofobi contro cittadini stranieri e omosessuali ora è arrivato l'ennesimo punto di questo Stato fascista, ovvero la discriminazione politica.
Da La Repubblica 20/08/2008
Sedicenne tolto alla madre perché milita in Rifondazione
Il Tribunale di Catania, prima sezione civile, per tpglie l'affido del ragazzo alla madre perchè non sa badare all'educazione del ragazzo il quale ha "la tessera d'iscrizione a un gruppo di estremisti".
Nel giudizio degli assistenti sociali, le cose stanno pure peggio perché i comunisti sono "estremisti, il segretario del circolo è un maggiorenne che pare abbia provveduto a convincere all'iscrizione e all'attivismo altri ragazzi", tra cui l'amico del cuore del sedicenne, anche lui una testa matta che lo trascina nella vita "senza regole".
"Fino a ieri si chiamava militanza, e Rifondazione era il partito del presidente della Camera, Fausto Bertinotti; la sinistra comunista aveva due ministri nel governo Prodi", si sfoga Orazio Licandro, responsabile dell'organizzazione del Pdci. Nel partito di Diliberto hanno suonato l'allarme: comincia così la caccia alle streghe, usando in una storia delicata e complessa di affido familiare lo spauracchio dei comunisti, "è l'anticamera della messa al bando, siamo ormai extraparlamentari e anche pericolosi. Non è fascismo? Poco ci manca". Elencati nel dossier del tribunale infatti ci sono la tessera, con il costo dell'adesione, il faccione di Che Guevara e la fede nella rivoluzione riassunta nella frase "No soy un libertador, los libertadores existen, son los pueblos quienes se liberan".
Non è fascismo?
Io dico che lo è ...ormai è chiaro!!!
Per ora hanno tolto alla madre un figlio perchè questi ha la tessera di un partito estremista più avanti allontaneranno i bambini dai comunisti perchè, come tutti sappiamo, li mangiano...(qualcuno di voi ne ha per caso mangiato uno???...)
Fascimo...
Beh, io sono vegetariana da molti anni. Non mangio nessun tipo di forma animale. Però, come persona di sinistra, per la cronaca comune, mi cibo di bambini bolliti, come direbbe un tessera P2, oggi Presidente del Consiglio.
ma i bambini bolliti...
ma i bambini bolliti perdono i sali minerali !!!
amici comunisti, che hanno esperienza in questo campo, mi hanno consigliato di assaggiare i bimbi di destra che, a parere loro, hanno la carne più tenera e morbida (scusate se vado sul pesante...ma tant'è...).
Fascismo e razzismo
Ci sono pochi dubbi nel definire la società italiana di oggi come un’ingannevole e distorta democrazia formale , con forti connotati fascisti e razzisti. L’uscita dal parlamento dei partiti di ispirazione comunista hanno facilitato e velocizzato un processo di spostamento a destra già in corso da tempo. Se ne è accorta la stampa internazionale, che ha sempre stigmatizzato il conflitto di interessi che condiziona la vita politica del nostro Paese, se n’è accorta l’Europa, che sempre più spesso esprime perplessità sull’interpretazione italiana della democrazia e delle regole comunitarie, se n’è accorto quel mondo cristiano che non è legato al potere papalino e alla sua volontà di dominio.
Due articoli dal Manifesto:
SICUREZZA
Famiglia Cristiana: «Fedeli ma autonomi»
«In Italia sta tornando il fascismo?» Mentre le polemiche infuriano, Benedetto XVI lancia l'allarme sul razzismo e la Tavola Valdese si preoccupa. Nel capoluogo ligure un ragazzo africano viene aggredito selvaggiamente da un gruppo di razzisti e la «lista nera» della xenofobia si allunga giorno dopo giorno Il nuovo editoriale: «Non vogliamo essere super partes» Dopo il papa, il «no» dei protestanti alle discriminazioni
STEFANO MILANI
ROMA
Nessuna scomunica e perciò nessuna marcia indietro. Famiglia Cristiana è impermeabile alle critiche piovutegli dall'alto, molto in alto, e va dritta per la propria strada rivendicando piena autonomia editoriale. E se il santo padre parla ai fedeli affacciato al davanzale dell'angelus domenicale, il settimanale dei paolini comunica con i suoi lettori a colpi di editoriali. Lo ha sempre fatto, ma da qualche tempo a questa parte però, ogni mercoledì è un terremoto in edicola, con la sua buona dose di polemiche. L'ultima, fresca di qualche giorno fa, dopo che il settimanale cattolico aveva bollato come «discriminatorie» molte scelte dell'esecutivo in materia di sicurezza e immigrazione. Su tutte la raccolta delle impronte digitali ai bimbi rom, avanzando il «sospetto» che in Italia «stia rinascendo il fascismo sotto altre forme». Parole dure da cui il Vaticano aveva preso immediatamente le distanze e, per bocca del proprio direttore della sala stampa padre Federico Lombardi, aveva precisato: «Non esprime la linea editoriale della Santa Sede».
CONTINUA
GENOVA
«Sporco negro», in 13 aggrediscono giovane angolano
ANDREA GANGEMI
Una serata in discoteca con un'amica e una passeggiata sul lungomare Anita Garibaldi, di Genova Nervi. Non è così semplice per Assunçao Benvindo Muteba, 24 anni, studente angolano della facoltà di Economia e commercio di Genova. Sono le tre di notte di venerdì sera, ma l'orologio sembra indietro di parecchi decenni.
«Lo sai sporco negro che puzzi? Te ne devi tornare in Africa». L'insulto arriva improvvisamente dal buio, dalle panchine dove un branco di sbandati se ne sta in agguato. E poi giù botte, calci e pugni. Ci si sono messi in tredici contro Assunçao. «Ecchimosi sulle braccia e sul corpo e un trauma cranico» dice il referto dell'ospedale San Martino, dove l'amica, una coetanea di Nervi, lo ha accompagnato a fine serata. Ma le parole fanno forse più male delle ferite. Un paio di giorni per riprendersi dallo shock, poi il ragazzo si è convinto a raccontare tutto al «Corriere mercantile» che lo aveva contattato.
Lui ha fatto di tutto per evitare di reagire: ingoiando i primi insulti, tirando dritto, facendo finta di niente. E' stata l'amica a fermarsi e rispondere: «Ma non avete vergogna...», scatenando così tutta la loro rabbia repressa. I «bianchi» hanno circondato Assunçao, prima in otto, poi ne sono arrivati altri cinque. Aiutato da un fisico atletico, lui si è difeso, fin quando ha potuto. «E' stato terribile - racconta - arrivavano colpi da ogni parte. Non riuscivo a respirare, non vedevo nulla. E poi gli insulti, terribili. Non voglio neppure ripeterli. In quel momento pensavo solo a non cadere, a rimanere in piedi. Se fossi finito a terra probabilmente adesso non sarei qui a raccontare questa storia».
CONTINUA
Venti di intolleranza anche per i giornalisti...
per fortuna che ci sono i tribunali "comunisti"...
www.articolo21.info
GIUSTIZIA E INFORMAZIONE
Il tribunale di Milano respinge la richiesta di sequestro del libro di Travaglio. Giulietti: decisione impeccabile
di Redazione
Il tribunale di Milano ha respinto la richiesta del sequestro del libro di Marco Travaglio e Peter Gomez "Se li conosci li eviti" presentata dal deputato leghista Matteo Brigandì che aveva chiesto di far sparire il volume per il suo contenuto diffamatorio. "Una decisione giusta e assolutamente inevitabile", afferma il portavoce di Articolo21 Giuseppe Giulietti. "E speriamo che serva da lezione. Quello di Travaglio e Gomez è un libro documentatissimo scritto da due autori che tra l'altro vincono tutte lo loro cause per la serietà con cui compiono la verifica delle fonti. I tribunali, francamente, piuttosto che perdere tempo con richieste di sequestri di libri dovrebbero avere il tempo di preoccuparsi dei tanti gaglioffi in libertà e di quanti cercando di picconare quello che resta dell'art.21 della Costituzione. Sarebbe stato davvero singolare se si fosse arrivati al sequestro. Tuttavia, il solo fatto che qualcuno arrivi a chiederlo ci fa capire qual è lo spirito dei tempi e che il vento di intolleranza che si è abbattuto contro Famiglia Cristiana e tanti altri dimostra che non è una vento passeggero ma che è destinato a soffiare ancora più forte nel prossimo autunno. Per quanto ci riguarda continueremo a contrastare con la massima durezza tutti i tentativi di questo genere".
Tutta la vicenda sul blog di Corrias, Gomez e Travaglio
Fascismo...
Ma come si permette la tessera ... P2, già presidente del consiglio, di usare il nome di Falcone per i soliti interessi ad personam ?!?
E’ o non è fascismo?
Due articoli – il primo tratto dal Manifesto, il secondo da Carta – sul tema degli inquietanti segnali di fascistizzazione del Paese.
UN COMUNISTA A CATANIA
Marucca Ciotta
E poi dicono che l'«opinione pubblica» non c'è più. Purtroppo c'è e non è affatto «silenziosa» come una volta si voleva la «maggioranza», e adesso fa scuola. È l'ora di quelli che applaudono il licenziamento a grappolo dei ferrovieri di Genova, catalogati tra i «fannulloni», l'esercito per le strade e la riapertura delle discariche tossiche. Di chi si esalta per l'escalation dei sindaci sceriffi che vietano tutto ai «nomadi», anche se turisti.
Questa opinione pubblica ama l'uomo forte e loda il ministro Brunetta che promette gratifiche al merito per i superefficienti in memoria dei mussoliniani regali all'«italiano perfetto». L'onda montante dell'Italia dei «cento giorni» berlusconiani - che a leggere bene Newsweek corrispondono alla domanda di un paese «povero ma brutto» - ha permesso a certi giudici di Catania di togliere alla madre un ragazzino di 16 anni perché milita nelle file di Rifondazione comunista. Una volta non si poteva dire che i comunisti erano pericolosi estremisti, neppure al bar. Adesso lo si può scrivere in una sentenza con allegata la tessera incriminata a testimonianza della pericolosa «deriva morale» del giovane, al quale la madre non saprebbe badare. I giudici lo hanno affidato al padre, che accusa il figlio, in quanto comunista, di darsi «alle droghe, all'alcool e alla vita sbandata» e che per riportarlo sulla retta via lo ha minacciato con un mattone in mano.
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IL FASCISMO POSTFORDITA
Pierluigi Sullo
[21 Agosto 2008]
Quando discutemmo, nella redazione di Carta, di come fare l’ultimo numero del settimanale prima della pausa di agosto [numero che è tuttora in edicola], tradizionalmente un numero speciale a tema, eravamo molto incerti se chiedere a noi stessi, ai nostri collaboratori e naturalmente ai lettori se il complesso dell’azione del governo disegni una sorta di fascismo. E se sì, di che tipo di fascismo si tratta: un ritorno del mai morto in camicia nera, o qualcosa di completamente nuovo. Esitavamo perché temevamo di scivolare nell’invettiva vecchio stile: l’epiteto di «fascista!», con tanto di punto esclamativo, è perfino diventato scherzoso, ha perso qualunque capacità contundente. Però da vari lati, e non solo quella della «sicurezza» o del razzismo legalizzato, ci pareva di poter tentare un raffronto tra il ventennio mussoliniano [le schede storiche sono a cura dei nostri amici della rivista Zapruder] e l’oggi.
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Lidia Ravera: il pericoloso giovane di Rifondazione
Il pericoloso giovane di Rifondazione - 22/08/08
Se non l'avessi letto sulla prima pagina del quotidiano "La Repubblica" non ci avrei creduto. E dire che non sono mai stata un'ottimista: ho sempre pensato che mi toccava vivere in un paese premoderno, un tantino feudale, facile al razzismo, rassegnato al malaffare e moderatamente orientato a destra… però che si arrivasse a questo punto, no, non me l'aspettavo. Cito il titolo: "Sedicenne tolto alla madre perché milita in Rifondazione". A tutta prima equivoco e penso che la "colpevole di comunismo" sia la madre e già mi innervosisco: anch'io sono stata, finché ho potuto, comunista, ed ero, vi assicuro, un'ottima madre. Niente gulag, tanta discussione, niente Keghebè, libertà vigilata dal buon senso, rispetto reciproco, valori condivisi, patti chiari ed educazione all'esercizio della critica. Perché a questa signora di Rifondazione levano la tutela dei figli? Ero pronta ad armare una volante rosa (ma anche un po' rossa) e marciare su Catania, dove è avvenuto il fatto, quando ho letto anche l'occhiello. "Il giudice lo affida al padre: tra le motivazioni anche quelle politiche". Dunque "il comunista", mi dico, è il ragazzino. Leggo tutto l'articolo e scopro che è stata prodotta come prova a carico dell'irresponsabilità materna "La tessera d'iscrizione a un gruppo di estremisti". Il gruppo di estremisti dove "è diffuso l'uso di sostanze alcooliche e psicotrope" (come in tutte le discoteche del mondo, anzi, sicuramente meno) si chiama "Tienanmen". Se lo ricordano quelli del Tribunale di Catania che cosa è stato "Piazza Tienanmen"? La piazza in cui centinaia di migliaia di studenti sono scesi a manifestare per strappare un po' di democrazia alla Cina comunista. Sono stati massacrati i protagonisti di quella rivoluzione civile che ha smascherato le derive totalitarie del comunismo e solo un genitore tonto o disinformato può non essere fiero che suo figlio frequenti un circolo intitolato agli eroi di piazza Tienanmen. E poi: un ragazzo di 16 anni che, in questa Italia di tifoserie armate e solitudini elettroniche, si interessa di politica, suona il basso e la chitarra e ha una "passione per il teatro" a me pare il massimo che si può desiderare in fatto di figli. La signora Agata (medico ospedaliero) può essere fiera di sé, anche perché, pur lavorando, ne ha cresciuti tre, di ragazzi. E speriamo che la sentenza venga ridiscussa. Resta una triste sensazione: a trent'anni dalla fine della Guerra Fredda, si continua ad agitare il babau comunista, fingendo di non sapere che un adolescente innamorato dell'idea comunista è solo un ragazzo più sensibile degli altri al tema della sperequazione economica, dell'ineguaglianza. I giovani migliori, come sempre, stanno nei gruppi del volontariato cattolico e nei centri sociali permeati di cultura antagonista, a sognare la bontà o la rivoluzione. È triste che, mentre i ragazzi cattolici hanno un sacco di padri potenti e plaudenti, i ragazzi di sinistra, ormai, sono soli… e possono perfino essere tolti alla propria madre. Che brutto periodo, quello che stiamo attraversando! Come si fa a uscirne? Da che parte si comincia? Tornando a scuola e restando a scuola tutta la vita, sembrano pensare al Comune di Genova, dove propongono per i dipendenti: "una pagella, ogni anno. E chi non prende almeno sette può dire addio all'incentivo" ("La Stampa"). Si tratta di una delle inziative tese a valorizzare gli impiegati scrupolosi e ad emarginare i fannulloni. In linea di massima, sarebbe anche giusto e, come Massimo Gramellini (sempre su "La Stampa"), anch'io "saluto con entusiasmo l'ondata di meritocrazia che sta per infrangersi sulle aride spiagge del Moloch pubblico" però, purtroppo, in un Paese permeato dalla cultura della raccomandazione, dello scambio di favori, dell'appartenenza familistica, di partito o di clan, è inevitabile una domanda: siamo sicuri che i premi li riceveranno davvero i migliori, e non, come da copione, quelli che è più utile premiare?
Lidia Ravera, Megachip - da l'Unità
www.lidiaravera.it
Dario Fo a Saragoza: articolo da "El pais"
Dal quotidiano “El Pais” di oggi 12 agosto:
Dario Fo reúne en un montaje las tres pasiones de su vida
Dario Fo riunisce e fonde nello spettacolo le tre passioni della sua vita.
ll Nobel in veste di pittore, attivista politico e attore in “Hace dano el aqua”
ROSANA TORRES - Zaragoza - 12/08/2008
“Hace dano el aqua” era il titolo dello spettacolo presentato dall’ottuagenario premio Nobel Dario Fo. Una nuova realizzazione creata per l’Expo di Saragozza. Si sarebbe dovuta chiamare così. Perché la scorsa domenica, nel palazzo dei Congressi della città aragonese lo stesso autore le ha cambiato nome. Il nuovo? “L’apocalisse rimandata! Benvenuta catastrofe!”
Comunque sia si tratta di una torsione acrobatica propria del teatro di Fo, fatta fondendo insieme le sue tre grandi passioni (se lasciamo fuori la moglie Franca Rame, essa stessa autrice e attrice). Con lei ha esercitato le sue attività più conosciute: pittore, attore e attivista politico (naturalmente di sinistra).
Poco dopo la fine della rappresentazione di questo collage, Fo ha riso apertamente quando ha sentito che ciò che si era visto sulla scena si supponeva essere non già un viaggio alle origini, ma piuttosto un vero e proprio ritorno all’infanzia a San Giano, dove nacque nel 1926. Lì, quando non era che un ragazzino, tracciava schizzi e li spiegava con le parole. Raccontava storie e novelle e le illustrava con i disegni.
Il suo nuovo spettacolo è in realtà questo, una personale, acida e divertita conferenza sui temi che lo preoccupano: i cambiamenti climatici, le catastrofi ecologiche… E con sottointesi attacchi contro Berlusconi (che definisce despota circondato da cortigiani paraculi) e altri potenti. Tutto questo con lo sfondo di due grandi schermi, sui quali venivano proiettati i suoi dipinti e i suoi schizzi pieni di forza e di colore.
C’è stato, come in molti spettacoli di Fo, spazio per l’improvvisazione. Così ha parlato del conflitto in Georgia (dice che la ragione di quello che è accaduto è l’oleodotto che attraversa questo paese), ha fatto accendere le luci per permettere al pubblico delle ultime file di sedersi nelle prime – “causa assenza delle autorità” – e ha dedicato lo spettacolo all’operaio morto all’Expo, pochi giorni addietro, in un incidente sul lavoro.
Ma anche quando Fo parla di tragedie, lo fa con lo stile costante della sua vita: la satira. “Nasce dalla tragedia e dal potere dell’ingiustizia”, sostiene nello spettacolo. E nondimeno dalla tradizione orale. Questo diventa occasione per ricreare la scena, saltando di qua e di là, di una possibile salvezza del pianeta di fronte all’esaurirsi dell’energia elettrica.
Col passare del tempo Dario Fo sembra tracciare il cerchio della sua stessa vita, transitando nella ricerca di territori, verso i meno anni e la minor saggezza della sua prima infanzia. Consiste in questo il libro di memorie pubblicato nel 2005: “Il paese dei mezeràt” (El país de los cuentacuentos - Seix Barral). Vi si narra dei suoi primi sette anni. E li ha definiti “i più importanti della vita”.
Vogliate scusare gli errori e le imprecisioni di traduzione. Le correzioni, le chiarificazioni e le critiche sono ben accette.
Grazie gargantua, sempre un
Grazie gargantua, sempre un piacere leggerti.
il fabio
grazie
si... grazie mille, di cuore!
grazie
un altro contributo prezioso
Chi merita i ringraziamenti
I ringraziamenti vanno a te, caro Fabio, per il tuo lavoro che ci permette di rivedere le ineguagliabili performances di Franca, e a quelli che contribuiscono con la partecipazione, con informazioni, con denunce, e con discussioni alla vita e alla vivacità di questo blog insostituibile.
E naturalmente e primariamente (credo che su questo si possa essere tutti d’accordo) i ringraziamenti spettano a Franca che, oltre a essere l’interprete delle indimenticabili opere che ci hai riproposto, è la vera “anima” di questo spazio che generosamente mette a nostra disposizione.
Un sentito, cordiale, caloroso saluto.
Abuso di potere
Scivolando sempre più in basso...
Il manifesto - 14 agosto 2008
ABUSO DI POTERE
Alessandro Robecchi
Giunto avventurosamente al potere, il dittatore dello stato libero di Bananas comunicava ai sudditi le sue prime riforme. Tra queste, l'obbligo di indossare la biancheria sopra i vestiti, e non sotto. Divertente. Ma ci scuserà Woody Allen se consideriamo la sua immaginazione superata - almeno nella repubblica delle banane che abitiamo noi - dal ministro degli interni e dai sindaci di mezza penisola.
Alle «ordinanze creative» e alla «fantasia» dei sindaci si era appellato qualche settimana fa Roberto Maroni, quello che persino una sonnacchiosa Europa dei diritti ha saputo riconoscere come un mix di malafede, xenofobia e razzismo. Ora che la fantasia è stata declinata in azione repressiva, lo scenario appare chiaro quanto grottesco. A Novara (sindaco leghista Massimo Giordano) non si può stare al parco in più di due dopo il tramonto. A Voghera non si può sedersi sulle panchine di notte. A Cernobbio se ti sposi arriva un'ispezione sanitaria a casa. A Rimini non si può bere dalla bottiglia per la strada (titolo sul Resto del Carlino: «Vietato bere dalle bottiglie anche di giorno», Woody, dilettante!). Lo stesso a Genova. A Firenze, la città del mitico assessore Cioni, è vietato agli strilloni vendere i giornali ai semafori, ma si vigila attentamente anche sui ragazzini che giocano a pallone in un parco pubblico, grave attentato alla sicurezza.
Estinti i lavavetri, la mamma dei capri espiatori è sempre incinta, e le multe serviranno a comprare nuove telecamere di controllo. A Venezia non si può girare per le calli con grosse borse. Groppello (comune di Cassano d'Adda, sindaco forzista Edoardo Sala), chiude nel giorno di ferragosto l'unica spiaggia sul fiume perché è in programma una festa di cittadini senegalesi. Motivazione: «Sicurezza del territorio, ma anche di questi immigrati, che arrivano in gran numero facendo confusione e rischiando di annegare». Come fantasia, come creatività, potrebbe bastare, ma non è che l'inizio.
L'arrivo - ci siamo - è l'immagine della prostituta nigeriana segregata e abbandonata a Parma da vigili urbani diventati secondini, privata di ogni dignità e fotografata come una bestia in gabbia. Per il nostro bene, per la nostra sicurezza, per la nostra tranquillità, piccole Abu Ghraib comunali crescono, nella certezza che le coscienze se ne faranno una ragione. La chiamano fantasia, o creatività, ma si tratta sempre della stessa cosa: un digeribile travestimento dell'abuso di potere. E infatti, che razza di fantasia ci sarebbe nel picchiare, deportare, angariare, multare, incarcerare, umiliare i più deboli? Nessuna. Inventare un'emergenza sicurezza è stato semplice, sostenerla e propagarla grazie ai media controllati dal capobanda che ha vinto le elezioni anche. Dedicarle aperture di tg e allarmati fondi sulla stampa pure. E ora? Ora che non si sa bene quale sicurezza garantire, e da che cosa, e da chi, si fa appello alla fantasia. Qualche senegalese non potrà fare il bagno nell'Adda, la prostituta nigeriana (con clienti italiani) non creerà più allarme, il paese è salvo. Fantasia. Del resto, sapete dire cos'ha trasformato il vecchio caro ed evocativo manganello in una semplice «mazzetta distanziatrice»? Sempre lei, la fantasia. La fantasia al potere. Ai tempi del colera.
assurdo...
La Follia è al potere... quella senza uscita!
Che schifo!
un progetto che riunisca - Rossana Rossanda
UN PROGETTO CHE RIUNISCA
ROSSANA ROSSANDA
Siamo a uno dei punti più bassi della nostra storia: Alberto Asor Rosa ha ragione. Siamo a una crisi intellettuale e morale degli italiani - metà dei quali hanno votato per la terza volta una banda di affaristi ex fascisti e separatisti e l'altra metà si è divisa. Occorre dunque, scrive Asor, un soggetto politico nuovo, pulito e con un'idea di nazione che guardi a sinistra e non insegua fisime comuniste. Nel documento del Crs, Mario Tronti diceva qualcosa di analogo precisando che deve essere una grande forza popolare.
Non che mi piaccia essere una fisima, ma pazienza. Però, allo stato delle cose, non vedo dove questa forza politica sia. Veltroni direbbe: ma come, quella forza sono io, e il Pd. Abbiamo il 34 per cento dei voti, non siamo una combriccola di affaristi, abbiamo un'ipotesi riformista e una moderna icona morale in Robert Kennedy, abbiamo chiuso con ogni tipo di comunismo. Già, solo che l'opposizione a Berlusconi il Partito democratico non la sta facendo. Solo che raramente si è veduto un partito di sinistra così monocratico e poco popolare, se per democratico e popolare si intende un minimo di democrazia partecipata. Solo che, per dirla tutta, che cosa sia il Pd non si è capito ancora: gli avevano dato vita la Margherita e i Ds, ma della Margherita mancano ormai Prodi e Parisi, e Rosi Bindi sembra tenere più per coerenza che per persuasione. Neanche i Ds sembrano un blocco: D'Alema giura per il Partito democratico ma la sua fondazione ha accenti alquanto diversi da quelli di Veltroni. Chi può giurare che al primo congresso questa chimera diventi un animale affidabile?
Fuori del Pd le cose non vanno meglio. La frettolosa coalizione della sinistra Arcobaleno è stata addirittura espulsa dal Parlamento, il suo proprio elettorato avendole giurato vendetta per essersi fatta trascinare nell'avventura di governo. La Sinistra democratica di Mussi ha perduto qualche foglia invece che guadagnarne. I Verdi lo stesso. Rifondazione si è spaccata in due tronconi che neppure si parlano: la maggioranza di Ferrero punta tutto sul conflitto sociale dal basso, la minoranza di Niki Vendola su una raccolta di aree radicali fra le quali quella comunista potrebbe essere una cultura fra le altre, dell'ambientalismo che è più vasto dei Verdi, del femminismo, dei movimenti.
Non vedo perciò, allo stato dei fatti, un soggetto in grado di fare fronte alla slavina di destra. Vedo una quantità di orfani che vorrebbero questo soggetto ma sui quali da diversi anni passano grandinate che li disperdono vieppiù. Ma qual è la causa delle grandinate?
Sta soltanto nella risolutezza e la sfacciataggine di Berlusconi? Non credo. La banda che ci governa ripete esattamente forme, metodi e misure di tutti gli esecutivi europei dagli anni '80: la potente spinta alla disuguaglianza, all'arricchimento di pochi, all'impoverimento dei più, cioè l'ondata neoliberista che ha seguito i «trent'anni gloriosi». È una ripresa della linea che era già stata sconfitta in Europa e negli Usa dopo gli anni '20.
Ma ora, osserva Asor, essa è già arrivata a un punto morto. Vero, ma non per la forza della sinistra. È nei guai con se stessa. Dal liberismo si oscilla al protezionismo, dal mercato unico alle guerre commerciali simili a quelle del XIXmo secolo - ecco dove stiamo ritornando. Gli Stati uniti hanno l'egemonia militare ma non più economica; questa gli è contestata dalla Cina e dall'India in poderosa crescita. E l'arroganza di Bush ha infilato la sua supremazia militare nella trappola del Medio oriente, mentre l'Europa è insabbiata in una moneta relativamente forte, in un'economia debolissima e in un'iniziativa politica pari a zero.
Questo è il quadro cui siamo davanti. Crediamo davvero che si potrà batterlo con i conflitti sociali dal basso o con l'adunata dei renitenti al veltronismo? Non lo penso. Se vogliamo non solo battere Berlusconi ma dirci dove l'Italia può andare, su quali basi si può ricostruirne una fisionomia intellettuale e morale bisognerà pur passare dalle proteste divise e poco comunicanti a un progetto capace di credibilità, persuasione e mobilitazione. Per questo non serve il Partito democratico, che del liberismo condivide gli orizzonti, né bastano le due anime di Rifondazione: la vastità dell'impegno implica una raccolta di forze che vada molto oltre la sinistra Arcobaleno e la natura dell'impresa implica una dimensione del conflitto che non si risolve dal basso. Del resto, qual è il basso della globalizzazione?
E qui torna la mia fissazione: se siamo, come credo, una tessera di una tendenza mondiale, prima di tutto ad essa dobbiamo dare un nome e di essa definire la mappa. Il nome è il capitalismo dall'ultimo quarto del Novecento agli inizi del Duemila. La mappa è quella dell'intero pianeta. Finiamo di balbettare che tutto è cambiato e perciò niente si può dire, e cominciamo a precisare che cosa questo capitalismo è diventato. Non ci sono più vittorie puramente locali contro di esso. Come i dipendenti di una fabbrica non possono battersi da soli contro la delocalizzazione dell'azienda così un paese europeo non può battersi da solo contro la recessione, quali che siano le pensate protezioniste di Tremonti. Ma quando alla crisi delle classi dirigenti si somma il caos della sinistra il rischio è di essere trascinati via tutti.
Può questo rischio trasformarsi in occasione? Questa è a mio avviso la domanda vera. Credo che sì, per l'ampiezza dei soggetti coinvolti e per la profondità non solo materiale e pecuniaria del disastro ma appunto intellettuale e morale - non è per caso che all'apatia culturale dell'Occidente ormai non si oppongano che nazionalismi o fondamentalismi.
Ma nel medio termine temo che non si possa dare una parola d'ordine rivoluzionaria, almeno nel senso che abbiamo dato a questa parola fino a poco tempo fa: l'esito del '68 dimostra quanto eravamo già arretrati e quel che è seguito all'89 impedisce anche ai più ostinati di sognare una riedizione dei socialismi reali. Ma la sofferenza sociale e l'ampiezza delle ineguaglianze sono diventate così forti da rendere fragile la stessa tenuta e coesione di ogni singolo paese. Non è con le riforme istituzionali che si può aggiustare la baracca. Potrebbe essere aggiustata, per difficile che sia, con una inversione di tendenza: un intervento che restituisca il primato alla politica piuttosto che ai meccanismi dell'economia, che dia luogo a linee di sviluppo, incluso uno «sviluppo di decrescita», che ridistribuisca la ricchezza a sfavore delle zone forti e a favore di quelle deboli, che decida il taglio dei privilegi sociali, il rilancio su un piano mondiale dei mercati interni (l'impossibilità di procedere del Wto parla chiaro).
Non sarà un'operazione indolore, ma può non essere impossibile. Chi non si ritroverebbe in questo progetto? Soltanto i boss delle stock option d'oro. Non sarà la rivoluzione, ma oggi come oggi sarebbe certamente una rivoluzione culturale.
http://www.ilmanifesto.it/argomenti-settimana/articolo_b52a0d725d0c3c93a...
Condivido in pieno!
E qui torna la mia fissazione: se siamo, come credo, una tessera di una tendenza mondiale, prima di tutto ad essa dobbiamo dare un nome e di essa definire la mappa.
Il nome è il capitalismo dall'ultimo quarto del Novecento agli inizi del Duemila.
La mappa è quella dell'intero pianeta.
Finiamo di balbettare che tutto è cambiato e perciò niente si può dire, e cominciamo a precisare che cosa questo capitalismo è diventato.
Non ci sono più vittorie puramente locali contro di esso.
Come i dipendenti di una fabbrica non possono battersi da soli contro la delocalizzazione dell'azienda così un paese europeo non può battersi da solo contro la recessione.
Aggiungerei solo che si può battere non sul piano materialista, il che è dimostrato ormai dalla storia che era una scelta perdente, ma rivoluzionando completamente gli obiettivi che non saranno più materialisti ma etici.
Ghandi diceva: sii ciò che vuoi che diventi il mondo.
ciascuno di voi non può continuare a mangiare tonno con la scusa che tanto continueranno a pescarli perchè tanto altri uomini continuano a mangiarli, voi uomini avete un arma enorme che è quella di non comprare:
se ciascuno di voi sarà eticamente convinto che l'estinzione del tonno va evitata e di conseguenza non lo comprerà più, vedrete che nessuno lo pescherà più.
Il capitalismo fa quello che voi decidete di fargli fare!
Ma vi occorre una nuova etica.
Natura
per Natura :prima la politica, poi l'economia
Scrive Rossana Rossanda : “ Non è con le riforme istituzionali che si può aggiustare la baracca. Potrebbe essere aggiustata , per difficile che sia, con un'inversione di tendenza : un intervento che restituisca il primato alla politica piuttosto che ai meccanismi dell'economia”
E' un punto cruciale; è per lo meno dal 1947 che è stato messo in atto un lavoro in parte esplicito e in parte sotterraneo, teso a portare la politica in uno stato di soggezione rispetto all'economia , ciascuno di noi vede e vive gli effetti di questa 'operazione'.
Non credo che debba recitare un 'mea culpa' , Natura, per il vitel tonné che ho preparato ieri per il mio amico Giorgio che fatica a vivere perché ammalato, credo piuttosto che ci si debba impegnare a pensare a come far saltare questa deriva aberrante per cui alimentare chi già è forte, chi già ha dei privilegi intollerabili,chi detta leggi e trattati è corretto perché costui è 'logicamente' il rappresentante dell'unico disegno politico 'credibile'. Un'orrenda confusione da cui potremo uscire solo assumendoci la responsabilità di negare sistematicamente la nostra fiducia a chi nuota in queste deformazioni.
Ciascuno di noi - che partecipa a questo blog- credo che sappia ormai a quale devastazione il mondo è stato sottoposto da parte dei magnati che per pura ossessione dell'arricchimento hanno immaginato di essere esclusi dal computo delle vittime che questa distruzione implica. Ciascuno di noi vive, respira, si nutre in un mondo nella cui 'intrinseca' bontà ha perduto la fiducia.
Riprendiamo un discorso squisitamente politico nel senso etimologico del termine.
Una donna sono finalmente daccordo con te, o quasi.
Innanzitutto sono contenta che i toni siano diversi e mi dispiace davvero per la "discussione" che è venuta fuori dai commenti alla prima lettera del personaggio Natura.
Spero che in futuro ci sia piu sintonia tra tutti.
Condivido in pieno che la politica debba tornare ad essere mossa non dall'economia ma da valori etici, il punto è questo però: quali sono questi valori oggi?
Dio è morto, Marx è morto, l'umanità si sente poco bene ma perchè?
Perchè il mondo degli uomini non è avulso dal mondo naturale e se il mondo naturale viene fatto a pezzi di conseguenza anche il mondo degli uomini crolla.
L'economia è un aspetto materialista dell'uomo e dall'economia non nasce la politica è sempre il contrario, l'economia di oggi è sbagliata perchè la politica che la supporta è sbagliata semplicemente perchè non esiste politica senza una ideologia, un dogma, una base filosofica, un obiettivo etico. E fin qui siamo daccordo anche con Rossana Rossanda.
Una nuova politica per la salvezza degli uomini può avere senza dubbi alla base innanzitutto "l'etica del rispetto del mondo naturale" poi il resto nascerà dalla fantasia dell'uomo, in cui nutro sempre una speranza, se pur debole.
P.S.: Riguardo al tonno, faresti meglio a non comprarlo e a sentirti in colpa, e te lo dico senza nessun acredine personale (lo direi a chiunque), inizia ad accettare questo piccolo rimorso e vedrai che qualsiasi altra rinuncia in nome della Natura comincerà a pesarti meno, è facile.
Ognuno nel mondo dovrebbe fare lo stesso per salvare non solo i tonni ma l'uomo stesso.
Natura
per Natura
Mi fa piacere che tu sia contenta ma credo che il rispetto e la responsabilità siano da riservare tanto all'uomo quanto alla natura, non vedo infatti come le due cose possano essere separate a favore dell'uno o dell'altra.
Mi dispiace , ma preferisco scegliere tra i tanti cibi disponibili quello che al mio amico Giorgio fa piacere mangiare anhe se si tratta di poche forchettate.Credo che un malato terminale possa esprimere il desiderio di mangiare un pochino di vitel tonné.Il mio rispondere al suo desiderio appartiene al rispetto per la sua vita così come a una mia responsabilità verso di lui.
A quali rinunce alludi?
Per Cristiana
Mi dispiace davvero che tu ancora non veda come il rispetto per la Natura sia al di sopra di qualsiasi essere umano, ma comunque non è d'obbligo che tu la veda per forza così.
Mi dispiace tantissimo per il tuo amico Giorgio e anche se non lo conosco, per favore, ti chiedo di fagli una carezza da parte mia.
Rispetto la tua scelta di accontentarlo perchè in questo caso è una "eccezione" per Giorgio, l'importante è che non diventi una regola per il resto dell'umanità che è stata più fortunata del tuo amico è questa la rinuncia a cui alludo; dico questo perchè anche io come te ho dei doveri verso una specie vivente che ha lo stesso identico diritto di vivere della specie umana e non è soltanto cibo disponibile.
Anche gli altri animali pensano, non solo l'uomo.
Natura
per Natura
L'uomo per me è un essere vivente parte della natura come qualsiasi altro essere, si nutre come tutti, piante comprese e come tutti ha bisogno di terra, sole, acqua e aria.
Grazie per la dolcezza che hai mostrato verso un ammalato.
Consigli per la lettura di Accattone
Ieri sera ho cominciato a leggere "L'apocalisse rimandata", che ho fatto comperare alla biblioteca dell' univ. di Verona, in modo che sia accessibile a tutti.
Da leggere.
Un libro che voglio consigliare a tutti è
"La strada" di Cormac McCarthy, il tema è lo stesso, trattato diversamente.
Accattone
per Accattone e per tutti
Gran bel libro quest'ultimo di Dario Fo, non ho letto 'La strada', grazie , lo cercherò.
Un altro libro che suggerisco è quello di Vandana Shiva 'Le guerre dell’acqua' pubblicato da Feltrinelli nel 2003.
Stupro a Roma
Invece di esprimere dolore e solidarietà alle due vittime di aggressione alla periferia di Roma, Alemanno ha detto: "Se due turisti vengono a Roma in bicicletta e si vanno ad accampare in un posto abbandonato da dio e dagli uomini, dopo avere chiesto consiglio su dove mettere la tenda ad un branco di pastori di immigrati, ebbene è difficile garantire loro la sicurezza"
In poche parole: se la sono cercata.
La stessa mentalità di chi pensa che è giustificato il fatto che sia aggredita una ragazza che indossa una gonna corta o che rientra magari tardi alla sera.
In realtà ognuno ha diritto di vestirsi come desidera, di tornare all'orario che è più comodo e di fare sosta dove vuole senza essere aggredito e violentato.
E un'altra cosa: il fatto che Alemanno consideri una parte del territorio al quale sovrintende "abbandonato da dio e dagli uomini" è a dir poco sconcertante.
E dire che Alemanno ha fatto della sicurezza il suo cavallo di battaglia durante la campagna elettorale e ha aspramente criticato la giunta Veltroni dopo lo stupro di una studentessa a Tor di Quinto...
avete saputo di questo fatto incredibile ?
Proteste a Termoli (Campobasso): i cittadini
hanno scattato anche delle foto, inviate a un sito locale
La linea dura dei vigili
l'ambulante nel portabagagli
di GIUSEPPE CAPORALE
TERMOLI - Un giovane ambulante extracomunitario aggredito, tenuto per il collo e trascinato sull'asfalto, lungo il corso della città. Da tre vigili urbani.
E' accaduto a Termoli, all'altezza del corso Nazionale, sabato scorso, verso sera. Testimoni dell'accaduto diversi cittadini che non solo hanno fotografato la scena con i telefonini, ma sono intervenuti in soccorso del giovane straniero, affrontando le forze dell'ordine.
La polizia municipale aveva fermato l'ambulante in quanto sprovvisto di licenza di vendita. Pare che l'extracomunitario, a quel punto, abbia opposto resistenza aggrappandosi alla merce che i vigili volevano sequestrare. Poi, secondo le prime ricostruzioni, sarebbe stato strattonato a terra e trascinato in mezzo alla strada fino all'auto dei vigili.
"Volevano caricarlo nel portabagagli" raccontano alcuni testimoni al sito internet Primonumero.it che per primo ha pubblicato le foto dei lettori indignati per l'accaduto.
"Ho assistito a una deplorevole scena di crudeltà gratuita - commenta un testimone - i vigili urbani hanno trascinato e strattonato un ragazzo di colore perché non era in possesso della licenza. Alcuni miei amici hanno scattato delle foto con il cellulare. I vigili urbani è inutile che cerchino giustificazioni poiché non è vero - come affermano - che l'ambulante ha avuto una reazione eccessiva e che li ha autorizzati ad usare violenza nei suoi confronti. Ero presente ai fatti e ho ancora nelle orecchie la voce e il pianto dell'extracomunitario che supplicava".
Il responsabile della polizia municipale Rocco Giacintucci, replica: "Non so nulla, ero in ferie. Sto apprendendo ora quanto è successo. Una cosa però è certa: se i vigili hanno agito in quel modo è perché evidentemente c'è stata una reazione spropositata del giovane. Le regole in qualche modo le dobbiamo fare rispettare. Capisco che certe scene possono apparire più o meno cruente, ma dipende dalla reazione del soggetto".
"Davvero il pericolo più grave e il rischio più grande per l'ordine pubblico per la mia città, sono i venditori abusivi?" si chiede Marcella Stampo, della cooperativa Baobab "e quand'anche fosse così, non c'è altro modo per arginare il pericolo che picchiare e portare via una persona come fosse una cosa vecchia o una carcassa di animale, chiuso in un portabagagli? Mi rallegra solo pensare che le persone presenti abbiano avvertito la stupida cattiveria dell'accaduto e abbiano protestato".
(25 agosto 2008)
http://www.repubblica.it/2008/08/sezioni/cronaca/ambulante-termoli/ambul...
E quando i vigili urbani andranno armati..
l'ho letto...
Anche a Pavia ho assistito ad un fermo della polizia municipale di un ragazzo (sui 16/18 anni) che al parcheggio vendeva le solite robe (fazzoletti di carta, accendini ecc.). Faccio notare che , fino a pochi giorni fa, nel parcheggio c'erano molti extracomunitari e che quindi erano tollerati". Mi sono fermata per vedere cosa i due vigili facevano. Pronta ad intervenire a protestare nel caso lo trattassero male. Con sta roba della sicurezza, ho paura che le forze dell'ordine non rispettano le persone (esagero?). Beh...ho assistito un pò nascosta per mezz'ora e poi sono andata via. Gli hanno chiesto i documenti, hanno telefonato alla centrale e poi chissà cosa. Ripeto dopo mezz'ora erano ancora lì dietro a questo pericolosissimo criminale!!! E' assurdo tutto!!!
Non avevano nient'altro da fare?
E non dimentichiamo che a Roma i vigili urbani gireranno armati di pistola...
Ma chi stabilisce e chi garantisce che hanno la preparazione psicologica per maneggiare un'arma? che sappiano quando davvero usarla? se già quelli non armati trattano in modo violento e abusando della loro carica un povero ambulante immagino con terrore quello che potrebbe succedere se fossero armati!!!
A me sta roba di andare in giro armati, dell'esercito ecc. mi fa tanta paura...mi dà tanta insicurezza...
E poi siamo sempre lì..dovrebbero colpire gli sfruttatori non gli sfruttati!!! I caporali non i poveracci che per mangiare accettano orari disumani e illegali!!! I magnacci e non le prostitute!(ma su sta roba dei magnacci e prostitute, magari di alto bordo, abbiamo qualche illustre esempio...)
Gli scafisti e chi c'è dietro di loro e non la povera gente che scappa dal proprio paese nella speranza di migliorare la propria esistenza!
Dovrebbero fare in modo che nessuno viva in una miseria tale che deve chiedere l'elemosina o per mangiare deve rovistare tra la spazzatura!!!
E' un'idea di sicurezza, di ordine e pulizia estremamente ipocrita!!!
Strade e piazze pulite, nessun accattone, nessuna prostituta, nessun vù cumpra...l'importante è non vederli..è fingere che non esistono...e magari allora ci illudiamo che la società va meglio!
Mentre i responsabili veri, importanti non vengono colpiti anzi, in certi casi, sono eletti e ricoprono alte cariche e hanno l'impunità garantita!
Il cambio di direzione a L'Unità
Il Pd ormai per me è andato...attualmente chiamarlo forza di opposizione è assurdo...E mi pare che abbia dei comportamenti a dir poco schizofrenici (con rispetto parlando degli schizofrenici). Come, invita Bossi e i leghisti, applaude Frattini e nello stesso tempo va in giro per l'Italia con il pullmann a raccogliere le firme contro questo governo??? Ancora non ho capito quale linea vogliono adottare. Anche per me l'opposizione è una e non si fa solo raccogliendo firme contro ma presentando dei programmi concreti, alternativi a quello che fa la maggioranza non mischiandosi con essa, "annacquando". E' una linea ambigua e poco coraggiosa.
Il cambio di direzione a L'Unità è a dir poco sospetto anche perchè non c'è giustificazione per un simile gesto. Si parla di scarsa multimedialità di Padellaro...ma che vuol dire? Questo cambio fa pensare all'allontanamento di Furio Colombo avvenuto nel 2005...
Per me è una questione di linea. L'Unità ha con Colombo e Padellaro assunto una linea autonoma dal partito e quindi libera, critica che a Veltroni e al suo entourage non fa assolutamente piacere..
Spero davvero che all'Unità non cambi nulla, che Travaglio e altre voci indipendenti possano continuare a scriverci...ma non ho molta fiducia...staremo a vedere.
L'editoriale di Concita De Gregorio
Sarà per l'età ma mi sono emozionata leggendolo.
Se è vero che "il buon giorno si vede dal mattino" questo editoriale fa ben sperare.
www.unità.it
Il nostro posto
Concita De Gregorio
Sono cresciuta in un Paese fantastico di cui mi hanno insegnato ad essere fiera. Sono stata bambina in un tempo in cui alzarsi a cedere il posto in autobus a una persona anziana, ascoltare prima di parlare, chiedere scusa, permesso, dire ho sbagliato erano principi normali e condivisi di una educazione comune. Sono stata ragazza su banchi di scuola di città di provincia dove gli insegnanti ci invitavano a casa loro, il pomeriggio, a rileggere ad alta voce i testi dei nostri padri per capirne meglio e più piano la lezione. Sono andata all’estero a studiare ancora, ho visto gli occhi sbigottiti di coloro a cui dicevo che se hai bisogno di ingessare una frattura, nei nostri ospedali, che tu sia il Rettore dell’Università o il bidello della Facoltà fa lo stesso, la cura è dovuta e l’assistenza identica per tutti. Sono stata una giovane donna che ha avuto accesso al lavoro in virtù di quel che aveva imparato a fare e di quel che poteva dare: mai, nemmeno per un istante, ho pensato che a parità di condizioni la sorte sarebbe stata diversa se fossi stata uomo, fervente cattolica, ebrea o musulmana, nata a Bisceglie o a Brescia, se mi fossi sposata in chiesa o no, se avessi deciso di vivere con un uomo con una donna o con nessuno.
Ho saputo senza ombra di dubbio che essere di destra o di sinistra sono cose profondamente diverse, radicalmente diverse: per troppe ragioni da elencare qui ma per una fondamentale, quella che la nostra Costituzione – una Costituzione antifascista - spiega all’articolo 2, proprio all’inizio: l’esistenza (e il rispetto, e il valore, e l’amore) del prossimo. Il “dovere inderogabile di solidarietà” che non è concessione né compassione: è il fondamento della convivenza. Non erano mille anni fa, erano pochi. I miei genitori sapevano che il mio futuro sarebbe stato migliore del loro. Hanno investito su questo – investito in educazione e in conoscenza – ed è stato così. È stato facile, relativamente facile. È stato giusto. Per i nostri figli il futuro sarà peggiore del nostro. Lo è. Precario, più povero, opaco.
Chi può li manda altrove, li finanzia per l’espatrio, insegna loro a “farsi furbi”. Chi non può soccombe. È un disastro collettivo, la più grande tragedia: stiamo perdendo la fiducia, la voglia di combattere, la speranza. Qualcosa di terribile è accaduto negli ultimi vent’anni. Un modello culturale, etico, morale si è corrotto. La politica non è che lo specchio di un mutamento antropologico, i modelli oggi vincenti ne sono stati il volano: ci hanno mostrato che se violi la legge basta avere i soldi per pagare, se hai belle le gambe puoi sposare un miliardario e fare shopping con la sua carta di credito. Spingi, salta la fila, corrompi, cambia opinione secondo la convenienza, mettiti al soldo di chi ti darà una paghetta magari nella forma di una bella presidenza di ente pubblico, di un ministero. Mettiti in salvo tu da solo e per te: gli altri si arrangino, se ne vadano, tornino a casa loro, crepino.
Ciò che si è insinuato nelle coscienze, nel profondo del Paese, nel comune sentire è un problema più profondo della rappresentanza politica che ha trovato. Quello che ora chiamiamo “berlusconismo” ne è stato il concime e ne è il frutto. Un uomo con un potere immenso che ha promosso e salvato se stesso dalle conseguenze che qualunque altro comune cittadino avrebbe patito nelle medesime condizioni - lo ha fatto col denaro, con le tv che piegano il consenso - e che ha intanto negli anni forgiato e avvilito il comune sentire all’accettazione di questa vergogna come fosse “normale”, anzi auspicabile: un modello vincente. È un tempo cupo quello in cui otto bambine su dieci, in quinta elementare, sperano di fare le veline così poi da grandi trovano un ricco che le sposi. È un tempo triste quello in cui chi è andato solo pochi mesi fa a votare alle primarie del Partito Democratico ha già rinunciato alla speranza, sepolta da incomprensibili diaspore e rancori privati di uomini pubblici.
Non è irrimediabile, però. È venuto il momento di restituire ciò che ci è stato dato. Prima di tutto la mia generazione, che è stata l’ultima di un tempo che aveva un futuro e la prima di quello che non ne ha più. Torniamo a casa, torniamo a scuola, torniamo in battaglia: coltivare i pomodori dietro casa non è una buona idea, metterci la musica in cuffia è un esilio in patria. Lamentarsi che “tanto, ormai” è un inganno e un rifugio, una resa che pagheranno i bambini di dieci anni, regalargli per Natale la playstation non è l’alternativa a una speranza. “Istruitevi perché abbiamo bisogno di tutta la vostra intelligenza”, diceva l’uomo che ha fondato questo giornale. Leggete, pensate, imparate, capite e la vita sarà vostra. Nelle vostre mani il destino. Sarete voi la giustizia. Ricominciamo da qui. Prendiamo in mano il testimone dei padri e portiamolo, navigando nella complessità di questo tempo, nelle mani dei figli. Nulla avrà senso se non potremo dirci di averci provato.
Questo solo posso fare, io stessa, mentre ricevo da chi è venuto prima di me il compito e la responsabilità di portare avanti un grande lavoro collettivo. L’Unità è un pezzo della storia di questo Paese in cui tutti e ciascuno, in tempi anche durissimi, hanno speso la loro forza e la loro intelligenza a tenere ferma la barra del timone. Ricevo in eredità - da ultimo da Furio Colombo ed Antonio Padellaro – il senso di un impegno e di un’impresa. Quando immagino quale potrebbe essere il prossimo pezzo di strada, in coerenza con la memoria e in sintonia con l’avvenire, penso a un giornale capace di parlare a tutti noi, a tutti voi di quel che anima le nostre vite, i nostri giorni: la scuola, l’università, la ricerca che genera sapere, l’impresa che genera lavoro. Il lavoro, il diritto ad averlo e a non morirne. La cura dell’ambiente e del mondo in cui viviamo, il modo in cui decidiamo di procurarci l’acqua e la luce nelle nostre case, le politiche capaci di farlo, il governo del territorio, le città e i paesi, lo sguardo oltreconfine sull’Europa e sul mondo, la solidarietà che vuol dire pensare a chi è venuto prima e a chi verrà dopo, a chi è arrivato da noi adesso e viene da un mondo più misero e peggiore, solidarietà fra generazioni, fra genti, fra uguali ma diversi. La garanzia della salute, del reddito, della prospettiva di una vita migliore. Credo che per raccontare la politica serva la cronaca e che la cronaca della nostra vita sia politica. Credo che abbiamo avuto a sufficienza retroscena per aver voglia di tornare a raccontare, meglio e più onestamente possibile, la scena. Credo che la sinistra, tutta la sinistra dal centro al lato estremo, abbia bisogno di ritrovarsi sulle cose, di trovare e di dare un senso al suo progetto. Il senso, ecco. Ritrovare il senso di una direzione comune fondata su principi condivisi: la laicità, i diritti, le libertà, la sicurezza, la condivisione nel dialogo. Fondata sulle cose, sulla vita, sulla realtà. C’è già tutto quello che serve. Basterebbe rinominarlo, metterlo insieme, capirsi. Aprire e non chiudere, ascoltarsi e non voltarsi di spalle. È un lavoro enorme, naturalmente. Ma possiamo farlo, dobbiamo. Questo giornale è il posto. Indicare sentieri e non solo autostrade, altri modi, altri mondi possibili. Ci vorrà tempo. Cominciamo oggi un lavoro che fra qualche settimana porterà nelle vostre case un quotidiano nuovo anche nella forma. Sarà un giornale diverso ma sarà sempre se stesso come capita, con gli anni, a ciascuno di noi. L’identità, è questo il tema. L’identità del giornale sarà nelle sue inchieste, nelle sue scelte, nel lavoro di ricerca e di approfondimento che - senza sconti per nessuno - sappia spiegare cosa sta diventando questo paese; nelle voci autorevoli che ci suggeriscano dove altro sia possibile andare, invece, e come farlo. Sarà certo, lo vorrei, un giornale normale niente affatto nel senso dispregiativo, e per me incomprensibile, che molti danno a questo attributo: sarà un normale giornale di militanza, di battaglia, di opposizione a tutto quel che non ci piace e non ci serve. Aperto a chi ha da dire, a tutti quelli che non hanno sinora avuto posto per dire accanto a quelli che vorranno continuare ad esercitare qui la loro passione, il loro impegno. Non è qualcosa, come chiunque capisce, che si possa fare in solitudine. C’è bisogno di voi. Di tutti, uno per uno. Non ci si può tirare indietro adesso, non si deve. È questa la nostra storia, questo è il nostro posto.
Flores d'Arcais : l'Unità di Concita
Paolo Flores d’Arcais: “L’Unità” di Concita e il dovere dell’ingenuità critica
In politica, perfino più che nella vita, credo sia giusto attenersi al principio di ingenuità: se mancano elementi in contrario, assumere come dato di partenza la sincerità e la serietà di ogni interlocutore e delle sue promesse. Credo sia giusto moralmente (non vorrebbe essere trattato così ciascuno di noi?), ma sia anche saggio, perché realistico (la diffidenza programmatica è tipica dell’insicuro che preferisce gli yes-men, da cui sarà puntualmente fregato). Si tratta, ovviamente, di una ingenuità metodologica e consapevole, dunque di un atteggiamento critico ancor più esigente, che prende terribilmente sul serio ogni affermazione di valore dell’interlocutore, e su di essa è in diritto (in dovere) di giudicare le sue azioni.
I propositi di giornalismo militante che Concita De Gregorio ha affermato nel suo primo editoriale da nuovo direttore di “l’Unità” sono perciò molto più che apprezzabili, molto più che “ottimi e abbondanti”: sono condivisibili al 101%. La difesa intransigente della Costituzione repubblicana e dei suoi valori, per cominciare, sottolineandone il carattere essenzialmente antifascista (chi lo fa più, in concreto, nel Pd, visti gli “hurrà!” veltroniani alle commissioni bipartisan di Alemanno, uno che ha un pedigree invidiabile in fatto di neo-fascismo, non di antifascismo?). E il berlusconismo bollato come “disastro collettivo”, come “la più grande tragedia”, la corruzione di quel “modello culturale ed etico” promesso dalla Costituzione e che solo in parte (grazie anche alla spinta del ’68 studentesco e operaio: una dimenticanza generazionale, speriamo) cominciava a realizzarsi (cosa altro è “mani pulite” se non il primo tentativo sistematico e riuscito di applicare il principio che “la legge è eguale per tutti”?). Una descrizione, quella che Concita fa del berlusconismo, che illustra perfettamente l’idea che MicroMega sostiene da molti anni, di un regime capace solo di ridurre l’Italia a macerie morali, culturali, politiche, sociali, istituzionali. Scrive infatti Concita: “ci hanno mostrato che se violi la legge basta avere soldi per pagare, se hai belle gambe puoi sposare un miliardario e fare shopping con la sua carta di credito. Spingi, salta la fila, corrompi, cambia opinione secondo la convenienza, mettiti al soldo di chi ti darà una paghetta magari nella forma di una bella presidenza di ente pubblico, di un ministero”. E’ detto benissimo. Sembrano (anzi sono) le voci di piazza san Giovanni 14 settembre 2002 o di Piazza Navona luglio 2008, appena ieri. “Berlusconi… ha forgiato e avvilito il comune sentire all’accettazione di questa ‘vergogna’ come fosse normale, anzi auspicabile: un modello vincente”, e questo grazie al suo “denaro e alle tv che piegano il consenso”. Cos’altro si può aggiungere, di più “giustizialista” a 24 carati? E fra i valori che deve ritrovare la sinistra Concita mette addirittura la laicità al primo posto. Davvero, cosa c’è di diverso da Piazza san Giovanni e Piazza Navona?
E come risposta giornalistica a queste macerie, l’impegno alla cronaca rigorosa, senza guardare in faccia a nessuno, insomma il rispetto e anzi il culto per quelle che Hannah Arendt chiamava “le modeste verità di fatto” e che indicava come antidoto primo alle derive totalitarie. E che oggi nel giornalismo latitano (“La scomparsa dei fatti” è non a caso il titolo di un libro di Marco Travaglio). E la striscia rossa con una frase di Antonio Gramsci, che suona anatema per il Pd “dialoghista” e in perenne sindrome del “bacio della pantofola”: “Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani”.
Insomma, a prendere alla lettera l’editoriale, come giusto e doveroso, sembra davvero che Concita De Gregorio abbia in mente proprio quel quotidiano che, oltretutto, è l’unico ad avere uno spazio di mercato: i valori dei democratici coerenti, che negli ultimi anni hai ritrovato nelle piazze dei movimenti e in qualche voce, rivista, editorialista isolati, e il giornalismo-giornalismo delle verità di fatto, sempre scomode per governo e establishment.
Nella lucidità e consapevolezza, che diamo per scontate in primo luogo presso Concita, che il percorso con cui si è arrivati alla sua nomina (e del resto quello con cui qualche anno fa fu estromesso Furio Colombo e sostituito con Antonio Padellaro) tutto è stato meno che trasparenza, e lascia aperti tutti gli interrogativi che proprio sull’Unità Furio Colombo e Marco Travaglio – ai quali l’editoriale di Concita appassionatamente chiede di continuare nel loro impegno al giornale – hanno ricordato nei giorni scorsi.
Siamo dunque tra i tanti, tantissimi spero, che seguiremo con ingenuità critica partecipe i prossimi giorni dell’Unità. Perché se c’è qualcosa che distingue un democratico, e di cui il berlusconismo è invece la negazione assoluta, è la coerenza tra le parole e i fatti. Quella serietà morale che manca all’Italia di oggi, e a gran parte del suo giornalismo.
(27 agosto 2008)
http://temi.repubblica.it/micromega-online/lunita-di-concita-e-il-dovere...
Bellissimo!
Lo condivido in pieno! Anch'io, nel mio piccolo, sarò tra quelli che seguirà con "ingenuità critica partecipe i prossimi giorni dell'Unità".
Grazie!
Pose razziste ?
www.unità.it
Il fronte del video
Pose razziste
Maria Novella Oppo
L’intervista davanti ai cancelli della fiat, a fine estate, è un classico dei tg. Tanto più che anche quest'anno si parla di cassa integrazione. E gli operai ormai ci sono abituati; alla cassa integrazione, come alle telecamere. Disinvolti anche nel guardare al futuro, parlano come se non avessero fatto altro nella vita che prepararsi a rilasciare dichiarazioni. Invece, in tutto il resto della vita hanno dovuto prepararsi ad affrontare nuovi tagli di salario, vecchio e nuovo sfruttamento. Del tutto inedite, invece, le immagini, pure mostrate dal Tg3, dei vigili di Termoli che trascinano un ragazzo del Bangladesh sull'asfalto e lo costringono chissà perché nel bagagliaio di un'auto. Secondo il sindaco (che non è bravo come gli operai Fiat a rilasciare dichiarazioni) non è vero niente, ma le foto sono lì a smentirlo. A meno che i vigili non si siano messi in posa davanti ai passanti, per far vedere a chi ci governa che non hanno bisogno di pistoloni o altre armi di costrizione di massa, per essere razzisti abbastanza.
L'opposizione - Furio Colombo
L'opposizione
25/08/08
L´Unità cambia. Uno non può sapere che cosa viene dopo, ma questa è la normale condizione umana. Sappiamo quello che è successo prima, lo abbiamo letto nell´editoriale di Padellaro e nel comunicato dell´Editore.
Molti diranno grazie a Padellaro (io lo faccio di cuore) con l'amicizia solidale di tutti questi anni, da l´Unità morta alla sua clamorosa rinascita e tenuta, unica nella storia dell´editoria, unico il lavoro che Padellaro, prima insieme, poi da solo (e con tutta la redazione, la più straordinaria che avremmo mai sognato di trovare in un giornale che era stato dichiarato finito) ha saputo fare. E noi - Padellaro e io - siamo fra coloro che danno il benvenuto e un augurio davvero sentito al nuovo direttore Concita De Gregorio.
A coloro che, amando o stimando questo giornale, si domandano che cosa sta succedendo e perché, cerco di offrire una interpretazione che a me sembra corretta della vicenda: sono due storie diverse.
Una è l´arrivo di una nuova solida proprietà e l´arrivo, contestuale, della nuova direzione. Bene arrivata. L´altra è l´uscita di Antonio Padellaro, voluta come se fosse una necessità. Quale necessità? E motivata come? Qui c´è uno spazio vuoto. Il giornale non era in pericolo e non versa in cattive acque. La redazione è tutta al suo posto e lavora bene. C´è un grado di armonia e di solidarietà raro nei giornali italiani. Allora? Allora c´è tutto per far bene, passato, redazione, firme, rapporti internazionali. Abbiamo riaperto una storia che sembrava finita, abbiamo fatto diventare questo giornale un luogo piuttosto vivace.
Ripeto, i percorsi sono due, è bene non confonderli. Arriva un nuovo direttore e, garantisce il suo passato, farà bene. Ma quale è la ragione per cui è stato detto arrivederci e grazie al direttore che ha tenuto ben ferma in questi anni la rotta difficile e felice di questo giornale di opposizione? Non è rispettoso, e neppure ragionevole, immaginare che tutto ciò accada affinché il giornale non sia più di opposizione. E sarebbe altrettanto azzardato affermare che farà una opposizione diversa. Quante opposizioni ci sono?
Ma se qualcuna di queste ombre avesse anche una minima consistenza, come non nutrire il sospetto (vedete come è mite la parola) che alcuni di noi siano parte del problema, e non della soluzione del problema, se il problema è davvero l´opposizione?
C´è un´altra questione. Berlusconi e il suo potere mediatico totalitario sono sempre sul fondo di ogni questione italiana, specialmente se riguarda l´informazione. Però non è Berlusconi ad aver detto «grazie, Padellaro, va bene così». E anche «grazie, Unità, ma sempre la stessa musica ci ha stufato». Mi sembra più ragionevole pensare che tutto ciò sia nato nell´ambito del Partito Democratico. Si sentiva sfasato rispetto all´ Unità (o, viceversa, «un giornale che non ci rappresenta»)? Se è così il problema che ha di fronte a sé il nuovo direttore non è facilissimo: fare una cosa che non è il Foglio , che non è il Riformista , che non è Europa , che non è l´Unità di adesso, e, ovviamente, non è né il manifesto né Liberazione . Auguri, davvero.
Ma se è così, resta da spiegare tutto questo silenzio nell'ambito del Pd. Quale sarà stata la ragione, discrezione, cautela, segretezza, a consigliare di non dire una sola parola ad alcuno degli interessati, compresi quelli che, come me, sono lì a un passo, in Parlamento?
Come vedete, nessuna di queste questioni riguarda la persona cui tocca il nuovo mandato. Ma se questo fosse un giornale a fumetti, si vedrebbe un fumetto grande come una casa con un vistoso punto interrogativo sulla testa. Spiace non sapere dove indirizzare la domanda. Ma più ci si pensa e più sei costretto a inquadrarla dentro la storia del Pd (anche il Pd comincia ad avere una storia), non dell´editore.
Forse uno spunto di ottimismo potrebbe essere questo: finalmente il Pd comincia a prendere decisioni. Forse non è la prima decisione che dodici milioni di italiani che hanno votato centrosinistra si aspettavano, mandare a casa Padellaro, e con lui, fatalmente, qualche firma della Unità rinata, della serie rifondata dopo la fondazione di Gramsci. A questo punto non resta che vedere come la situazione si ambienterà con le altre decisioni del prossimo futuro. Qual è la linea del più grande partito di opposizione che più si armonizza con questo deliberato e netto gesto di «discontinuità» (per usare una delle parole chiave della politica. L´altra sarebbe, se Padellaro ed io parlassimo politichese, chiederci - come Chiamparino - "ma noi siamo una risorsa?")?
Certo il momento è strano. Ti muovi in un paesaggio da fantascienza popolato di mutanti. A Milano il più importante simbolo istituzionale del Pd, il presidente della Provincia Penati, improvvisamente dichiara: «Con la Lega Nord è possibile fare un lavoro importante per Milano». E noi che pensavamo che la Lega Nord fosse impegnata soprattutto a sfrattare le Moschee e a proibire luoghi di preghiera per gli immigrati islamici. A Firenze la prima Festa Nazionale del Partito Democratico è dedicata a Bossi, Tremonti, Bondi, Fini, Matteoli, Frattini, Maroni. Praticamente tutto il governo che già domina tutte le televisioni. Prima di giudicare il senso politico c´è da domandarsi, in senso elementare e prepolitico: perché? Una Festa di partito costa, e costa ancora di più per un partito lontano dal potere e dai benefici del potere. Perché il nostro ospite d´onore deve essere Bossi, invece del giovane angolano picchiato a sangue da un branco di ragazzi italiani a Genova? Perché dobbiamo festeggiare Tremonti invece di ascoltare il macchinista delle Ferrovie dello Stato licenziato per avere fatto sapere che il treno Eurostar che stava manovrando, si è spezzato (e per fortuna non c´erano passeggeri)? Perché invitare Maroni invece di Xavian Santino Spinelli, il Rom italiano docente universitario, che rappresenta la sua gente (dunque anche la nostra: i Rom sono in buona parte italiani), ma rappresenta soprattutto i bambini forzati al trauma delle impronte digitali? Perché tutti in piedi per Frattini invece di accogliere cittadini osseti e georgiani, testimoni di una breve, sporca guerra di cui ancora sappiamo nulla, se non che uno dei protagonisti spietati, Putin è il miglior amico di Berlusconi ? Perché avere sul palco Matteoli invece dei lavoratori dell´Alitalia, che avrebbero dato voce alla paura del loro futuro, reso ormai quasi impossibile dalla falsa promessa (capitali italiani, forse anche capitali dei suoi figli) del candidato Berlusconi?
Ma la danza dei mutanti continua. Mi devo rendere conto che il maggiore partito di opposizione, di cui sono parte, produce tutto in casa, con una autonomia che sarebbe sorprendente se non fosse come un autobus che salta la fermata lasciando a terra la folla dei viaggiatori in attesa. Il più grande partito di opposizione produce da solo il dialogo, benché Berlusconi attraversi la scena pronunciando frasi altezzose e insultanti. Benché alzi ogni giorno il prezzo di un ambito contatto con lui. Il Pd produce da solo una cordiale collaborazione con la Lega , nonostante la caccia agli immigrati, il reato di clandestinità, le botte ai «negri», l´orina di maiale (iniziativa di Calderoli) sul terreno in cui si doveva costruire una Moschea, la proclamazione fatta da Borghezio - in occasione delle Olimpiadi - della superiorità della razza padana (parlava della nuotatrice Pellegrini come di una mucca). Invita e festeggia Bossi proprio quando lui dice (ripetendo con sempre maggiore frequenza la minaccia): «O si fa il federalismo come dico io o il popolo passerà alla maniere spicce».
Produce da solo una certa ostilità verso giudici, una denuncia quasi quotidiana del «giustizialismo» (sarebbero coloro che sostengono il diritto dei giudici di non essere insultati e di non essere costretti al silenzio). Dice Luciano Violante a La Stampa (22 agosto) che i magistrati «conducono una battaglia di solo potere». Sono gli stessi magistrati definiti «dementi» dal primo governo Berlusconi e «cloaca» dal presente titolare di Palazzo Chigi. Ma a quanto pare la volontà di dialogo supera questi dettagli. Si forma una cultura che trova normale lo «stato di emergenza» che ha indotto a far presidiare le strade delle città italiane dai soldati come se fossero in Pakistan, trova normale che Berlusconi si vanti di avere parlato 40 minuti con Putin senza far sapere al Paese o almeno al Parlamento una sola parola di quel suo dialogo (finalmente dialoga con qualcuno). E trova normale che - mentre scoppia la guerra in Georgia che potrebbe contrapporre Stati Uniti e Russia, Nato e impero di Putin (e di Sardegna)- il ministro degli Esteri resti in vacanza mentre i suoi colleghi europei si incontrano in una riunione di emergenza. O forse è stato un grande, scoperto favore all´ amico Putin (dimostrare che la crisi non era così grave), tanto e vero che il ministro Frattini riferirà al Parlamento (Commissioni estere Camera e Senato) soltanto il 24 agosto, dopo avere partecipato alla Festa del Partito democratico come ospite d´onore. Si forma una cultura, abbiamo detto, fatta di buone maniere e di acquiescenza al governo, sia pubblico (Berlusconi) che privato (Mediaset).
Questo spiega la necessità che sia Enrico Mentana a intervistare Veltroni in un grande incontro finale a conclusione della Festa del Pd. E spiega l´annuncio di Lilli Gruber, deputata europea di primo piano e importante giornalista italiana: sarà Berlusconi a scrivere la prefazione del suo nuovo libro sulle donne dell´Islam. Chi altro? Con l´aria che tira è già una conquista democratica che quella prefazione non sia stata commissionata a Borghezio.
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Mi ha colpito la notizia che alla Festa del Partito democratico di Firenze ci saranno collegamenti con la «Convention» del Partito Democratico americano di Denver. Spero che spiegheranno perché, a quella festosa assemblea di militanti politici di opposizione, non sia stato invitato e applaudito e festeggiato, per un bel dialogo, il vicepresidente Cheney, l´uomo delle false prove della guerra in Iraq. O qualche "neo-con" di rilievo, di quelli che amano Guantanamo e le maniere forti.
Qualcuno - spero - spiegherà che gli americani, nel loro Partito Democratico, sono un po´ più rozzi degli italiani: quando fanno opposizione, fanno opposizione. E quando vogliono essere eletti contro qualcuno che - secondo loro - ha fatto danno al Paese, prendono le distanze, dicono cose diverse, invitano e ascoltano le loro migliori voci, quelle più vibranti e appassionate, non quelle dei Repubblicani che intendono sconfiggere.
Inoltre sanno - ma forse anche questo è un segno della loro cultura elementare - che i loro leader non si fanno intervistare dai giornalisti della Fox Television , alcuni bravissimi ma tutti di destra. In tanti vanno alla convenzione democratica, scrittori, registi, celebrità delle grandi università e dello spettacolo. Ma sono tutti testardamente democratici. Vanno tutti per parlare di pace, non di guerra, di poveri, non di ricchi, di affamati del mondo e di crisi del pianeta, di bambini da salvare e di medicine salva-vita di cui bisogna abbattere i prezzi. Certo, l´ America non è un Paese perfetto. Anche là ci sono tanti Giovanardi e tante Gelmini. Ma (a differenza di quanto avviene nell´altra festa del Pd italiano, quella di Modena) i democratici americani non li invitano. Saranno primitivi ma (se starà bene) vogliono Ted Kennedy. E se Ted Kennedy starà bene dirà tutto quello che pensa con l´irruenza che l´America democratica ammira da mezzo secolo, e che da noi si chiama "politica urlata" e irrita molto persino Ritanna Armeni, ma solo se è "politica urlata" di sinistra.
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Ecco le ragioni del mio disorientamento nel Partito Democratico che ho contribuito a creare partecipando anche alle primarie («Sinistra per Veltroni») e nel quale adesso non so dove mettermi, perché ogni spazio è occupata da un ministro ombra che intrattiene la sua educata, amichevole conversazione col ministro-ministro. Ognuno di essi (i ministri-ministri) è occupato a prendere impronte, a presidiare le strade italiane con l´esercito, a insultare i giudici. Ma comunque appaiono come statisti mai smentiti e sempre in grado di incassare apprezzamenti (oltre che inviti alle nostre Feste) e di dire l´ultima parola in ogni radio e in ogni televisione. La descrizione perfetta è di Nadia Urbinati ( la Repubblica , 20 agosto) «Questa Italia assomiglia a una grande caserma, docile, assuefatta, mansueta. Che si tratti di persone di destra o di sinistra, la musica non sembra purtroppo cambiare: addomesticati a pensare in un modo che sembra diventato naturale come l´aria che respiriamo. Come bambini siamo fatto oggetto della cura di chi ci amministra. E come bambini bene addomesticati diventiamo così mansueti da non sentire più il peso del potere. È come se, dopo anni di allenamento televisivo, siamo mutati nel temperamento e possiamo fare senza sforzo quello che, in condizione di spontanea libertà, sarebbe semplicemente un insopportabile giogo».
Quanto sia esatto ciò che scrive Urbinati lo dimostra questa e-mail appena ricevuta: «Attento, alla sua età è pericoloso agitarsi. Ma comunque la sua perdita nessuno la noterebbe, insignificante comunista. Si spenga serenamente come giornalista e scribacchino. L´umanità e l´Unità le saranno grate eternamente».
Curiosamente la e-mail mi è giunta mentre una collega - che preparava un pezzo sul cambiamento in questo giornale -, mi chiedeva: «Ma temi la normalizzazione de l´Unità? ».
La mia risposta meravigliata è stata che a me questa Unità appare un giornale normale. Un normale, intransigente, preciso giornale di opposizione. La storia del suo e del nostro futuro è tutta qui, fra questa «normalità», la descrizione di Nadia Urbinati e la e-mail che ho trascritto e che offre una bella testimonianza del ferreo contenitore culturale in cui ci hanno indotti a vivere. Non resta che attendere il nuovo giornale.
Furio Colombo
Da L'Unità