I compensi degli amministratori nelle società pubbliche

Fonte www.report.rai.it, servizio di Giovanna Boursier andato in onda 22.10.06

 

Stipendi altissimi, buonuscite milionarie

  Le più grandi aziende pubbliche italiane sono l'Enel, Poste Italiane, L’Anas, Ferrovie Dello Stato, Alitalia.

  Il numero di membri minimo nel consiglio d'amministrazione previsto dalla legge è 3.

 

   Alle poste i consiglieri sono 11, alla Rai 9, Alitalia e Ferrovie 5, all’ Eni sono in 12, all’Enel 9. Ogni azienda ha, inoltre, delle società controllate e, se si fanno le somme, i consiglieri diventano un numero esagerato: Poste 111, Rai 197, Enel 165, Ferrovie 316.

  Il consiglio di amministrazione di Enel costa complessivamente 2 milioni e 800mila euro, ma il costo può crescere se vengono raggiunti determinati risultati di gestione.

  Nel 2005 il costo del consiglio di amministrazione è aumentato fino a 15 milioni 830mila euro perché l’Amministratore Delegato Paolo Scaroni se n'è andato portandosi via 9 milioni e mezzo di euro. Tra parentesi, vantiamo le bollette più care d’Europa e sulle fonti alternative non abbiamo fatto nulla. Il solare è fermo a 8 mq ogni 1000 abitanti, mentre la media dei paesi europei è di 34, l’eolico e' ancora pari a un ottavo della Spagna e un sesto della Germania. Inoltre, Scaroni ha venduto impianti, aziende ed immobili arricchendo l’azionista e impoverito l’Enel non giustificando quindi il miglioramento di gestione che spiega la milionaria buonuscita.

 

 Lasciata l'Enel,nel 2005 Scaroni va all’Eni dove percepisce uno stipendio di 1 milione e mezzo di euro l’anno.  Il consiglio di amministrazione costa 2 milioni 600 mila euro l’anno.

La cifra sul bilancio risulta, come all' Enel, più alta perché comprende incentivi per gli amministratori e 9 milioni 649mila euro di liquidazione a Vittorio Mincato, predecessore di Scaroni. Se quest’ultimo andasse via anche da ENI prenderebbe un’altra liquidazione di più o meno 8 milioni.

L'Amministratore delegato Scaroni ha stipulato con la società un contratto che prevede l’erogazione di un compenso al termine del mandato ove il mandato non fosse rinnovato. In realtà il contratto dice che se il mandato non viene rinnovato saranno pagati altri 3 anni di stipendio. Scaroni ha deciso lui di andare all’ Eni, ma ha voluto comunque dall’ Enel i 3 anni di buonuscita.

Giancarlo Cimoli se ne andò da Ferrovie nel 2004 in quanto il suo mandato era scaduto e non fu rinnovato: non aveva fatto marciare meglio ferrovie, ma gli fu data una buonuscita di 6,7 milioni di euro. Lunardi lo mandò a risanare Alitalia, già sommersa dai debiti e dopo 2 anni dal suo arrivo, Alitalia è sull’orlo del fallimento. Nonostante il fiume di finanziamenti pubblici, dal 1997 Alitalia ha avuto contributi statali per quasi 7 miliardi di euro, l’azienda è al tracollo e perde circa 1 milione di euro al giorno e 17 mila dipendenti, in cassa integrazione a rotazione. Cimoli non sapeva nulla di aerei. Quando un’azienda va così male sarebbe eticamente corretto presentare automaticamente le proprie dimissioni riconoscendo di aver sbagliato. Quel che si sa e che quando Cimoli se ne andrà da Alitalia prima del 2007 si porterà a casa una buonuscita di 8 milioni di euro. Il suo stipendio è stato raddoppiato nel 2005, momento in cui la compagnia andava male, e portato a 2milioni 791 mila euro l’anno che è 6 volte l’amministratore delegato di Air France e il triplo rispetto a quello di British Airways, compagnie aeree con bilanci in utile. L’Ad di Air France guadagna 30mila euro al mese, quello di KLM 45mila, quello di British 64mila e parliamo di 3 compagnie in attivo, mentre il nostro amministratore delegato prende 190.000 euro al mese.

Il consiglio di Ferrovie costa circa 2 milioni di euro l’anno salvo imprevisti. Quest’anno l’amministratore delegato, Elio Catania, è stato costretto a dimettersi, e come prevede il contratto, si è portato via il risarcimento. Catania, arrivato due anni fa, doveva far viaggiare le ferrovie e invece lascia Trenitalia con un buco di 1 miliardo e 700 milioni di euro. Pare che Catania abbia preso 5 milioni di euro di buonuscita.

 

L' Anas ha una rete stradale e autostradale di 20.182 chilometri e più di 6.000 dipendenti. Nel 2001 con il cambio di Governo, D’Angiolino, presidente dell'Anas dal '94 è costretto ad andarsene. L'allora ministro Lunardi cambia tutto il consiglio d'amministrazione in cambio di una buonuscita o risarcimento: 2 miliardi e 8 per il presidente, 650 milioni per ogni consigliere, in totale sono quasi 6 miliardi di lire e quell'anno paga anche i nuovi. Giuseppe D’Angiolino – ex Presidente Anas fino al 2001 -percepiva 350 milioni all’anno. Il nuovo Presidente percepisce il doppio 400 mila euro , mentre l'Anas perde 496 milioni. Nel 2001 i consiglieri prendevano 150 milioni all’anno lordi delle vecchie lire. Dal 2002 anche i compensi dei consiglieri sono raddoppiati. L’attività consiste nel presenziare le riunioni del consiglio una volta alla settimana. La retribuzione è di 40mila più 140mila per le inutili deleghe per le quali è già incaricato del personale.


Disegno di legge d'iniziativa dell'onorevole Cannavò sul taglio delle pensioni agli ex-parlamentari

Quest'oggi pubblichiamo un interessante disegno di legge... Speriamo vi piaccia com'è piaciuto a noi!

 XV LEGISLATURA

 CAMERA DEI DEPUTATI

 N. 2686 

 

 PROPOSTA DI LEGGE

 d'iniziativa del deputato CANNAVÒ

 Modifiche alla legge 31 ottobre 1965, n. 1261, e all'articolo 1 della  legge 13 agosto 1979, n. 384, in materia di indennità spettante ai  membri del Parlamento nazionale e del Parlamento europeo, di  strumenti e servizi per agevolare lo svolgimento del mandato  parlamentare e di regime previdenziale dei membri del Parlamento  nazionale

 Presentata il 21 maggio 2007

 Onorevoli Colleghi! - L'esigenza di contenere i costi della politica  è divenuta oramai un elemento insostituibile del dibattito politico.  Il sentimento di sfiducia e di distacco tra la società italiana e le  sedi istituzionali della politica è ormai dilagante e percepibile in  ogni ambito settoriale. Si tratta di un sentimento che sconta  innanzitutto una crisi strisciante della politica intesa come  strumento collettivo e partecipato in grado di risolvere problemi, di  migliorare condizioni di vita, di influire positivamente sulle  aspettative di futuro e sui desideri che ogni individuo  legittimamente possiede. L'insieme della politica istituzionale ha, a  questo riguardo, una grande responsabilità e deve riuscire ad  assumere posizioni e decisioni che spezzino questo sentimento  negativo, ricostruiscano fiducia ed «empatia» in uno sforzo di  rinnovamento che non può che esorbitare dagli stessi contenuti della  presente proposta di legge.

    Si tratta, infatti, di mettere mano a una compiuta riforma  della legge elettorale, al ridisegno di un sistema politico- istituzionale in cui la partecipazione dei cittadini e delle  cittadine, il loro effettivo coinvolgimento, sia un valore  fondamentale capace anche di approfondire e di trascendere le linee  guida della Costituzione.

        In questo contesto, non sfugge che il tema della retribuzione  degli eletti, e in particolare dei parlamentari della Repubblica, sia  tra i più sentiti in quanto indice sintetico del rapporto, sempre più  squilibrato,che esiste tra le condizioni di vita medie della popolazione e lo  status di chi quelle condizioni è chiamato a regolare. Il fatto che  il nostro Paese sia agli ultimi posti in Europa nella classifica  degli stipendi medi mentre detenga il primato delle retribuzioni del  parlamentari è una spia di quegli squilibri e accresce quel  sentimento di sfiducia e di disincanto che costituisce ciò che oggi  chiamiamo «crisi della politica».

       L'obiettivo della presente proposta di legge è quindi quello  di intervenire efficacemente e drasticamente in questo senso,  rimodulando la retribuzione complessiva dei parlamentari della  Repubblica nel senso di una sua sensibile riduzione in un'ottica di  «spirito protestante», sapendo che il ridimensionamento proposto può  costituire un depotenziamento del ruolo e del prestigio del  parlamentare ma con l'obiettivo di servire un bene più alto: la  valorizzazione del ruolo della politica.

       L'articolo 1 quindi interviene a sostituire l'articolo 1 della  legge 31 ottobre 1965, n. 1261, che regola l'indennità funzionale  mantenendo intatto l'aggancio al trattamento dei magistrati con  funzioni di presidente di sezione della Corte di cassazione ma  proponendone la riduzione del 50 per cento.

        L'articolo 2 inserisce tutto quello che esula dall'indennità  funzionale in un articolo (articolo 2 della citata legge n. 1261 del  1965) regolante l'attività del parlamentare il quale o la quale deve  avere le condizioni favorevoli allo svolgimento della propria  attività. In questo contesto il comma 1 interviene sulla  corresponsione dell'indennità di missione in modo analogo a quanto  previsto nell'articolo 1, cioè con il suo dimezzamento.

        Il comma 2 regola lo svolgimento del mandato demandando agli  Uffici di presidenza delle due Camere la regolamentazione dell'uso  gratuito dei mezzi di trasporto solo sul territorio nazionale, il  rimborso delle spese telefoniche, sulla base della certificazione  delle medesime, nonché la possibilità di accedere a un fondo per  spese di attività politica generali.

        Il comma 3 regola il rapporto con l'assistenza parlamentare  eliminando il contributo diretto al parlamentare il quale ha diritto  di nominare una persona di sua fiducia che viene però retribuita  direttamente dall'amministrazione della Camera di appartenenza. Si  tratta di una modalità diretta a eliminare forme di lavoro nero che  pure si sono registrate e a ristabilire un principio di efficienza e  di regolarità nella prestazione del lavoro subordinato entro il  perimetro delle due Camere.

        Il comma 4 prevede che gli Uffici di presidenza delle due  Camere possano istituire e regolamentare un fondo diretto a  finanziare attività politiche, entro il limite massimo di due  indennità mensili e con forme di trasparenza e di pubblicizzazione  determinate dagli Uffici di presidenza delle Camere stesse.

     L'articolo 3, infine, introducendo l'articolo 6-bis della  citata legge n. 1261 del 1965, interviene sul terreno più delicato,  quello della rendita vitalizia spettante a ciascun parlamentare che  abbia completato almeno una legislatura. L'articolo propone un regime  alternativo, riportando lo status del parlamentare all'interno delle  leggi vigenti che regolano il rapporto con le casse previdenziali di  appartenenza.

        Il comma 1 prevede così che i lavoratori eletti nel Parlamento  nazionale siano collocati in aspettativa non retribuita, come prevede  l'attuale normativa, e con il versamento di contributi figurativi a  carico dell'amministrazione parlamentare.

       I commi 2 e 3 regolano l'attività dei parlamentari che al  momento della elezione risultino iscritti oppure non risultino  iscritti ad alcuna gestione previdenziale obbligatoria, consentendo  loro di coprire il periodo del mandato elettivo mediante  l'accreditamento dei contributi figurativi a carico  dell'amministrazione parlamentare.

        Con il comma 4 si sancisce il cuore dell'articolo e cioè che i  parlamentari non hanno diritto ad alcun vitalizio, né ad alcuna forma  di trattamento pensionistico aggiuntivi rispetto a quella prevista  dal medesimo articolo.

        Il comma 5 elimina l'obbligatorietà vigente per gli eletti  nelle due Camere di versare a proprio carico i contributi  previdenziali gravanti sul lavoro dipendente in modo da uniformare la  disciplina allo spirito della legge.

        Il comma 2 dell'articolo 3, infine, definisce i termini  dell'avvio della nuova disciplina.

        La presente proposta di legge non solo contribuisce a generare  un notevole risparmio per l'amministrazione pubblica soprattutto in  virtù della riorganizzazione del trattamento pensionistico, ma  consente anche di riportare con nettezza il Parlamento a un contatto  più diretto con il popolo rappresentato. Si tratta di una proposta di  legge equa che potrà affrontare, sia pure solo parzialmente, il  grande nodo della «crisi della politica» consentendo di riavvicinare  rappresentanti e rappresentati.

 

 

 

PROPOSTA DI LEGGE

 Art. 1. 

 

 (Indennità spettante ai membri del Parlamento nazionale e del  Parlamento europeo).

        1. L'articolo 1 della legge 31 ottobre 1965, n. 1261, è  sostituito dal seguente:

        «Art. 1. - 1. L'indennità spettante ai membri del Parlamento a  norma dell'articolo 69 della Costituzione per garantire il libero  svolgimento del mandato è costituita da quote mensili. Gli Uffici di  presidenza delle due Camere determinano l'ammontare di dette quote in  misura tale che non superino il dodicesimo del trattamento  complessivo massimo annuo lordo dei magistrati con funzioni di  presidente di sezione della Corte di cassazione ed equiparate,  diminuito del 50 per cento».

      2. Al primo comma dell'articolo 1 della legge 13 agosto 1979,  n. 384, e successive modificazioni, sono aggiunte, in fine, le  seguenti parole: «, e successive modificazioni».

 Art. 2.(Svolgimento dell'attività parlamentare).

        1. L'articolo 2 della legge 31 ottobre 1965, n. 1261, è  sostituito dal seguente:

   «Art. 2. - 1. Ai membri del Parlamento è corrisposto un  rimborso delle spese di soggiorno a Roma. Gli Uffici di presidenza  delle due Camere ne determinano l'ammontare in misura non superiore  all'indennità di missione giornaliera prevista per i magistrati con  funzione di presidente di sezione della Corte di cassazione ed  equiparate, diminuita del 50 per cento; possono altresì stabilire le  modalità per le ritenute da effettuare per ogni assenza dalle sedute dell'Assemblea e delle Commissioni.

      2. Al fine di garantire il corretto svolgimento del mandato,  ai membri del Parlamento sono assicurati, secondo modalità  determinate dagli Uffici di presidenza delle due Camere, l'uso  gratuito di mezzi di trasporto sul territorio nazionale, la  disponibilità di sale per convegni pubblici, la disponibilità del  fondo eventualmente istituito ai sensi del comma 4 nonché il rimborso  del 50 per cento delle spese di telefonia, entro il limite massimo  determinato dagli Uffici di presidenza delle due Camere.

        3. Per l'adempimento delle attività di segreteria, ogni membro  del Parlamento ha la possibilità di nominare una persona di sua  fiducia. Tale persona è assunta con contratto di lavoro dipendente a  tempo determinato e retribuita direttamente dall'amministrazione  della Camera di appartenenza del membro del Parlamento, in conformità  a quanto stabilito dagli Uffici di presidenza delle due Camere. Il  rapporto di lavoro cessa di diritto con la cessazione dalla carica  del membro del Parlamento che ha provveduto alla nomina.

        4. Gli Uffici di presidenza delle due Camere possono istituire  e regolamentare, secondo criteri di trasparenza e di riduzione della  spesa, un fondo diretto a finanziare iniziative politiche,  preventivamente documentate, dei membri del Parlamento, il cui  ammontare non sia superiore a due indennità mensili, come stabilite  dall'articolo 1. L'entità delle somme eventualmente stanziate e le  modalità del loro utilizzo da parte dei membri del Parlamento sono  rese pubbliche con forme determinate dagli uffici di Presidenza delle  Camere stesse».

 Art. 3.  (Disciplina pensionistica).

        1. Dopo l'articolo 6 della legge 31 ottobre 1965, n. 1261, è  inserito il seguente:

      «Art. 6-bis. - 1. I lavoratori eletti membri del Parlamento  nazionale, qualora collocati in aspettativa non retribuita, possono richiedere che i  periodi di aspettativa siano considerati utili ai fini del  riconoscimento del diritto e della determinazione della misura della  pensione a carico dell'assicurazione generale obbligatoria per  l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti o delle forme sostitutive,  esclusive ed esonerative della medesima, ai sensi dell'articolo 3 del  decreto legislativo 16 settembre 1996, n. 564, e successive  modificazioni. In tale caso l'amministrazione della Camera di  appartenenza provvede al versamento, a favore delle competenti  gestioni previdenziali, dei contributi previdenziali in sostituzione  del datore di lavoro.

     2. I membri del Parlamento nazionale, per il periodo del  mandato parlamentare durante il quale non risultino iscritti ad  alcuna gestione previdenziale obbligatoria né come lavoratori  dipendenti né come lavoratori autonomi, possono richiedere che tale  periodo, che può ricoprire anche l'intero mandato parlamentare, sia  considerato utile ai fini del diritto e della determinazione della  misura della pensione a carico dell'assicurazione generale  obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti o delle  forme sostitutive, esclusive ed esonerative della medesima, purché  gli stessi, anteriormente a tale periodo, possano già far valere  periodi di iscrizione alle citate forme assicurative. In tale caso  l'amministrazione della Camera di appartenenza provvede al  versamento, a favore delle competenti gestioni previdenziali, dei  contributi previdenziali in sostituzione rispettivamente del datore  di lavoro e del lavoratore autonomo.

    3. I membri del Parlamento nazionale che al momento in cui  inizia il mandato parlamentare non risultino iscritti ad alcuna  gestione previdenziale obbligatoria né come lavoratori dipendenti né  come lavoratori autonomi e che, anteriormente a tale momento, non  possano far valere periodi di iscrizione all'assicurazione generale  obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti o alle  forme sostitutive, esclusive ed esonerative della medesima, possono  richiedere che il periodo corrispondente all'esercizio del mandato sia considerato utile ai fini della  corresponsione di un trattamento pensionistico per l'invalidità, la  vecchiaia e i superstiti a carico della gestione separata di cui  all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335. In tal  caso l'amministrazione della Camera di appartenenza provvede a versare alla gestione separata di cui al citato articolo 2, comma 26,  della legge n. 335 del 1995, i relativi contributi previdenziali,  calcolati su una retribuzione figurativa rispondente all'indennità  spettante ai membri del Parlamento di cui all'articolo 1 della  presente legge.

        4. I membri del Parlamento nazionale non hanno diritto ad  alcun vitalizio né ad alcuna forma di trattamento pensionistico  aggiuntivi rispetto a quella prevista dal presente articolo.

       5. Ai membri del Parlamento nazionale non si applica  l'articolo 38 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, e successive  modificazioni. I medesimi pertanto non sono tenuti a corrispondere  all'amministrazione della Camera di appartenenza l'equivalente dei  contributi pensionistici, nella misura prevista dalla legislazione  vigente, per la quota a carico del lavoratore».

        2. La disciplina di cui all'articolo 6-bis della legge 31  ottobre 1965, n. 1261, introdotto dal comma 1 del presente articolo,  si applica ai membri del Parlamento nazionale eletti successivamente  alla data di entrata in vigore della presente legge.



Il tribunale dove i magistrati fanno solo 6 udienze l'anno

Tratto da “Corriere della Sera”, 3 giugno 2007  Gian Antonio stella

 

 

 Sei udienze in un anno. Una e mezzo ciascuno.

Vita durissima, per i quattro magistrati della Procura Generale Militare presso la Cassazione: gennaio è lungo lungo, febbraio non scorre mai, marzo è interminabile, aprile una malinconia, maggio fa sospirare Chi l’ha detto che il tempo fugge via? A loro, gravati dalla soma di un’udienza pro capite ogni otto mesi, sembra lo sgocciolio di noia eterna.

Sia chiaro, felice il Paese in cui i tribunali militari non lavorano a pieno ritmo. Spesso, là dove i giudici con le stellette sgobbano dalla mattina alla sera, la gente finisce al muro e perde la testa sotto la lama del boia. Oltre mezzo secolo di pace dopo l’ultima guerra mondiale, interrotto solo da qualche missione di polizia internazionale o di interposizione pacificatrice in questo o quel conflitto, ha via via impigrito (e meno male) una struttura che in uno Stato come il nostro non ha molto da sbrigare. Meglio così. Gli organici, però, non sono dimagriti parallelamente al calo dei processi.

E anche un mondo come quello della giustizia militare, che l’immaginario collettivo associa a film come “Codice d’onore”, coi severissimi magistrati in divisa alle prese con grintosissimi procuratori loro pure graduati come Tom Cruise, ha finito per somigliare a tutto il resto della macchina pubblica italiana. Una macchina pigra pigra che viaggia col motore al minimo di giri. Basti dire che tutti i tribunali militari messi insieme, nel 2006, hanno emesso complessivamente poco più di mille sentenze, in genere su cose di poco conto. Cioè decisamente meno delle sole sentenze penali (poi ci sono quelle civili) fatte segnare da un tribunale ordinario di scarsa importanza come quello di Bassano del Grappa. C’è chi dirà che in compenso sono cresciute le auto blu: una settantina, per servire 103 giudici e i massimi dirigenti. Chi si chiederà perché i cellulari a carico dell’amministrazione siano circa 300 e cioè, dato che i dipendenti dai vertici agli uscieri sono 700 (grossomodo metà militari e metà civili, oltre i giudici) più di uno ogni 3 addetti. Ciò che più colpisce, però, è il carico di lavoro di certi palazzetti della giustizia con le stellette.

 Come quello di Cagliari. Dove “lavorano”, anche se il verbo può apparire spropositato, tre procuratori e quattro giudici e dove nel 2006 risultano essere state emesse 9 (nove!) sentenze. Poco più di una per ogni magistrato residente. I giudici con le stellette, in realtà, le stellette non le portano affatto. Sono magistrati come tutti gli altri, solo che sono stati assunti partecipando a un concorso diverso e non possono passare (il divieto è reciproco) alla magistratura ordinaria se non accettando di sottoporsi a una nuova selezione. In tutto, da Vipiteno a Lampedusa, sono come dicevamo 103. Una ottantina (per l’esattezza 79) nei nove tribunali sparsi per la penisola (Roma, La Spezia, Torino, Verona, Padova, Napoli, Bari, Cagliari e Palermo, con ripartizioni del territorio così bizzarre che Ferrara, ad esempio, non è sotto la vicina Padova ma la lontanissima La Spezia), 17 nelle tre corti d’Appello (Roma, Napoli e Verona), 4 alla Procura Generale Militare presso la Cassazione e gli ultimi 3 al Tribunale di Sorveglianza militare. Cosa sorvegliano? Boh... Carte alla mano, nell’unico penitenziario militare rimasto aperto, a Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta, sono in cella soltanto carabinieri o poliziotti condannati dalla giustizia ordinaria per reati ordinari. Detenuti militari per reati militari? Zero. Neanche uno.

O meglio, in tutta Italia un detenuto, uno solo, ci sarebbe: il vecchio Erich Priebke, l’ex capitano delle SS condannato all’ergastolo nel 1998, dopo una tormentatissima vicenda giudiziaria, per avere partecipato alla strage delle Fosse Ardeatine. Ma siccome ha 94 anni sta da un sacco di tempo agli arresti domiciliari. Dove viene tenuto d’occhio, appunto, da tre giudici. Più 32 impiegati e dipendenti vari, per metà militari e per metà civili. Tutti per lui. Direte: possibile che una situazione così paradossale si trascini per anni senza una svolta? Possibile.

Alla Procura Generale Militare presso la Cassazione non va poi diversamente. La Cassazione è la stessa che si occupa di tutti gli altri cittadini italiani. La sede no. È il bellissimo Palazzo Cesi, che sorge in via degli Acquasparta, nel cuore della capitale, e ospita anche la Procura Generale presso la Corte Militare di Appello di Roma. Ad occuparsi dei processi che devono essere promossi davanti alla suprema corte (in genere alla prima sezione), sotto la guida del Procuratore Generale Alfio Nicolosi, sono tre magistrati. Che possono contare su 35 dipendenti vari (anche qui per circa metà militari e circa metà civili) e da anni vanno a dibattere le loro cause in Cassazione in non più di una decina di udienze l’anno. Nel 2006, stando ai dati ufficiali, solo sei. Un’udienza ogni due mesi. Da spartire tra quattro giudici. Processi clamorosi e delicatissimi dalle mille pieghe procedurali? Non proprio. Uno era a un carabiniere che, in convalescenza, “non ottemperava all’ordine intimatogli dal capitano di fermarsi nei locali della Compagnia per la definizione di una pratica”. Un altro, per ingiurie reciproche, a un maresciallo e un brigadiere dell’Arma che si erano insultati sanguinosamente con le seguenti frasi testuali: “Vengo a contarti tutti i peli nel...”. “Sei un coglio...”. Un terzo era intentato contro un militare che, alla fine di una esercitazione, si era tenuto due proiettili. Reato contestato: ricettazione. No, ha precisato la Cassazione: “ritenzione di oggetti da armamento”. Condanna: un mese e 24 giorni. Con la condizionale. Valeva proprio la pena di impegnare un mucchio di magistrati fino al massimo grado di giudizio?

 

 

 


il 9 giugno di www.francarame.it


Della manifestazione di sabato 9 giugno si è parlato purtroppo solo dell’aspetto più drammatico: sassaiole, lacrimogeni, black block.

Tutto questo però è stato l’epilogo, sventurato, di una bellissima giornata! Musica, cori, acrobati, manifestanti allegri e pacifici. Franca, assieme agli amici del blog, era in prima fila!

Alla testa del corteo, dietro lo striscione “uranio impoverito – la guerra nel sangue” c’erano Francy, Lara, Vir, Gargantua, Gessica, Carlotta, Simone, Enzo, Tony, il Prof. Ferrara, e molti altri, che si sono avvicendati tra le fila dell’associazione “Franca Rame - basta sprechi!”.

La nostra giornata è iniziata attorno al tavolo di un ristorante cinese accanto al Pantheon. E’ stato bello ritrovarsi tra amici, ridere e chiacchierare di persona. Subito si è affrontata la questione: quale manifestazione? Piazza o corteo? Nessun dubbio: tutti con Franca, al corteooo!!!

Si parte con l’autobus per raggiungere piazza Esedra, dove l’atmosfera è già festosa: si preparano gli ultimi striscioni, e si incontrano i senatori Fosco Giannini, Franco Turigliatto, Fernando Rossi, Gigi Malabarba e Heidi Giuliani.

Alle quattro e mezza tutto è pronto: si parte, direzione piazza Navona. Tra i manifestanti ci sono i “NO dal Molin”, i Cobas, centri sociali di tutta Italia, Giulietto Chiesa, i ciclisti di critical mass, tra la gente si leggono striscioni quali “Bush, non c’è trip per i cats” “No Vicenza U.S.A. e getta” , “NON E’ TUTTO LORO QUEL CHE LUCCICA” e via così… Nessuna “violenza” nell’aria.

Fino all’arrivo a Piazza Navona dove hanno concluso la giornata Cinzia Bottene del No Dal Molin, Francesco Ferrando, e Luca Casarini abbiamo assistito ad un corteo festoso, che manifestava per la fine di tutte le guerre, contro il rifinanziamento dei crediti militari, e contro il sopravvento degli USA nella politica estera italiana . Il resto, è cronaca di oggi.


AFGHANISTAN: SENATRICI, DIRITTI DONNE IN CONFERENZA GIUSTIZIA - AGI - Agenzia Giornalistica Italia

AFGHANISTAN: SENATRICI, DIRITTI DONNE IN CONFERENZA GIUSTIZIA  - AGI - Agenzia Giornalistica Italia - 8 giugno - Magda Negri (Aut), Silvana Pisa (Sd), Franca Rame (Idv) del comitato ristretto del 'Gruppo di contatto Donne Afgane', il tavolo di collaborazione cui ...

Sommersi dai veleni radioattivi

dall’espresso.it lunedi 30 aprile
di Primo Di Nicola

4.300 milioni è il costo per ripulire il Paese dai 25 mila metri cubi di scorie e mettere a sicurezza i 24 impianti nucleari.

Ma dal 1999 a oggi non si è fatto nulla. Tra sprechi e incidenti.

Per provarlo L’espresso è entrato nel Centro ricerche nucleare Enea della Casaccia e ha visitato i siti più pericolosi della centrale del Garigliano.

Il centro di Roma è a soli 20 chilometri. E intorno all’area dell’Enea sono ormai sorte borgate con 30 mila persone. Eppure è lì che parte dell’eredità nucleare italiana dorme sonni lunghi e tormentati: oltre 4.500 metri cubi di scorie, frutto degli esperimenti dell’atomica tricolore e delle terapie del sistema sanitario, chiusi in depositi che registrano più di una crepa. L’ultimo allarme è scattato a ottobre: un banale malfunzionamento del sistema di sicurezza ha fatto sfiorare la minaccia radioattiva. Altri pericoli si corrono ogni giorno nelle vecchie centrali del Garigliano o di Latina, nei depositi di Saluggia o Rotondella: lì dove l’Italia ha cercato di nascondere i suoi 25 mila metri cubi di rifiuti ricevuti in testamento dalla politica nucleare degli anni Sessanta e Settanta. Finora sono stati spesi oltre 15 mila miliardi di vecchie lire per fermare le centrali, poi dal 1999 a oggi è stato messo sul tavolo un miliardo di euro per bonificare i residui. Ma la sicurezza è lontana. E per fare pulizia si stima che ci vorranno altri 4.300 milioni di euro. Quando sarà possibile dichiararci ‘No nuke’ una volta per tutte? Non prima del 2024. Fino ad allora il pericolo resterà alle porte di casa.
Come al Centro ricerche Casaccia dell’Enea, XX municipio di Roma. Qui, nel punto più delicato del complesso, nei locali dove sono custodite apparecchiature contaminate, rifiuti nucleari e importanti quantitativi di uranio e plutonio, da mesi è fuori uso l’impianto antincendio. Il 30 ottobre proprio a causa del malfunzionamento dell’apparato, una quarantina di bombole hanno scaricato anidride carbonica dentro l’impianto Plutonio: un getto simultaneo che ha provocato un enorme aumento di pressione. Sono saltate un paio di porte di sicurezza, ma poteva andare molto peggio se uno delle decine di contenitori di materiali radioattivi avesse registrato una perdita. Si tratta di plutonio: un’emissione all’esterno avrebbe fatto scattare l’emergenza anche per la popolazione circostante. Per evitare che un incidente simile si ripeta, l’impianto antincendio è stato bloccato. Era sovradimensionato: per spegnere le fiamme rischiava di fare esplodere il palazzo.
Grandi timori anche in Campania per un impianto obsoleto con strutture fuori norma che rischiano di cedere, provocando danni irreparabili. Capita a Sessa Aurunca, nella centrale nucleare del Garigliano, ferma da 27 anni. Sopra il reattore continua a stagliarsi minaccioso il camino alto 90 metri. Costruito in calcestruzzo, mostra tutti i segni dell’abbandono: l’intonaco si sgretola, l’armatura metallica spunta dal cemento come uno scheletro sempre più corroso. È in una zona sismica ad alto rischio: per questo l’Agenzia per la protezione dell’ambiente (Apat), che insieme a vari ministeri gestisce il ‘decommissioning’ nucleare, da anni ha chiesto il suo smantellamento. L’incubo è che il camino ceda, schiantandosi sulla sfera bianca che custodisce il reattore. Una scena da film catastrofico anni Settanta? No, si tratta di pericoli concreti, anche se nessuno può prevedere le conseguenze della fuga radioattiva.
Scandalo atomico
Vent’anni dopo il referendum con cui gli italiani dissero no al nucleare, terrorizzati dalla nuvola di Chernobyl, l’eredità atomica resta pesante. Con una serie di casi inquietanti che ‘L’espresso’ ha potuto documentare per la prima volta entrando nel centro della Casaccia e nell’impianto del Garigliano.
Nella base della Casaccia ormai inglobata dalle borgate romane si vive un’atmosfera particolare. Pare di inoltrarsi dentro una matrioska di cemento armato, dove la protezione aumenta mentre si avanza verso l’interno. Nel cuore c’è il magazzino con le cassette di plutonio. Una selva di telecamere seguono ogni passo del visitatore, tutto è custodito da una doppia blindatura, che non lascia filtrare nemmeno i rumori. Ma colpisce ancora di più la sala delle ‘scatole a guanti’, con i macchinari che servivano per confezionare il combustibile nucleare. Si cammina tra file di cubi trasparenti, illuminati all’interno: l’atmosfera ha qualcosa di spettrale a metà strada tra una fiction di fantascienza e un racconto horror. Qui il pericolo è ancora di casa: sette operai sono rimasti contaminati dalle perdite. I tecnici negano persino che ci sia stata una crepa: parlano di sostanze ‘trasudate’. Ma si capisce che la presenza dei giornalisti è un evento eccezionale, da tenere sotto controllo quasi più dei rifiuti tossici. Invece sul Garigliano c’è un clima da fortezza Bastiani: è l’ultimo presidio di un passato tecnologico. Il personale sa di rischiare, ma lo smantellamento significherebbe la disoccupazione: ogni anno lo Stato spende dieci milioni di euro per la manutenzione di questo gigante abbandonato. Dentro la vecchia centrale il tempo si è fermato al 23 novembre 1980, quando il terremoto in Irpinia fece scoprire che quella era una zona sismica. Tutto congelato, prima di Chernobyl e prima ancora del referendum. È quasi un museo di archeologia industriale, dove i fantasmi sono in grado di provocare contaminazioni concrete. La centrale del Garigliano aveva un gemello dall’altro lato dell’Atlantico, costruito negli stessi anni a Big Rock Point negli Usa. Gli americani l’hanno sfruttata fino al ‘97 e poi hanno spento il reattore. Con 350 milioni di dollari è stato smontato e ripulito tutto: l’area trasformata in ‘prato verde’ è stata consegnata nel 2005 allo stato del Michigan per farne un parco. Sul Garigliano invece ogni cosa è illuminata dalla paura.
L’onda letale
In tutta Italia centrali e apparati sono ancora lì con tutto il loro armamentario radioattivo e la coda sterminata dei rifiuti nucleari per i quali non si riesce a trovare una collocazione definitiva. Basta andare a Saluggia, in provincia di Vercelli, per imbattersi in una piscina con combustibile irradiato che perde liquidi: colano nel terreno in profondità, minacciando le falde acquifere. Accade nel sito Eurex (Enriched uranium extraction) dove in una vasca di 625 metri cubi sono sepolti 52 elementi di combustibile nucleare provenienti dalla centrale di Trino e da quella del Garigliano. C’è persino una dose di scorie importate dal reattore di ricerca di Petten (Paesi Bassi). I cittadini di Saluggia da tempo chiedono di portare via tutto: l’impianto Eurex si trova a pochi metri dagli argini della Dora Baltea, dove le alluvioni sono frequenti e toccano anche la bara dei rifiuti più tossici. L’ultima volta è accaduto nel 2000: da allora è stato tirato su un muro in cemento, estrema barriera contro la piena. Ma il rischio idrogeologico incombe lo stesso, così come il timore dei residenti. Gli esperti dei ministeri (Sviluppo economico, Ambiente) studiano da tempo una soluzione del problema con i responsabili dell’Apat. Due decenni di progetti, piani e controrelazioni, ma poco si è mosso. “Abbiamo speso tantissimi soldi senza eliminare i pericoli”, dichiara Aleandro Longhi, il deputato che invoca una commissione parlamentare d’inchiesta sui ritardi nella bonifica: “L’Italia è diventata una pattumiera nucleare, uno dei paesi più a rischio di incidenti e inquinamenti radioattivi”.
Bolletta salata
Eppure per l’uscita dal nucleare gli italiani stanno pagando un conto salatissimo. Tra quello che è andato all’Enel (12 mila 315 miliardi di lire) e gli oneri riconosciuti alle imprese appaltatrici vittime dello stop referendario (altri 3 mila miliardi di lire) sono stati bruciati 15 mila miliardi di lire. Poi ci sono i costi veri e propri del ‘decommissioning’ nucleare. È dagli inizi degli anni Sessanta, quando le centrali erano ancora in costruzione, che i contribuenti versano denaro per il loro smantellamento. Compresa nella bolletta dell’Enel, c’è sempre stata una ‘quota atomica’: serviva per creare due fondi per la dismissione. Questi due ricchi conti, che nel frattempo avevano raccolto oltre 331 milioni di euro, nel novembre del 1999, sotto la supervisione dell’Autorità per l’energia, sono stati riversati nelle casse della Società per la gestione degli impianti nucleari (Sogin), che si occupa del decommissioning. E non basta. A partire dal 2000, sempre nella bolletta, con la cosiddetta ‘tariffa A2’ gli utenti hanno continuato a finanziare il ‘decommissioning’ pagando (con vari ritocchi successivi) 0,6 lire a chilowattora. In questo modo, fino al 2006, sono stati raccolti altri 622 milioni di euro, anch’essi finiti alla Sogin. In totale, quasi un miliardo di euro. Ma è solo un antipasto. La pulizia definitiva richiederà altri 4,3 miliardi, da sborsare entro il 2024.
Eredità nucleare
Bloccate dal referendum, nella Penisola ci sono una lunga serie di installazioni, realizzate tra la fine degli anni Cinquanta e gli anni Settanta, tutte da svuotare, demolire e riportare a ‘prato verde’. Per cominciare, le quattro centrali elettronucleari del Garigliano, Latina, Trino e Caorso; l’impianto per il combustibile della Fabbricazioni nucleari di Boscomarengo (Alessandria); i centri pilota Eurex e Itrec per il riprocessamento del combustibile nucleare esaurito, quest’ultimo situato alla Trisaia (Matera); il deposito Avogadro (Fiat), anch’esso a Saluggia: infine, le strutture di ricerca come i laboratori Plutonio e Opec del Centro dell’Enea della Casaccia e del Centro comunitario Ispra (Varese) per il trattamento e il deposito di rifiuti radioattivi. C’è poi una mole sterminata di scorie, lasciate lì dove erano state prodotte: strutture spesso prive di quei requisiti internazionali di sicurezza. Insomma, uno stoccaggio all’italiana. Si tratta di 25 mila metri cubi di materiali radioattivi di prima, seconda e terza categoria (questi ultimi continuano a emettere radiazioni per centinaia di migliaia di anni), a cui vanno aggiunti i 60 mila metri cubi degli impianti da smantellare, gli altri 6 mila di rifiuti condizionati frutto delle operazioni di riprocessamento del nostro combustibile effettuate in Inghilterra, più la parte di competenza italiana del combustibile utilizzato dal reattore Superphenix in Francia. Per 12 anni tutti hanno fatto finta di niente, limitando al minimo gli interventi di bonifica. Solo nel 1999, per iniziativa di Pierluigi Bersani, allora ministro delle Attività produttive, fu varata la Sogin, cui venne affidata la disattivazione accelerata degli impianti e il trattamento dei rifiuti stoccati nei siti di produzione. Anche l’attività di questa società è andata avanti con lentezza, tanto che nel febbraio 2003, quasi due anni dopo le Torri gemelle, a fronte dei rischi di attentati il governo Berlusconi decretò lo stato di emergenza nelle regioni (Piemonte, Emilia Romagna, Lazio, Campania, Basilicata) che ospitano i centri nucleari: l’allora presidente della Sogin, il generale Carlo Jean, fu nominato commissario per la sicurezza dei materiali e delle installazioni nucleari. La sua missione era chiara: costruire un deposito nazionale, dove concentrare tutte le scorie disseminate lungo la Penisola. Compito assolto? “Macché”, sottolinea Tommaso Sodano, presidente della commissione Ambiente del Senato: “Il deposito non è stato realizzato e i rifiuti solo ancora sparsi per l’Italia. Per il decommissioning è stato fatto poco o niente”. Quanto esattamente? “Forse solo il 10 per cento del lavoro complessivo”, ammette Massimo Romano, da pochi mesi amministratore delegato di Sogin.
Avanti piano
Per quanto riguarda le centrali si sono qua e là smantellate sale turbine (a Trino), rimosso amianto (a Caorso), decontaminati i circuiti e smontate le condotte (Latina). Il grosso è rimasto invece in piedi. Ogni anno 50 milioni vengono divorati dalla Sogin per la manutenzione di questi mostri addormentati. Soldi che si potevano risparmiare intervenendo prima. Perché tanti ritardi? Tra ministeri, Apat e Sogin è tutto un palleggio di responsabilità: colpa degli uffici incapaci di autorizzare i progetti. No, replicano gli altri: quei disegni sono inadeguati. Sembra incredibile, ma nonostante siano stati presentati quasi dieci anni fa i piani globali per la disattivazione di tutte le centrali, le pratiche continuano a rimbalzare da una scrivania all’altra senza arrivare a una decisione. Analoga sorte per i Via, gli studi di valutazione per l’impatto ambientale. Dipenderà magari dal fatto che le pratiche sono troppo complicate? No: i permessi tardano anche per le richieste più elementari, come la realizzazione del deposito provvisorio per i rifiuti ora stoccati in locali inadatti (Latina) o il nuovo settore serbatoi dove collocare i rifiuti liquidi a più alta attività e ancora esposti al rischio attentati (Saluggia). E il deposito nazionale? Buio pesto anche su questo fronte. Dopo l’affaire Scanzano e la rivolta della Basilicata, nel 2003 Berlusconi aveva varato una commissione di 19 esperti per individuare un nuovo sito definitivo: non si sono mai riuniti una sola volta.
Poi c’è il delicato capitolo degli enti locali: a sentire la Sogin in questi anni hanno fatto a gara per complicare gli iter burocratici, mettendo ogni ostacolo alla bonifica. Sfiora il ridicolo la vicenda delle licenze negate dal comune di Sessa Aurunca per la centrale del Garigliano. Ci sono i rifiuti nucleari chiusi in modo precario dentro una struttura dichiarata ‘pericolosa per rischio sismico’. E c’è una trincea a pochi metri dal fiume dove sono sepolte buste di plastica zeppe di scorie, inumate negli anni Settanta. Una situazione di doppio pericolo, che l’Apat ha tentato di risolvere: ordine di disseppellire i rifiuti contaminati e spostarli in un magazzino da costruire secondo i criteri di sicurezza. Facile? No, perchè per il magazzino ci vogliono le licenze edilizie. E gli amministratori comunali non si fidano: la popolazione teme che una volta assemblato il bunker, vi siano trasferiti detriti tossici da altre regioni. Quindi il municipio ferma i lavori con un pretesto: “Quella per noi è rimasta una zona agricola e l’edificio per il deposito non si può fare”, spiega l’architetto Gabriella Landi, responsabile dell’Ufficio tecnico municipale. E le licenze edilizie rilasciate negli ultimi venti anni? E la stessa costruzione della centrale autorizzata tanti anni fa? L’architetto non sente ragione. Anzi, rincara: “La centrale non risulta nemmeno sulle mappe del nostro piano di fabbricazione, per noi è come se non esistesse”. Un fantasma, dunque. “Ma anche un paradosso causato dalle regole del decommissioning”, precisa Massimo Romano: “I nostri vincoli, che vogliamo comunque rispettare, vanno ben oltre i migliori standard internazionali”. Intanto in attesa di fare meglio del meglio, non si fa nulla.
Capitale esplosiva
È con questo andazzo che l’eredità nucleare continua a costituire una minaccia. Alla Trisaia le radiazioni avanzano a causa di una fossa che non si riesce a bonificare: lì l’Enea ha scaricato in passato rifiuti solidi ‘ad alta attività’. Al deposito Avogadro di Saluggia si sfiora la farsa: il ministero dello Sviluppo economico e l’Apat prima non hanno rinnovato la licenza di esercizio, poi hanno concesso una proroga di tre anni. Forse confidano nella clemenza delle piene della Dora. Nel frattempo lì continua a perdere liquido un’altra piscina contenente elementi di combustibile radioattivi. Ma invece di chiudere, raddoppia: Avogadro è ora candidato a ricevere il combustibile che si vuole togliere dal vicino sito Eurex.
Ma è nel XX municipio di Roma, a cento metri dall’abitato di Osteria Nuova, che si è creata la situazione più esplosiva. Qui la società Nucleco (controllata da Sogin) ha realizzato nel silenzio generale un nuovo magazzino: il deposito nazionale di rifiuti nucleari prodotti dal sistema sanitario. Si tratta di oltre 4 mila metri cubi, frutto di radiografie e chemioterapie, ammassati in capannoni ormai al limite. Loredana De Petris, senatrice Verde, ha da tempo lanciato l’allarme: “Continuare a raccogliere rifiuti nucleari in un’area così densamente urbanizzata è in contrasto con i più elementari principi di precauzione”. Tutto inutile. Nuovi carichi pericolosi arrivano nel sito. Che è vulnerabile a un attacco esterno: non servirebbero incursori agguerriti, potrebbe bastare una molotov. E le fiamme sarebbero in grado di innescare un disastro. Arrivare al muro di cinta è facile, come ha constatato ‘L’espresso’. D’altronde, come si fa a isolare totalmente una base che ormai è circondata dalle case?
Tutta colpa del generale
La vicenda dei rifiuti è una dimostrazione di quanto sia sbagliata la scelta nucleare. Anche per un paese che lo ha dismesso, eliminarne le conseguenze non è facile. Alfonso Pecoraro Scanio, ministro dell’Ambiente, è preoccupato per la piega che ha preso la vicenda del decommissioning. E ha chiesto all’Agenzia per la protezione dell’ambiente una radiografia completa dei ritardi e dei rischi accumulati.
Perché si va così a rilento? Di chi le responsabilità?
“Negli ultimi vent’anni c’è stata una sorta di dimenticanza, come se fatto il referendum e dismesso il nucleare i problemi fossero risolti. In più, non ha aiutato certo la gestione della Sogin e l’operato del commissario straordinario per l’emergenza nucleare, il generale Carlo Jean. Con il primo governo Prodi avevamo avviato un dialogo con le comunità locali per rimuovere le resistenze ingiustificate e trovare soluzioni condivise al problema dei rifiuti. Il generale ha spezzato questo rapporto prendendo decisioni autoritarie e sbagliate”.
Nel frattempo,si moltiplicano i rischi di contaminazione. Cosa si può fare per eliminare i pericoli?
“Anzitutto individuare le soluzioni tecniche giuste, sia per le centrali che per i rifiuti. Per questo ho chiesto al ministero dello Sviluppo economico di dare indicazioni alla nuova dirigenza di Sogin perché torni a praticare un confronto costruttivo con le comunità locali. Come è stato fatto per esempio in Piemonte, dove Regione e Protezione civile, per eliminare i rischi delle perdite radioattive della piscina di Saluggia, hanno deciso di trasferire il combustibile in essa conservato nel deposito di Avogadro. Non è la soluzione definitiva del problema, ma almeno si mitigano i rischi per la popolazione”.
E per quanto riguarda la questione del deposito nazionale delle scorie, da molti invocato?
“L’orientamento governativo è quello di dividere il problema a seconda della categoria dei rifiuti. Per quelli ad altissima attività, bisognosi di una messa in sicurezza fino a 300 mila anni, si sta pensando a una collocazione in siti europei, naturalmente allestiti con gli altri paesi interessati. Per le scorie a più bassa radioattività invece si potrebbero individuare più depositi nel nostro paese. Sempre coinvolgendo Regioni e comuni e arrivando a decisioni condivise”. P. D. N.


interrogazione sul caso Eni - Ferlenghi

Oggi abbiamo presentato un'interrogazione sul caso sollevato da Report relativo al rappresentante ENI a Mosca.
Si tratta del più alto rappresentate dell'ENI in Russia, che ha accettato la cittadinanza russa, probabilmente offerta per l'utilità per la Federazione stessa. 
Questo, secondo gli autori del servizio,  fa dubitare della fedeltà verso l'azienda madre, ma soprattutto in un settore cruciale come quello dell'approvvigionamento del gas, fa riflettere sugli alti costi per gli utenti finali...

La puntata è visibile da questo link: http://www.report.rai.it/R2_popup_articolofoglia/0,7246,243%255E1072594,00.html.

Al Ministro dell’Economia e delle Finanze
 
Al Ministro dello Sviluppo Economico

Premesso che:
 
 l’ENI è una società per azioni, di cui lo Stato italiano conserva una quota minoritaria di capitale pari al 38%, e che il settore in cui opera, dell’approvvigionamento energetico da fonti fossili è essenziale e strategico per il nostro Paese, essendo il piano energetico nazionale sempre più orientato verso lo sfruttamento energetico di gas metano i cui approvvigionamenti avvengono attraverso gasdotti e rigassificatori,
 
uno dei più importanti canali di fornitura di gas naturale è rappresentato dalla Russia, dove l’ ENI, attraverso la sede di Mosca intrattiene rapporti economici e commerciali garantendo la sicurezza degli approvvigionamenti energetici all’Italia, in un contesto di delicato equilibrio economico e strategico nel controllo dei pozzi metaniferi attuato da Gazprom,

Attraverso la trasmissione televisiva Report è giunta notizia che il rappresentante dell’Eni a Mosca, Dott. Ernesto Ferlenghi, abbia ricevuto la cittadinanza russa, probabilmente offerta quale riconoscimento dell’utilità per la Federazione Russa; ciò in contrasto con le disposizioni del management locale al momento dell’assunzione dell’incarico del Dott. Ferlenghi a Mosca, le quali disposizioni prevedevano con rigore la cittadinanza italiana, quale garanzia della lealtà verso il Paese,
 
Si  chiede di sapere:
 
 Se quanto esposto nella premessa corrisponde al vero,

 
 
 
 
Se un alto dirigente di una compagnia di grande caratura come l’ENI, possa tenere rapporti di cittadinanza con il paese in cui opera senza che venga meno la limpidità del rapporto lavorativo con l’azienda madre, in particolare con riferimento alle delicate relazioni  italo-russe in materia di rifornimenti metaniferi,

 
 

 
 

 
 

 
 

 
 

 
 
 
 Se la cittadinanza russa ottenuta dal Dott. Ferlenghi per “meriti” non sia da interpretare come “eccesso di zelo” nei confronti della Gazprom con implicazioni negative per Eni, e più in generale per il mercato energetico italiano,
 
Se i Ministri interpellati non ritengano di intervenire per richiedere la sostituzione del Dott. Ferlenghi, con un funzionario di cittadinanza italiana.

 
 
 
 
 
Roma, 6 giugno  2007  
 
  Sen. Franca Rame
 

 
 
 
 
 
 

 

 
 
 
 
 
 


Fermiamo lo spreco di stato! E' nata l'Associazione "Franca Rame – Basta Sprechi!".

Evviva! Dopo aver impegnato tempo e risorse per le pratiche burocratiche, è nata, con l'aiuto di ADUSBEF e del suo Presidente Elio Lannutti,  l'associazione

 "Franca Rame: basta sprechi!"

Ecco creato uno strumento, allora forza, al lavoro!

Vogliamo riuscire a bloccare questa incredibile e ingiusta emorragia di denaro e risorse,lo stato italiano non funziona.
Si lavora male, in modo disorganizzato, senza controlli. La lista dei lavori incompiuti, dei mezzi inutilizzati, delle occasioni mancate è infinita.

L’Italia è paralizzata da una burocrazia ossessiva, schizofrenica e punitiva che costa miliardi di euro ai cittadini (15 miliardi di euro è il costo pagato solo dalle piccole e medie imprese).
La burocrazia e lo spreco sono una "tassa" enorme e intollerabile, che crea un terreno fertile per corruzione e favoritismi e determina l’esistenza di una classe politica che invece di amministrare, governa un sistema nel quale solo gli amici degli amici riescono a ottenere quel che sarebbe legittimo per ogni cittadino.

 

Lo scopo dell’Associazione è quello di unire forze sufficienti per raggiungere tre risultati, e crediamo di poterli conseguire perché oggi milioni di italiani si sono ormai accorti che o si cambia o si affonda.
Lo spaventoso indebitamento dello stato italiano non ci permette di abbassare le tasse ma possiamo abolire la gabella dello spreco e della burocrazia.

 

DOBBIAMO FARLO. NON ABBIAMO ALTERNATIVE!

 

Quindi intendiamo:

 

1) Dar vita a un gruppo di studio che raccolga professionisti di vari settori che elaborino proposte concrete e realizzabili subito per migliorare la situazione. In questa direzione ci stiamo già muovendo da tempo ad esempio con l’organizzazione di un convegno sullo spreco svoltosi presso la Libera Università dei Alcatraz, nel giugno del 2006, che si è trasformato in molte proposte e in un primo disegno di legge sulla responsabilità dei funzionari pubblici sui danni provocati. 

 

E' fondamentale diffondere la cultura dell' avvedutezza e del buon costume della pubblica amministrazione: risparmio energetico e idrico, acquisti ecologici, abbattimento degli sprechi attraverso il controllo, la partecipazione e la denuncia dei cittadini.

 

 

2) sostenere l’iniziativa che Franca sta portando avanti con altri parlamentari per riuscire a unificare una serie di disegni di legge con proposte semplici e di buon senso che potrebbero da subito cambiare la situazione agendo su meccanismi che stanno alla base del sistema dello spreco come l’incapacità di rendere disponibili in tempi brevi i beni sequestrati dalla mafia.

 

 

3) Creare un "albo degli scialacquamenti" (che pubblicheremo un libro!), zona per zona, basilare per avere un quadro preciso della situazione e poterla denunciare con forza. Per combattere gli sprechi, è importante sapere dove si nascondono! La gente sa che esiste lo sperpero di ricchezza ma non si rende conto di quanto enorme sia.

 

Iscrivetevi, chiedete ai vostri amici di partecipare, iniziate a mettere mano ai bilanci dei vostri comuni, a ritagliare articoli di giornale sugli sprechi di casa vostra per dare inizio a una collaborazione seria per questo progetto.

 

Per diventare membri, basta inviare una mail all' indirizzo [email protected]  con i vostri dati anagrafici, recapito telefonico e numero di documento d'identità.

 

Tutti i dati verrano custoditi secondo la vigente normativa in materia di privacy


franca: ho scritto una lettera a un amico....

Ho scritto una lettera a un amico... un caro amico. Perché la invio anche a voi? Ne sento il bisogno... forse perché è un modo diverso di presentarmi, farmi conoscere... mettervi a parte del lavoro svolto... dei miei problemi... stare con voi... Mi manca molto l'amicizia vicina... intorno a me...
Mi sto interrogando del perché vi coinvolgo... Forse perché le richieste che faccio a lui, potrebbero avere risposte anche da voi. Ho sempre bisogno di essere aiutata.
Beh, prendetevela come più vi piace.
un bacio franca

Caro x,
non so come ringraziarti per quanto mi dici. Non ho nulla da scusarti. Vorrei solo che tu capissi che io non sono una maestra. Quello che ho imparato è per la grande passione, per il fascino che ha per me il computer. Quando inserisco un brano e riesco anche ad allegare la foto, mando grida di gioia.
Abbi un po’ di pazienza.
Mi vanno bene le tue osservazione, cerca però, se ti è possibile di farmele senza troppa ira.
Sto attraversando un triste periodo che dura da troppo tempo… e ogni giorno è più difficile da campare.
Sono diventata assai fragile, e a volte non riesco a frenare il groppo di pianto che staziona perennemente nella mia gola (se ne sta lì… un po’ seccato in quella posizione ristretta… in guardia, pronto a sciogliersi per sfogarsi e farmi fare cattive figure) scusami quindi se anche per cose, alla fine piccole come quelle che succedono tra noi, finisco in lacrime (è colpa del groppaccio dispettoso! Continuo a deglutire … ma lui non se ne va.)

Mi piacerebbe migliorare il mio blog. Ho parlato con un mio amico che dovrebbe aver contattato ja... Ho un grande desiderio: avere, seppur virtuale, un isola tutta mia, (second life) su cui fare cose bellissime. Pensi di avere tu qualcuno che mi possa aiutare? Trovo il mio blog un po' ingessato e di non facile navigazione. Avevo chiesto a una importante AZIENDA di occuparsene ma non ha avuto tempo per me. "Siamo molto impegnati". In effetti lo erano. Hanno programmato il sito di un ministero e anche quello del ministro!
Pazienza… per ora.
Nel 1995, quando ho "pensato" di mettere tutto il mio archivio su internet (oltre 2 milioni di documenti) ero stata dissuasa da amici per via dell’enorme lavoro e degli alti costi.
Ho rimuginato l’idea per 2 anni e nel 97 mi sono azzardata. Sono stata aiutata da tante persone, te compreso, Jacopo, Nora…. anche quelle che hanno fatto tanti errori mi sono stati utili…Grazie a tutti.
In quei primi anni non speravo proprio di riuscirci. Invece ce l’abbiamo fatta! È’ stato un lavoro davvero pazzesco! E’ una delle pochissime cose di cui vado orgogliosa.

Ce la farò a fare la mia isola?... Chissà.

Prossimamente (stanno aspettando da mesi, devo solo farmi venire la voglia e uscire dall’apatia che mi sta mangiando) girerò con Arcoiris filmati sulla mia vita e sprechi. Sto anche orgaizzando la traduzione del blog in inglese.
Hai consigli preziosi da darmi?
Ti ringrazio per tutto quello che in tanti anni hai fatto per noi, della tua pazienza e amicizia. Mi dispiace solo che non ci si veda mai.

La bimba s'è fatta davvero bella, di quella bellezza particolare... che le dà grande personalità.
Le foto vanno bene, mi ha incantato in particola quella con i capelli che volano a destra. DARIO SE NE STA OCCUPANDO.
Un abbraccio a ..., ..... e al mio amico ....
Vi voglio bene
franca


per francy da franca

Ciao francy, mi fa un gran piacere trovare in questo momento un’amica come te con cui parlare… carlotta è andata a letto da poco… in tv non c’è nulla. Ho dato una guardata ai giornali. Mi vengono brutti pensiero in testa e malinconia che deriva dalla situazione politiche che stiamo attraversando. Malinconico e preoccupata. Passiamo un po' di tempo insieme. Dovremmo metterci a schiattare… una di queste sere lo faccio. Annuncierò l’evento con le fanfare, così ci troviamo tutti e ci facciamo una bella chiacchierata. Ho grandi novità da raccontarvi. Per la Festa della Repubblica ho ricevuto per la prima volto in un anno, inviti istituzionali. “233°anniversario della Fondazione della Finanza il Generale Roberto Speciale (….) ha il piacere d’invitare la signora…”. Poi: “il Ministro della Difesa è lieto d’invitare …. Se penso al ministro Parisi mi sento le guance arrossire. Credetemi, non è nel mio costume uscire con volgarità di quel tipo. Non so che mi sia preso. Avevamo appena finita la manifestazione a vicenza…ero inquieta per la difficile soluzione del grande problema - basi americane - e mi sono lasciata andare… Scusa Francy… passavo vicina al computer,ho visto il tuo nome tra gli ospiti, è m’è venuta voglia di scriverti… ma ho già preso il sonnifero, domattina devo lavorare presto… mi gira la testa e devo interrompere… corro a dormire… Meglio… ti racconterò tutto in due puntate. Scusamo Il più vicino alle mie corde comunque è stato l’invito del Presidente Napolitano. Un bacio franca


Harakiri di Marco Travaglio

L'Unità, 30 maggio 2007


In Giappone il ministro dell’Agricoltura Toshikatsu Matsuoka, coinvolto in uno scandalo finanziario, s’è impiccato in pieno Parlamento. «Sono ben cosciente - ha lasciato detto - delle mie responsabilità. È mio dovere far sì che cose simili non si ripetano». Era accusato di aver intascato fondi neri per 6.600 euro da una società edilizia che poi aveva vinto appalti pubblici e di aver presentato note spese fasulle per 180 mila euro facendosele rimborsare dallo Stato. In Italia Paolo Scaroni, quand’era manager della Techint, pagò tangenti al Psi per vincere appalti all’Enel. Una volta scoperto, fortunatamente non si suicidò. Patteggiò 1 anno e 4 mesi per corruzione e fu subito promosso dal governo Berlusconi presidente dell’Enel (in veste d’intenditore) e poi amministratore delegato dell’Eni: ora è di nuovo indagato dalla Procura di Milano per aver truffato gli italiani taroccando i contatori di gas e gonfiando le bollette di circa il 6%. Se avesse lasciato detto qualcosa, avrebbe potuto dire: «Sono ben incosciente delle mie responsabilità. Ed è mio dovere far sì che cose simili si ripetano. Ora scusatemi, ma ho molto da fare». Matsuoka riteneva di aver «perso la reputazione»: il che, spiega Paolo Salom sul Corriere, «è la tragedia più grande per un uomo dell’Estremo Oriente. Negli ultimi 25 anni, altri 4 parlamentari han fatto harakiri». Tutti gli Scaroni d’Italia della reputazione e dell’onore hanno un concetto un po’ elastico: non temono di perderli, non si sono mai posti il problema, e questo li avvantaggia parecchio rispetto agli uomini dell’Estremo Oriente. Chi ha una faccia, teme di perderla. Ma chi non ce l’ha, o più semplicemente vive in Italia, non ha nulla da perdere. Vive meglio. E soprattutto vive. Mentre i Matsuoka muoiono. Certo i Matsuoka esagerano: noi, più modestamente, ci accontenteremmo che quelli nostrani vivessero cent’anni, ma a casa loro, lontano dal denaro pubblico. Invece, se nel curriculum hanno almeno una condanna da vantare, vi si avvicinano vieppiù. E dire che, solo 15 anni fa, capitava anche in Italia che qualche personaggio coinvolto in Tangentopoli si togliesse la vita per la vergogna, o per paura delle conseguenze. Ma oggi vengono ricordati come vittime, non come colpevoli: colpevoli sono i giudici che scoprirono i loro delitti e i giornali che li raccontarono. In Giappone a nessuno salterebbe in mente di accusare giudici o giornali: se uno ruba, le conseguenze dei suoi furti ricadono su di lui, non sugli altri. Il Corriere aggiunge che «Matsuoka, facendo harakiri, ha riconquistato il suo onore di fronte ai connazionali». Ecco, i connazionali. I cittadini. La società civile. L’opinione pubblica. Nel ‘92-’93 ne avevamo una anche noi. Scendeva in piazza contro i ladri e a favore delle guardie. Poi, a reti unificate, le fu spiegato che i ladri erano le vittime e le guardie i colpevoli. Il gioco di prestigio funzionò. L’altroieri gli elettori di Asti hanno rieletto sindaco il forzista Giorgio Galvagno: lo era già nel gennaio ’94, quando era socialista e fu arrestato. Lo scandalo era quello della discarica di Vallemanina e Valleandona, dove venivano smaltiti illegalmente rifiuti tossici e nocivi in cambio di tangenti. Innocente? No, colpevole: nel 1996 Galvagno patteggiò 6 mesi e 26 giorni di carcere per inquinamento delle falde acquifere, abuso e omissione di atti ufficio, falso ideologico, delitti colposi contro la salute pubblica e omessa denuncia dei responsabili della Tangentopoli astigiana. Meritava un premio: nel 2001 Forza Italia lo preferì all’allora capogruppo, l’avvocato Alberto Pasta, che aveva un handicap: al processo sulla discarica assisteva il comitato delle vittime, parte civile contro Galvagno. Fra il condannato e la parte civile, il partito di Berlusconi non ebbe esitazioni: scelse il condannato. Galvagno divenne deputato. Ora è di nuovo sindaco,col 56,9%. A Taranto sfiora il ballottaggio il figlio di Giancarlo Cito, che non poteva ripresentarsi per via di una condanna per mafia (Sacra corona unita). A Monza vince il rappresentante della Cdl, così finalmente Paolo Berlusconi potrà costruire un milione di metri cubi alla Cascinazza. La politica è in crisi anche per questo: a volte, come diceva un celebre titolo di Cuore, «l’uomo della strada è una bella merda».

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