Lounge presidenziale da 3 milioni di euro

 

Come più volte annunciato dal Presidente Formigoni, entro il 2010 sarà costruita la nuova sede della Regione Lombardia per un costo complessivo  finale di 580 milioni di euro: il faraonico progetto prevede spazi aperti al pubblico, altri di carattere ludico ricreativo e punti di ristoro.

Ma  tre lunghi anni in un edificio inadeguato alla vita dello staff presidenziale  non sono stati ritenuti sopportabili, e di fronte al progetto Inside the Beauty, la Giunta non ha esitato:  parere favorevole allo stanziamento, attraverso la società Infrastrutture Lombarde, della bellezza di 2.718.000 euro per piccoli ma fondamentali ammodernamenti.
Non c’è infatti una regione al mondo per non costruire, nel ristrutturando  trentunesimo piano dell’attuale sede di Palazzo Pirelli, una buvette, una lounge presidenziale, uno spazio per colazioni con spazio espositivo, uno spazio conferenze ed infine un indispensabile belvedere, tutti all’interno di una struttura in vetro opalino.
Non era proprio immaginabile di risparmiare questo denaro pubblico, sacrificandosi ancora per qualche anno, in attesa della nuova sede regionale?
 
In cima al Pirellone una buvette e webcam in diretta sulla citta'
Di Olga Piscitelli, Corriere della Sera, 17.07.2007
Previste anche esposizioni d’arte e concerti. Oltre 2 milioni e mezzo la spesa. Critica l’opposizione
Cupola di vetro al 31° piano. Ospiterà un ristorante e immagini su Milano

Una nuvola di vetro sul 31° piano del Pirellone. Un guscio in parte opalino in parte trasparente per aumentare le sfaccettature di Milano. E sul pavimento di quello che per Gio Ponti doveva essere un belvedere aperto al pubblico, molti schermi che rimandano in diretta le immagini dalla città: l'ultimo cantiere aperto, le circonvallazioni, il Duomo, "il brusio multiforme della metropoli", chiosano i progettisti.

Il disegno ispirato al tema della "città infinita" e firmato da Mauro Piantelli dello studio De8 ed Enrico Gardin di 2 Architetti è approvato. Al 31° piano che rimarrà open space, grazie a un sistema di pannelli mobili, sorta di quinte teatrali, troveranno spazio "la buvette presidenziale, un’area destinata a esposizioni di arte, una per concerti o conferenze, una zona ristorante per colazioni ufficiali, un lounge per riunioni e pranzi di rappresentanza". Era dal 2006 che al Pirellone si studiavano soluzioni per il Belvedere, da quando, restaurato il grattacielo, dopo l’incidente aereo che sventrò il 26° piano, la Infrastrutture lombarde lanciò il concorso. Poi la valutazione dei progetti, le gare d’appalto, la burocrazia delle carte.

Ora tutto è pronto. Anche le polemiche. Per 1.260 metri quadrati, tanto misura l'area del tetto di Milano, la previsione di spesa è di 2 milioni 718 mila 933 euro. Troppo secondo la segnalazione arrivata al sito www.sprechilombardi.org. "È la buvette di Formigoni?". Tanto da indurre Carlo Monguzzi e Marcello Saponaro, capogruppo e consigliere regionale dei Verdi a presentare un’interrogazione.

"In vista del trasloco degli uffici, fissato per il 2010, perché—chiedono — si spendono questi soldi per fare un Belvedere nella sede del Pirellone? Non era più economico realizzare buvette e terrazze nella nuova sede?".I lavori del risanamento conservativo del 31¢ª piano dovrebbero concludersi nel 2008. Antonio Giulio Rognoni, direttore generale di Infrastrutture lombarde spiega: "L’idea sarebbe quella di lavorare a uffici chiusi, per non intralciare l’attività istituzionale, di notte e durante il fine settimana". Il cantiere potrebbe partire tra la seconda metà di agosto e settembre.

"Il progetto — dice ancora Rognoni—è molto rispettoso dell’idea di Gio Ponti: è stato approvato, tra gli altri, anche da Egidio Dell’Orto, unico progettista vivente del pool di architetti e ingegneri che ha realizzato palazzo Pirelli.

Il 31°piano potrà essere affittato; gli introiti in un anno, prevediamo, copriranno la spesa".

Inside the Beauty, questo il nome in codice del disegno nato in uno studio di Orio al Serio, vicino a Bergamo, comprende anche un’idea per la trasformazione del 26°piano in "spazio della memoria". La sala riservata agli incontri politici sarà trasferita nella bolla di vetro. Il Belvedere, insistono i progettisti, "sarà aperto al pubblico. Il presidente lombardo e la sua giunta potranno muoversi dentro il guscio di vetro; i visitatori tutto intorno".

 

LIBRO VERDE: ECCO DOVE SI ANNIDANO GLI SPRECHI

Anticipato dal Ministro Padoa Schioppa, è finalmente stato pubblicato il libro verde che mostra quali sono i buchi dai quali scappano consistenti somme di denaro pubblico, come ottimizzare la spese e in che settori.
 
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 dal Sole 24 Ore
 
Conoscere per deliberare. Con questo intento il ministro dell'Economia Tommaso Padoa Schioppa ha presentato il «Libro verde sulla spesa pubblica», preparato dalla Commissione tecnica per la finanza pubblica, con le prime indicazioni per spendere meglio. Dalla dinamica della spesa pubblica ai principali tentativi di governarla. La parola d'ordine è, proprio, spendere meglio, eliminando gli sprechi, correggendo i fenomeni di cattivo costume, riducendo i costi della politica, incidendo sull'organizzazione degli uffici, adeguando le strutture ai nuovi bisogni e dando un taglio netto a funzioni anacronistiche. C'è il rischio, dice Padoa Schioppa, che l'inefficienza della spesa pubblica «si incanali verso una inqualificata protesta fiscale». Sempre a proposito di fisco, il ministro ha ricordato che in Italia l'evasione fiscale è eccezionalmente elevata (e cioè nell'ordine di 100 miliardi l'anno, circa il 7% del Pil).

La sfida consiste in un cocktail di tre ingredienti: l'aumento del contributo del bilancio alla crescita, la progressiva riduzione del carico fiscale per i contribuenti in regola, l'alleggerimento del debito pubblico, che per interessi costa al Paese 70 miliardi
l'anno. «Per vincere la sfida - sottolinea il ministro dell'Economia - occorre il concorso di molte volontà», visto che la massa di risorse che compone la spesa pubblica dipende da molti». Senza maggior crescita, avverte Padoa Schioppa, è arduo conseguire «maggiore equità sociale, perchè la ridistribuzione del prodotto esistente non può dare risorse sufficienti a sviluppare l'intervento in campi ancora poco curati». I prossimi passi saranno quelli di rendere strutturale la capacità di spendere meglio nelle amministrazioni centrali, applicare l'intesa su produttività e merito nel pubblico impiego e avviare il federalismo fiscale, visto che dagli enti locali dipende il 30% della spesa totale delle Pubbliche amministrazioni.

(...)

 La spesa per interessi è circa il doppio di quella di altre economie europee a causa dell'elevato debito pubblico e si registra un valore elevato sul fronte della spesa pensionistica. Risulta, invece, più basso il livello di altre prestazioni sociali. Dal libro emerge che una spesa per interessi e pensionistica in linea con le altre capitali europee potrebbe liberare circa 50-60 miliardi di euro (4% del Pil) da destinare ad altre finalità: dal pareggio di bilancio agli investimenti in infrastrutture e ricerca, dallo sviluppo degli ammortizzatori sociali alla riduzione del prelievo fiscale.

Sul fronte della sanità si registra una forte variabilità regionale, con una significativa mobilità dei pazienti. Il costo medio giornaliero di una degenza negli ospedali italiani, è di 674 euro, in linea con i prezzi di una matrimoniale a 5 stelle in un albergo, cifra che significa che la spesa media annua, per un posto nelle aziende ospedaliere italiane, supera i 200 mila euro. Ma la cifra giornaliera di cui si deve far carico il Servizio sanitario nazionale spesso è molto più elevata, con un picco in Piemonte con 932 euro, che scende in Toscana a 829 euro, nelle Marche a 819 euro, nel Lazio a a 801 euro e via via fino alla Liguria, dove la spesa pubblica è solo di 593 euro.
Eccone un riassunto (grazie francy!):
Giustizia
Spendiamo come l'Olanda ma i processi durano il triplo

L'Italia ha una spesa pro-capite per la magistratura pari all'Olanda, ma le cause di divorzio e quelle civili durano il triplo del tempo, mentre quelle di lavoro arrivano a durare, in media, ben 35 volte di più rispetto ai Paesi Bassi.
Tribunali
Le uscite dei tribunali sono cresciute del 140 per cento

Negli anni'90 la spesa per la giustizia è aumentata del 140 per cento, i magistrati del 15 per cento.
Le cause civili arretrate, però, sono triplicate, mentre la loro durata è aumentata del 90 per cento.
E la spesa continua a salire: +27 per cento solo per i magistrati tra il 2004 e il 2007.
Ministeriali
L'aumento in busta paga sorpassa quello dei privati

Le retribuzioni del pubblico impiego sono cresciute del 30 per cento dal 2001 al 2006, il 10 per cento in più del settore privato, più dell'inflazione e della produttività. Ma negli anni '90 avevano avuto "una dinamica sistematicamente inferiore rispetto all'industria".
Mobilità
Il posto resta fisso, nessuno cambia ufficio

"Favorire una effettiva e graduale riduzione del personale pubblico, fermare la creazione di lavoro precario ed al contempo garantire l'immissione di risorse giovani e qualificate". La mobilità, soprattutto nei Ministeri, non ha funzionato.
Università
La carica dei mini corsi. Poche borse di studio

Proliferazione dei corsi brevi, diffusione di piccole sedi, rapporto docenti/studenti inadeguato, borse di studio insufficienti, scarsa selezione degli studenti, assenza di meccanismi di valutazione. Anche per questo le Università costano molto e rendono poco.
Professori
Troppi professori e 21.000 ricercatori

Troppi professori, 36.000 tra ordinari e associati, pochi ricercatori (21.000). E il Tesoro sottolinea la "sostanziale assenza di qualunque meccanismo di mercato che premi gli atenei meglio in grado di rispondere alla domanda di famiglie e imprese".
Sanità
Parti cesarei, 23 a Bolzano. Sono 59 in Campania

Promossa la sanità italiana. Il rapporto tra spesa e servizio, dice il Tesoro, è buono. Anche se si può ancora risparmiare. Perché a Bolzano ci sono solo 23 parti cesarei ogni 100, in Campania arrivano ad essere ben 59.
Ospedali
Un giorno in corsia costa fino a 932 euro

Un giorno di degenza in ospedale costa in media 647 euro. Ma si va dai 932 euro del Piemonte ai 593 della Liguria. Un dipendente della Sanità costa 38.000 euro in Veneto e 50.000 in Campania. In Piemonte sono 3,25 per posto letto, in Basilicata appena 2.


Padoa-Schioppa dà l´esempio via la carne dal menu del Tesoro

La Repubblica 30 AGOSTO di ROBERTO MANIA

Stretta alle spese della foresteria del ministero, ma si prepara il braccio di ferro con i colleghi di governo
Con i collaboratori colazioni di lavoro a base di riso e antipasti
La scure si è già abbattuta sulle sedi provinciali, le auto blu e i voli di servizio
«Ci siamo già indebitati; e abbiamo usato il credito per consumare e sprecare. Ora le risorse le possiamo reperire solo spendendo meglio, smagrendo strutture pubbliche ridondanti, spendendo meno in consumi correnti, con una politica di austerità delle retribuzioni pubbliche», scriveva dieci giorni fa il ministro dell´Economia, Tommaso Padoa-Schioppa in una lettera a Repubblica. Detto, fatto. L´austerità è arrivata davvero nelle sontuose sale di Via XX settembre. Anche in quella della foresteria, destinata ad ospitare le colazioni di lavoro dell´ex banchiere di Francoforte con i suoi più stretti collaboratori. A tavola, niente carne, né pesce. Salvo casi eccezionali, soprattutto in caso di ospiti. Ma non è una questione di dieta. È che (carne e pesce) costano troppo e che si deperiscono anche presto. Meglio il riso, allora. Con qualche antipasto.
La linea dell´austerity si è estesa anche alle cucine e al personale di servizio. La struttura è stata sostanzialmente dimezzata: è rimasto un solo cuoco e due camerieri. Nessun licenziamento, ovviamente. Trattandosi di finanzieri, sono stati adibiti ad altre funzioni.
Ora, Padoa-Schioppa si aspetta di essere imitato dai suoi colleghi del Consiglio dei ministri. E non solo a tavola. Da oggi, con il tradizionale fair play d´avvio, comincia il braccio di ferro sui tagli alle spese di tutti i ministeri. E questa volta sarà durissimo perché tutta la manovra che ha in mente il Tesoro è imperniata sui risparmi per finanziare altri capitoli della spesa pubblica, mantenendo fede all´annuncio di una manovra di «tregua fiscale». L´altro ieri è già uscito allo scoperto il titolare della Difesa, Arturo Parisi, per dire no a tagli al suo settore. Con meno nobili argomenti («le guerre esistono ancora») sarà imitato - c´è da scommetterci - da molti suoi colleghi.
Eppure la spesa corrente continua ad essere inarrestabile. Nei primi quattro mesi di quest´anno ha subito un´accelerazione di ben il 12 per cento rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. In valore assoluto circa 14 miliardi in più contro i 660 milioni di spesa destinata agli investimenti. È nella riduzione di questo divario la scommessa di Padoa-Schioppa. Che prima del menu ministeriale, aveva già agito di scure su altri fronti: per esempio su 80 sedi provinciali del Tesoro e della Ragioneria. E poi, sull´auto di servizio e sui voli per servizio: meno lussuosa e non blindata la prima; biglietti low cost per i secondi, nonostante la crisi della compagnia di bandiera. Austerity senza limiti patriottici.
 

PARADISI FISCALI MADE IN ITALY PER GLI OCCUPATI FRONTALIERI

La Repubblica, di Luisa Grion
 
 
Non è detto che per beneficiare di un fiscoaagevolato si debba, per forza, trasferire la residenza a Londra o Montecarlo e iscrivere la propria azienda nei registri delle isole Cayman. Basta un po’ guardarsi intorno per scoprire che i “paradisi fiscali” non sono poi così lontani. Anzi sono addirittura fra noi, basta vivere a Campione d’Italia, per esempio, a lavorare al Vaticano o ancora scegliere come sede dei propri affari la Repubblica di San Marino. Basta attraversare le frontiere tutte le mattine per recarsi in ufficio.
 
L’esenzione, certo, non sarà totale, ma i vantaggi sono notevoli.
A chi lavora oltre confine, infatti, è lo stesso fisco italiano che concede una franchigia. Lo sconto, ad ogni Finanziaria, viene messo in discussione. Ma fino ad ora è sempre sopravvissuto: sia la manovra 2006 che quella 2007 hanno fissato tale tetto per l’Irpef a 8 mila euro, più la deduzione dei contributi obbligatori di assistenza sanitaria. Il che, per i lavoratori frontalieri, va ad aggiungersi alla “no-tax area”. Dunque tutti coloro che percepiscono un reddito fino a 15.000 euro, di fatto, non pagano l’Irpef e la somma complessiva esente dei tributi può anche essere più alta se ci sono detrazioni per carichi di famiglia.
Ora va detto che i frontalieri non sono poi così pochi: viene considerato tale chi risiede in Italia e quindi non soggiorna all’estero ma lavora in “via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto nelle zone di frontiera e in altri paesi limitrofi”. Quanti sono? Non è facile da fare, ma si sa che in Svizzera lavorano circa 28 mila italiani residenti nelle province di Como, Varese, Verbano, Cusio e Ossola. Altri 2.500 si spostano dalle province di Sondrio, e in piccola parte da Bolzano, verso il cantone dei Grigioni, altri mille nel Vallese. E verso al Francia e il Principato di Monaco si dirigono, per motivi di lavoro, circa 3.500 italiani.
Ci sono poi i 5 mila connazionali che dall’Emilia Romagna e dalle Marche si recano in ufficio nella Repubblica di San Marino. Qui il discorso si fa più completo perché i “regali” fiscali elargiti alla Rocca non si limitano ai frontalieri, ma riguardano chiunque faccia della “Lilliput economica” il suo centro d’affari. E sono tanti: nei 60 chilometri quadrati che formano il piccolo stato attorno al monte Titano, ci sono oltre 5 imprese, la gran parte di provenienza italiana, sulle quali l’agenzia delle Entrate sta intensificando i controlli.
Ad attrarle è stato soprattutto la politica fiscale che, anche se non da di San Marino un vero e proprio “paradiso”, abbatte l’imposta sui redditi al 19%, garantendo un sistema di agevolazioni alle imprese decisamente favorevole. Molto fortunati sono anche i residenti della Città del Vaticano che le tasse non le pagano proprio, come peraltro, i cittadini italiani che lavorano in varie strutture del vaticano pur se al di fuori dai suoi confini (come il Bambin Gesù).
L’esclusione totale è prevista fin dai Patti Lateranensi. E poi ci sono gli sconti concessi a Campione d’Italia, enclave italiana in territorio svizzero con circa 3 mila abitanti dove, su diverse transazioni, non si versa l’Iva. Dove si gode di facilitazioni per il pagamento degli oneri sociali e dove non si rischiano nemmeno i punti della patente (che è elvetica).
Eppure siamo in provincia di Como. Contabilizzando questi ed altri vantaggi si arriva ad uno sconto fiscale rispetto all’Italia valutato fra il 20 e il 36%.


RESORT E HOTEL A 4 STELLE MA PER LO STATO SONO ESENTASSE di LUCA lEZZI, REPUBBLICA

 Curarsi, viaggiare, studiare. Basta aggiungere il marchio della fede per svolgere queste attività in un mondo à parte: regolato meno e più favorevolmente. La legge riconosce privilegi a tutte.le attività connesse alla religione: ciò che serve per alloggiare, sostenere, assistere e formare i fedeli non può essere tassato come un' attività a fini di lucro. Chiaro in teoria, ma nella pratica la linea di confine diventa abbastanza confusa: ostelli per pellegrini che diventano alberghi a quattro stelle, conventi che diventano resort alla moda; ospedali che godono dell'extraaterritorialità eppure a cui lo Stato riconosce finanziamenti direttamente in ogni Finanziaria.

L'inchiesta dell'Ue sui regimi fiscali riporta al centro l'attenzione soprattutto la questione immobiliare. Un vero e proprio ginepraio: al vertice c'è l'Apsa, sigla che sta per l'Amministrazione patrimoniale della sede apostolica che gestisce gli immobili della città del Vaticano e tutta una serie di fabbricati specie a Roma. Per molti di loro bisogna rifarsi ai Patti Lateranensi e diversi regimi di extraterritorialità Ma l'Apsa controlla anche proprietà "normali" in territorio italiano sottoposte specie negli ultimi anni a "normale" speculazione edilizia spesso attraverso società lussemburghesi e quindi lontano dalle grinfie dell'Erario. Tutta italiana poi la questione degli immobili di proprietà di enti religiosi e quindi "esentabili" dall'Ici. Visto che la legge impone il tributo solo nel caso l'attività sia «esclusivamente» commerciale il meccanismo più utilizzato è quello di affiancare e riconvertire solo una parte ad attività economica. La doppia attività ha trasformato conventi e seminari di pregio in hotel a quattro stelle o comunque centri famosi e ricercati dove si accettano visite e denaro da fedeli e non. Esempi di accoglienza "di lusso" si possono trovare a pochi passi dal Castel S. Angelo a Roma dove i Carmelitani condividono un albergo da 83-120 euro a notte con Tv satellitare, frigo bar e aria condizionata. Più esclusive le 7 camere dentro uno dei monumenti più famosi di Milano: l'abbazia di Chiaravalle. Sempre in tema di ospitalità monastica d'alta gamma da segnalare il monastero di Camaldoli in provincia di Arezzo che attira intellettuali, politici o semplici turisti che amano la Toscana. A Cortina poi una vera e propria istituzione sono le Orsoline che da mezzo secolo danno ospitalità a prezzi modici in un ex albergo a vip e turisti. Culto dell'ospitalità, ma anche valutazione dell'unicità della propria offerta. Offerte per ritiri spirituali e gruppi di fede, ma anche per il turista straniero, (di qualsiasi fede) che vuole soggiornare in una città d'arte. Tra case ferie, seminari e casa accoglienza le strutture che in Italia sono oltre 1000, tutte "parzialmente" riconvertite, e quindi al riparo dall'Ici, molte di loro sono facilmente rintracciabili su Internet. In alcuni casi la gestione passa a società laiche, ma la proprietà rimane all'ente religioso. Quello del turismo religioso è un vero e proprio network parallelo e capillare, spinta dalle numerose ristrutturazioni realizzate in questi anni spesso con l'aiuto pubblico. Il business dell'ospitalità genera 40 milioni di clienti l'anno scorso: 250 mila posti letto e oltre 4000 strutture. Gran parte del traffico è gestito direttamente dal tour operator e vaticano l'Opera Romana Pellegrinaggi che conta 2500 agenzie convenzionate e offre pacchetti completi, viaggi aerei, pernottamenti sia in alberghi normali che in quellì religiosi.

Regimi particolari anche nella Sanità, con le strutture (per lo più di eccellenza) nate da iniziative religiose che invariabilmente ci guadagnano nei rapporti can il Servizio Sanitario nazionale. Il Bambin Gesù, uno degli ospedali pediatrici più famosi d'Italia, vede i suoi rapporti con lo Stato italiano regolati da un trattato internazionale con tanto di ratifica sulla Gazzetta Ufficiale (fu donato nel 1924 direttamente, al Papa dai fondatori; la famiglia aristocratica Salviati). Gode di finanziamenti pubblici nazionali per la sua attività di ricerca, e dei rimborsi dalla Regione Lazio per l' attività quotidiane in quanto struttura convenzionata, ma non ogni modifica alle sue prerogative deve essere contrattata con il Vaticano dal ministero degli Esteri. Insomma una situazione in cui lo Stato paga ma non comanda. Anche per 7 ospedali "classificati" tenuti da religiosi nel Lazio vale un regime particolare: espressamente convenzionati nel 1978 (all'istituzione del Ssn) non possono perdere questa qualifica indipendentemente dalle necessità della Regione.

Per il Policlinico Gemelli e l'Università Cattolica ad esso collegate vale invece il trattamento delle strutture private per Sanità e istruzione. Un settore quest'ultimo che ha già suscitato polemiche da quando lo Stato ha iniziato a finanziare gli istituti privati. Il mondo cattolico non più di tre giorni fa ha accolto con piacere l'annuncio di un innalzamento a 500 milioni di euro da parte del ministro per la pubblica istruzione Giuseppe Fioroni degli stanziamenti per le scuole non statali dove le istituzioni cattoliche la fanno da padrone.


Casa Nostra - di Marco Lillo - l'espresso

Ci sono ministri e leader di partito, ex presidenti del Parlamento e della Repubblica, magistrati e giornalisti. La nazionale dell'acquisto immobiliare scontato è talmente vasta e assortita che ci si potrebbe fare un ottimo governo di coalizione. Si va dall'ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga ai presidenti della Camera e del Senato del primo governo Prodi: Luciano Violante e Nicola Mancino.

Dalla famiglia del presidente dell'Udc Pier Ferdinando Casini a quella del ministro della Giustizia Clemente Mastella passando per la figlia del deputato di An Francesco Proietti. C'è il candidato leader del Partito democratico, Walter Veltroni e il presidente del Senato Franco Marini. Non mancano la Borsa, con il presidente della Consob Lamberto Cardia e il mondo del lavoro con il segretario della Cisl Raffaele Bonanni. C'è il senatore Udc Mario Baccini e il responsabile della Margherita in Sicilia Salvatore Cardinale. Situazioni diverse tra loro che talvolta convivono nello stesso palazzo.

Prendiamo lo stabile Inpdai di via Velletri, a due passi da via Veneto. Al primo piano la moglie di Walter Veltroni ha comprato più o meno allo stesso prezzo pagato dall'ex sottosegretario Marianna Li Calzi che abita al quarto. Ma le due storie sono diverse. Li Calzi ha ottenuto il suo attico alla vigilia della svendita a seguito di una discussa procedura pubblica. Veltroni invece è nato nelle case dell'ente previdenziale dei dirigenti. L'Inpdai aveva affittato sin dal 1956 un appartamento al padre, dirigente Rai. Nel 1994 i Veltroni restituirono all'ente i due alloggi nei quali vivevano Walter e la mamma per averne in cambio uno più grande, il famoso primo piano di via Velletri da 190 metri quadrati che nel 2005 è stato acquistato dalla moglie del sindaco, Flavia Prisco, per 373 mila euro. Il prezzo è basso per effetto non di un'elargizione personale ma per il meccanismo degli sconti collettivi concessi a tutti allo stesso modo. Altra cosa ancora sono gli acquisti delle case dell'Ina ora finite a Generali e Pirelli. Questi colossi privati in alcuni casi si sono comportati come spietati alfieri del libero mercato.

 
Altre volte hanno fatto prezzi bassi per blocchi di appartamenti finiti poi a famiglie dai nomi noti come Mastella e Casini. Scelte discutibili per società quotate in Borsa come Pirelli e Generali che dovrebbero puntare solo al profitto e che, evidentemente, hanno pensato di fare gli interessi dei propri azionisti cedendo appartamenti ai politici e ai loro amici a valori bassi. Insomma, ci sono differenze radicali tra venditore privato e ente pubblico ma anche all'interno delle due categorie. Se non bisogna far di tutta l'erba un fascio però ci sono due cose che accomunano i protagonisti della nostra inchiesta: sono potenti che hanno pagato troppo poco ieri per l'affitto e oggi per l'acquisto.
Inoltre nella maggioranza dei casi in quegli immobili sono entrati grazie a conoscenze, entrature e amicizie. Questa disparità di trattamento con i comuni mortali non è una novità. Emerse con violenza populista nel 1996 durante il primo Governo Prodi grazie alla campagna 'Affittopoli' de 'il Giornale' di Vittorio Feltri. Oggi quegli stessi immobili affittati dieci anni fa ad equo canone sono stati svenduti definitivamente e il privilegio è stato reso eterno.
Per fare qualche esempio: Lamberto Cardia, presidente Consob, pagava 1 milione e 100 mila lire al mese di affitto nel 1996 e ha comprato nel 2002 a 328 mila euro 10 vani e due posti auto a due passi dal Palaeur. Maura Cossutta, onorevole dei Comunisti Italiani, pagava 1 milione e 50 mila lire allora e compra nel 2004 quattro camere, due bagni e balconi a due passi da San Pietro a 165 mila euro. Franco Marini pagava 1 milione e 700 mila lire allora e compra nel 2007 a un milione di euro due piani ai Parioli. A rendere 'svendopoli' ancora più odiosa di 'affittopoli' c'è il peggioramento drastico del mercato della casa. Il trattamento di favore diventa un'offesa insopportabile per chi è costretto a combattere ogni giorno con l'ufficiale giudiziario che vuole sfrattarlo.
Per capire 'svendopoli' bisogna iniziare il nostro viaggio da via Clitunno, nel quartiere Trieste. In questa strada immersa nel verde, ci sono due palazzi che facevano parte del patrimonio Ina-Assitalia e che rappresentano bene il confine tra i sommersi e i salvati delle dismissioni. Lì abitava, prima della separazione, Pier Ferdinando Casini con la prima moglie Roberta Lubich e le due figlie minorenni. Nello stabile accanto abitava una coppia di dipendenti Assitalia: Davide Morchio e la moglie Maria Teresa.

Negli anni Novanta le famiglie Morchio e Casini sono uguali: entrambi inquilini delle Generali, pagano un canone basso e sperano di poter comprare l'appartamento con lo sconto. Poi arrivano le vendite tanto attese e l'uguaglianza svanisce: la famiglia Lubich-Casini rileva a prezzi di saldo tutto il palazzo. Morchio insieme ad altre 19 famiglie deve andar via. Nessuna offerta per lui dalla nuova proprietà, che per ironia della sorte è Caltagirone, il nuovo suocero di Casini. Gran parte degli inquilini, come l'ex ministro verde Edo Ronchi che può permettersi di comprare lì vicino, lascia il campo. La famiglia Morchio invece resiste all'ufficiale giudiziario che chiede l'intervento della forza pubblica. "Abbiamo un contratto che ci dà il diritto di prelazione", spiega Davide Morchio, "ed è stato ignorato. Nel palazzo vicino hanno potuto comprare a prezzi di favore. È un'ingiustizia".

Anche l'immobile dove vive la prima moglie di Casini è stato ceduto in blocco ma con una procedura atipica. Ha comprato a un prezzo basso, 1 milione e 750 mila euro, la Clitunno Spa, società creata appositamente da un manager bolognese di area Udc, amico di Casini e della prima moglie. Si chiama Franco Corlaita e ha già rivenduto tutto. Indovinate a chi? Alla famiglia Lubich. Nel novembre del 2006 la mamma di Roberta compra per 586 mila euro il secondo piano. Ad aprile del 2007 la prima moglie di Casini compra il piano terra, a 323 mila euro. Passano due mesi e il 21 giugno scorso l'operazione si chiude con la cessione alle due figlie minori di Casini del terzo piano (306 mila euro per 5 vani catastali) e del primo piano (8,5 vani per 586 mila euro).

Casini partecipa all'atto (mediante un procuratore) in qualità di genitore anche se il notaio precisa che paga tutto la moglie. Per convincere il giudice tutelare ad autorizzare la stipula dell'atto, i genitori presentano una perizia da cui risulta che l'acquisto è 'molto conveniente'. Generali non fa una piega. Inutile dire che gli inquilini del palazzo vicino sono infuriati e ipotizzano una simulazione dietro questo strano giro. Nella sostanza, dicono, la famiglia Casini ha comprato con lo sconto e noi no. Alla beffa contro i vicini, si aggiunge quella agli inquilini, senza alcuna distinzione di rango. Al primo piano del palazzetto Lubich-Casini vive in affitto Roberto Barbieri, senatore del centrosinistra e presidente della Commissione parlamentare sui rifiuti. Paga un canone di ben 3 mila euro ma è stato trattato come gli altri. Nessuno gli ha detto che il suo appartamento è diventato della figlia di Casini. Nessuno gli ha proposto l'acquisto a 586 mila euro. Con tremila euro al mese avrebbe potuto accendere un mutuo per comprare. Invece a maggio del 2008 dovrà lasciare.

Anche il caso della famiglia Mastella dimostra che non sempre le società private sono così cattive. Il ministro della Giustizia abita all'ottavo piano di un palazzo sul lungotevere Flaminio che ha fatto la stesa trafila di quello di via Clitunno. Da Ina-Assitalia a Initium, società di Pirelli e Generali. Initium è proprietaria anche dei condomini di via Nicolai alla Balduina, dove abita l'ex ministro Baccini e di via Visconti a Prati, dove vive Francesco Cossiga. Gli inquilini di questi palazzi non sono stati trattati come quelli di via Clitunno. Stavolta Initium ha concesso prelazione e sconto. Così nel 2004 Baccini ha comprato la sua reggia da 15 vani, due terrazze e 4 bagni per 875 mila euro e Cossiga è diventato proprietario di casa, soffitta e magazzino per 710 mila euro.

Nel caso di Mastella però Initium ha fatto di più. Il 3 dicembre del 2004 nello studio del notaio Claudio Togna (dell'Udeur anche lui) c'era una riunione familiare. I Mastella al gran completo facevano la fila per stipulare atti e il povero Togna sfornava atti come una pizzeria di Ceppaloni. Sandra Mastella ha comprato l'appartamento dove dorme il marito e si è impegnata a prendere la residenza lì per ottenere le agevolazioni fiscali. Per lei un ottimo affare: 500 mila euro per un appartamento che include una veranda abusiva (condonata) e la terrazza su tre lati che guarda il Tevere e Monte Mario dall'ottavo piano. Subito dopo la moglie del ministro ecco arrivare i figli Elio e Pellegrino.

Comprano altri quattro appartamenti, due a testa. I prezzi erano davvero allettanti. A Pellegrino vanno il primo piano da 4,5 vani per 175 mila euro e altri 6 vani al quarto piano per 300 mila euro. Va ancora meglio al fratello che si accaparra un terzo piano con 5,5 vani per soli 200 mila euro e un miniappartamento con ingresso, camera, bagno e terrazza a livello per 67.500 euro, nemmeno il costo di un box in periferia. Le case sono state pagate in gran parte grazie ai mutui concessi da San Paolo (400 mila euro alla moglie) e Bnl (un milione e 100 mila euro ai figli che dovranno versare una rata mensile di 6.430 euro). E che nessuno vada in giro più a dire che Initium è cattiva con gli inquilini.

Anche Francesca Proietti, socia di Daniela Fini e figlia di Francesco, deputato di An e braccio destro di Gianfranco, ha comprato un appartamento a un prezzo d'occasione: 267 mila euro per un secondo piano con terrazza su tre lati, salone e due camere all'Eur. Sempre dal patrimonio ex Ina arrivano gli immobili di Nicola Mancino e Luciano Violante. L'ex magistrato torinese ha pagato con la moglie 327 mila euro nel 2003 un gioiello incastonato tra i Fori Imperiali e piazza Venezia: due terrazzette, tre livelli e una settantina di metri quadrati coperti.Nicola Mancino ha comprato insieme alla figlia Chiara nel 2001 una dimora da 10 vani più una soffitta autonoma su Corso Rinascimento, a due passi dal Senato per 1 miliardo e 550 mila lire del vecchio conio. Sempre dal gruppo Pirelli Giuliano Ferrara ha acquistato l'appartamento ex Ina da 7,5 vani in piazza dell'Emporio al Testaccio nel palazzo che un tempo veniva chiamato 'il Cremlino' per l'alta percentuale di comunisti. Ferrara, che un tempo tuonava contro De Mita per il suo affitto a Fontana di Trevi, ha rilevato un sesto piano con terrazzo a 890 mila euro.

Molto più bassi i prezzi praticati dagli enti previdenziali. Grazie al doppio sconto (30 per cento più 15 a chi compra tutto il palazzo) le parlamentari Franca Chiaromonte e Maura Cossutta hanno stipulato un atto collettivo per due appartamenti in via della stazione San Pietro rispettivamente per 113 mila e 165 mila euro. Notevole anche il caso di Raffaele Bonanni. Il segretario della Cisl ha conquistato nel 2005 un grande appartamento dell'Inps al sesto piano in via del Perugino, nel cuore del quartiere Flaminio: otto vani a 201 mila euro. Con quella cifra in zona si compra solo un garage.

L'anno scorso ha fatto il colpo del secolo anche l'ex ministro e deputato della Margherita siciliana Totò Cardinale. In via degli Avignonesi, una strada bellissima tra il Tritone e via Veneto, ha messo le mani su un terzo piano da otto vani con affaccio su via delle Quattro Fontane : un gioiellino da due milioni sul mercato libero portato via per 844 mila euro. L'ultimo è stato Franco Marini. Il presidente del Senato ha stipulato il rogito il 23 aprile scorso. Un milione di euro per aggiudicarsi la casa assegnata alla moglie dall'Inpdai in via Lima: due livelli per 14 vani nel cuore dei Parioli.

Se Marini è il politico che ha pagato il prezzo più alto (per una casa che vale comunque il doppio) l'oscar del rapporto qualità-prezzo spetta al senatore UdcFrancesco Pionati. L'uomo che ha sfornato per anni pastoni per i telespettatori del Tg1 ha comprato un attico e superattico da favola in via Traversari. L'appartamento è aggrappato alla collina di Monteverde ed è affacciato su Trastevere. Grazie al solito doppio sconto ha speso un'inezia. L'allora mezzobusto del Tg uno aveva fatto ricorso al Tar per ridurre ulteriormente la valutazione e in Parlamento gli amici dell'Udc avevano presentato pure un'interrogazione parlamentare per contestare il prezzo esorbitante: 509 milioni di lire nel 2001 per 10 vani con doppia terrazza. Sì, un prezzo veramente scandaloso.

 
Quei figli di papà in via Arenula
 
 
 
 
Il motto dell'Udeur è 'la famiglia prima di tutto'. Clemente Mastella lo ha applicato alla lettera quando si è trovato di fronte a una grande occasione: acquistare a un ottimo prezzo l'appartamento che ospita la redazione del giornale del partito. Invece di intestare tutto all'Udeur, il segretario ha preferito far comprare alla società dei figli, Elio e Pellegrino. Permettendo loro un vero affarone. Se vendessero oggi potrebbero incassare una plusvalenza da un milione di euro.

Tutto inizia il 7 aprile del 2005 quando il consorzio che cura le vendite dell'Inail scrive all'Udeur, in qualità di inquilino, per offrirgli di acquistare l'appartamento dove ha sede il giornale del partito al prezzo di un milione e 452 mila euro più Iva. Prendere o lasciare. Mastella prende e fa bene. Stiamo parlando del quarto piano di Largo Arenula 34, pienissimo centro con affaccio su Largo Argentina. Un appartamento quasi identico, al primo piano dello stesso stabile, è stato ceduto nel 2006 dall'Inail a 1,4 milioni ed è stato rivenduto nel 2007 per 2 milioni e 350 mila più 100 mila euro di commissioni. La letterina che offre l'acquisto all'Udeur equivale a un assegno circolare che andrebbe incassato subito.

La prelazione spetta al partito, che è intestatario del contratto di locazione. Stranamente invece l'Udeur comincia un balletto di sigle e lettere. Prima sembra che acquisti 'Il Campanile nuovo' la cooperativa che edita il giornale. Poi invece acquista la società 'Il campanile Srl'. Tra le due c'è una bella differenza. Nel lontano 2001 anche 'Il campanile Srl' era la casa editrice del quotidiano ma ora, a dispetto del nome, è diventata qualcosa di ben diverso. Dopo aver incassato 480 mila euro di contributi per coprire i costi affrontati per il quotidiano nel 2000-2001, ha ceduto il campo alla cooperativa, come vuole la nuova legge.

La srl 'Il campanile' sembrava destinata alla rottamazione quando Clemente Mastella la ricicla per comprare l'appartamento di largo Arenula. L'atto doveva essere fatto entro ottobre del 2005 ma prima di firmare il segretario cambia opportunamente i connotati alla società. Il Campanile, diventa una società della sua famiglia. Prima era intestata a Tancredi Cimmino, l'ex tesoriere che nell'aprile del 2006 si candida con Di Pietro e viene trombato. Dopo le elezioni, nel maggio del 2006, Cimmino cede tutto a Clemente Mastella (che già aveva un 10 per cento della società).

Pochi giorni dopo il ministro della Giustizia gira le quote ai figli, Pellegrino ed Elio. Ora tutto è pronto per il grande acquisto. Il 10 luglio 2006 finalmente la società dei Mastella compra l'appartamento al quarto piano. Non basta. La srl cambia oggetto e si trasforma da semplice società editrice in azienda a tutto campo che può occuparsi di giornali ma anche di acquisizioni immobiliari, pubblicità, import-export, ristrutturazione di casali, attività turistiche e finanziarie. Poi muta anche il nome: ora si chiama 'Servizi e Sviluppo'. Una volta acquisita la sede, addio Campanile.

Oggi i figli di Mastella sono proprietari dell'appartamento e il giornale (che aveva più diritto di loro a comprare) è solo l'inquilino. Alla fine di questo giro tortuoso sono due le cose che sorprendono: una società finanziata dallo Stato con 480 mila euro nel biennio 2000-2001 per editare la testata del partito è diventata nel 2006 l'immobiliare privata dei figli del leader, scavalcando ogni distinzione tra interessi pubblici e affari privati che, anche in un partito a conduzione familiare, dovrebbe restare sacra. Inoltre la società di Pellegrino ed Elio ha fatto l'affare della sua vita grazie alla rinuncia del partito di papà a esercitare un suo diritto.

"Non c'è nulla di strano", dice il tesoriere dell'Udeur Pierpaolo Sganga, "l'acquisto è stato fatto senza alcuno sconto e senza alcun favoritismo, seguendo rigorosamente le procedure stabilite". Sganga annuncia che il partito sta per concludere un secondo colpo, ancora più grande, nello stesso palazzo. Anche i due appartamenti del secondo piano che ospitano la sede nazionale dell'Udeur presto saranno venduti all'inquilino. Un affarone che vale il doppio di quello già concluso: sono 21 vani contro i 9 dell'appartamento del quarto piano. Stavolta chi comprerà? Dalle carte depositate in conservatoria spunta una lettera dell'Inail del 2005 nella quale l'ente riconosce la prelazione per questi appartamenti, come per quello già venduto, alla solita società 'Il campanile Srl' oggi 'Servizi e Sviluppo' dei Mastella. A 'L'espresso' il tesoriere Sganga giura: "Comprerà l'Udeur".

 

Piedigrotta: nella grotta a mani e piedi - di Mimmo Grasso

Prima di leggere questo interessante articolo, per i digiuni di tradizioni popolari partenopee, ecco un accenno storico da Wikipedia:

 

Piedigrotta è una zona della città di Napoli, nel quartiere Chiaia, situata fra via Francesco Caracciolo e la stazione ferroviaria di Mergellina.

Deve il suo nome ad una galleria scavata nella collina di Posillipo: la "Grotta di Pozzuoli"( detta anche di Virgilio, o, appunto, di Posillipo). In tale grotta, in epoca antica, venivano officiati riti sacri in onore di Cibele e di Partenope intorno all'equinozio di autunno. In seguito si aggiunse anche la celebrazione in memoria del poeta Virgilio, sepolto nelle vicinanze. Infine, dal XIV secolo tali riti furono sostituiti da una festa in onore della Madonna di Piedigrotta.

La festa visse il suo massimo splendore fra la fine del 1800 e la seconda metà del 1900Festival della canzone napoletana. Fu soppressa negli anni Sessanta del XX secolo per motivi di ordine pubblico.
La festa di Piedigrotta era solitamente chiusa dai
quando divenne vetrina della musica partenopea in concomitanza col fuochi a mare, uno spettacolo pirotecnico con fuochi d'artificio sparati da barche ormeggiate nel golfo di Napoli.

 

Ed ora, l'articolo di Mimmo!

 

Il presidente Napolitano ha recentemente esortato i partenopei a ritrovare l’orgoglio di Napoli. La circostanza, una specie di  “sincronicità” iunghiana , vuole che quest’anno coincidano il trentennale della morte di Francesco  Cangiullo e, dopo decenni di dimenticatoio,  un nuovo  start di Piedigrotta, la festa che è Napoli in festa, quando Napoli porta in spalla se stessa, exultante arcaica fuyente, ripetendo la danza delle gru che Teseo fondò a Delo e che i tammorrari eseguono  tradizionalmente -ma senza averne più memoria. La danza delle gru (uccello migratore, inciso sullo scudo di Teseo e simbolo degli astronomi egizi) è la danza dei pianeti e si sa che vari elementi astrali caratterizzano Piedigrotta , che in questa circostanza-coincidenza si eleva a Costellazione. “Delo”, altresì,  deriva da  “deloo”, “appaio”, “mi manifesto”. Manifestare è la “festa dei Mani”, divinità infere.. Delo era altresì  isola sacra ad Apollo, dio della luce-sole, l’a-pollon, il non-molti (unico), come solare è il Mitra della cripta neapolitana. Con i   paramenti ritraici  è possibile, analogicamente, cucire il costume di Pulcinella  la cui maschera da corax (corvo)   rappresenta, come per i pitagorici, l’ acusmatico grezzo, l’ascoltatore da sgrossare, cioè il primo livello della gerarchia mitraica (erano previsti sette gradi che per i più curiosi elenchiamo: corvo,sposo, soldato, leone, persiano, messaggero del sole, padre).

Come si verifica vivendo, non è possibile scindere l’elemento apollineo ( la conoscenza) da quello dionisiaco (l’ “inconoscenza”, neologismo che definirei come stato originario del non-ancora-già conoscibile). Ambedue i temperamenti si intrecciano serpentini e “festosi”,  con torsioni e riti liberatori, vale a dire con comportamenti espressivi “originari”  codificati ma informali rispetto a quelli quotidiani. “Festa”: dal  sanscrito ”Vastya” (casa, abitazione), da cui il greco “Estiào” (banchetto, accolgo ospitalmente) da cui ancora “Fèstia” (focolare della casa). E’ implicito dunque in Piedigrotta un tornare ai lari. Le luminarie e i giochi pirotecnici (artificiali, cioè fatti ad arte, con un’intenzione)   hanno questa funzione di  richiamo.  “Piedigrotta” reca inoltre in sé il movimento nell’oscurità:  la danza (piedi) e la grotta , proprio quella del viaggio iniziatico  di Benino sul presepe,  col suo sonno e il suo “Oh!” di meraviglia davanti all’ antro del parto, dimora del “piccolo uomo nuovo”, homunculus aureo,solare. I carri di quest’anno  sono allegoria di un gran tour verso le proprie origini future. Osservati in prospettiva,  tutti i personaggi  che partecipano “appaiono” pastori di un presepe infero, come infero (sorpresa ironica e sghignazzante) è il pulcinella (Pulcinella)  che esce dall’Uovo (uovo); infera è la fiamma del Vesuvio,  simile a quelle in cui si agitano le Anime Sante del Purgatorio in rilievo nelle edicole dei vicoli. Di più: è lei stessa, la fiamma, un’anima santa del purgatorio che cerca arrifrisco.

Napoli è una città per iniziati. Tre icone mi chiedono di entrare in gioco, esse stesse allegorie delle strutture inconoscibili e profonde della città e di Piedigrotta: la prima è conservata alla cappella universitaria e rappresenta una Maria popolare e pacchiana  nel gesto di  allattare. La seconda è a San Pietro in Vincoli, dai cui orti fu creata piazza Garibaldi, e consiste in un bassorilievo raffigurante Maria in trono che allatta i dannati del purgatorio (ecco una  variante della Madonna di Piedigrotta).

 

La terza è la fontana Spinacorona, nei pressi dell’Università Centrale, straordinariamente carica di significati: è Partenope, la donna-uccello ( e l’uccello  ascende al cielo)  perché è noto che le sirene, prima di essere raffigurate come donne-pesce (bilogica della percezione) lo erano come donne-uccello (p.es. le arpie). La bilogica della mente anfibia tra sogno e ragione e le reciproche contaminazioni di ambedue i metodi convergono in Piedigrotta e nel capovolgimento (o dilatazione)  di senso che essa produce:  dall’uovo nasce il pulcino, ovvio. Ma,  superlativamente,  piedi-grottescamente, dall’ Uovo nasce il Pulcino. Piedigrotta è danza, riguarda i piedi e le mani alzate al cielo a scuotere cimbali, modulando e imitando i terremoti. Sto pensando a Chinua Achebe, ad “Attento fratello in soul” , testamento del patrimonio “pedestre” della danza yoruba.

Durante la festa i riferimenti a Virgilio e alla tradizione medievale popolare che lo  utilizza sono impliciti  anche se mai apertamente dichiarati, quasi tabù.; viene regolarmente obliquato, gobbuto come Pulcinella, Giacomo Leopardi, ospite senza fissa dimora del sito antistante la Cripta.. Eh già, perché Giacomo appare ai napoletani abbastanza seccia e scassambrelle. Il suo rapporto con Napoli fu sempre (ma aveva ragione) polemico e fustigante.  Se lo evochiamo corriamo il rischio che componga col linguaggio d’oggi (in queste cose era  bravo, c’è poco da discutere)  una satira con versi come quelli de “I Nuovi Credenti” (1835), versi che, se non conoscessimo il titolo e l’occasione per la quale furono scritti,  andrebbero benissimo per Piedigrotta:”…S’arma Napoli a gara alla difesa/ De’ maccheroni suoi: ch’ai maccheroni/ Anteposto il morir, troppo le pesa…Che dirò delle triglie e delle alici?/ Qual puoi bramar felicità più vera/ Che far d’ostriche scempio infra gli amici?...” -salvo poi, il buon Giacomo, tornare tardissimo a casa e pretendere dall’assonnata servitù di  Ranieri na scarafea ‘e maccarune. Non elenchiamo -chè il popolo di allora,  sollazzato solo a Piedigrotta e che sta controllando ciò che scrivo, si solleverebbe e mi farebbe una mazziata-  la lista dei 49 piatti per il cuoco Pasquale Ignarra riservati a Giacomo. Quello che dirò adesso c’entra poco con Piedigrotta ma è un atto dovuto a questo straordinario giovane e, poi, si tratta comunque di entrare in una grotta, un’officina linguistica e storica e simbolica.  Volete sapere perché l’autore de L’infinito (il testo di poesia più bello e complesso mai concepito) fu un rivoluzionario? Prendete una qualsiasi antologia scolastica e leggete quello che scrivevano i suoi contemporanei: Odi e Mongolfiere, Inni Sacri, Grazie e Luigie Pallavicine che, stupidotte, si ostinano a cadere da cavallo (  significativamente Foscolo è l’unico  poeta  dell’epoca  mai citato da Leopardi). Poi arrivate a Giacomo  e che ci trovate? Guaglioni, pacchianelle, passerotti, fabbri, carrettieri, gente puzzolente, analfabeta, che non aveva mai avuto diritto di cittadinanza letteraria in anni in cui l’italiano era come il latino. Insomma, tutti sparavano alto, classicheggiavano, scrivevano (300 copie di un libro erano un successo internazionale) per i potenti. Giacomo no, guarda alla terra, ai poveri, al (diciamolo) popolo lavoratore. Come a Mozart, gli toccò una “morte popolare” nella mattanza del colera. Va bene. Ma come fa il Giacomino quest’operazione?  Nella forma più classica possibile, con l’idillio. In gamba, no?  Leopardi appariva alla cultura napoletana  ultramoderno , saccente,  bizzarro e sprovveduto ( il poveretto ebbe un “pacco”  da un tipografo napoletano e dovette firmare un bel po’ di cambiali). Non ho elementi per dirvi come era visto Giacomo dal popolo il cui atteggiamento nei confronti di Virgilio è diverso perché  è ‘o nuosto, ha fatto ‘o bbene, certamente giocava al lotto,  non è un razionalista come Leopardi, che si capisce solo lui,  ma un mago, uno che se vuole può, un sanzano  tra il mondo di qui e quello di lì. Sennò, scusate, perché anche  Dante lo scelse come intermediario? E, poi, era un femminiello, dunque porta fortuna, era come i coribanti, sacerdoti della  Grande Madre, che si tagliavano gli attributi. Ancora oggi alla candelora i femminielli organizzano gite di gruppo a Montevergine (monte di Virgilio, complesso montuoso del Partenio -ed è appena il caso di ricordare che “verginella”, come era chiamato affettuosamente Virgilio, è in lingua greca “Parthenias”, Partenope).

Anche quest’anno, comunque, Virgilio, sepolto, secondo un’antichissima tradizione, a Piedigrotta, in un luogo di culto  originariamente riservato a Cibele,  c’è senza esserci, come il trucco (il mago, appunto) suggerito sullo stesso carro dove sono stati collocati l’ Uovo e Castel dell’Ovo. Ohibò: e se Pulcinella  stesse sugli spalti del suo guscio a difendere il vuoto? Se, paguro, si fosse messo lì per occupare il vuoto del cosmo?

L’occasione di Piedigrotta 2007  certamente ha richiesto un colossale sforzo dai parte delle istituzioni e rappresenta  un investimento molto serio sul futuro e sull’identità partenopea, vale a dire  sui comportamenti sociali. E’ da eventi come questi che una comunità può riappropriarsi del senso del proprio essere nel mondo e, di conseguenza, modulare i propri comportamenti secondo gli standard di dignità e di etica che le assegna il ruolo storico.

Sia ribadito che, dopo Atene, Napoli è  stata la seconda città dell’occidente a promuovere civiltà e saperi raggiungendo vette insuperate nella storia umana col “nostro”  Federico II.

La cripta neapolitana è il luogo comune di Napoli, quello che farebbe la felicità di  un archeologo dei simboli. Vi confido di aver compreso, io che mi presumo razionalista e scientista, l’aura misteriosa  della cripta quando il 21 dicembre 2006, solstizio d’inverno, ci sono stato con alcune classi della scuola elementare Cimarosa, di Posillipo. Avevamo fatto un laboratorio di linguaggi e, poiché - sono l’ unico a farlo-  mi reco ogni anno in visita da Virgilio e Leopardi portando con me un ramo di quercia che vado apposta a prelevare a Cuma, ho invitato i bambini. Cos’è successo di tanto misterioso? Che i bambini si sono seduti spontaneamente ai piedi della colonna che ricorda Leopardi e, tutti insieme, d’istinto, hanno recitato a cantilena L’Infinito. Ho avuto l’impressione che Giacomo li reggesse in braccio mentre un improvviso mulinello di vento arrollava le foglie nell’angolo dov’è un bassorilievo della fenice. Mah. Misture e Misteri di Napoli. Con loro ho ripetuto l’ arcaico rito del sale e del fuoco e per  loro mi sono trasformato in aruspice aprendo a caso, per ognuno, l’Eneide e leggendone due versi, come si faceva duemila anni fa. Ecco: forse è questa la Piedigrotta silenziosa e taciuta, quella tabù.

Penso che è molto  importante per l’orgoglio di Napoli che, grazie a Geppino Cilento e Vittorio Avella, la città si riappropri dell’intelligenza di un suo illustre figlio, Cangiullo, autore di molti lavori futuristi sulla Piedigrotta (e anche questo è un fatto misterioso, una

“sincronicità” pilotata da qualche cabalista o  futurista   -qui nel senso  “che prevede il futuro”). E’ significativo che Cangiullo chiuda  la parata dei carri e nel contempo si ponga, cangiullando, come mossiere  di un giro al contrario intorno ad essi, quasi cocchiere dei due splendidi (furenti)  cavalli che l’abilità di Claudio Cuomo fa impennare sulle onde di Poseidone con nitriti di bronzo e sotto il cui zoccolo la terra trema.

“Settembre” è già locuzione che trema. Il  settesettembre chi si troverà a piazza Municipio ascolterà nitrato d’argento nelle gole lunari e scalpitare con scintille d’ossidiana i cavalli di bronzo di palazzo reale: vogliono andare anche loro a Mergellina trascinandosi dietro l’intera Biblioteca Nazionale e le voci “stucchiate” del San Carlo.

In questi due cavalli mi “appaiono”  i “polyfrastoi ippoi” di Parmenide, quelli che conducono il filosofo alla “verità” contro l’opinione. Ma sono cavalli di cartapesta e dunque chissà come sarà la vera “doxa”, il vero giudizio sulle cose.  Mentre penso questo vedo  che le poche decine di versi del maestro di Elea si colorano di luci strane, polyfrastiche, quasi che, sui carri,  Opinione e Verità si scambino i ruoli. Da qualche parte i cavalli mi conducono a una citazione che mi ronza nella mente:”… e il sorgere rosso quando la prima volta si deve mostrare la fronte ai cavalli del sole”. Sì, è lui, Giordano Bruno, e la citazione è dall’ Enigma e Paradigma che chiude il  De Umbris Idearum.. I carri dei maestri cartapestai nolani come Umbrarum  Ideae? Perché no? Anzi, certamente sì perché i realia sono simulacri di altre realtà. (finzioni, in fondo, e finzioni di finzioni perché l’essere ,se non “fingit” , entra in contatto col nulla , si sente meno di nulla e non confessa a se stesso che il vero giudizio è una finzione sia di giudizio che di verità, cartapesta  e luminarie da bambini che” finguntque futura” le proprie ombre.

Nel mese di maggio si è tenuto sul Vesuvio il Festival della Patafisica, ovvero la scienza delle soluzioni immaginarie. Già il sito, Il Fiume di Pietra,  era un carro allegorico naturale. A momenti ho temuto che la montagna avesse le ruote.

Ritengo che non ci sia manifestazione più patafisica di Piedigrotta e che Napoli può individuare il suo Dottor Faustroll in Raimondo di Sangro, inventore –tra l’altro- di un palco pieghevole e di una carrozza marittima. Chissà se lo hanno invitato alla conferenza stampa.

Si sa, inoltre, che in materia artistica i materiali sono elemento non secondario della comunicazione. Nel caso dei carri, apparati colossali,  machinae, appare il gioco, trionfante, della facciata di fuori e della verità di dentro; cioè si nasconde, messa in scena corale, una questione ontologica dell’essere e delle sue relazioni: le macchine sono così grandi, artificiosate, eppure così dense di leggerezza e destinate, già nascenti, al deperimento.

Il futuro a Napoli si compie prima che avvenga. E’ il senso del “memento” , pietra angolare in tutti i bivi. Forse Napoli ha  tante chiese perché uno possa, in qualsiasi momento e in qualsiasi posto della città si trovi, trovare accoglienza e salvazione dagli sbirri dell’essere, una pausa all’angoscia. All’angoscia, dico, non alla paura, perchè Napoli non ha paura. E’ la città più tollerante del pianeta. Ma Napoli si autocrocifigge per angoscia. Anche urbanisticamente è angosciata. Perché? Si ha paura di qualcosa che comunque si conosce, di qualcosa la cui esperienza è ripetibile, come l’essere azzannato dal molosso che adesso ringhia ai miei piedi, in una grotta che abbiamo voluto attraversare.  L’angoscia riguarda ciò che non si conosce e la cui esperienza non può essere ripetuta. La morte è angoscia; l’essere deperibili prima ancora del concepimento in  carne e ossa,  creati di  cartapesta, è l’ angoscia.

In tal senso il movimento “Arte nella natura” , che colloca i propri manufatti di materiali naturali in ambienti fisici all’aperto perché  durino  quanto gli elementi di cui sono fatti, non ha proprio nulla da insegnare a Napoli. Semmai può imparare qualcosa.

Ho visto i modellini dei carri al laboratorio di Vittorio Avella, invitato dal maestro tipografo Carmine Cervone che, ispirato dalle locandine di Cangiullo, ha composto (siamo in pieno ambiente alchemico: acidi, fibre, tinture, inchiostri, morsure, piombo).un unicum dell’arte tipografica, denso di “tipi”.  E’ stato un privilegio vedere i carri in divenire al Vico Freddo a Rua Catalana  mentre il torcoliere stampava  ombre a tiratura limitata. In quella strada anche le mura mostrano le cicatrici; il modo d’essere  del popolo (andateci, verificate) non è

cambiato rispetto al periodo in cui Boccaccio vi ambientò, nel Malpertugio, la storia di Andreuccio. Ed eccoli lì i prototipi: carri-immagini bonsai, origami dei sogni del Golem.

Immaginiamo di approdare nel golfo partenopeo durante la sfilata (stavo per scrivere “processione”): si ha l’impressione che ebbero gli antichi navigatori quando videro queste sponde come “terra dei giganti”. I carri, in fila,  rappresentano  l’intera linea di costa e chiunque può immaginare di sostituire gli elementi reali con i propri omologhi di cartapesta, “prelevare” i dati che vede sulla linea costiera  e vederseli restituiti, ingigantiti o rimpiccioliti, dalla propria immaginazione che, come si sa, usa forbici e colla e colori come i cartapestai. E’ il gioco che Carrol fa fare ad Alice. Eccolo lì il golfo che si esprime con una mirifica giostra-carillon le cui note e canzoni sono strumenti dal nome infernale di dèmoni: Scetavaiasse, Putipù, Triccabballacche, cortigiani di  Rumore, incoronato re per  una settimana,  allineati su quattro postazioni che, qui, non rinviano tanto ai quattro elementi quanto a quattro punti cardinali e alla possibilità di mischiare le carte. Tespi, il mazziere, raccatta per il loro utilizzo strati cultissimi e populareschi. Fate così: guardate la teoria di carri mentre muggiscono in paranza. Individuate i personaggi e i simboli raffigurati: I Cavalli,Le Onde, Pulcinella & l’ Uovo, Castel dell’Ovo, La Sirena, I Guarracini, L’Arcimboldo Musico, il Taluorno Tammorraro, Il cappello di Totò, il Papillon di Totò, L’Arcobaleno, Il Vesuvio, La Fiamma, Il Girasole, La Cripta,  Viviani, La Cuccagnata, Cangiullo.

Ognuno può  creare così la propria personale  serie  dei “Tarocchi di Piedigrotta”. Ognuno può, con questi “Carri dei destini incrociati”, inventarsi ennestorie.

Ci ho giocato per due ore. Mi è venuto fuori qualcosa tipo la favola di Cappuccetto Rosso riscritta da Queneau. Ci ho anche elaborato un quadrato latino, alla maniera di Arnaldo Daniello. Potrei, per esagerare, scrivere coi piedi, grottescamente, una retrogradatio cruciata ma ora devo finire: Carmine Cervone, mi ha assegnato tutto lo spazio che voglio ma non voglio tutto lo spazio del libello che Alberto D’Angelo editerà. Mi auguro, comunque, che questi carri facciano la loro bella figura anche al Carnevale di Rio.

Finisco adesso con un testo già in bozza, destinato alle incisioni di Manuel Cargaleiro, portoghese  molto vicino ai colori di Piedigrotta. In questo testo, credo, ci sono molte delle cose che ho registrato dai soliloqui della mia memoria. Come accade agli smemorati, lei parla da sola su una panchina a Mergellina e tiene compagnia ai suonatori ciechi di Viviani. Lo stravizio  filologico mi impone, lettore, di precisare che “pupazzi” ha a che vedere con “pupa”, ovvero “crisalide”, e rappresenta -voilà la rêve- la trasmigrazione dell’anima da un corpo a un altro. A Piedigrotta, come sai, il cielo si addensa di nembi d’anime col piombo ai piedi e che si buttano dove càpita per liberarsi. Anche dentro di te. Perciò, porta l’ombrello o riparati sotto l’arcobaleno o la volta di una luminaria.

Vieni, memoria, ora ti riaccompagno per mano a casa”.

Si alza, acquiescente e, quasi, devota.  Bisbiglia di un tale Raffaele Raimondo che, se ho capito bene, era di Torre del Greco, un maestro corallaro che creò luminarie d’incanto a Piazza Vittoria. Dice (ma lo dice a se stessa) che “il Castel dell’Ovo si incendia perché…“.

- “Già: perché si incendia il Castello? Puoi dirlo anche a me?”.  

- “Perché il capitano della fortezza, il conte del Castrillo, voleva dimostrare che il castello era prendibile dai francesi via mare e organizzò una prova generale d’assalto con fuochi artificiali della premiata ditta Giuseppe Dell’Orca, torrese”.

Ah, ecco perché. E’  una storia vera e dunque  patafisica anche questa.Comunque, memoria, non me la dai a bere. Ci sono troppe coincidenze: un capitano della fortezza che si chiama Castrillo (in spagnolo: castello fortificato), una ditta di fuochi d’artificio che viene da Torre e che si chiama Orca…Mah. Comunque verificherò, non si sa mai. Ecco il testo per Manuel:

 

è il solstizio d’estate. lo specchio

è un po’ opaco di polvere.

a somma vesuviana  questa notte

accendono lucerne con l’olio di quattro anni

e si suona il tamburo fuori mura.

sistemano pupazzi sulle porte di casa.

 

a piedigrotta mitra illumina il taciuto di maria.

 

è il solstizio d’estate. il sole cambia

posizione sull’asse e dimentica sempre

negli specchi la polvere

 


 

                                                                                  Mimmo Grasso

 


 

 


 

ecco un secondo articolo arrivato in redazione:

 

‘A festa nasce e more ccà.

Le discussioni sull’opportunità o meno di far risorgere da ceneri cimiteriali la fenice Piedigrotta significano che fare la piedigrotta  su Piedigrotta, il che è già un successo.Se non il linguaggio o le argomentazioni,  la mimica della dialettica è in fondo  uguale in tutte le “feste”, dalla sagra della cozza al  Palio di Siena. So poco della macchina organizzativa della festa e la immagino difficoltosissima, con qualcuno che certamente rimane da solo ad affrontare impedimenti   mentre  i “responsabili del procedimento”  cavillano o  si defilano o colgono l’occasione per qualche rivendicazione. Molti si saranno affacciati  per   “acchiappare” qualcosa. Ma questo è “normale” (prevedibile) e va gestito, sia alla sagra della cozza che al Palio di Siena. In termini economici non ho mai condiviso l’organizzazione di eventi in base al   “costa troppo/troppo poco” ma in base al  ritorno dell’investimento, cioè quanto danaro può girare  nel flusso complessivo grazie alla siringa iniziale  di capitale investito. Nel caso di Piedigrotta c’è un “plus”  non quantificabile in termini di costi/benefici

se non nel tempo, e a patto che la festa non sia episodica, e che consiste nel recupero di un’etica e dunque di comportamenti meno devastanti..

”Roberto De Simone , grande anche quando minimizza, ha indicato dalle colonne de “Il Mattino”  aspetti di Piedigrotta 2007  utilizzando come  incipit versi di Leopardi che anch’io  ho usato scrivendo di Piedigrotta per questo blog  e per l’editore de Ilfilodipartenope. Che significa ciò? Che c’è un atteggiamento tra satirico e sarcastico in entrambi, che sentiamo (laggiù , tra le crepe del dichiarato e del presunto)  questa festa come una parodia di quella originaria. Siamo, cioè, in dissonanza perché vorremmo l’ “origine”.  Ma, in fondo,  a Piedigrotta non ci si maschera, non si fa la parodia? E se quella attuale è parodia di una parodia, è una metaparodia. Il massimo. Giacomo De Simone sviluppa  gli elementi “grotteschi” (appunto)   di Piedigrotta 2007  immaginando, in maniera patafisica (e c’è chi ha già fatto una performance  del genere),  una parata di carri della nettezza urbana con banda e vigili in testa. Nella sua sequela “funesta” c’è in sottofondo   un Mozart solitario ed  inedito che raccoglie da terra le note del suo cembalo. Se Piedigrotta è, come dicono,  la mimesi esorcizzante del vissuto, Roberto ha ragione. Ma è anche vero che  per  organizzare una festa  come lui  la propone occorrerebbe che il popolo innanzitutto, coi suoi mast’ ‘e festa (maestri della festa)  se ce ne sono ancora, si attivasse, che elaborasse, da solo, la faccenda altrimenti anche la danza macabra di stampo medievale o la “grottitudine” alla Rabelais sarebbe una cosa imposta e proposta dall’alto e, paradossalmente, l’obiettivo contro il quale si mira  si trasformerebbe addirittura in qualcosa di positivo grazie alla sua rappresentazione, riconoscibilità e, in fondo,per l’ accettazione-rassegnazione che ne deriverebbe. So bene che nelle mani di Roberto  Piedigrotta  diventerebbe un’opera di valore elevatissimo. Ma, appunto, un’opera. E anche questo è paradossale perché il capocoreuta organizzerebbe una regìa, dunque un artificio,   e il popolo, quello di oggi,  al quale apparteneva la festa (sto usando il tempo passato, ma in itinere) ne resterebbe comunque escluso, resterebbe  merce, bue,  come  negli anni del fascismo o laurini (e di oggi).  Né è possibile evitare passerelle o l’ intercettare consensi elettorali. Ma già nell’antichità funzionava così –o no? Noi saremo redenti solo quando guarderemo il colosseo non più come uno stemma italico ma come un cesso nel quale la gente si ammazzava per tirare a campare. So anche che  molte  energie creative   napolegne non sono state coinvolte (clientela spicciola? Associazioni senza scopo di lucro  con obiettivi  elettorali? L’occasione per togliersi, da parte di molti,  “’e vriccille a ‘ int’ ‘e scarpe” ? Populismo?) ma  è saggio rinviare le discussioni a consuntivo, dopo aver verificato la risposta   della città.

Marino Niola, sempre su “Il Mattino” e in pari data  osserva le metamorfosi delle feste e delle tradizioni nei contesti industriali e nei successivi, suggerendo analogie con altri eventi meno nobilmente storici di Piedigrotta (Carnevale di Venezia, Notte della Taranta, ecc.)  posizionando la festa napoletana   in modo “giusto”, e cioè mutevole per la  dinamica delle relazioni  (che è poi il possibile cambiamento di senso e significato di ogni segno).

Ma non è, signori, che, per esempio, in  ossequio all’originarietà della tradizione della taranta dobbiamo allevare latrodecti tredecim guttati o far macerare tra gli stenti il popolo così ci dà una dimostrazione originale di archi isterici?

Leggendo De Simone e Niola mi sono trovato stretto in un’ellisse, tra due fuochi equidistanti dal centro, in una situazione “indecidibile”  perché  le ragioni di entrambi sono validissime. Ma il popolo, destinatario e futuro vecchio proprietario della festa,  che ne pensa?

Ho girovagato, ieri notte,  per Mergellina fermandomi ai chioschetti dei tarallari e  ho improvvisato qualche intervista  (“…e allora? ‘A facimmo o no ‘sta   Piere-rotta?”) e -da buon napoletano-  ho coinvolto nella discussione anche i passanti  organizzando un teatrino come quelli che si vedono spesso per le strade. La maggioranza degli “intervistati” era giovane e  conosceva  Piedigrotta solo perché il nonno gliene ha parlato. Alla fine dell’inchiesta,  mettendo in macchina 34 taralli e 9 birre, guardavo nello specchietto retrovisore le  luci dei chioschetti e  gli alberi di maestra delle barche illuminati come fossero  un riflesso della festa. Anche i miei interlocutori muovevano gli occhi verso l’alto, dentro un arcano specchietto retrovisore, come a intercettare  qualcosa che la memoria non riusciva a ricostruire, pezzetti di vetro da mettere insieme. Ho fatto loro vedere, archiviati  nella fotocamera del mio telefonino,  i modellini dei carri di quest’anno,  fatti dai maestri cartapestai di Nola. Li abbiamo discussi. Erano felici. Ma cosa cercavano coi loro occhi? Credo  la voglia di identità, di ritrovare  orgoglio e l’orgoglio nasce se c’è il consenso sociale, la stima degli altri (siamo in fondo  animali culturali),  se qualcuno ci dice “tu sei importante” o te lo fa capire, se ha delle attese verso di noi. E se c’è orgoglio ci sarà indignazione e se c’è indignazione c’è un sistema di valori e comportamenti, un’etica.

Ho fischiettato in macchina la bellissima melodia che, su testo di Raffaele Viviani,  Eugenio Bennato ha composto per Piedigrotta 2007,  A festa nasce e more ccà. Ovviamente non vedo l’ora di salire su un  carrozzone e caciarare con le paranze.

E io, in fondo, che voglio?  Che, calata dall’alto o nata dai bassi, Piedigrotta diventi per Napoli ciò che -infine- è diventata piazza del Plebiscito.


Consulenti d'oro di Marco Lillo – L’espresso

Disegno tratto da L'Anomalo Bicefalo (disponibile su www.archivio.francarame.it)

 

 

Un miliardo e mezzo l'anno speso da Stato e regioni per incarichi inutili. Concesso ad amici, politici, faccendieri. E Palazzo Chigi frena la trasparenza. La rete dello spreco

 


Una città di 261 mila abitanti, tanti sono i consulenti esterni della nostra pubblica amministrazione. Una massa enorme che succhia ogni anno un miliardo e mezzo di euro dalle casse pubbliche. Architetti, ingegneri, avvocati, commercialisti, ma anche personaggi in cerca di contratto senza alcuna competenza, figli di ministri, amanti, clienti e famigli, portatori di voti, politici trombati e manager arrestati. Tutti in fila per incassare la loro fetta della grande torta. Il ministero della Funzione pubblica tra poche settimane presenterà in Parlamento la sua relazione sugli incarichi. 'L'espresso' è in grado di anticiparne il contenuto. A leggere le tabelle, riferite al 2005, ultimo anno censito, c'è da restare a bocca aperta.

I consulenti esterni sono 156 mila e 500, la popolazione di un capoluogo di regione come Cagliari, vecchi e bambini compresi, a cui vanno aggiunti i 105 mila pubblici dipendenti che eseguono prestazioni extra per altri enti fino ad arrivare a un totale di 261 mila persone. Una città grande come Venezia che galleggia sulla spesa pubblica. Basterebbe abolire le consulenze e si potrebbe rimborsare l'imposta sulla prima casa a due italiani su tre. Ma non si può. Il fenomeno è ormai strutturale: nulla riesce a combatterlo. Rispetto al 2004 la spesa è ferma a 1 miliardo e 500 milioni di euro. E anche se gli incarichi sembrerebbero diminuire, il condizionale è d'obbligo: i burocrati tardano nel consegnare gli elenchi degli ingaggi e quasi sempre il dossier finale lievita di mese in mese, con rialzi di centinaia di milioni.

La spesa per gli incarichi esterni è ormai una montagna difficile da ignorare anche per la politica italiana. La Finanziaria del 2005 aveva posto dei limiti precisi al potere discrezionale degli amministratori, poi erano intervenuti il ministero con una circolare e la Corte dei Conti. La Procura Regionale del Lazio, quella competente sugli organi centrali, ha dato un segnale inequivocabile, mettendo all'indice i vertici di 14 colossi pubblici. Si va dall'ex commissario dell'Unire, l'ente delle razze equine, al quale sono stati contestati 147 mila euro , fino alle consulenze elargite dai tre ultimi ministri della giustizia: Fassino, Diliberto e Castelli. Dal direttore generale dell'Istruzione, sotto accusa per 90 mila euro di parcelle, all'Asi, l'Agenzia spaziale italiana, che avrebbe mandato in orbita assegnazioni illegittime per un totale di 381 mila euro.

Chi non pubblica paga
L'onda però è proseguita ignorando anche i fulmini della magistratura contabile, fino a quando i senatori della Sinistra democratica, Cesare Salvi e Massimo Villone, hanno tirato fuori dal cilindro un'arma letale contro le consulenze facili dello Stato. Un comma inserito nella manovra per il 2007, che rappresenta una miccia accesa nel sottobosco della politica: "Nessuna consulenza può essere pagata se non sia stata resa nota, con tanto di nome e compenso, sul sito Web dell'amministrazione". E se l'incarico non viene pubblicizzato, scatta una punizione micidiale: chi ordina il pagamento e chi ne beneficia deve restituire i soldi di tasca sua.

 

La Farnesina

Sembrava l'uovo di Colombo, in grado di trasformare il Palazzo in una casa di vetro. Tutti avrebbero saputo in tempo reale con un click i nomi dei 223 consulenti delle agenzie fiscali, dei 14 mila uomini d'oro della sanità e soprattutto dei 4 mila e 563 prescelti dai ministeri. Purtroppo, l'Eden della trasparenza telematica non si è realizzato. Cavilli, circolari e ricorsi burocratici hanno depotenziato l'arma letale. E alla fine più della metà dei ministeri ha mantenuto il silenzio. Nella lista dei buoni figurano Funzione pubblica, Comunicazioni, Interno, Solidarietà sociale, Commercio estero, Salute, Sviluppo economico, Attuazione del programma, Affari regionali, Economia. Mentre tra i bocciati troviamo a sorpresa un paladino della lotta alle consulenze fasulle come Alfonso Pecoraro Scanio. Il ministero degli Esteri, pur non avendo ancora sul sito la lista, non ha avuto difficoltà a consegnarla a 'L'espresso', come hanno fatto anche l'Enav, l'Unire e l'Aams. Va detto però che il cattivo esempio viene dall'alto. I dipartimenti e gli uffici di Palazzo Chigi non hanno ancora pubblicato l'elenco dei consulenti. "Ma nel frattempo", spiega il segretario generale Carlo Malinconico, "i pagamenti degli incarichi conferiti dopo la finanziaria del 2007 sono sospesi".

I beneficiati
Chi è sul Web invece può incassare. Ed ecco spuntare una lista infinita di avvocati, ingegneri, commercialisti, architetti o semplici ragionieri. Pochi i nomi noti. Come Pellegrino Mastella, figlio del Guardasigilli e consulente di Bersani allo sviluppo economico per 32 mila euro. Nelle liste dell'Inpdap spunta il manager informatico Elio Schiavi. Chi è? Secondo Visco è stato una vittima dello spoils system di Tremonti. E Schiavi, definito dal viceministro diessino "l'inventore del fisco telematico", potrà consolarsi con un contratto da 150 mila euro. Alla Farnesina si segnala invece il rientro sulla scena dell'ex procuratore di Roma Vittorio Mele. Sottoposto a procedimento disciplinare nel 1998 per i suoi rapporti disinvolti con il re delle cliniche Luigi Cavallari, Mele aveva lasciato la magistratura evitando il giudizio del Csm. Ha appena firmato un contratto da 24 mila euro per quattro mesi e mezzo. Altri 25 mila euro andranno invece a Giovanni Lombardi, rappresentante dei Ds nel consiglio degli italiani all'estero, per progettare il museo dell'emigrazione.

Le Poste pubblicano la lista più completa: 194 gli incarichi e un paio di curiosità: i 200 mila euro a Maurizio Costanzo e gli 8 mila euro a Giovanni Floris. Gran parte dei soldi però vanno agli studi legali, come quello dell'onorevole di An Giuseppe Consolo (126 mila euro per il 2007) o quello fondato da Giulio Tremonti che ha preso 25 mila euro. L'Anas invece mostra un profilo fin troppo basso. Stando alle striminzite comunicazioni del sito, avrebbe speso finora poco più di 400 mila euro per sei incarichi. Una carestia rispetto ai 41 milioni del 2003 e ai 20,4 milioni dell'ultimo anno. Dov'è finita l'azienda sprecona che regalava 2 milioni e mezzo di euro in consulenze come buonuscita ai consiglieri? Basta fare un paio di verifiche per scoprire che il lupo cambia colore politico ma non il vizio. Sul sito non appare, per esempio, l'ingaggio da 100 mila euro all'ex consigliere Alberto Brandani, vicino all'Udc. Perché? Risposta burocratica: la commissione di cui fa parte è anteriore alla nuova legge. Esemplare la vicenda di Giuseppe D'Agostino. Un collaboratore da 50 mila euro l'anno, ignorato nella lista pubblica, ma attivo in tutto il mondo, dove incontra ministri per conto dell'Anas. In Moldavia ha presentato un accordo, seduto accanto al premier, per rifare tutte le strade . Non figurano sul sito neanche i due giovanissimi avvocati Sergio Fidanzia e Angelo Gigliola. Trent'anni a testa, iscritti all'albo dal 2005, hanno ricevuto dall'Anas un paio di arbitrati e la difesa della società nelle cause più importanti, quelle contro le autostrade davanti al Tar e alla Corte di giustizia europea. Per le stesse controversie è stato arruolato anche Marco Annoni, legale arrestato dal pool di Mani Pulite che ha patteggiato la sua condanna per tangenti. Il loro compenso è top secret. Ma quella degli avvocati in carriera non è un'eccezione. Perché con una direttiva firmata da Romano Prodi molte categorie sono state escluse dalla trasparenza. Una deroga che regala l'anonimato a tanti professionisti della parcella: tra loro artisti, società di revisione e soprattutto avvocati patrocinanti. Particolare piccante: il segretario generale di Palazzo Chigi che sta seguendo la partita delle consulenze è l'ex avvocato Carlo Malinconico, titolare dell'omonimo studio, chiuso dopo l'approdo a Palazzo Chigi, nel quale hanno mosso i primi passi i giovani Fidanzia e Gigliola.

Agenzie reticenti
L'Anas è in buona compagnia. Anche le agenzie fiscali seguono la linea dell'ermetismo. A fine agosto, territorio, dogane, monopoli ed entrate dichiarano sui rispettivi siti in tutto 21 consulenze. Nel 2004, secondo il ministero, le agenzie elargivano 223 incarichi. Che fine hanno fatto? Una parte importante si trova nel calderone della Sogei, che fornisce personale e servizi alle agenzie, e che però copre i suoi consulenti con il silenzio. È il caso del braccio destro del direttore dei Monopoli, Giorgio Tino. Si chiama Guido Marino e lo accompagna persino alle audizioni in Parlamento. Proprio a Marino, il direttore Tino ordina al telefono (intercettato dal solito pm Woodcock) nell'aprile del 2005: "Procurami tutte le carte. Poi leva da tutti i computer e lascia solo sul tuo senza farlo vedere ai colleghi". Oggi Marino sul sito non c'è, anche se il suo incarico, ottenuto da Sogei con una sorta di gara, potrebbe valere circa 2 milioni di euro.

Situazione analoga all'Ice. L'Istituto per il commercio estero non espone la sua lista e così è impossibile sapere quanto guadagna la società Triumph, controllata da Maria Criscuolo, imprenditrice molto amica di Umberto Vattani, come è emerso dalle intercettazioni di un'inchiesta contro il capo dell'Ice. Anche la Triumph sarebbe oscurata dalla solita direttiva Prodi. Attacca Cesare Salvi: "Quella circolare limita moltissimo l'obbligo di trasparenza e va contro la legge. Comunque non ci fermiamo. La strada è quella giusta e anche il premier lo sa. Ora vogliamo chiedere che nella Finanziaria si includa l'obbligo di pubblicare tutti gli atti di spesa. Anche se il vero problema sono gli enti locali, sui quali non possiamo intervenire. Lì accadono gli abusi peggiori".

L'autonomia delle regioni è diventata libertà di spreco. L'Eldorado delle consulenze è in Lombardia: il censimento parziale del 2004 segnalava 45.500 incarichi con 185 milioni di euro liquidati. E tutto calcolato per difetto: un quinto del totale nazionale. Un sistema di potere parallelo, in parte all'insegna della cultura del fare, nella presunzione che il professionista esterno nominato direttamente faccia prima e meglio. Il modello caro a Letizia Moratti, che in un anno a Palazzo Marino ha assegnato 91 incarichi. In parte però questo network nutre anche il sottobosco del potere. L'ultimo scandalo è recentissimo, emerso alla vigilia di Ferragosto con un'istruttoria penale per truffa. Al centro un progetto finanziato dal Pirellone per costruire sul lago di Como il Museo di Leonardo. Viene perquisita la Glr Consulting, controllata dal consigliere regionale Gianluca Rinaldin di Forza Italia. In Piemonte, nel 2005, regione, province e comuni hanno inghiottito consulenze per 18 milioni di euro, un terzo dei quali ritenuto privo dei requisiti. A Genova, le Fiamme Gialle hanno contestato un danno erariale superiore ai 20 milioni: sotto accusa nove amministratori dell'Istituto tumori. La Guardia di finanza spiega che, "a fronte di enormi investimenti effettuati, non è stata prodotta alcuna attività scientifica". Nel Lazio il meccanismo si è evoluto per aggirare i controlli. E le designazioni vanno a carico delle società a partecipazione regionale. Secondo una denuncia dei sindacati, Sviluppo Lazio ne ha assegnate per un importo di 27 milioni; la Filas per 8,2 milioni, la Bic per 5. In Abruzzo tra gli ingaggi della giunta guidata da Ottaviano Del Turco si segnala il fotografo personale del presidente e il vignettista. Il primo costa 60 mila euro, il secondo 32 mila per occuparsi, tra l'altro, del cartoon 'Capitan Abruzzo'. Il fumettista è figlio del sindaco di Collelongo, comune della Marsica che ha dato i natali a Del Turco.

Certo, a Sud la situazione è peggiore. C'è il caso Calabria che spicca fra tutti. Quando i magistrati sono andati a mettere il naso negli incarichi della Regione, si sono messi a piangere. In soli tre mesi ne erano stati assegnati una valanga: metà con importi non specificati, l'altra metà per oltre 487 mila euro. E tutti, ma proprio tutti, illeciti. Persino quelli destinati all'attuazione del 'piano di legalità' non rispettavano le regole. In altre regioni gli incarichi sono quasi dei benefit. In Molise lo scorso anno il presidente della giunta ha nominato due consiglieri personali costati 115 mila euro. Nella lista non manca una ricerca sui molisani a Stoccarda per 41 mila euro e un intervento sperimentale sulle lepri da 15 mila.

In Sicilia, invece, consulenza è sinonimo di favore. Talvolta anche agli amici degli amici. Come nel caso di Francesco Campanella, il mafioso ed ex presidente del consiglio di Villabate, oggi collaboratore di giustizia. Anche lui non si lasciò sfuggire un bel contratto. Nessuno oggi è in grado di stabilire quanti siano i consulenti: c'è stato persino un esperto per la 'prevenzione dei rischi connessi al diffondersi del bioterrorismo'. Un caso limite? No: a Rosolini, comune in provincia di Siracusa, c'è stato l'esperto per la lettura delle bollette telefoniche. A Catania ancora ricordano l'affascinante Miriam Tekle. La splendida top model eritrea, dopo aver partecipato alle finali di Miss Italia nel mondo, venne nominata alle dirette dipendenze dell'assessorato comunale all'Industria, per svolgere funzioni di 'supporto dell'attività d'indirizzo'. Per quell'incarico, la bella Miriam avrebbe dovuto percepire poco più di 24 mila euro all'anno. Dopo le proteste non se fece nulla, perché Miriam, così c'è scritto, aveva 'poca attitudine al ruolo'.

hanno collaborato Stefano Pitrelli e Marcello Bellia

(23 agosto 2007)

Com'è galante quel Galan

di Paolo Tessadri

 

"Certe consulenze che fanno ricchi avvocati e professionisti potrebbero essere evitate sfruttando le risorse interne". Angelo Pavan, anziano senatore dc, oggi alla guida dei cento comuni dell'Anci trevigiana, è l'ultimo a criticare la sbornia di incarichi in Veneto, terza regione in Italia con 117 milioni di euro finiti in parcelle e 22.998 consulenti. Spesso per attività di chiaro stampo elettorale.

Nel febbraio 2006 la giunta di centrodestra finanzia con 25 mila euro la 'cerimonia di presentazione del recupero e dello sviluppo della portualità veneziana'. I discorsi di rito li tengono il governatore Galan e il ministro Lunardi e i 25 mila euro servono per pagare il pranzo agli elettori. Designata è la società di pr Bmc Broker con sede a San Marino, di cui fanno parte l'ex segretaria di Galan, Claudia Minutillo, e il suo ex capo ufficio stampa, Gianluca Latorre. Per lo stesso evento la Bmc Broker riceve altri 150 mila euro dall'Autorità portuale di Venezia e 60 mila dalla società regionale Veneto Acque. La Bmc ha avuto 130 mila euro per pubblicizzare il sistema metropolitano regionale.

Luca Zaia, leghista e vicegovernatore, ha speso 900 mila euro per organizzare a Jesolo un triennio di Miss Italia nel Mondo. E ci è scappato anche il rinnovo a Mario Maffucci, ex capostruttura di Raiuno, da 25 mila euro nel 2006 a 33 mila 600 nel 2007. Compito: portare il Veneto nelle trasmissioni Rai. E An? A marzo il direttore generale dell'Arpav, l'agenzia regionale per l'ambiente, Andrea Drago ha affidato un incarico promozionale per 80 mila euro a Davide Manzato, geometra, consigliere comunale a Vicenza: entrambi hanno la tessera di An. Ma la consulenza forse più importante è quella al portavoce di Galan, Franco Miracco, per 126 mila euro annui: è lui il regista della sfida culturale contro Cacciari e delle mosse future dell'ultimo doge.

 

a Firenze arrivano le Fiamme Gialle

di Simone Innocenti

 

Gli incarichi sporchi non si lavano nemmeno in Arno Così la Corte dei conti di Firenze ha formalizzato le ipotesi d'accusa contro 60 dirigenti della Regione Toscana, tutti nel mirino per le consulenze elargite tra il 2002 e il 2003. Il bello è che l'indagine delle Fiamme Gialle si basa su un mansionario pubblicato per magnificare le professionalità della Regione. Bene: ma se i dipendenti sono così bravi, che bisogno c'è di affiancargli una falange di collaboratori esterni?

Sono spuntati una marea di doppioni, con un danno erariale da oltre 3 milioni Nella lista nera lo studio da 100 mila euro sulla spiritualità femminile, 50 mila per la navigazione interna, 40 mila per monitorare le televendite e un corso per fuoristrada da 80 mila. Il governatore Claudio Martini si è detto fiducioso nei risultati finali. E l'inchiesta erariale ha subito sortito effetti miracolosi. La spesa per consulenti in un anno si è dimezzata, passando da 16,6 milioni del 2004 a 8. Segno di quanto inutili fossero quegli incarichi.

I controlli si sono poi estesi al Comune. A Palazzo Vecchio il blitz dei finanzieri potrebbe far ipotizzare 2 milioni di parcelle inutili: sono al vaglio le posizioni di 29 funzionari. Il caso più importante è l'incarico da 600 mila euro per progettare il nuovo palazzo di giustizia, assegnato senza appalto. Ci sono poi 12 mila euro per un piano di comunicazione: secondo gli inquirenti negli uffici c'erano 19 persone che potevano occuparsene. Ma tra Regione e Provincia fa capolino anche il vizio del contentino agli ex. Un'indagine penale è stata aperta sul funzionario che ha ingaggiato il coordinatore cittadino dei ds. E da anni si discute per la consulenza ad Antonio Bargone, ex sottosegretario di punta del governo D'Alema.

 

 


l'affido dei minori in Italia: aiutiamoci a conoscere

Cari Amici,
stiamo iniziando uno studio approfondito sul tema dell’affido dei minori in Italia: quali sono le ragioni per cui viene sospesa o revocata la potestà genitoriale, cioè i genitori non sono ritenuti (temporaneamente) adatti al loro ruolo. Quali sono le dinamiche che più spesso si manifestano? Qual è l’impatto psicologico sui bambini?
 
La legge 149/01 dichiara all’art. 1 che ogni minore ha diritto a vivere nella propria famiglia o in una famiglia sostitutiva se la sua non  in grado di prendersene cura.
 
In Italia oggi sono 29.200 i minori che vivono fuori dalla famiglia naturale. Dove si trovano? Circa 13.000 (nel 2005) erano in affidamento familiare, mentre nelle strutture residenziali sono presenti circa 18.000 ragazzi. Nei 155 istituti ancora aperti (per legge avrebbero dovuto essere tutti chiusi entro il 31/12/2006) ne rimangono 800.
 
Dunque una volta che un Tribunale decide di allontanare i bimbi dalla famiglia naturale, una delle possibili soluzioni è quella del centro di  accoglienza: questi sono di competenza regionale, ciò significa che ogni singola regione li gestisce in maniera diversa, con costi differenti, ma da una prima indagine pare che la media nazionale si aggiri attorno ai 110 euro al giorno per singolo bambino, mentre l’affido familiare ha di gran lunga costi inferiori, ma stenta a prendere piede, tanto che nel 1999 i casi erano 10.000, mentre nel 2005 sono aumentati di sole 3.000 unità. Un numero assai basso, visto che nello stesso periodo ci sono stati 10.000 minori in meno nelle comunità di accoglienza e gli istituti sono in via di estinzione.
 
L’obiettivo è fare chiarezza su questi  temi e chiediamo il vostro aiuto: tutti i lettori che hanno informazioni, materiale, articoli,dati, statistiche su questi argomenti possono inviarle a [email protected] .
 
Grazie!!!
 


La Casta: l'inchiesta dell'espresso sui costi della politica - di Alessandro De Feo

Fare il ragioniere alla Camera è affare certamente impegnativo. E non a caso ci vuole una laurea triennale per accedere al rango. Dal’alto di questa mansione si istruiscono le pratiche per i rimborsi elettorali dei partiti, si preparano le buste paga dei parlamentari, si cura l¹amministrazione di Montecitorio. Giusto che si riceva uno stipendio adeguato alle responsabilità del mestiere. Ma fare il presidente della Repubblica, ça va sans dire, è certamente compito più delicato e importante per le sorti del Paese. E il trattamento economico, soprattutto in tempi nei quali si predica tanto la meritocrazia, dovrebbe tenerne conto. Cosa dicono invece le buste paga degli interessati? Che con i suoi 237 mila 560 euro lordi annui (rivalutati ogni 12 mesi) maturati dopo 35 anni di servizio, il ragioniere di Montecitorio guadagna quasi 20 mila euro in più del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il cui appannaggio, congelato ai valore del 1999 per le difficoltà dei conti pubblici, è fermo a 218 mila euro lordi l¹anno. E come non restare ammirati di fronte agli stenografi del Senato? Sono 60 in tutto e compilano i resoconti dei lavori dell¹aula e delle varie commissioni. Svolgono un lavoro ormai in estinzione per via delle nuove tecnologie, ma all’apice della carriera arrivano a guadagnare 253 mila 700 euro lordi l’anno. Molto di più non solo del presidente Napolitano, ma anche del capo del governo Romano Prodi che, tra indennità parlamentare (145 mila 626 euro), stipendio da premier (54 mila 710) e indennità di funzione (11 mila 622), arriva a 212 mila euro lordil¹anno. E di ministri titolati come Massimo D’Alema (Esteri), che riscuote 189 mila 847 euro, e Tommaso Padoa-Schioppa (Economia), che ogni anno incassa 203 mila 394 euro lordi (è la paga dei ministri non parlamentari). Tutti abbondantemente distanziati dallo stenografo e
dal ragioniere e addirittura umiliati al cospetto dei compensi dei segretari generali di Senato e Camera, Antonio Malaschini e Ugo Zampetti, che a fine anno arriveranno a incassare rispettivamente 485 mila e 483 mila euro lordi.
Ecco le sorprese che spuntano esaminando i dati sul trattamento economico dei dipendenti di Camera e Senato. E non sono le sole: barbieri (‘operatori tecnici’) che possono arrivare a guadagnare oltre 133 mila euro lordi l’anno a fronte dei circa 98 mila di un magistrato d’appello con 13 anni di anzianità. E collaboratori tecnici operai che dall’alto dei loro 152 mila euro se la ridono dei professori universitari ordinari a tempo pieno inchiodati, dopo vari anni di carriera, a circa 80 mila euro lordi l¹anno. Retribuzioni da favola, insomma, che non hanno uguali nell’universo del pubblico impiego e che si accompagnano a trattamenti pensionistici di assoluto favore perfettamente allineati, in tema di privilegi, ai criticatissimi vitalizi di deputati e senatori. Ma quanti sono questi fortunati dipendenti parlamentari? Quanto guadagnano esattamente? E attraverso quali meccanismi riescono ad ottenere trattamenti economici così favorevoli?

Stipendi d’oro  I dipendenti di Camera e Senato (vengono assunti solo per concorso) sono in tutto 2.908, di cui 1.850 a Montecitorio e 1.058 a Palazzo Madama. I primi (dati dei bilanci 2006) costano complessivamente circa 370 milioni di euro, i secondi 198; molto di più di deputati (287) e senatori (133 milioni). Per ambedue i rami del Parlamento le voci che pesano di più nei capitoli di spesa per ilpersonale sono gli stipendi e le pensioni. Per quanto riguarda le retribuzioni, la Camera sborsa ogni anno 210 milioni di euro a fronte dei 130 milioni del Senato. I costi delle pensioni assorbono invece 158 milioni nel bilancio di Montecitorio e 70 milioni a Palazzo Madama. La prima cosa che salta agli occhi, sia alla Camera che al Senato, sono le singolari regole di calcolo di stipendi e pensioni, regole tanto sorprendenti da trasformare i due palazzi in autentiche isole del privilegio. A fissarle, godendo le due strutture dell¹autonomia amministrativa garantita agli organi costituzionali, sono stati in passato i due uffici di presidenza di Camera e Senato, composti dai rispettivi presidenti (i predecessori di Fausto Bertinotti e Franco Marini), i loro vice e tre parlamentari-questori. 

Per quanto riguarda Montecitorio, i dipendenti sono distribuiti in sei categorie retributive. Da cosa sono costitute esattamente le retribuzioni? Dallo stipendio tabellare (paga base); dalla indennità integrativa speciale (la vecchia contingenza, bloccata al 1996) e da altre voci come gli assegni di anzianità che vengono elargiti nella misura del 10 per cento della paga tabellare al diciassettesimo e al ventitreesimo anno di servizio. Tutte voci che, insieme a una strana «indennità pensionabile, pari al 2,5 per cento delle competenze lorde annue dell’anno precedente», contribuiscono a dare uno straordinario slancio agli stipendi.
Che hanno altre caratteristiche singolari: sono onnicomprensivi (sommano straordinari e lavoro notturno) e vengono pagati per 15 mensilità. Con un riconoscimento aggiuntivo per alcuni incarichi: al segretario generale e ai suoi vice, ai capi ufficio e a tutti coloro che hanno responsabilità di coordinamento, spetta anche un’indennità di funzione che varia dagli oltre 46 mila euro lordi l¹’anno (pari a un netto di 2.206 al mese per 12 mensilità) spettanti al segretario generale Zampetti, ai 7.300 (346 euro netti al mese) assegnati al vice assistente superiore. Di assoluto favore anche le norme che regolano la progressione retributiva all¹interno di ciascun fascia, scandita da scatti biennali che variano tra il 2,5 e il 5 per cento. Ma soprattutto dai balzi economici connessi ai passaggi di livello, riconosciuti dopo il superamento di periodiche verifiche di professionalità.
Per quanto riguarda le fasce retributive della Camera, la prima è costituita dagli operatori tecnici. Ne fanno parte gli addetti alle officine, gli operai, i barbieri, gli autisti e gli inservienti della buvette. Costoro entrano nei ruoli con uno stipendio lordo annuo iniziale di 32 mila 483 euro per arrivare a riscuotere, con 35 anni di servizio, la bellezza di 133 mila 375 euro (pari a 8.675 euro lordi al mese). Davvero ragguardevole se si considera che le loro mansioni sono esclusivamente manuali.

Nella seconda categoria sono inquadrati invece gli assistenti, i famosi commessi in divisa e gli addetti alla vigilanza, che iniziano con una paga annuale di 36 mila 876 euro e concludono la carriera con lo stesso stipendio degli operatori tecnici. Il terzo gradino retributivo è rappresentato dai collaboratori tecnici, il gotha del proletariato parlamentare: vi sono compresi gli ex operai che hanno spuntato una qualifica superiore per il fatto di svolgere mansioni più complesse, come quelle relative «alla gestione degli impianti di riscaldamento e condizionamento» del Palazzo: questa aristocrazia operaia inizia con uno stipendio lordo annuo di 32 mila 753 euro e corona la carriera con 152 mila 790 euro (al mese, 9.937 euro lordi).

Più su nella scala ci sono i segretari che supportano il lavoro dei funzionari negli uffici e nelle commissioni: ricevono un compenso di oltre 37 mila euro l¹anno all’ingresso e se ne vanno dopo 35 anni con oltre 156 mila euro lordi (10.164 euro mensili). Un tetto retributivo d¹eccellenza, ma pur sempre modesto se si guarda a quello che avviene nei piani alti della nomenklatura di Montecitorio.

Spulciando il trattamento della fascia superiore, cioè dei dipendenti del cosidetto IV livello, quello dei documentaristi, tecnici e ragionieri (le loro mansioni prevedono«l’istruttoria di elaborati documentali e contabili e attività di ricerca»), ci si imbatte in un balzo prodigioso delle retribuzioni: entrano alla Camera con una paga di 41 mila 432 euro l’anno per andarsene, dopo 35 anni, con 237 mila 560 euro (15.451 euro mensili lordi). Che sono tanti, ma che impallidiscono a fronte dei compensi dei consiglieri parlamentari, il gradino più alto dell’ordinamento del personale di Montecitorio. Sono tutti laureati, svolgono funzioni di organizzazione e direzione amministrativa, oltre che di supporto giuridico-legale agli organi della Camera e ai suoi componenti. Vero che sono sottoposti a due verifiche di professionalità dopo tre e nove anni di servizio (devono tra l’altro «predisporre un eleborato relativo a temi attinenti all’esperienza professionale maturata»), ma i loro stipendi sono di assoluto riguardo: iniziano con una retribuzione annuale di oltre 68 mila euro lordi per toccare, con il massimo dell¹anzianità, 356 mila 788 euro, pari a 23.206 euro lordi al mese.
E al Senato? Qui si trattano ancora meglio. Nessuno riesce a spiegarne il motivo, ma le paghe di Palazzo Madama, per funzioni più o meno analoghe a quelle del personale della Camera, sono da sempre più alte. Pressoché identiche le voci della retribuzione (stipendio tabellare, indennità integrativa speciale, eccetera), unica differenza è lo sviluppo su 36 anni della carriera invece che sui 35 di Montecitorio. Dopodiché è il solito assalto al cielo delle retribuzioni: gli assistenti parlamentari (svolgono mansioni di vigilanza, tecniche e manuali) arrivano a riscuotere oltre 141 mila euro lordi l¹anno (pari a 5.222 euro netti mensili); i coadiutori (mansioni di segreteria e archivistica) 170 mila, per uno stipendio netto di 6.194 euro; i segretari parlamentari (istruiscono «eleaborati documentali, tecnici e contabilili che richiedono attività di ricerca e progettazione») superano i 227 mila (8.120 euro netti mensili); gli stenografi (resocontano le sedute e le riunioni degli organi del Senato) saltano a quasi 254 mila (al mese, 9.018 euro netti); mentre i consiglieri possono arrivare a riscuotere a fine carriera la stratosferica cifra di 368 mila euro lordi l’anno (per un mensile netto di 12.871), oltre 12 mila euro in più dei loro pari grado della Camera.
I baby nababbi A retribuzioni tanto ricche non potevano non corrispondere trattamenti pensionistici altrettanto privilegiati. Ma quale riforma Dini, ma quale scalone di Maroni, ma quale innalzamento
a 58 anni dell¹età pensionabile come predica Prodi. I dipendenti di Camera e Senato non hanno mai temuto tagli per i loro trattamenti. A Montecitorio e Palazzo Madama continuano a prosperare le pensioni-baby soppresse per tutti gli altri dipendenti pubblici: si lascia il lavoro anche a 50 anni e con modalità di calcolo dell’assegno straordinariamente vantaggiose.
Cominciamo dalla Camera. Qui, per la pensione di vecchiaia, a partire dal 2000 l’età necessaria è stata progressivamente elevata a 65 anni allineandola a quella richiesta a tutti gli altri lavoratori. Per quanto riguarda invece le pensioni di anzianità dei dipendenti in servizio fino al gennaio 2001 (per quelli arrivati dopo si sta discutendo un diverso inquadramento), la situazione si fa più favorevole: è vero che si richiedono 35 anni di contribuzione e 57 anni di età come per gli altri lavoratori dipendenti, ma aggrappandosi alle pieghe del regolamento si può andare a riposo ben prima (dal 1992 a oggi l¹età media di pensionamento per anzianità è di 52,9). Avendo prestato almeno 20 anni di servizio effettivo (il cosidetto scalpettìo), basta pagare una modesta penalizzazione pari al 2 per cento (il cosidetto décalage) per ogni anno mancante ai 57 e il gioco è fatto. Tenendo conto che nel calcolo della contribuzione vanno considerati anche i riscatti universitari, quelli per il servizio militare e soprattutto i due bienni contributivi generosamente concessi ai dipendenti in occasione dell¹anniversario dell’Unità d’Italia e della presa di Porta Pia (dichiarati validi l’ultima volta nel ¹92 per i dipendenti in servizio dall’allora presidente della Camera Nilde Iotti) ecco che è possibile riscuotere la pensione anche a 50 anni . E con criteri di conteggio di sfacciato favore.
Al posto del sistema contributivo (pensione commisurata ai contributi effettivamente versati) introdotto a partire dal 1995 per il resto dell¹universo lavorativo, alla Camera vige ancora un sistema rigorosamente retributivo: pensione commisurata all¹ultimo stipendio riscosso. In quale percentuale? Sicuramente il 90 per cento delle competenze tabellari (gli altri lavoratori pubblici si devono accontentare di circa l¹80 per cento). Con una ulteriore, graziosa concessione: la cosidetta clausola d¹oro che, sebbene eliminata per i miglioramenti relativi allo stato giuridico del personale in carica, aggancia ancora le pensioni degli ex dipendenti agli altri adeguamenti spettanti ai pari grado in servizio.
Ancora più generoso il trattamento di quiescienza riservato ai dipendenti del Senato. A costoro, per andare in pensione, basta raggiungere un parametro denominato quota 109, dietro il quale non si nascondono certo difficoltose asperità, ma piuttosto facilitazioni tanto comode quanto ingiustificate. Cos¹è esattamente questa quota?
La somma dell¹età anagrafica, degli anni di servizio effettivamente svolto, dell’anzianità contributiva che, anche a Palazzo Madama, comprende gli anni riscattati per la laurea, il servizio militare e due bienni figurativi elargiti in passato da vari presidenti del Senato. È proprio applicando questi criteri che qualsiasi dipendente di 53 anni (l¹età minima fissata) può chiedere e ottenere l¹agognata pensione. Per scalare la fatidica quota 109 gli è sufficente sommare al requisito dell’età 25 anni di servizio effettivo e 31 di contribuzione, facilmente raggiungibili grazie ai riscatti e ai bienni figurativi (non a caso a Palazzo Madama l’età media dei pensionati per anzianità dal ‘92 a oggi è di 54,8). Ma non è finita:  utilizzando la contribuzione figurativa (tra riscatti e bienni, nove anni in tutto), quello stesso dipendente può ottenere la pensione anche a 50 anni con una irrisoria penalizzazione: l¹1,5 per cento di riduzione del trattamento complessivo per ognuno dei tre anni mancanti ai 53. Ma nessuna paura: la riduzione non si applica nel caso in cui si possa contare su una anzianità superiore ai 35 anni.
Con la solita, importante garanzia per il futuro: la sicurezza di non vedere mai svalutato l’agognato assegno come il resto dei lavoratori dipendenti. Anche al Senato infatti la clausola d¹oro manifesta ancora i suoi magici effetti e, nonostante alcune limitazioni introdotte negli ultimi anni, adegua automaticamente le pensioni agli stipendi dei parigrado in servizio.


Mineurs: minatori e minori - di Mimmo Grasso

Il festival del cinema per ragazzi di Giffoni (Salerno)  è stato inaugurato quest’anno da  Mineurs di Fulvio Wetzl e  Valeria Vaiano, che ne è anche  protagonista insieme con un Franco Nero che con  sguardi  azzurrivi racconta la disperazone  del capofamiglia  in miniera  e con un meditato  Ulderico Pesce nella parte del maestro. Molti i  lucani reclutati sul posto. Il film è corale sia  per il racconto (l’attesa e un  viaggio ineluttabili, la vita degli emigrati italiani  nelle  miniere belghe) che   per l’ allestimento e le riprese (la troupe ha contato in vari momenti  oltre 500 persone) sia, infine, per la produzione: 17 istituzioni, dalla Basilicata al Limburgo. Le riprese sono state effettuate nei luoghi storici, il che connota già come “ritorno” l’azione di Wetzl. Il film è costato quanto quindici minuti  di Harry Potter, anch’esso proiettato a Giffoni. Mineurs è dunque un esempio di come  l’emozione e l’intelligenza rimangano gli unici effetti veramente speciali.Quando  torniamo nei luoghi che ci sono cari  desideriamo riscontrare  i particolari dei nostri ricordi, puntiamo l’indice  (qui, e qui, e qui, e poi questo e questo e questo) per avere conferma che noi siamo questo e qui, “questo-qui”,  che nulla è immutato e che dunque quel nulla è un valore o , almeno,  riconoscibile come non-nulla. Wetzl e Vaiano  hanno fatto dunque precedere la sceneggiatura da puntuali documentazioni sul campo,  anche linguistiche. Splendidi gli spezzoni di Già vola il fiore magro,  film-documentario di Paul Meyer girato nel ’59 (gli anni in cui è ambientato Mineurs) sui lavoratori  italiani  nella regione del  Borinage, quasi  citazione virgolettata, film nel film. Il lavoro di Meyer fu censurato e solo da pochissimi anni è visionabile.   Va inoltre  ricordato che gli autori appartengono entrambi a terre di  emigrazione e dunque  sanno di che stanno parlando: Wetzl è veneto (Padova)   Vaiano è altoirpina, ai confini cioè della Basilicata-Lucania, come Ettore Scola, già autore di un introvabile 8mm. d’esordio ( Fiatnam,  sulle vicende operaie torinesi di un contadino irpino). 

 

Mineurs merita una riflessione: gli eventi sono osservati  dal punto di vista dei ragazzi, i contenuti civili ed etici  dichiarati sono alti .  A Fulvio e Valeria si deve lo stimolo a rileggere alcuni documenti  sull’emigrazione italiana ed è una rilettura che consolida e chiarisce molto le idee su varie questioni di oggi.

Il territorio della partenza, la Lucania,  è  “verticale”  sia per fatti genetici che storici e questa prospettiva si osserva nei luoghi, nei volti, nel modo di esprimersi dei personaggi, discendenti di osci, bretti (“ribelli”, gli attuali calabresi), sanniti, sabelli, etruschi, tarantini, cumani (forse i Cimmeri di Cuma  erano proprio i lucani con le loro armature di bronzo terribile). Ernesto De Martino non indaga una diretta influenza osca nelle pratiche magiche o  del  tarantismo per quanto  Venosa sia da lui spesso citata e il Sud Italia sia stato il suo terreno privilegiato di ricerca.. In quegli anni  non c’erano i documenti di oggi e a  Pistòm (Paestum ,già Poseidonia. Il nome  forse deriva dal  “paizein”, il giocare del tempo ludico o dall’osco “pistò”, focaccia, e, per estensione,   fertile come il melograno e il pane che ‘nferta le mani delle statuette di  Hera) non era stata ancora scavata una tomba che mi piace chiamare dello sciamano, molto meno  scenografica e chiccosa di quella del tuffatore etrusco  ma più intrigante: è un sepolcro semplicissimo, grezzo,  con il particolare che  sotto la lastra di copertura   c’è inciso un volto che evidentemente  rispecchia e ripete, gemellare,  quello del defunto. Si capovolge la struttura del mito di Narciso: è l’immagine che osserva l’originale, già morto  (o no?). Insomma: le altre tombe sono zeppe di oggetti cultuali e rituali, di “paizein”,  mentre in questa c’è solo il volto del de cuius a tenergli compagnia nell’emigrazione all’altro mondo. Interessante, vero? E immaginate, aprendo la tomba, che è con quel volto inciso nella pietra che si  incontrarono, prima che con i resti del mago,  gli occhi degli archeologi e magari qualcuno di loro avrà subito, per quel malocchio,   il morso della sua taranta ancestrale.

Certamente -io le ho viste-  le ombre del mezzogiorno  si  radunano intorno a quel sarcofago  in danze pirriche. Chi avrà avuto la voglia di leggere queste note si chiederà   che c’entra questo con Mineurs. Beh, in fondo sempre di sottosuolo e di ipogei si tratta ed è nel sottosuolo che si trovano gli schemi dei comportamenti, è lì che la radice radicheggia. La Lucania è una terra radicale. Melfi è la città   delle Constitutiones; lì fu sancita da Federico II  l’idea dello stato laico; lì nasce la coscienza civile degli italiani Solo agli  jaculatores obloquentes, i giullari, lo staff federiciano  non diede alcun riconoscimento  (e Dario ha citata la faccenda  nel suo discorso ufficiale al Nobel).

Non  intendo qui fare una recensione al film, una tonsura; lo tradurrò (anche tradurre è un po’ emigrare), trasferirò in parola i fotogrammi  scrivendo  il soggetto di un secondo film  cone o le “immagini a fronte”  di Wetzl, come lui ha fatto  con Mayer. Chi narra, “qui”,   è uno dei giovanissimi Mineurs, Armando, che parla a se stesso in prima persona  come ci succede quando siamo in treno e il viaggio è lungo. Armando ora ha  i capelli bianchi. Lo vediamo che aspetta  al capolinea di partenza della ferrovia interna  calabro-lucana che usa ancora treni a vapore. Il capostazione ha dieci anni ed era un compagno di Armando. Il semaforo marca il rosso.  Il capostazione fa il fischio con le dita. Si accende il verde. Azione:

 

 «Acerenza, Accettura, Muro Lucano, Oppido:  acero, accetta, muro, fortificazione: nomi barriera di un territorio “ostile”.  “Lucania” significa “lupo”  e “bosco”. Da sempre    la fame fa uscire il lupo dal bosco. Fu per la fame che   caricammo sul treno per il Belgio bagagli di aggeggi inservibili. Mia madre infagottò un ferro da stiro pesantissimo, una specie di zavorra

per la sua anima casalinga.  Io portai  il  vestito che mio nonno usava per la festa e passato a mio padre. Non per indossarlo   ma per conservare  l’odore di ceppo. Mio padre, carrettiere, quando cantava accompagnandosi con la frusta  era il dio dei carri. Un ciclope.  La mattina il suo canto cadeva come bucce d’arance nel mio sonno. La sera lo aiutavo a togliere il basto  al cavallo che masticava crusca dal sacchetto di juta ed era tutto mascelle e mantici di froge. Per me è naturale mangiare con la testa abbassata  e col braccio sinistro a semicerchio intorno al piatto, come a proteggerlo. Appoggiata alla stanga, la bella sonagliera custodiva il silenzio come le teche d’argento in chiesa le reliquie dei santi. Misi il vestito in un cassettone nella baracca di lamiera in cui ci accampammo  e quando avemmo dai belgi una casa popolare, tirandolo fuori per riporlo nell’armadio  vidi  che erano spuntate  dalle tasche  rosmarino,  timo, foglie di granoturco.  Questo vestito lo indosso ora,  mentre torno al paese. Il suo velluto ha  fruscii come la scorza della  quercia da sughero. Avevo con me, all’andata,   un po’ di vino aglianico (“ellenico”, ci disse il maestro) che  bevvi col mio compagno Egidio  nel puzzolentissimo  cesso del treno. Io ero abituato ai “cessi a vento”,  che si chiamano così perché stai nascosto in un luogo all’aperto, seduto sulle ginocchia e  col culo al vento. Eppure, vivendo nelle baracche in Belgio, ho  desiderato il cesso del treno perché, almeno, aveva la porta. Né potevo farla  fuori perché mi sarei perduto nella nebbia. Se mi fossi perso realmente per una cacata non avrei potuto  guardare in faccia nessuno per tutta la vita. Neanche quelli dei sassi di Matera hanno  vissuto come noi. Mi abituai a sgombrare la pancia in miniera, spegnendo la luce del casco. Spesso chi  finiva sui miei rifiuti mi declinava i morti.  Le femmine si organizzarono costruendo un cesso tutto per loro con quattro lamiere e  dal quale saliva  un odore fenico   d’intimità femminili e di lisciva per lavare i panni.. Ebbi il sentimento  che io ed Egidio  ci volessimo ubriacare non tanto per dimenticare ma per ricordare e certo per distrarci dall’impulso di piangere  pestando i piedi su una rabbia

disperata, mordendo  le nostre mani non avendo potuto azzannarle  all’uomo nero che ci aveva spinto nel vagone.

 


Anche ora ho una fiasca di ellenico   che non bevo perché ho paura di dimenticare la miniera. I miei piedi hanno un sussulto, un tremore di danza interrotta. Mozzico l’aria, mi scazzico dalla pelle. Mi capitava anche in Belgio soprattutto quando si avvicinava il giorno della festa del patrono. Poi, durante la processione, il tremore scompariva. E’ il vecchio rimorso per una scelta subìta e ancora mi afferra la nevrosi dell’abbandono. La festa era una conferma sociale,  un “questo-qui”   durante il quale ognuno si sentiva accettato e si buttavano un quantità di soldi alla statua  per  risarcimento a ciò che eravamo e perché tenesse lontano il malocchio. Chi  emigra  vuole mantenere rapporti con il paese ed è condannato a diventare  ricco perché il paese questo si aspetta, vuole anche lui conferme a una sua fantasia e non importa come li fai tanto, se li fai, comandi e decidi tu quello che è lecito o no. In caso contrario, l’ autostima dell’emigrato finisce come sui cessi a vento.     

I miei ricordi li  lasciai  in piazza, ai bordi della fontana dei cavalli, in mezzo ai piccioni che, se gli dai un po’ di granone, ti volano addosso col pigliapiglia  delle anime del purgatorio quando escono dalla bocca delle vecchie giaculanti  a suffragio. Lì si saranno  specchiati per tutto il tempo della mia  assenza, rimasti bambini coi riccioli saraceni, il naso rotto in corsa e l’osso  degli zigomi viola per le sassaiole. Inciampo nel futuro del mio passato perché è il passato che deve avere un senso che voglio ritrovare e poter dire “non è quello ma è questo, non è lì ma  è qui”.  Chissà se i  cavallari sono già arrivati per far abbeverare le mandrie.  Pirro, il  cavallo nero come Annibale e  cogli occhi saturnini,  sbufferà  un nitrito d’argento sull’acqua. Ho con me un cartoccio di  carrube.  Il capoparanza laverà  il sangue di pecora dal suo coltello d’abigeatario.  In fondo anch’io, col mio popolo,  sono stato un abigeatario del lavoro nero -nero-brigante o nero-carbone. Ho scelto  un viaggio di ritorno  più tortuoso di quello d’andata. Ora sto in questo vagone  che spruzza vapore d’ acqua e carbone.  Non sono molto sicuro che la fontana rispecchierà la mia immagine, che  riconoscerà una faccia piena di cicatrici. Una volta misi un bastone nell’acqua e mi apparve spezzato. In Belgio, sentendo di notte il respiro  di mio padre fratturato da una tosse con  rantoli di buio, pensai a quel bastone. Era la frusta di mio padre, che in miniera cantava sempre. Voglio lavarmi la faccia nella fontana dei cavalli, strappare i miei pensieri da carta copiativa. A ogni fermata c’è un treno che aspetta questo  perché i  treni del ritorno si fermano a strani  incroci e giungono inevitabilmente puntuali alle coincidenze.  Ne vedo uno  correre   in direzione opposta. Scorgo  dal finestrino i miei paesani. Abbasso il vetro. Grido  di non andare in Limburgo, che  c’è la silicosi, che li ammasseranno in baracche di ferro, che la nebbia è salata e nera  e le montagne sono gli scarti di carbone di una terra senza betulle. Non mi sentono. Mia madre Vitina dorme esausta, abbandonata anche dalla stanchezza. Io ed Egidio le scivoliamo addosso, attratti dalla forza di gravità del suo sonno. Bianchissima, con un odore di  confetto e  naftalina,  luminosa come la prima neve tra le  arance di ottobre,  c’è  la ragazza che  viaggia  vestita da sposa con il corredo di sorrisi  che porterà al fidanzato appena scesa dal treno. Solo lei e la statua della Madonna non hanno le spalle curve. Le bizzarre architetture della vita si reggono sugli archi della spina dorsale. Le vertebre ancora  mi pungono come allora, quasi un’infiorescenza di more o di roveti. Il mio sonno ha  sandali di sambuco,  sbadiglia come  il lago accerchiato da cipressi bianchi.Vuole svegliarsi ma io mi accosto alla calamita del calore  di mia madre  e non voglio aprire gli occhi  perché sto sognando che mi sogno ritornare ma  non ci sono  la sposa e la Madonna e ho le spalle curve come il collo dei cigni che quando scivolano immobili sull’acqua sembrano  un punto di domanda.  Ho sete. Sono vecchio come  l’arsura  dei calanchi esplorati dalla luna. Anche la luna fa un lavoro nero: non gira mai sull’asse e neanche sa di avere un’altra faccia.

Nel pugno scotta una manciata di  lumache raccolte a  giugno dopo la bruciatura dei campi di grano e ascolto una musica antica così dolce da essere brutale. La ghisa dell’ascolto si spacca.


Vedo che ne esce   uno sciame di tafani ronzanti come sull’aceto quando matura. Sto quieto  ma non tranquillo, ago di bilancia  che presume di misurare le cose   e non sa che è predestinato dai numeri e dal peso. Ho deciso di tornare d’impulso, dopo aver letto in una rivista  della “biston betularia”, una farfalla con le ali bianche che si trasformarono in nere qualche anno dopo che gli inglesi cominciarono  a scavare miniere di carbone  Esaurito il carbone  e chiuse le miniere,  le ali della farfalla tornarono bianche. Esempio di mimetismo industriale  era il titolo dell’articolo. Cinquant’anni fa partimmo all’alba, come si conviene alla partenza, col sole e il  sempre  alle spalle, quando le allodole si incantano ascoltando il loro richiamo rimbalzare in uno specchio,  nell’ora in cui  i briganti affiliati a Crocco  bussavano all’uscio dei miei bisnonni  per il pane e la polvere da sparo. Chissà perché  Garibaldi e i mille si studiano a scuola e di Crocco e dei suoi non si dice niente.Perché la storia si scrive in italiano e non in lucano. Il lucano, ci diceva il maestro, è bellissima: greco,  illirico, osco e  tante altri popoli. “Osco” mi faceva pensare a “bosco” e “oscuro”. OUO   allungavano  radici nell’ esofago, fino alla pancia, dove nascono i lamenti; SC-SC era il serpente nascosto nei granai o il dito di un compagno portato al naso come a dire “stai zitto che adesso succede una cosa”. A sentire la prima volta “Limburgo”  pensai a un limbo, solo che, arrivatoci, scoprii che era nero e non bianco. La nostra lingua è piena di  aspirate, un aspirare l’aria    prima di emettere fiato per parlare quasi che,  parlando,  uno rischi l’ apnea. Così fa il vento quando scrive sull’argilla dei fiumi o alza mulinelli  sui terril di  carbone.

Basilicata,  basileus, basilico e basilisco. Cose evocative, che ci facevano apparire il maestro che ce le spiegava come un re-pastore.  Già. Ma il maestro ci spiegò anche che dopo la vittoria  piemontese per l’Unità d’Italia  migliaia di giovani soldati dell’esercito del sud furono internati in  campi di concentramento al nord, fortezze di fortezze  come Le Finestrelle (ci fece vedere una foto)  e lì lasciati morire di stenti e umiliati  perché non volevano prestare giuramento al nuovo re. Se fossi stato io il re d’Italia avrei incarcerato gli spergiuri. 1.000.000 di morti, 54 paesi bruciati, centinaia di migliaia tra dispersi e  famiglie disgregate. Insomma, al sud  le vittime dell’unità d’Italia e del nuovo stato  furono  una pulizia etnica. Partimmo nel 1960, dopo giusti giusti 100 anni dall’Unità. Sull’ Aspromonte i paddechi, schiavi, di lingua greca, si  vestivano di sparto, ginestra,  e mangiavano pane che il deputato  Zanotti-Bianco buttò in aula dal suo scanno in parlamento perché gli onorevoli  si rendessero conto delle condizioni   dei calabresi. Prima dell’unità gli italici che più migravano erano piemontesi e veneti; dopo il 1880  a emigrare fu il sud., le cui palanche formarono l’80% della tesoreria del nuovo stato. Il maestro ci parlò poi  di un accordo del 1946  tra governo italiano e belga. (1.000 minatori contro 2.500 tonnellate di carbone all’anno) Dunque, io valevo il carbone che ho estratto il primo anno. L’affare lo hanno fatto i belgi e le imprese  italiane del boom economico che hanno utilizzato i risparmi inviati  al paese e che le banche, come ancora oggi,  trasferivano a imprese del nord costringendo quelle del sud allo strozzo. Il maestro un giorno arrivò irritato in classe. Indagammo col bidello e sapemmo che si era beccato  un rimprovero dal direttore della scuola e da un ispettore  per averci detto queste cose. Prima che in Belgio   si andava nell’America degli Stati Uniti  a spalare fino a che gli americani non decisero di negare l’ingresso agli italiani (tanti, troppi, analfabeti, preistorici, puzzolenti, con leggi tutte loro) il che accellerò la decisione del  governo fascista  a politiche coloniali spacciate come impero. In Belgio ho voluto  studiare,  ho cercato di capirci qualcosa e mi sono convinto che  per diventare  emigrante, cioè destinato ai margini, non è questione di   nascere  piemontese o lucano, veneto o calabrese, albanese o polacco o nero. E’ una questione di classe nella quale nasci e o elimini le classi  o ne gestisci la rivalità. E ho capito che dietro il voler sopraffare l’altro e l’accumulo idiota di ricchezza c’ è, prepotente, la paura della morte e dei Cimmeri., iPer far tacere i miei dannatissimi rimorsi ho letto molti libri , mi sono messo alle spalle dei personaggi di  molti rmazieri.

 

Non ho condiviso nessuna analisi, non mi sono identificato con nessun personaggio. C’è una presunzione di fondo sia nei saggisti che negli scrittori: parlano di una cosa che non conoscono perché, per il nostro caso,  un conto è parlare della filiera di produzione per estrarre il carbone e di come vive o viene fatto vivere chi fa questo, altro è estrarlo, starci dentro, sviluppare, dopo aver vissuto all’aperto tra montagne,pianure, boschi e campi di grano,  i sensori di un cieco. Tutti  poi  ci analizzano come masse o “movimento”  ma sempre secondo un loro punto di vista, una loro tesi politica o sociologica da vendere a qualcun altro come nello scambio del ’46. Nessuno ci ha mai chiesto cosa pensiamo veramente, cosa vorremmo, e se gli dici che vuoi mangiare tutti i giorni, che vuoi un lavoro almeno dignitoso,  che hai paura per la vecchiaia e vorresti una pensione,  sposarti,  che temi le malattie e vorresti un medico che non cura ma che si prende cura,  intonano il  latinorum delle loro dottrine e chiamano i tuoi bisogni “ideologia popolare” o  “attese piccoloborghesi”. Il nostro universo simbolico, almeno fino alla mia generazione di emigrati, la penultima, è rimasto quello della terra. Conoscevo solo la lingua del mio paese e già uno di Potenza stentavo a capirlo. Per insegnarci un po’ d’italiano il maestro ci leggeva le poesie di Sinisgalli, che  era dei nostri. Posso recitarne a memoria molte. Amo quella  delle monete rosse, la prima che lesse il maestro. Oggi capisco che è una metafora della vita  e che la metafora funziona un po’ come il ponte di Annibale  che sta a   Muro Lucano.

Dal finestrino entra polvere. Sudo l’umido dello  scirocco africano. Da qualche parte un lamento di prefiche, un memento. La polvere.  Mio zio morì per la polvere, come dicevano tutti. Terrorizzato,  corsi a casa e per giorni ci rimasi  a pulire con uno straccio, a  lavare per terra. In Belgio mi hanno spiegato   che “polvere” significa per i minatori  silicosi e  che silicosi ha a che vedere con silicio e che dal silicio si fa il vetro. Dunque, dedussi,  mio zio morì perchè il suo respiro  era indurito  come vetro , gli tagliava  i polmoni. Più tardi avrei scoperto  che, per evitare che la cosa si sapesse in giro,   chi tornava a casa perché ammalato di silicosi, inidoneo ormai a estrarre carbone ma che col suo lavoro aveva ampiamente superato il punto di pareggio costi-benefici italobelga,  era costretto dalle autorità italiane  a fare un viaggio studiato  in modo  da non fargli incontrare chi saliva. Chissà quanti treni carichi di tossi, quante bisacce con frantumi di vetro. La mia famiglia in Limburgo alloggiava  nelle baracche che erano servite come campo di concentramento nazista. Furono le donne, mia madre in testa, a ribellarsi e ottenere una casa , almeno quattro mura, e  furono loro che mi imposero di tornare alla scuola  che lì  avevo abbandonato perché non capivo come parlavano i belgi e poi nessuno conosceva Sinisgalli e il gioco delle monete rosse. A una spiegazione  di storia chi sapeva tutto su Annibale ero io e ne parlai, in lucano, con gesti enfasi e tale passione che tutti mi capirono e da allora  mi soprannominarono “ fenicio”. Imparai il  fiammingo giocando, scendendo con gli altri ragazzi le montagne terrili  su padelle adattate a slittino. Ho voluto conoscere  molte altre cose. I paesani, venendo a casa a trovare papà, che non cantava più, pensavano che studiassi da prete o da medico. Era il solo modo per loro di spiegarsi la presenza di tutti quei libri e venivo guardato anche con un po’ di sospettosa venerazione.

I piedi continuano ad avere convulsioni. Un terremoto scuote cimbali e la voce di mio padre si sparge come acqua sul pavimento. Mi affaccio dal finestrino e capisco che dietro il treno è scomparsa anche la notte. E’ dunque vero quello che della notte scrisse  Scotellaro. I poeti sono quelli più vicini al popolo. Ci capiscono, dicono quello che diciamo noi, ragionano come noi. E cantano, come noi.

Voglio scrivere sull’agenda  un testo di Rocco Scotellaro, uno del Sud:

 

La luna piena riempie i nostri letti,

camminano i muli a dolci ferri

e i cani rosicchiano gli ossi.

 

Si sente l’asina nel sottoscala,

i suoi brividi, il suo raschiare.

In un altro sottoscala

dorme mia madre da sessant’anni.

 

E ,a fianco , una poesia di Pasolini, uno del nord:

 

Sera imbarlumida, tal fossàl

a cres l’aga, na fèmina plena

a ciamina pal ciamp.

 

Jo ti recuardi, Narcìs, ti vèvis il colòur

da la sera, quand li ciampanis

a sùnin di muart.

 

che trasporto, mettendogli le mani in tasca,  dal friulano all’ italiano:

 

Sera imbarlumita, dentro il fosso

lievita l’acqua, una femmina  piena

cammina per il campo.

 

Sono io che ti ricordo, Narciso dal colore

della sera, del quando le campane

suonano a corpo morto.

 

In questi due testi   c’è il senso della mia storia, ci sono le persone che popolano i miei ricordi. C’è mia madre Vitina, che dorme,  asina con le giunture a pezzi,  in un altro sottoscala mentre la luna le passa sopra attratta dal suo sonno come lo ero io. C’è Sisina, la sposa che fu anche mia madre e che quando sorrideva faceva  due fossette dove venivano a bere i passeri. C’è il fosso del passato dove Narciso incontra il volto del suo gemello morto. C’è anche la Madonna del paese, la femmina incinta di silenzio che cammina per il campo. Forse emigra a piedi.  Rocco dice “luna piena”, Pierpaolo “fèmina plena”. Maria è gratia plena. Se la madre di Rocco dorme da sessant’anni vuol dire che è forse morta, dentro, insepolta  del fosso dove cresce, come creta , l’acqua che non bagna le mani, il mercuriale  specchio. E se le campane suonano assenti e col suono pesante come un corpo morto, scavando nella torbiera dell’immaginazione mi accorgo che chi suona a morto è sì una campana ma che questa ri-sponde a un richiamo del campo (santo?) e che ha dentro di sé, testarda,  il “campare”.Vorrei parlare di Rocco e Pierpaolo, di Narciso e dello specchio d’acqua e penso che, in fondo, la mia fontana dei cavalli funziona come queste due poesie, che Pirro sbuffava un nitrito d’argento sull’acqua perché l’argento-bianco della luna ha il nerofumo della morte:  si equivalgono, sono barlumi intorno ai quali i cani, animale cimmerio ,sempre associato alla morte, che è fedele, rosicchiano gli ossi. Quegli ossi sono sotterrati nel fosso dove lievita l’acqua e dove Maria va a bere per dissetare il silenzio.

 

Quando  leggevo per i minatori (divenne  un’abitudine che si iniziasse il turno facendomi leggere una poesia nell’ascensore e che la stessa la leggessi nel risalire) non capivano le parole, chè erano analfabeti, ma le immagini sì e creavano  i collegamenti giusti perché loro erano abituati a camminare nei boschi, a fare innesti.

Un giorno vennero in miniera alcuni psicologi o assistenti sociali per osservare, tra l’altro, il

Q:I. dei minatori e in particolare di quelli più vecchi. Fui sorteggiato anch’io e mi somministrarono  un test che consisteva nell’indicare quale tra vari oggetti fosse un intruso.

Gli oggetti erano albero, martello,sega, accetta. Indicai il martello. Mi fu obiettato, con garbo, che l’intruso era l’albero in quanto non era un  attrezzo. Era giusto ma formale. Risposi che

gli oggetti presentati servivano a lavorare su qualcosa e questo qualcosa era, nel test,  l’albero   per cui l’intruso per me continuava a essere il martello. Cancellai l’albero e disegnai sul loro  foglio un piccone. Così non c’erano più intrusi ma era evidente che, passando dall’astratto al concreto, era proprio l’intruso che dava senso agli altri oggetti, li arricchiva di una funzione.  . Il mio Q.I. risultò elevato, con orgoglio di mio padre.Avevo semplicemente ragionato come mio nonno quando discuteva a lungo con i cantori che di tanto in tanto venivano a dirci cos’era successo nei paesi vicini..

L’emigrazione si svolge come un rito, è il nostro rito,  un riflesso condizionato. Gli extracomunitari che vengono in Italia  hanno i nostri stessi problemi di allora e certamente ci sarà stato se non uno scambio un accordo: tu dai spazio in Italia ai miei disoccupati, così me li levo dai coglioni, e io compro il tuo pesce secco o ti faccio uno sconto sul petrolio.

Del resto,  la silicosi di allora vale come l’amianto o  l’uranio impoverito.

Nel 2001 è stato dato il voto agli italiani all’estero, dopo centocinquant’anni. Che ridere: “italiani all’estero”, come fossimo turisti.

Il profilo del Vulture. La prossima stazione è il mio paese. Certamente sarà cambiato. Il treno rallenta e vedo case nuove in fila, tante auto,  antenne della televisione, l’ H di Ospedale (addirittura!). Non sento (è fine agosto) l’usta dell’ uva. Da un portone escono le voci di  un gruppo di ragazzi che  certamente giocano   con  monete. Il treno si ferma. Mi affaccio. Chiedo, in lucano, a una ragazza seduta su un motorino e con un piercing  sul labbro inferiore:  -“Sa dirmi la strada per  la fontana dei cavalli e la scuola elementare?”.

 Mi sorride (due fossette, ma non vedo passeri); mi risponde in italiano

-“Scusi, come dice? Non ho capito”

-“neanch’io” ».

 

 

                                               Mimmo Grasso